Icy Steel – Through The Ashes

Dopo due ascolti non potrete fare ameno di urlare verso il cielo, in un’atmosfera delirante di conquista e vittoria.

Lucidate le spade, calzate le armature e foderate gli scudi, gli Icy Steel sono tornati, ancora una volta tramite la label tedesca Pure Steel (dopo la parentesi My Graveyard Productions con il precedente Krònothor) e Through The Ashes risulta un esempio tangibile dell’enorme potenziale del gruppo sardo, almeno per quanto riguarda l’heavy metal dagli spunti epici e manowariani.

Per chi non conoscesse il gruppo proveniente da Sassari, ricordo che si sta parlando di una realtà attiva dal 2005 e con tre full length sul groppone, il primo omonimo album uscito nell’ormai lontano 2007, seguito da As the Gods Command del 2010 ed il precedente lavoro licenziato quattro anni fa.
Fondati da quell’animale metallico che è  Stefano Galeano (voce e chitarra) e con una storia comune a molte band, con cambiamenti di line up in corso d’opera, il grupposi assesta con il condottiero sardo a capitanare un manipolo di eroi composto da Pietro Bianco alla sei corde, Flavio Fancellu alle pelli e Carlo Serra al basso, fautori di un’opera epica sopra le righe, in formato doppio cd con il primo (Before) a rinverdire la tradizione metallica della band, ed il secondo (After) a coglierne l’anima introspettiva ed acustica.
Si parte nel migliore dei modi con il metallo epico e coinvolgente del primo cd, un ottimo esempio di come l’heavy metal classico ed epico conquisti ancora la palma di genere re della musica a sfondo guerresco.
Before è un’apoteosi di atmosfere battagliere, orgoglio metallico che sfiora la perfezione, prodotto benissimo e valorizzato da un lotto di brani che grondano fierezza.
Sarà anche la provenienza dei nostri (il popolo sardo, senza nulla togliere agli altri, è uno dei più fieri del Mediterraneo), sarà un songwriting in stato di grazia, ma il lotto di brani qui presentato sbaraglia la concorrenza nel genere: Galeano si dimostra singer di altra categoria e la sei corde con i suoi assoli è una spada affilata piantata nel costato dei nemici affrontati in battaglia.
Epicità alla massima potenza, con una serie di tracce (la forma canzone qui è alla massima potenza) che dopo due ascolti vi spingeranno ad urlare al cielo, in un’atmosfera delirante di conquista e vittoria.
The Day Became Night, Last Thing To Destroy, …And The Warrior Return, sono straordinarie interpretazioni del classico metallo epico che collegano la band a realtà importantissime della storia del genere come gli amatissimi Manowar, gli inarrivabili Warlord e i meno conosciuti Slough Feg.
Si cambia cd ed entriamo nel mondo più poetico e folk degli Icy Steel con cinque brani acustici, cinque atmosferiche tracce che ci presentano il lato più riflessivo del combo.
La battaglia è giunta al termine e i guerrieri intorno al fuoco ringraziano gli dei per essere sopravvissuti ancora una volta e per poter tornare al più presto a combattere: le sei corde ricamano armonie acustiche dall’alto della tecnica dei protagonisti, con sfumature progressive che lasciano senza fiato, assolutamente non banali e piacevolmente strumentali come Inside The Glass Place e la conclusiva Shaman’s Death.
Album bellissimo ed emozionante, un affresco di metallo epico e classico che non si può ignorare, pena la morte a fil di spada …

TRACKLIST
CD1 – Before
1 Last Man On The Earth
2 Fire And Flames
3 The Day that Became Night
4 Ritual Of The Wizard
5 Last Thing To Destroy
6 …And The Warriors Return
7 Today The Rain Cries
8 The Earth After Man

CD2 – After (unplugged)
1 Bard’s Dreams In The Silent Woodland
2 Ashes Of Glory
3 Inside The Glass Place
4 Shaman’s Death
5 The Weight of Signs

LINE-UP
Stefano “Icy Warrior” Galeano – Guitars and Vocals
Pietro Bianco – Guitars
Flavio “Athanor F.D.H.” Fancellu – Drums
Carlo Serra – Bass

ICY STEEL – Facebook

Solitvdo – Hierarkhes

DM possiede la capacità di ammantare ogni brano di un’aura solenne e al contempo malinconica

Dopo l’ottimo esordio su lunga distanza con Immerso in Un Bosco di Querce, del 2014, il musicista sardo DM si ripresenta con un nuovo lavoro targato Solitvdo.

Hierarkhes, questo è il titolo, segna un ulteriore passo in avanti nel percorso musicale di questo progetto che prende le mosse dal black per contaminarlo con sonorità epiche e magniloquenti.
Rispetto al suo predecessore cambiano le tematiche trattate, sicché la poetica elegiaca di cui erano intrise le varie tracce di quel lavoro viene sacrificata a favore di testi inneggianti al valore e all’eroismo, con ampi riferimenti alla storia dell’antica Roma (anche se i testi, nonostante i titoli dei brani, sono integralmente in italiano).
Devo ammettere che per indole non sono un grande estimatore di questo tipo di scelte liriche, ma se il tutto viene inserito in un’opera dello spessore musicale di Hierarkhes, questo diviene un mero dettaglio: DM possiede la capacità di ammantare ogni brano di un’aura solenne e al contempo malinconica, senza far ricorso a particolari virtuosismi, ma lasciando che soprattutto le tastiere si assumano l’onere di condurre il suono laddove egli predilige.
E’ anche vero che le tematiche spesso corrispondono all’umore dei brani, per cui Hierarkhes, Aristokratia e la notevole Fides, Pietas, Gravitas, Virtus spiccano appunto per la lor solennità, mentre il lato più meditabondo ed introspettivo trova il suo naturale sfogo nello strumentale Devotio – Marco Curzio e nella conclusiva Il Silenzio, che riporta i testi su un piano più filosofico-esistenziale, del tutto in sintonia con l’afflato melodico di una traccia invero magnifica.
Hierarkhes consolida così lo status del nome Solitvdo quale ennesima espressione di una scena black atmosferica che nel nostro paese sta offrendo diversi frutti prelibati.
L’album è disponibile sia in cd (Naturmacht Productions) che in musicassetta (Eremita Produzioni).

Tracklist:
1. Hierarkhes
2. Aristokratia
3. Devotio – Marco Curzio
4. Fides, pietas, gravitas, virtus
5. Il silenzio

Line-up:
DM All instruments, Vocals

SOLITVDO – Facebook

Cancer Spreading – Ghastly Visions

Non adatto per i deboli di cuore e per chi cerca soluzioni melodiche anche nel metal estremo

Il death metal nell’underground nazionale è ben radicato, dalla Sicilia all’Alto Adige abominevoli creature estreme escono dalla putrida terra per portare il loro messaggio di nichilismo e morte: brutal, grind e death metal si nutrono di queste realtà dall’alto potenziale distruttivo ma non solo.

Negli ultimi anni la qualità delle proposte nel genere si è alzata notevolmente, a dispetto di un mercato inflazionato da decine di uscite discografiche, mantenendo alta l’attenzione degli addetti ai lavori.
Dal più profondo abisso dell’underground estremo tornano i modenesi Cancer Spreading con il loro nuovo lavoro licenziato in edizione limitata in vinile, secondo full length che segue The Age Of Desolation del 2011.
Un death metal terrificante, un assalto sonoro senza pietà ed un odio per il genere umano che si amplifica in queste dieci tracce nichiliste e pregne di violenza crust, un metal soffocante e atroce, un impatto sull’ascoltatore destabilizzante e senza soluzione di continuità.
Ghastly Visions si potrebbe definire un’opera old school, ed in effetti produzione e richiami più o meno espliciti a Obituary, Asphyx e compagnia di serial killer portano dritti verso il ritorno del sound classico, ma il gruppo non si ferma ad un recupero di queste sonorità e le estremizza con dosi di crust ed un impatto hardcore nascosto da una soffocante atmosfera mortifera.
Cavalcate spaventose sostenute da una sezione ritmica da tregenda, frenate dove le sei corde creano muri di suoni lenti e lavici, oscuri e pesanti, mentre un growl bestiale vomita disprezzo: un tuffo nel marcio e putrido mondo visto dalla parte dei Cancer Spreading, una macchina da guerra devastante che ha pochi rivali in impatto ed attitudine.
Non adatto per i deboli di cuore e per chi cerca soluzioni melodiche anche nel metal estremo, Ghastly Visions travolge come un vento atomico e di voi non rimarrà che l’ombra disegnata su un muro.

