Chiral – Gazing Light Eternity

Gazing Light Eternity conferma appieno il valore che Chiral aveva già esibito compiutamente nelle opere precedenti, mostrando un talento di livello superiore alla media.

In occasione della sua riedizione in uscita a giugno per la Folkvangr Records, riproponiamo quanto scritto nello scorso autunno a proposito di Gazing Light Eternity.

Terzo full length in un ridottissimo lasso di tempo per il progetto solista di Chiral, senza che la qualità del livello compositivo ne risenta, anzi …
Infatti, a partire da Abisso, album che arrivava a raccogliere e sintetizzare i frutti di un lavoro intenso durato per tutto il 2014 e parte del 2015, il musicista piacentino ha iniziato un percorso di crescita che lo ha postato ad essere uno dei protagonisti di una scena atmospheric black che, nel nostro paese, assume diverse sfaccettature.
Lo stile di Chiral differisce dal filone venato di epica e di retorica storico-guerresca (che sta comunque fornendo buoni frutti) e mostra invece il lato più riflessivo e, se vogliamo, naturalistico del genere.
Gazing Light Eternity, forse ancor più e meglio del suo predecessore Night Sky, è la rappresentazione di scenari che appaiono bucolici nelle sue fasi ambient, e velati di un’inquietudine che va a comporre un quadro in cui il gusto melodico mediterraneo si va a fondere con la scuola scandinava e con le derivazioni cascadiane di quella nordamericana.
L’album consta di quattro brani dei quali i due più lunghi (vicini al quarto d’ora) sono appunto contraddistinti da un black metal liquido e meditabondo, se si eccettuano le misurate accelerazioni in doppia cassa, dove un convincente substrato melodico funge da filo conduttore, ammantando di grande fascino le composizioni di qualità alle quali Chiral ci ha abituato.
Le due tracce più brevi (della durata di sei minuti circa) svelano la vena ambient del nostro, del quale qui si può apprezzare ancora di più l’abilità nel rendere meno interlocutoria e più affascinante questa sfumatura musicale (da rimarcare il lavoro chitarristico che resta quasi in sottofondo in The Hourglass).
Gazing Light Eternity conferma appieno il valore che Chiral aveva già esibito compiutamente nelle opere precedenti, e se consideriamo che stiamo parlando dello stesso musicista che sta dietro agli ottimi lavori di un altro progetto come Il Vuoto, appare in tutta la sua evidenza come ci si trovi al cospetto di un talento di livello superiore che merita tutto il supporto da parte degli appassionati italiani e non solo.

Tracklist:
1.Part I (The Gazer)
2.Part II (The Haze)
3.Part III (The Crown)
4.Part IV (The Hourglass)

Line-up:
Chiral

CHIRAL – Facebook

Rebirth of Nefast – Tabernaculum

Un opus magnum di arte nera intricato, aggressivo ma carico di antiche e sinistre suggestioni.

Una oscura perla fuoriesce, senza alcun preavviso, dalla infinita scena black metal underground: i Rebirth of Nefast, in realtà one man band di Stephen Lockart, in arte Wann, esistono dal 2006 ma fino ad ora avevano prodotto solo un demo (Only Death 2006) e uno split con Slidhr nel 2008, poi il nulla.