TRACKLIST
1. Blood-soaked Ocean of Isolation
2. Ghastly Visions
3. Oppressive Negativity
4. Putrid Angel
5. The Day I Dreamt a Nightmare
6. The Hanged Corpse
7. Fragments of Filth
8. Sinners Shall Weep
9. Psychosomatic Nausea
10. Cloaked In Nothingness

LINE-UP
Otta – Drums
Jacopo – Guitars
Merlo – Guitars
Gabri – Vocals
Matteino – Bass

CANCER SPREADING – Facebook

Ade – Carthago Delenda Est

Carthago Delenda Est è fin qui la migliore opera creata dal gruppo romano che, con l’aiuto della Xtreem, potrebbe ritagliarsi un suo spazio importante nella scena estrema europea.

Che la Xtreem sia ormai una garanzia di qualità per i fans del metal estremo legati a sonorità death non è una novità: la label spagnola sono anni che ci delizia con ottimi lavori partoriti in ogni parte del mondo e questa volta immette sul mercato l’ultimo lavoro di un gruppo made in Italy, i centurioni Ade.

La band capitolina arriva così al traguardo del terzo full length non prima di aver firmato con il sangue cartaginese il contratto che la lega alla label di Dave Rotten, un ottimo colpo visto il potenziale del quintetto romano.
Carthago Delenda Est continua la tradizione del gruppo, che al proprio metal estremo amalgama atmosfere epiche, guerresche, a tratti cinematografiche e concept basati sulla storia dell’antica civiltà romana, con quella ateniese la più influente ed importante del Mediterraneo.
Gli Ade questa volta ci portano alla conquista di Cartagine e lo fanno con il loro death metal a metà strada tra quello di ispirazione statunitense e quello proveniente dall’est europeo, molto ben eseguito a livello tecnico ed ispirato nelle soluzioni orchestrali.
Il sound non molla la presa ci ritroviamo al centro dello scontro, la carica devastante degli elefanti, le spade e gli scudi che scivolano dalle mani dei guerrieri feriti a morte, l’epicità che regna sovrana ad ogni passaggio, valorizzata da sfumature folkeggianti, sono sorrette da ritmiche tecnicissime e veloci, colme di cambi di tempo e monumentali riff che imprimono alla proposta del gruppo una marcia in più ed una brutalità che non mancherà di far proseliti anche tra gli amanti del death metal più estremo.
Le orchestrazioni non fanno che rendere ancora più epico e magniloquente il sound dei brani che, dalla title,track, opener dell’opera, ci scaraventa come una macchina del tempo in piene guerre puniche.
Grande il lavoro della sezione ritmica, un martello pneumatico impazzito, mentre le asce costruiscono riff su riff e solos che risultano squarci mortali procurate da daghe affilate come rasoi, il growl è brutale, e nasconde dietro l’elmo un mostruoso e crudele condottiero.
Carthago Delenda Est va ascoltato tutto di un fiato, così che vi sembrerà di rivivere le cruente gesta dei soldati romani: come in un kolossal cinematografico, i barriti degli elefanti, i chorus sospesi nel tempo in apertura di Annibalem, l’atmosfera pregna di epica carneficina ed orgogliosa conquista di Excidium, vi regaleranno cinquanta minuti di metal estremo, a tratti entusiasmante.
Carthago Delenda Est è fin qui la migliore opera creata dal gruppo romano che, con l’aiuto della Xtreem, potrebbe ritagliarsi un suo spazio importante nella scena estrema europea.

TRACKLIST
1. Carthago Delenda Est
2. Across the Wolf’s Blood
3. Annibalem
4. With Tooth and Nail
5. Dark Days of Rome
6. Scipio Indomitus Victor
7. Mare Nostrum
8. Zama: Where Tusks Are Buried
9. Excidium
10. Sowing Salt

LINE-UP
Traianvs – vocals
Fabivs – guitars
Caligvla – bass
Nero – guitars
Commodvs – drums

ADE – Facebook

Elepharmers – Erebus

Un’opera che ti avvolge come un serpente, ti ipnotizza con le sue letali spire e ti ingoia senza che tu te ne accorga

L’Italia del rock e del metal ha trovato una sua chiara identità in questi ultimi anni, perdendo completamente quel fastidioso provincialismo nei confronti delle scene oltreconfine.

Se il metal classico ed estremo ha sempre patito l’esterofilia di fans e addetti ai lavori, il rock ha vissuto per decenni all’ombra dei soliti nomi provenienti dalla scena cantautorale o dal progressive settantiano.
Con il successo dell’hard rock stonerizzato e dai rimandi al decennio settantiano per esempio, negli ultimi tempi band dalle indubbie capacità sono nate nel nostro paese, molte giocandosela alla pari con le più note realtà straniere.
Sulle due isole maggiori i caldi venti che soffiano dal deserto africano trasformano il territori nelle soleggiate ed invivibili pianure arse dal sole della Sky Valley, non è un caso infatti che i migliori gruppi di genere provengano dalla Sicilia e dalla Sardegna.
Ed in Sardegna nascono nel 2009 gli Elepharmers, gruppo di Cagliari al secondo lavoro per Go Down Records dopo l’ottimo debutto Weird Tales from the Third Planet, uscito tre anni fa.
Aprite bene le orecchie cari miei rockers, perché Erebus risulta un altro straordinario lavoro di musica stonata che raccoglie l’eredità delle grandi band degli anni settanta, la fa amoreggiare tra la sabbia del deserto con il sound dei gruppi statunitensi della scena stoner e la scaraventa nel 2016, per un sabba psichedelico lungo quarantadue minuti.
Difficile trovare un brano che non catalizzi l’attenzione, ipnotizzando l’ascoltatore perso in questo vagare per una galassia di suoni e note che clamorosamente, pur non nascondendo le proprie fonti di ispirazione, riesce nell’impresa di risultare personale e tremendamente affascinante.
Gli undici minuti strumentali della title track basterebbero ad altre band per costruirci un’intera discografia, una bomba sonora che esplode senza pietà nei nostri padiglioni auricolari, scheggiando irrimediabilmente i crani di chi senza precauzioni si avvicina troppo al sound degli Elepharmers.
Psichedelia, doom, hard rock, blues sporcato di stoner, continuano a dettare legge nello spartito del gruppo, molto più liquido rispetto al debutto, come se il calore letale del sole ha trasformato la pietra in lava.
E The River, appunto, è un fiume di lava sabbatica che scende inesorabile dalla cima del monte da dove lo stregone lancia i suoi anatemi, per distruggere qualsiasi forma di vita incontri nel suo inesorabile e lento incedere.
Cannibal Supernova, un piccolo gioiello di stoner psichedelico, non da tregua alle nostre povere menti, ormai in balia dell’ipnotico sabba creato dal quartetto sardo, ma il blues acustico dal flavour zeppeliniano e dalle atmosfere southern di Of Mud And Straw lasciano che il nostro corpo e la nostra mente, si perdano per non ritrovarsi più nell’oscura danza della conclusiva Nereb.
Un’opera che ti avvolge come un serpente, ti ipnotizza con le sue letali spire e ti ingoia senza che tu te ne accorga, uno dei dischi dell’anno nel genere, parola di MetalEyes.