Wann ha continuato a suonare insieme a musicisti di altre splendide realtà musicali islandesi, vedi Sinmara e Wormlust, e irlandesi come Myrkr senza però riesumare la sua principale creatura; da una terra, l’Islanda, che sta proponendo molti tra i migliori artisti del genere, tipo Svartidaudi, Almirkvi, Myspyrming, solo per citarne alcuni, appare questo opus magnum di majestic and magnificent black metal.
Registrato agli studio Emissary di Reykjavik di proprietà dello stesso Wann e prodotto dalla Norma Evangelium Diavoli, l’opera nella sua lunga durata, un’ora abbondante, presenta sei brani in cui sono elaborati con grande cura black metal, doom, ambient, prog a formare una esperienza uditiva atmosferica monumentale ed eclettica: Wann ha una forza compositiva unica, è abile a variare all’interno di ogni brano le varie componenti creando dei portali che si dischiudono su arcaiche dimensioni.
Tempeste sferzanti si alternano a presenze oscure, culminanti in magnifiche atmosfere sorrette da suoni di tastiera e violini (il suggestivo ultimo brano) che racchiudono misteri esoterici ed occulti; fin dal primo brano The lifting of the veil tutte queste coordinate sono presenti, un inizio lento, maestoso, inquietante evolve lentamente verso una sfuriata black incompromissoria per poi sfumare in dolenti note di maestose tastiere. Tutti i rimanenti cinque brani propongono variazioni e sfumature riconducibili a un suono dark, intricato, aggressivo, inquietante.
Da ascoltare nel giusto mood e necessariamente da centellinare perché, come tutte le grandi opere, si apre lentamente lasciando sensazioni che ogni adoratore delle nere arti non può non apprezzare: insieme all’esordio dei Digir Gidim, una delle rivelazioni di questo inizio anno!

TRACKLIST
1. The Lifting of the Veil
2. The First Born of the Dead
3. Alignment Divine
4. Carrion Is a Golden Throne
5. Magna – Mater – Menses
6. Dead the Age of Hollow Vessels

LINE-UP
Wann – All instruments, Vocals

REBIRTH OF NEFAST – Facebook

Afar – Selfless

Selfless e un’opera più che valida, certamente non così peculiare o dirompente per risultare imprescindibile, ma altrettanto meritevole di attenzione ed approvazione da parte degli appassionati più attenti.

Afar e una delle molteplici one man band statunitensi votate al black metal più atmosferico ed introspettivo.

Itay Keren fa parte dei discretamente noti Windfaerer e, per questo suo progetto solista, lascia da parte l’anima folk della sua attuale band per focalizzarsi del tutto su un’interpretazione del genere che corrisponde perfettamente a quanto ci si sarebbe attesi: abbiamo così tempi sempre piuttosto ragionati che spesso appaiono più accelerati di quanto non siano effettivamente, a causa dello screaming per lo più esasperato; in effetti, non di rado invece il sound si spinge verso lidi black doom e tutto sommato si rivela apprezzabile proprio questo suo oscillare tra passaggi ariosi ed umori oppressivi.
Se da chi suona black metal in Nord America è lecito attendersi digressioni verso le sempre gradite sonorità di matrice cascadiana (e ciò si verifica in maniera eloquente in Cascading Shadows), I.K. lo fa in maniera piuttosto misurata, anche se la bellissima traccia di chiusura, Twelve, si rivela eloquente rispetto ad un certo modo di trattare la materia.
Selfless e un’opera più che valida, certamente non così peculiare o dirompente per risultare imprescindibile, ma altrettanto meritevole di attenzione ed approvazione da parte degli appassionati più attenti.

Tracklist:
1.Healing
2.Cascading Shadows
3.Tsalmaveth
4.Endless Path
5.Aerial Discord
6.Beckoned Into Fog
7.Twelve

Line up:
I.K.

None – None

Al di là del ridotto potenziale innovativo, un album di questo tipo lo si ascolta sempre volentieri, specialmente quando viene suonato e composto con tutti i crismi e con la dovuta intensità, e senza che ci si perda in troppi passaggi interlocutori.

Interessante lavoro da parte di questa band americana dedita ad un black metal atmosferico e dalle forti sfumature depressive.

Tre brani per circa una mezz’ora di buona musica sono il fatturato di quest’album autointitolato, pubblicato dalla Hypnotic Dirge: anche se il monicker None non è certo di quelli che si ricordano in maniera imperitura ed il genere suonato è discretamente inflazionato, il lavoro regala con buona continuità quelle sonorità oscillanti tra malinconia e disperazione, pescando con un certo equilibrio tra le due anime che confluiscono nelle composizioni.
Il depressive black prende campo specialmente quando è lo screaming straziante ad occupare la scena, mentre la componente atmosferica prevale nei momenti prettamente strumentali; peraltro, la copertina è piuttosto indicativa di quanto ci si possa attendere dalla musica della misteriosa band di Portland, per cui gli scenari esibiti corrispondono al senso di freddo e desolazione che prima o poi ognuno percepisce provando a scavare in profondità dentro sé stesso.
Al di là del ridotto potenziale innovativo, un album di questo tipo lo si ascolta sempre volentieri, specialmente quando viene suonato e composto con tutti i crismi e con la dovuta intensità, e senza che ci si perda in troppi passaggi interlocutori.
None non rappresenta nulla che possa stravolgere le gerarchie del metal underground ma è sicuramente un ascolto che non deluderà chi ama questo tipo di sonorità.

Tracklist:
1 – Cold
2 – Wither
3- Suffer

Somnium Nox – Terra Inanis

I Somnium Nox non si limitano a proporre un black tradizionale ma lo arricchiscono di parti più rarefatte e dal buon carico melodico, funzionali nel preparare il terreno ad accelerazioni che sono comunque piuttosto ragionate.

I Somnium Nox sono una band australiana che, con Terra Inanis, fa il primo passo su lunga distanza (almeno dichiarata, in quanto in realtà il lavoro non supera la mezz’ora di durata.

Trattandosi di una band alle prime uscite, visto che all’attivo fino ad oggi aveva solo il singolo Apocrypha dello scorso anno, non c’è molto su cui parametrarne l’operato, per cui Terra Inanis va valutato per quello che è ovvero un buon esempio di black metal atmosferico e dagli spunti pregevoli.
Infatti, pur non potendolo considerare innovativo nel senso letterale del termine, l’album offre tre tacce di circa dieci minuti ciascuna in gradi di farsi apprezzare dagli amanti delle sonorità oscure ma non asfissianti: i Somnium Nox non si limitano a proporre un black tradizionale ma lo arricchiscono di parti più rarefatte e dal buon carico melodico, funzionali nel preparare il terreno ad accelerazioni che sono comunque piuttosto ragionate.
I tre brani esibiscono comunque sfumature differenti: Soliloquy of Lament è black nella sua accezione più classica e beneficia di un bel crescendo conclusivo, The Alnwick Apotheosis è la traccia migliore ed anche la più anomala, visto che per una metà si snoda su velocità consistenti per poi sfumare in liquide sonorità ambient, mentre la conclusiva Transcendental Dysphoria è un black doom cupo e dai toni inquietanti e drammatici.
Indubbiamente l’uso di uno strumento tradizionale come il didgeridoo fornisce al lavoro una propria peculiarità, fornendo al sound talvolta un tocco solenne ed ancestrale, proprio quello che serve per provare ad emergere e mettere la testa fuori dal gruppone.
In Australia, negli ultimi anni, è emersa senz’altro una scena capace di interpretare la materia estrema in maniera efficace e i Somniun Nox ne sono un nuovo e fulgido esempio.

Tracklist:
1. Soliloquy of Lament
2. The Alnwick Apotheosis
3. Transcendental Dysphoria

Line-up:
Nocturnal – Guitars, Bass, Didgeridoo
Ashahalasin – Vocals
Forge – Drums
Olkoth – Keys
J.A.H – Guitars

SOMNIUM NOX – Facebook

Opprobre – Le Naufrage

Un plauso alla scena transalpina che continua a far nascere band che conoscono l’arte di emozionare.

Sembra un anno significativo per il black metal miscelato con il post black! Alla conferma dei The Great Old Ones si aggiunge l’esordio di questa giovane band, Opprobre, francese di Montpellier composta da quattro musicisti, derivanti da band come Mysticisme e Antropofago, che hanno esordito nel 2016 con il singolo Abysses in digital download e ora sulla label francese Endless Decrepitude Productions, fanno uscire Le Naufrage interamente cantato in francese, con copertina suggestiva e splendida raffigurante il dipinto del 1842, Snow Storm, dell’artista William Turner.