TRACKLIST
1. Erebus
2. Spiders
3. The River
4. Cannibal Supernova
5. Of Mud And Straw
6. Deneb

LINE-UP
El Chino – vocals; rhythm guitar; bass; harmonica
Andrea “Fex” Cadeddu – lead & rhythm guitars –
Maurizio Mura – drums
Matteo “Baro” Carta- synth, bass, vocals

ELEPHARMERS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=fqXiBIUSJ90″>

• DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO
, uno dei dischi dell’anno nel genere, parola di metaleyes.

Ancillotti – Strike Back

Giunti alla fine si ha l’impressione di essere al cospetto di un lavoro notevole e che per molto tempo rimarrà posizionato nel lettore cd

La famiglia metallica (nel vero senso della parola) Ancillotti torna a far ruggire i propri strumenti due anni dopo il bellissimo esordio The Chain Goes On.

Bud Ancillotti, suo figlio Brian, il fratello Sandro, ed il fido Luciano Toscani, dopo aver incendiato i palchi hard & heavy per più di un anno e mezzo, si sono chiusi ai Tartini 5 di Parma insieme al produttore Fausto ‘Tino’ Tinello, per regalare un fratellino al primogenito, un album a tratti entusiasmante che ved tornare alla grande l’ex Strana Officina.
Il tempo passa in fretta e due anni sono volati, la famiglia Ancillotti si ripresenta ai fans con Strike Back, album che continua la strada intrapresa con il primo lavoro, licenziato come questo dalla Pure Steel, ed in seguito proposto sul tradizionale supporto in vinile dalla nostrana Jolly Roger.
Si nota subito nel sound la presenza maggiore dei tasti d’avorio, suonati sempre da Simone Manuli ed un’amalgama ormai consolidata (non solo per questioni di parentela) dal gruppo, che si conferma come uno dei vertici del metal tradizionale nato nel nostro paese e senza sfigurare affatto di fronte ai nomi internazionali, anche storici, dei quali la label tedesca si può avvalere.
Ne esce un album che nel suo essere classico risulta fresco, l’hard rock e l’heavy metal si alleano per continuare a generare musica dura, perfettamente bilanciata tra la tradizione europea e l’U.S. metal.
Le tastiere incorniciano, tra intro e strutture, molti dei brani, ma è la triade chitarra, basso e batteria che in Strike Back viene glorificata e valorizzata da una prestazione vocale di Bud Ancillotti, ruvida, sanguigna, da rocker, ma a tratti mai così melodica.
Ficcante, tagliente ed in stato di grazia la performance di Ciano Toscani alla sei corde, a mio parere l’arma che fa fare al nuovo lavoro un piccolo passo avanti rispetto al suo bellissimo predecessore, mentre la sezione ritmica composta da zio e nipote risulta una colata di cemento armato che sorregge questo grattacielo metallico.
E così, dopo l’intro, si prende l’ascensore verso il cielo, spaccato da tuoni e fulmini metallici, To Hell With You esplode con un gran lavoro di Brian alle pelli ed un riff serrato, un brano in your face perfetto per aprire un lavoro del genere.
Abbiamo detto del cantato di Bud che, ancora più che nel primo disco, alterna grinta e melodia in modo vario e sapiente, non lasciando mai all’ascoltatore il permesso di perdere l’attenzione, ed è già tempo di Immortal Idol e Fight, la prima più complessa, quasi progressiva nelle ritmiche, la seconda un pugno in faccia metallico che farà strage in sede live.
Bellissimo l’hard rock statunitense di Never To Late e When Night Calls, una bomba ritmica The Hunter, mentre Burn, Witch, Burn è un classico brano oscuro di metal statunitense dove l’atmosfera horror delle liriche incentrate sui processi alle streghe di Salem è accentuata da rintocchi di campana e risate diaboliche.
Giunti alla fine si ha l’impressione di essere al cospetto di un lavoro notevole e che per molto tempo rimarrà posizionato sul vostro lettore cd in attesa che la luce dell’amplificatore ritorni verde ed il tasto play nuovamente premuto: questo è hard & heavy da manuale, grandi Ancillotti.

TRACKLIST
1. Intro
2. To Hell With You
3. Immortal Idol
4. Fight
5. Firestarter
6. The Beast Is Rising
7. When Night Calls
8. Burn, Witch, Burn
9. Lonely Road
10. Life Is For Livin’
11. Never Too Late
12. The Hunter

LINE-UP
Sandro “Bid” Ancillotti – Bass
Brian Ancillotti – Drums
Luciano “Ciano” Toscani – Guitars
Daniele “Bud” Ancillotti – Vocals

ANCILLOTTI – Facebook

Night Gaunt – Jupiter’s Fall

Recuperare il primo lavoro sarà il passo successivo all’ascolto dei due brani di questo 7″, aspettare il nuovo album la conseguenza inevitabile.

Non è poi così difficile, girando virtualmente e musicalmente per le strade della capitale, imbattersi in realtà devote alle sonorità messianiche ed oniriche del doom metal classico.

Non sono poche, infatti, le band romane incontrate in questi ultimi anni a proporre la loro personale versione di musica del destino, chiaramente ispirate a canovacci ormai consolidati da oltre quarant’anni, e d’altronde il genere lo si può contaminare, condire e rigirare ma alla fine si torna sempre lì, agli anni settanta.
Per i fans poco male, nell’underground il doom, come molti altri generi, fortunatamente trova terreno fertile, anche nel nostro paese.
I Night Gaunt, quartetto capitolino (ex Hypnos) licenziano per la label canadese Temple Of Mistery, il loro secondo lavoro, questo 7″ che segue l’esordio omonimo sulla lunga distanza uscito un paio di anni fa.
I due brani, Jupiter’s Fall (ispirato ad un racconto di Edgar Allan Poe) e Penance, formano un quadro di emozioni che prende spunto dalla perdita e dal lutto a cui va incontro l’uomo.
La prima traccia risulta cupa e melodica, mentre la seconda, pesante, monolitica e rabbiosa, richiama l’emozione cruenta della negazione ed il conflitto interiore tra la consapevolezza della perdita ed il rifiuto che ne consegue.
Per quanto riguarda l’aspetto musicale i Night Gaunt non deludono, il loro doom metal si muove tra il periodo settantiano e quello successivo, il loro sound caldo ed avvolgente, oltre che ai soliti nomi (Candlemass e Sabbath) richiama soluzioni evocative e struggenti care a Penance, Solstice e Solitude Aeturnus, variando così il sound quel tanto che basta per non fossilizzarsi in un unico battito ritmico.
Gran lavoro sulla title track della sezione ritmica, mentre un monolite di potenza rallentata risulta Penance; bella e alquanto melodica la voce, mentre le sei corde si muovono tra riff pesantissimi e solos dalle melodie funeree.
Un buon 7″che ci presenta una band meritevole d’attenzione: recuperarne il primo lavoro sarà il passo successivo all’ascolto dei due brani, aspettare il nuovo album la conseguenza inevitabile.

TRACKLIST
1. Jupiter’s Fall
2. Penance

LINE-UP
Araas – Bass
Gc – Guitar, Vocals
Zenn – Guitar
Kelèvra – Drums

NIGHT GAUNT – Facebook

Indivia – Horta

Horta non è mai ovvio e scontato sia perché tale è l’approccio del gruppo, sia perché ad ogni svolta sonora non si sa dove finiremo al prossimo cambio di tempo, e ciò per un disco è davvero importante.

Movimenti di precisione che provocano nella nostra mente sinapsi cariche di suoni tendenti ad un ribassamento, che in alcune persone provocano piacere. Gli Indivia fanno questo e molto altro.

Il loro suono è uno stoner metal molto oscuro, ma in realtà partendo da coordinate conosciute riescono a confezionare un risultato molto originale. La loro musica è una bolla parallela, una dimensione che apriamo mettendo il cd nel lettore e schiacciando play. Gli Indivia hanno quella freschezza, quell’onda di novità che avevano ai tempi, quando non erano ancora come ora, gruppi come i Karma To Burn o i Conan, quando facevano grandi cavalcate in territori strumentali ancora inesplorati. Gli Indivia hanno quel quid in più,e grazie anche all’azzeccata formula del power trio fanno un gran bel disco. Basso, chitarra, batteria, distorsioni e volumi alti sono gli ingredienti per una vita felice, e gli Indivia riescono a darci qualcosa che ci piacerà. Horta non è mai ovvio e scontato sia perché tale è l’approccio del gruppo, sia perché ad ogni svolta sonora non si sa dove finiremo al prossimo cambio di tempo, e ciò per un disco è davvero importante. La produzione asseconda molto bene le intenzioni dei tre padovani, e ogni canzone merita davvero. Senza voler fare retorica da bar, gruppi come questo ce ne sono, bisogna essere sia bravi a trovarli, sia bravi nel proporsi. Era da tempo che in questo genere, che poi non è solo lo stoner, ma ci sono anche molte altre cose dentro, non si ascoltava in gruppo così fresco, potente, calibrato e piacevole. I ragazzi hanno talento, voglia e poi hanno questa batterista, Nathalie che oltre che essere una delle fondatrici del gruppo è una macchina che sale e scende crinali a tutta velocità, o pende da un dirupo durante un tramonto estivo.
Bello, da sentire e da gustare anche con il corpo, perché questa musica ha una dimensione molto fisica, che fa vibrare.

TRACKLIST
1. Dharma
2. The Green Planet
3. Hyperion
4. Shogun
5. Ciò Che Tradisce
6. Re-Growth

LINE-UP
Andrea Missagia – Guitar
Nathalie Antonello – Drums
Diego Loreggian – Bass

INDIVIA – Facebook

Burning Rome – The New Era Begins

Un album intenso, perfetto esempio di come la parte più moderna del metal possa ancora regalare ottima musica

Eccola la risposta a chi afferma che di questi tempi le troppo uscite discografiche saturano il mercato, delirando con affermazioni discutibili su come nell’underground un numero così elevato di album e nuove band non fanno che abbassare il livello qualitativo e confondere i poveri recensori di turno, obbligati agli straordinari per tenere testa all’invasione musicale in atto.

La fortuna di chi spende il suo tempo libero nel supportare lo svariato ed affascinante mondo dell’underground (specialmente quello metallico) è proprio quello di trovarsi (grazie al cielo) molte volte al cospetto di gruppi sconosciuti ai più o appena formati, protagonisti di opere di grande valore artistico, insomma il succo di questo hobby/lavoro.
Così succede che al sottoscritto presentino questo nuovo progetto torinese chiamato Burning Rome e che, prima sorpresa, dietro al microfono ha Beppe Jago Careddu, singer dei dark/new metallers piemontesi Madwork, protagonisti un paio di anni fa con l’ottimo Obsolete, secondo lavoro recensito sulle pagine di Iyezine.
Licenziato dalla nostrana Underground Symphony, il debutto di questo giovane gruppo ha chiaramente nel David Draiman nostrano (così lo descrissi all’epoca di Obsolete) il suo punto di forza, anche se il gruppo risulta compatto e con ottime individualità, creatore di un sound che con le sue ispirazioni ed influenze ben in evidenza, risulta fresco, accattivante e senza sbavature da esordio.
Una qualità non da poco, infatti The New Era Begins è curato in tutti i dettagli, compresa una personalissima copertina (con tanto di gorilla guerriero probabilmente ispirato al Pianeta Delle Scimmie), un’ottima produzione ed un gran lavoro in fase di arrangiamento.
Siamo nell’alternative metal o nu, come preferite, chiaramente ispirato alla scena statunitense, spogliato dalle sonorità dark dei Madwork (tanto per non cadere in equivoci) e molto più diretto.
Tanto groove, ritmiche pesanti come incudini ma mai portate al limite, ritornelli curati e vincenti, un’ottima prova generale con il singer che anche questa volta si rende protagonista di una prova intensa, emozionale e sopra le righe mantenendo l’approccio alla Disturbed, ma espandendo i confini vocali che seguono il mood dei brani, ora chiaramente ispirati ai System Of A Down (The Same Old Story) ora ai Deftones (Lonely Boy), in un contesto melodicamente drammatico così come il concept, ispirato all’uomo e al suo vivere in un mondo pieno di sofferenza e completamente privo di emozioni positive.
The New Era Begins risulta così un album intenso, perfetto esempio di come la parte più moderna del metal possa ancora regalare ottima musica, lontana dai facili successi di una ventina d’anni fa, ma espressiva e coinvolgente se suonata con il cuore.
L’album abbonda di canzoni sopra la media (Silence And Me, The Art Of Bleeding, This Is The Place) e raggiungere la fine risulta un attimo, sopraffatti dalla varietà di un songwriting che gioca con potenza e melodia, drammaticità e dolcezza in un susseguirsi di hit che faranno la gioia di chi del metal ama la parte più moderna e (passatemi il termine) cool.
Bellissimo esordio e una gradita sorpresa ritrovare un interprete come Jago in perfetta forma: Burning Rome promossi a pieni voti.

TRACKLIST
1.In Hoc Signo Vinces
2.Silence And Me
3.Lonely Boy
4.Never Never
5.The Art Of Bleeding
6.Into Shadows
7.Who Do You Think We Are
8.The Second Wave
9.The Same Old Story
10.Gravity
11.This Is The Place

LINE-UP
Beppe ‘Jago’ Careddu – Vocals
Luko – Guitars
Six – Guitars
Nicola ‘Nic13′ Baglivi – Bass
Marzio Francone – Drums

BURNING ROME – Facebook

Levania – Memory

Memory lascia ottime sensazioni per il futuro, aspettiamo fiduciosi

Torna la dark gothic band ferrarese Levania con questo nuovo singolo, tratto dall’album dei Deplacement Carousel, progetto dark elettronico del cantante e tastierista Still e del bassista Fade, uscito per Epictronic, costola della più nota label nostrana WormHoleDeath lo scorso anno.

La band capitanata dalla dolce voce della singer Ligeia e dal tastierista Still, della quale vi avevamo parlato sulle pagine di Iyezine in occasione dell’uscita di Renascentis, ultimo lavoro uscito un paio di anni fa, rielabora in versione gothic il dark pop elettronico e molto ottantiano del brano originale, dal titolo Memory.
Un passo indietro è doveroso per presentarvi questa ottima realtà tutta italiana, nata ormai da quasi dieci anni e che, dopo l’uscita di tre demo ha licenziato oltre al precedente full length, il primo lavoro nel 2012, Parasynthesis.
In vero Renascentis non mi aveva entusiasmato all’epoca e l’approccio al brano è stato molto morbido da parte del sottoscritto, invece, sono molto felice di ritrovarmi al cospetto di un ottima traccia ed un gruppo che, al netto dei mille e più paragoni con le tantissime realtà di un genere per certi versi inflazionato, regala pochi minuti di eleganti melodie gothic/dark, con la voce della singer che continua la sua innata predisposizione all’eleganza, ed un sound che rimane ben saldo tra il confine che separa il gothic moderno al dark di estrazione ottantiana.
Non so quanto il nuovo progetto di Still e Fade potrà influire sulla strada che verrà intrapresa prossimo lavoro dei Levania, ma è indubbio che Memory lascia ottime sensazioni per il futuro, aspettiamo fiduciosi, avanti così.

LINE-UP
Ligeia – Lead vocals
Still – Keyboards & Vocals
Richie – Guitars
Fade – Bass
Moon – Drums

LEVANIA – Facebook

Svlfvr – Shamanic Lvnar Cvlt

Album bellissimo e difficile come le migliori opere del genere

Che la scena metal nazionale sia da annoverare tra le migliori della vecchia Europa ormai è un dato di fatto, essendo in grado di regalare nei vari generi realtà di altissima qualità nonostante sia ancora poco considerata dagli scribacchini altolocati.

Nelle forme più estreme poi c’è da divertirsi, figuriamoci quando si parla di un genere come il doom dove, a mio parere, da sempre siamo maestri nel creare opere magiche, occulte e splendidamente dark fin dagli anni settanta.
Horror, misticismo e un talento per le tematiche arcane ed alchemiche ha portato l’arte italiana ad essere un esempio per chiunque, dalla musica al cinema fino alla letteratura che voglia confrontarsi con il mondo oscuro.
Nella musica qualsiasi band affacciatasi sul panorama estremo (doom, death e black), senza dimenticare la tradizione progressive/dark, ha sempre avuto dalla sua un approccio adulto e maturo alla materia, non facile da maneggiare per ragazzini superficiali con smanie da demoni con il face painting, ma motivo di riflessioni e studi per menti alternative.
Nel metal di estrazione doom, come negli altri generi dunque non mancano le sorprese e così, dopo il bellissimo ultimo lavoro dei laziali Godwatt con il loro L’Ultimo Sole, arriva ad inquietare le notti di un caldo agosto Shamanic Lvnar Cvlt, seconda opera (dopo Seeding the Astral Mark del 2012) dei toscani Svlfvr.
Ma se il sound del gruppo laziale risultava un doom di estrazione classica, la band fiorentina si circonda di una mistica impronta black/dark, a tratti oscura e sciamanica, in certi frangenti più death oriented ma sempre e comunque pesantissima, tragica nel suo incedere, scaldata da solos che si spingono sul versante più classico, ma sferzati da ritmiche death/black.
L’incedere dei brani rimane comunque orientato su di un doom metal che guarda indietro nel tempo restando nei confini nazionali, tenendo ben salda una marcata predisposizione occulta e mistica, in poche parole un’interpretazione matura senza sconfinare nell’horror adolescenziale di molti colleghi oltre confine.
Grandissima la prestazione di Dionysos, un sacerdote diabolico che con il suo growl/scream teatrale ci prende per mano e ci accompagna lungo i sentieri bui di questa jam, composta da cinque brani per quasi un’ora di musica, tra atmosfere plumbee, devastanti e potentissime doom songs e accelerate estreme da far impallidire truci blacksters con la mazza chiodata in una mano ed il biberon nell’altra.
Un album che, senza dilungarmi, si riassume nella conclusiva Dying Star’s Empathy, venti minuti persi nel mondo ancestrale e mistico di questi musicisti che non lasciano troppe indicazioni su dove risieda la loro musica ma ci invitano a farla nostra, nota per nota, passaggio su passaggio, in un delirio di affascinanti note doom, black, death e prog.
Album bellissimo e difficile come le migliori opere del genere, Shamanic Lvnar Cvlt si può certamente considerare, come suggerito dal titolo,  un lavoro di culto, almeno per chi si nutre di queste sonorità.

TRACKLIST
1. Total Absence of Light
2. Wish to Drown in an Abyss of Water
3. Shamanic Lvnar Cvlt
4. Count Down to Death
5. Dying Star’s Empathy

LINE-UP
Dionysos – Vocals
Asmodeus – Guitars
Vrolok Lavey – Bass Synth
Poseidon – Drums

SVLFVR – Facebook

Guns Of Glory – Strafing Run

Poche storie e tanto elettrizzante rock’n’roll, questo è Strafing Run

Inutile, il nostro paese, nonostante una scena metal/rock ricca di talenti continua malgrado gli sforzi di musicisti e addetti ai lavori ad essere il terzo mondo per la nostra musica preferita.

Media che ignorano colpevolmente locali e concerti, una repulsione della massa per qualsiasi cosa vada fuori dal pop melodico da sempre radicato, ma ora fastidiosamente presente con talent e quant’altro sui canali televisivi, ed una spocchiosa arroganza da parte delle riviste di settore, che guardano all’underground come un inutile perdita di tempo e continuano a riempire le copertine con l’ennesimo articolo rielaborato sul solito nome che compare almeno otto mesi all’anno.
Il discorso cambia oltre confine, se poi ci spostiamo a nord dell’Europa il paragone diventa insostenibile.
Germania e Scandinavia sono da decenni il paradiso metallico per antonomasia, in ogni genere e da ogni città continuano a nascere band dall’elevato spessore artistico, che sia metal estremo o come in questo caso hard rock poco importa, la musica continua ad avere un ruolo importantissimo nella cultura di quei paesi e a noi non resta che vivere di riflesso, godere di quello che ci arriva e sperare che un giorno anche da noi le tante splendide realtà nate negli ultimi anni possano trovare un po più di interesse ed opportunità.
La Finlandia, paese famoso in ambito metallico per i generi estremi, è patria di gruppi che hanno contribuito in modo importantissimo alla storia del genere: un territorio affascinante e un popolo culturalmente di un altra levatura, un approccio all’arte radicato così come negli altri paesi scandinavi, dove non è importante cosa suoni ma il fatto stesso che suoni.
A scaldare il prossimo autunno a suon di hard rock’n’roll, classico, sanguigno ed irresistibile ci penseranno i Guns Of Glory, band di Lappeenranta al secondo full length licenziato dalla label tedesca Pure Rock e successore di On The Way To Sin City, uscito tre anni fa.
Questi quattro ragazzacci se ne fottono di pianure innevate, foreste e laghi che ispirano storie fantasy e metal epico e ci sbattono sul muso dodici brani di puro rock’n’roll, ipervitaminizzato da valanghe di watts e riff che nascono nella lontana Australia, passano per gli States dove si sporcano di blues e si stabiliscono in una cittadina finlandese, dove Petri Puheloinen (voce e basso), Joni Takalo (batteria), Riku Lepistö e Oskari Hurskainen (chitarre) se ne impossessano e creano Strafing Run.
Niente che non sia semplicemente rock duro, ruvido e vitale da far proprio con una bottiglia tra una mano ed il volante dall’altra, correndo per le strade gelate da un’inverno che non passa mai, ma scaldati dalle gambe e dai seni di qualche prosperosa donzella dalla pelle bianca come la neve.
Poche storie e tanto elettrizzante rock’n’roll, questo è Strafing Run: non un brano che non lasci quella voglia di scrollarci di dosso i tabù per buttarci a capofitto nella mischia, che sia tra le mura di casa o ai piedi di un palco, d’altronde come resistere all’adrenalina sprigionata da Running From You, Devil In Me, Avenger o Bad Boy Reputation?
Ac/Dc, Rose Tattoo, Nashville Pussy … un disco derivativo, certo, ma se amate il genere Strafing Run è un acquisto obbligato.

P.S Mentre da noi ci si “diverte” con ragazzini miliardari che sparano stupidate in rima, o finti rocker che fanno alzare le gonne a casalinghe frustrate …

TRACKLIST
1. Running from you
2. One you need
3. Devil in me 4
4. Don’t you know
5. Days in the chain gang
6. Till we die
7. Move aside
8. Bad boy reputation
9. Keep your jack
10. I don’t get it
11. Avenger
12. Lay down Total

LINE-UP
Petri Puheloinen – vocals, bass
Joni Takalo – drums
Riku Lepistö – guitars
Oskari Hurskainen – guitars

GUNS OF GLORY – Facebook

Visionary – Gabriel

La raccolta di brani contenuta nell’album non manca di esplorare l’universo della musica contemporanea, presentandoci tutte le bellezze che il mondo delle sette note ha in serbo per chi la sublime arte la ama.

I Visionary sono il progetto musicale, filosofico e spirituale del musicista/compositore Gabriel Gianelli, in arte solo Gabriel.

Aiutato da una manciata di musicisti tra cui il bassista Fabrizio Grossi (Steve Vai, Steve Lukather), Anthony JR Morra alle pelli ed il cantante Garrett Holbrook, il chitarrista nostrano dà voce e suoni alla sua ricerca e scoperta del cammino umano e delle bellezze della vita.
Lo fa con il secondo lavoro, il primo sulla lunga distanza che sicuramente non passerà inosservato, almeno a chi apprezza il rock progressivo e l’hard rock di estrazione settantiana.
Ma attenzione, perché in Gabriel vivono più anime che insieme formano un caleidoscopio di suoni e colori diversi, con la chitarra, accompagnata da un flauto (Enricomaria D’Alessandro) a tratti tulliano, e cangianti atmosfere ritmiche, ed il tutto funzione a dovere, anche se l’ascolto dell’opera va approfondita a dovere, assimilando tutte le sfumature ed i generi che il songwriting del compositore prende in prestito per costruire la sua personale idea di rock.
Sicuramente al debutto dei Visionary non manca la personalità, e la raccolta di brani contenuta nell’album non manca di esplorare l’universo della musica contemporanea, presentandoci tutte le bellezze che il mondo delle sette note ha in serbo per chi la sublime arte la ama.
E allora ecco che all’hard rock, ed al progressive Gabriel aggiunge dosi letali di free jazz, musica etnica, melodie a profusione, molte volte lineari (AOR), a tratti invece nascoste tra repentini cambi di tempo ed atmosfere che rimangono comunque ariose e solari.
Detto dell’ottima prova della sontuosa sezione ritmica, della bravura alla sei corde di Gabriel e di un Holbrook impegnato con successo a dar voce a trame per niente facili, ricordo Pharaoh’s Phoenix, la bellissima Why, le reminiscenze funky/jazz di The Juggler, un brano che ricorda certe pazzie ritmiche dei Primus, ma pure il sound crimsoniano dell’era Belew, e la personalissima The Fisherman, tracciadove riescono a convivere tutte le anime del disco in perfetta armonia.
In conclusione, Gabriel è un album riuscito, difficile da comprendere ad un primo passaggio ma specchio dello spirito che anima il suo concept, sicuramente un ascolto maturo per chi dalla musica vuole qualcosa in più … ogni tanto.

TRACKLIST
01. (Intro) Felicity
02. Pharaoh’s Phoenix
03. Why
04. The Juggler
05. Circus Of The Eclipse
06. Falling Skyword
07. Living In Utopia
08. The Fisherman
09. Oniric Isle
10. Voyagers Mirror
11. I See
12. Soul Essence
13. Felicity

LINE-UP
Gabriel – Chitarre
Fabrizio Grossi – Basso
Anthony JR Morra – Batteria
Enricomaria D’Alessandro – Flauto

VISIONARY – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=_JWEl1-ZcMs

Malamorte – Devilish Illusions

Il suono e un certo immaginario black horror qui trovano la loro naturale ragion d’essere, per un disco decisamente riuscito.

I Malamorte sono il black metal che non tradisce mai i propri adoratori e che, anzi, con dischi come questo li fa amare maggiormente il nero metallo.

I Malamorte sono il progetto balck metal di Alessandro Nunziati, già nei Lord Vampyr, Cain, Shadowreign, Nailed God, e Theatres des Vampires, che dopo l’ep The Fall Of Babylon del 2014 hanno continuato la loro avventura con questo disco, un ottimo concentrato di black metal classico, non cantato sempre in growl, con inserti di death metal , per un suono davvero convincente con ritornelli coinvolgenti ed azzeccati. Devilish Illusions è un disco che piacerà molto a chi ama il black metal, ma coinvolgerà molto anche i death metallers aperti ad altre sonorità, comunque molto simili. Il nome forse è ispirato a Malamorte, l’antico nome che veniva dato al paese di Belveglio, teatro di tantissime battaglie, e con un castello ancora infestato da misteriose presenze. E anche qui è forte il riferimento all’horror, come quello di King Diamond, che è il nome che aleggia per tutto il disco. Il black metal dei Malamorte è spettacolare e melodico, suonato e composto davvero bene, con cura e passione. Devilish Illusions ha una produzione molto puntuale, pulita il giusto, senza eccedere il nulla, con un grande bilanciamento. Nunziati, nume tutelare del progetto, è una personalità musicale molto prolifica, e con ottime idee, infatti riesce a cimentasi negli ambiti metallici più disparati, sempre con ottimi risultati. Il suono e un certo immaginario black horror qui trovano la loro naturale ragion d’essere, per un disco decisamente riuscito.

TRACKLIST
01. Maleficium I
02. Devilish Illusions
03. Pactum
04. Dark Clouds On Golgotha
05. Maleficium II
06. Possession
07. Malamorte
08. Devoted To Self-Destruction
09. Lucifer’s Rebellion
10. Maleficium III

LINE-UP
L.V. Vocals/Guitars, music, lyrics, production, arrangements
Session:
Sk: additional guitars, bass, brogramming

MALAMORTE – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Even Vast – Hear Me Out

La riedizione dell’album d’esordio può rivelarsi utile nel tornare a far parlare degli Even Vast, ma rischia d’essere fuorviante per chi intendesse seguirli nella loro nuova avventura.

La Sleaszy Rider è un’etichetta piuttosto attiva che, oltre a segnalarsi per un buon roster, è specializzata anche nella riedizione di album usciti diverso tempo fa; così, assieme all’utile e gradita rilucidatura  di Sleep Of The Angels dei Rotting Christ, troviamo anche la riproposizione di Hear Me Out, disco d’esordio degli Even Vast.

Tale scelta, relativa ad una lavoro che non può essere certo paragonabile per valore a quello della band di Sakis, trova una sua motivazione con la recente firma della band italiana con l’etichetta ellenica, ma non ne fotografa la massima espressione artistica e dubito che possa anche rappresentare un’utile introduzione a quello che verrà, alla luce dei preannunciati cambiamenti stilistici e di line-up.
Hear Me Out uscì originariamente nel 1999, andando a collocarsi all’interno del filone del gothic doom con voce femminile che, in quel decennio, visse i momenti di massimo splendore: lo stile della band aostana era molto più asciutto e privo di fronzoli atmosferici rispetto a modelli quali Theatre Of Tragedy o Within Temptation, ma quell’esordio si rivelava ancora acerbo, soprattutto nell’interpretazione vocale di una Antonietta Scilipoti che, nei dischi successivi, sarebbe decisamente progredita contribuendo fattivamente alla riuscita di un buon lavoro come Outsleeping (2003).
Dopo qualche anno di silenzio, gli Even Vast diedero infine alle stampe nel 2007 Teach Me How to Bleed, album che mostrava una svolta elettronica sulla falsariga di quanto fecero a inizio millennio i già citati Theatre Of Tragedy con Musique, per poi non dare più segnali di attività fino a quest’anno.
Tornando a Hear Me Out, non mancavano brani di buona fattura (su tutti Foolish Game) ma la sensazione, oggi, è quella di ascoltare una band che si trovava ancora in una fase embrionale nella quale alcuni ottimi spunti risultavano frammisti a diverse imperfezioni, e le bonus track inserite nella riedizione, trattandosi di tracce registrate dal vivo, non fanno altro che accentuare gli aspetti negativi.
Della line-up originale è rimasto oggi il solo Luca Martello, nel frattempo trasferitosi in Inghilterra dove ha ridato vita alla band che dovrebbe aver virato decisamente verso lo sludge doom, abbandonando le pulsioni gotiche del decennio scorso.
Anche per questo, la riedizione dell’album d’esordio può rivelarsi utile nel tornare a far parlare degli Even Vast, ma rischia d’essere fuorviante per chi intendesse seguirli nella loro nuova avventura.

Tracklist:
1. Never Hear Me
2. Once Again
3. The One You Wish
4. Foolish Game
5. Memories
6. Energy
7. Believe Me
8. RU
9. The One You Wish (live) * bonus track
10. Once Again (live) * bonus track
11. Over (live) * bonus track

Line-up:
Antonietta Scilipoti – vocals
Luca Martello – guitars
Diego Maniscalco – bass
Paolo Baltaro – drums, keyboards

EVEN VAST – Facebook

Necrodeath / Cadaveria – Mondoscuro

Cosa può scaturire dall’unione di due realtà storiche del metal italiano come i Necrodeath e la strega Cadaveria se non grande musica estrema?

Cosa può scaturire dall’unione di due realtà storiche del metal italiano come i Necrodeath e la strega Cadaveria se non grande musica estrema?

Finalmente Mondoscuro, atteso lavoro dove le due band si sono ritrovate ad interagire in sala d’incisione, vede la luce in questa ultima parte d’estate 2016, creando un album atipico, che farà molto parlare di sé, sperando che non rimanga un caso unico come fu nel 1989 Mondocane, progetto che vedeva l’unione delle forze espresse da Necrodeath e Schizo e a cui il titolo fa chiaramente richiamo, oltre ai documentari degli anni ’60 diventati famosi per le loro scene cruente e chiamati Mondo Movie.
Dimenticatevi il classico split, Mondoscuro vede le anime dei due gruppi amoreggiare come serpenti infernali, lascivi e mortali per creare metal orrorifico, macabro e brutale, o rivedere a modo loro classici presi dalle loro discografie per arrivare a brani che vanno dalla gotica Christian Woman dei Type O Negative alla clamorosa versione di Helter Skelter di beatlesiana memoria.
Si parte alla grande con Cadaveria che dà nuovo lustro a Mater Tenebrarum, brano tratto da Into The Macabre, album che è diventato un classico della discografia dei Necrodeath. Il gruppo mantiene la struttura death/thrash della song, fornendole però quell’elemento dark gotico tipico del proprio sound e al minuto 4.46 spettacolarizza il tutto con l’organo di Ignis Forasdomine che riprende il tema dalla colonna sonora di Inferno, creata dal compianto Keith Emerson, ed i cori operistici con in testa la soprano Lindsay Schoolcraft dei Cradle Of Filth, aiutata da Tiziana Ravetti e dal tenore Cristiano Caldera, per un risultato entusiasmante.
Spell, da The Shadows Madame, opera nera creata da Cadaveria nel 2002 e lasciata in mano ai Necrodeath risulta una traccia che alterna atmosfere horror, con Flegias mai così teatrale, a sfuriate thrash addomesticate dai solos ultra melodici del mostruoso Pier Gonella e dal lavoro ritmico del buon Peso aiutato da GL.
Il cuore dell’album è lasciato ai due pezzi inediti: Dominion Of Pain, un brano scritto da Cadaveria e che vede la partecipazione di Flegias e di Gonellaesaltato da una prestazione sugli scudi della singer e valorizzato da chorus evocativi e dallo spiccato flavour gotico,  con una bellissima seconda parte dalle ritmiche quasi doom ed un solo che trancia l’atmosfera dark/gotica del brano; Rise Above, in mano ai death/thrashers liguri, è aperta da un recitato in lingua madre di Cadaveria che introduce una cavalcata metallica dove Gonella emoziona con la sua sei corde in un delirio metallico thrash/gothic.
Il vampiro newyorkese che tormentò le notti di dolci donzelle dagli inizi degli anni novanta ai primi anni del nuovo millennio, è omaggiato dai Cadaveria con la cover di Christian Woman, dal capolavoro gotico Bloody Kisses, resa molto simile all’originale non fosse per un’interpretazione sentita della singer nostrana, che usa tutti i toni della sua voce per rendere il più possibile teatrale e vario il brano cardine della discografia della band di Peter Steele.
Mondoscuro si conclude con la geniale cover di Helter Skelter dei fab four, probabilmente il primo brano heavy metal della storia, pescato dal White Album, aperto da un giro di basso ripreso da Come Together, altro masterpiece dei Beatles, reso devastante dalla furia estrema del combo ligure e con una genialata di Gonella che, a metà brano, riprende l’arpeggio di Ticket To Ride, terzo omaggio alla coppia Lennon/Mccartney.
In conclusione, Mondoscuro è un progetto assolutamente riuscito e, se avrà un futuro, magari con un album di inediti, potrebbe regalare grosse soddisfazioni ai protagonisti e grande musica estrema agli amanti del genere, non perdetevelo.

TRACKLIST
1. Cadaveria – Mater Tenebrarum (Necrodeath cover)
2. Necrodeath – Spell (Cadaveria cover)
3. Cadaveria – Dominion of Pain (feat. Flegias)
4. Necrodeath – Rise Above (feat. Cadaveria)
5. Cadaveria – Christian Woman (Type O Negative cover)
6. Necrodeath – Helter Skelter (The Beatles cover)

LINE-UP
Necrodeath:
Peso – Drums
Flegias – Vocals
Pier Gonella – Guitars
GL – Bass

Cadaveria:
Marçelo Santos – Drums
Cadaveria – Vocals
Dick Laurent – Guitars
Peter Dayton – Bass

NECRODEATH – Facebook

CADAVERIA – Facebook

Abysmal Grief / Epitaph – Dies Funeris / Farewell to Blind Men

Uno split album prezioso, in particolare per i nostalgici del vinile i quali avranno di che crogiolarsi con l’edizione limitata a 500 copie a cura della Horror Records.

Ennesimo split album che ci consente di riascoltare gli Abysmal Grief, questa volta assieme ai veronesi Epitaph.

Della band genovese ho già parlato ampiamente nel recente passato, e sicuramente non posso negare la mia adorazione confronti di questo gruppo ormai assurto ad uno status di culto che continua ad essere rafforzato ad ogni uscita, split, ep o full length che sia.
Il brano presentato per l’occasione, Dies Funeris, dal titolo ben più che programmatico, non fa eccezione con i suoi undici minuti di doom liturgico in cui l’odore mefitico della morte si mescola a quello dell’incenso; il sound degli Abysmal Grief riesce a mantenere le sue caratteristiche funeree anche quando è accompagnato da ritmiche incalzanti, dove il basso di Lord Alastair detta i tempi all’organo di Labes C. Necrothytus ed al suo caratteristico ringhio. Una traccia eccezionale, abbondantemente all’altezza degli episodi migliori presenti in Feretri e Strange Rites Of Evil.
Come sempre le band che condividono gli split album con i maestri incontrastati del doom orrorifico hanno, in primis, il non facile compito di reggere il confronto: gli Epitaph provano a superare l’ardua prova con un brano ancora più lungo rispetto a quello dei dirimpettai, una scelta coraggiosa che trova come sua unica controindicazione l’esibizione di un sound più schematico, in ossequio alla tradizione del genere.
La band veneta, che dopo un silenzio durato un ventennio è tornata sulla scena con la pubblicazione nel 2014 del suo primo full length, non sfigura in virtù dell’indubbia esperienza e della competenza nel maneggiare la materia, ma è evidente che rispetto agli Abysmal Grief la proposta manca di una sua peculiarità, in quanto viene fatto in maniera ottimale qualcosa che però è nelle corde di decine di gruppi. Farewell to Blind Men resta comunque un brano valido per potenzialità evocative, ben enfatizzate dall’interpretazione del vocalist Emiliano Cioffi, e va a mostrare un’altra faccia, pur sempre efficace, del doom metal.
Uno split album prezioso, in buona sostanza, in particolare per i nostalgici del vinile i quali avranno di che crogiolarsi con l’edizione limitata a 500 copie a cura di Terror from Hell, Horror Records e High Roller Records.

Tracklist:
Side A
Dies Funeris
Side B
Farewell to Blind Men

Line-up:
Abysmal Grief
Lord Alastair – Bass
Lord of Fog – Drums
Regen Graves – Guitars, Songwriting
Labes C. Necrothytus – Organ, Vocals

Epitaph
Nicola Murari – Bass
Mauro Tollini – Drums, Vocals (backing)
Emiliano Cioffi – Vocals
Lorenzo Loatelli – Guitars

EPITAPH – Facebook

Tenebrae – My Next Dawn

I Tenebrae possiedono una dote essenziale, al di là di qualsiasi altra considerazione: sanno trasmettere emozioni uniche a chi è in grado di attivare i propri sensi per poterle riceverle.

Per chi aveva apprezzato un lavoro magnifico come Il Fuoco Segreto, la voglia di ascoltare un nuovo disco dei Tenebrae era mista ad un certo timore, alla luce della preannunciata sterzata a livello stilistico unita all’ennesimo rimpasto di una line-up che sembrava aver raggiunto una sua stabilità; inoltre, la necessità, da parte della band genovese, di ricercare una nuova etichetta in grado di supportarne adeguatamente gli sforzi creativi, finiva per disegnare un quadro ricco di criticità che avrebbero potuto mettere in crisi qualsiasi persona sprovvista della passione e della convinzione dei propri mezzi in possesso di Marco “May Arizzi”.

Intanto, il chitarrista e compositore principale dei Tenebrae, assieme all’unico superstite della formazione originale, il bassista Fabrizio Garofalo, ed al vocalist già presente su Il Fuoco Segreto, Paolo Ferrarese, hanno trovato due nuovi compagni d’avventura nel tastierista Fulvio Parisi e nel batterista Massimiliano Zerega. Rinsaldata così una line-up che si era sfaldata proprio durante la fase di stesura dei brani che sarebbero confluiti in My Next Dawn, il processo compositivo ha ripreso slancio ed ulteriore vigore e, mai come in questo caso, si può sostenere a buona ragione che le difficoltà alla lunga abbiano avuto un effetto fortificante, di fronte all’evidenza dei risultati ottenuti.
Già, perché My Next Dawn si pone come il punto più alto raggiunto dal gruppo ligure, cosa neppure troppo scontata se si pensa al valore assoluto che contraddistingueva la produzione precedente ed al parziale abbandono di uno stile peculiare che la marchiava in maniera indelebile.
Il passaggio dall’italiano all’inglese, in sede di stesura dei testi, è stato, in primis, un passo necessario per rendere più appetibile il disco anche al di fuori dei nostri confini, ma non è certo l’unico motivo: infatti, la metrica anglofona meglio si sposa con un sound che punta maggiormente verso l’oscurità del gothic doom e, qui, non si può non fare un plauso alla bravura di Antonella Bruzzone, capace di passare con disinvoltura dalle storie tragiche ed intrise di romanticismo descritte nella nostra lingua in Memorie Nascoste e Il Fuco Segreto, ad un racconto di matrice apocalittica in lingua straniera, ispirato al film The Road, ed affidato alla magnifica interpretazione di Paolo Ferrarese.
My Next Dawn, però, nonostante tali premesse, non recide del tutto il cordone ombelicale con la produzione passata: la peculiare impronta progressive resta ben definita anche se non più in primo piano, assieme ad un afflato melodico che aleggia in ogni brano, persino nei passaggi apparentemente più aspri, andando a comporre un quadro complessivo cupo, malinconico e tutt’altro che semplice da etichettare (atmospheric doom, gothic, dark, sono questi i tag puramente indicativi che accompagneranno probabilmente le diverse recensioni del lavoro)
Dopo l’intro Dreamt Apocalypse, è Black Drape il reale biglietto da visita dei nuovi Tenebrae, con accelerazioni ai confini del black alternate a momenti evocativi guidati dalle tastiere di Parisi ed esaltati dalla versatilità di Ferrarese, capace come non mai di esprimersi in diversi registri vocali che, per la maggior parte dei cantanti, risulterebbero incompatibili: una teatrale voce stentorea si alterna ad un growl profondo e convincente e, soprattutto, a vocalizzi di stampo operistico che hanno il compito di enfatizzare il pathos che pervade lo scorrere delle note.
La bellezza di questo brano spazza via ogni dubbio e da qui in poi l’ascolto diviene null’altro che la scoperta di una serie di gemme disseminate all’interno del lavoro, a partire da Careless, assieme alla title track una delle tracce che i nostri avevano già presentato nelle loro ultime apparizioni dal vivo quale assaggio di ciò che sarebbe stato My Next Dawn: qui è uno struggente assolo di Marco Arizzi a porre il suggello ad un’altra canzone magnifica.
La chitarra acustica suonata dall’ospite Laura Marsano (protagonista qualche anno fa su Le Porte Del Domani, quello che probabilmente è stato l’atto finale della carriera de La Maschera di Cera) è un valore che si aggiunge lungo il corso dell’album e fa bella mostra di sé nell’intro di Grey, traccia che si dipana in un finale di toccante e drammatica bellezza, precedendo quello che si rivelerà uno dei picchi dell’album, la magnifica The Fallen Ones, nella quale viene esaltato il connubio tra le liriche e la musica, con Ferrarese a denunciare un abbrutimento della razza umana che non è più soltanto la precognizione di un futuro post-apocalittico.
Arrivati a metà del guado, non resta che verificare la capacità dei Tenebrae di mantenere anche nella parte discendente dell’album la stessa profondità di un sound che brilla di un’intensità quasi sorprendente.
The Greatest Failure è la risposta, trattandosi dell’ennesima canzone che si imprime nella memoria, apparendo destinata ad albergarvi a lungo così come la successive Behind (che, dopo un inizio rarefatto, esplode letteralmente nella sua seconda parte) e Lilian (contraddistinta da un elegante lavoro tastieristico).
Se, più di una volta, le band che sparano le migliori cartucce in avvio dei loro album finiscono poi per scontare una certa impasse dovuta all’inserimento di riempitivi, i Tenebrae riservano il meglio proprio nel finale, con l’accoppiata composta dalla title track e da As The Waves, due brani di struggente bellezza che dimostrano ampiamente la dimensione artistica raggiunta dal quintetto genovese, capace come pochi altri di chiudere un lavoro in costante crescendo e lasciando in dote all’ascoltatore esclusivamente quelle emozioni trasmesse con stupefacente continuità per una cinquantina di minuti.
Se vogliamo, i Tenebrae sono approdati oggi su un terreno attiguo a quello battuto dagli Ecnephias, benché i sentieri percorsi siano stati decisamente differenti, esprimendo con My Next Dawn un lavoro all’altezza del masterpiece pubblicato lo scorso anno dalla band lucana.
Non credete, allora, che sia arrivato il momento di dare maggior credito a chi compone e suona musica per passione, dando sfogo ad un fuoco che difficilmente cesserà di ardere, piuttosto che supportare passivamente chi contrabbanda per arte il semplice tentativo di sbarcare il lunario?
Se siete ancora convinti che oggi non ci sia più nessuno in grado di regalare opere degne di occupare un posto di rilievo nelle vostre collezioni discografiche, provate prima ad ascoltare My Next Dawn; fatevi questo regalo, date un calcio definitivo alle preclusioni ed ai giudizi precostituiti: i Tenebrae non diventeranno mai, purtroppo, uno di quei nomi  “cool” dei quali farsi vanto d’essere fan o sostenitori, ma ascoltare e vivere la vera musica è un processo interiore, lontano anni luce da un effimero post da condividere sui social, questo non va dimenticato mai …

Tracklist:
1. Dreamt Apocalypse
2. Black Drape
3. Careless
4. Grey
5. The Fallen Ones
6. The Greatest Failure
7. Behind
8. Lilian (changing shades)
9. My Next Dawn
10. As The Waves (always recede)

Line-up:
Marco Arizzi – Chitarre
Fabrizio Garofalo – Basso
Paolo Ferrarese – Voci
Fulvio Parisi -Tastiere
Massimiliano Zerega- Batteria

Laura Marsano – Chitarra acustica
Antonella Bruzzone – Testi
Sara Aneto – Grafica

TENEBRAE – Facebook