La proposta musicale appare già matura nell’elaborare un black metal sia raw che melodico, impastandolo con suoni post black/ dark per creare un profondo mood atmosferico ricco di pathos decadente e oscuro; l’assenza di soli, un suono di bass guitar ben presente e intarsi di piano e keyboard fanno risaltare l’arte della band transalpina. Fin dall’opening track Discerner, introdotta da rumori di vento e onde perigliose, ci si inabissa in un viaggio “ignoto” su dolenti note di keyboard, mentre in Abysses il veliero beccheggia e mostri marini gonfiano l’oceano mai sazio di tributi umani. La prima delicata parte di Inconnue, punteggiata da impressionistiche note di piano, ci conduce verso sferzanti note black cariche di primitivi istinti dove dei vendicativi pretendono continui sacrifici umani: qui lo scream esibito è particolarmente acido e ficcante, mentre il guitar sound è realmente evocativo. La title track, uno dei brani migliori, distilla puro black metal in mid tempo, creando paesaggi sonori in cui la mente è incatenata in assurdi e liquidi incubi. Ulteriore menzione per il brano finale Danse Catatonique, che con i suoi dieci minuti porta a definitivo compimento l’opera dove un io immobile agli eventi attende inerme una fine nel nulla, poiché nulla é sempre stato. In definitiva, un plauso alla band francese autrice di un buon lavoro che non entrerà nelle classifiche di merito di fine anno, ma che rappresenta una delle tante piccole pepite rinvenute durante le nostre ricerche musicali.

TRACKLIST
1. Discerner
2. Abysses
3. L’Inconnue,
4. L’Inconnue, Pt. 2
5. Opprobre
6. Sensitive
7. Danse catatonique

LINE-UP
Cyril – Bass
Clément – Drums, Guitars, Synth
Vincent – Guitars, Vocals (lead)
Olivier – Guitars, Synth, Vocals

OPPROBRE – Facebook

Aksaya – Kepler

Kepler è un disco non comune e nemmeno conforme, ma che segue una poetica tutta sua, ed è assai notevole poiché esula dal mero significato black, per andare a ricercare qualcosa di diverso.

Fondati nel 2013 i francesi Aksaya non sono affatto un gruppo black comune, poiché hanno una forte impronta personale, che rende unico il loro suono.

Sin dalle prime battute di Kepler gli Aksaya rendono satura l’atmosfera con il loro black geneticamente modificato, che si muove tra l’ortodossia classica, l’atmospheric, un pizzico di depressive e una forte carica hardcore. I tempi sono veloci ma all’occorrenza si dilatano, per trovare soffocanti aperture melodiche, che puntellano maggiormente l’impianto di sofferenza. Gli Aksaya parlano delle nostre vite, di sofferenza e della guerra che quotidianamente combattiamo, e che a volte si trasferisce sui tristemente noti campi di battaglia. Non c’è speranza in questo affascinante tipo di black metal, ma solo una dolorosa catarsi, che comunque non è poco. La potenza del gruppo è molto ben calibrata e precisa e si abbatte in improvvise sfuriate, ma la loro peculiarità maggiore è il fare mid tempo davvero carichi, progressivi e molto strutturati. Sono presenti anche pezzi più melodici, che impreziosiscono il tutto. Il cantato in francese conferisce un timbro molto personale alla musica degli Aksaya, e ciò funziona splendidamente, poiché la metrica della lingua dell’esagono è assai votata alla potenza.
Kepler è un disco non comune e nemmeno conforme, ma che segue una poetica tutta sua, ed è notevole poiché esula dal mero significato black per andare a ricercare qualcosa di diverso. Tutto l’album è sopra il buono, mentre alcuni passaggi sono davvero entusiasmanti.

TRACKLIST
1.Kepler
2.Laїka
3.Fractale
4.Anomalie, Prélude À La Découverte
5.Tau Ceti E
6.Syn 1.0
7.K-701.04
8.Non Morietur

AKSAYA – Facebook

Fen – Winter

Opere che emozionano cosi profondamente sono perle rare che non possiamo perdere.

Ritornano gli albionici Fen con il loro quinto full a tre anni di distanza da “Carrion Skies”, un altro meraviglioso opus, intriso di quella oscura vena malinconica, figlia diretta della paludosa zona dell’est dell’Inghilterra da cui provengono, le Fenland.

Il trio inglese, attivo dal 2007, continua ad elaborare un suono che si bilancia sempre meglio tra intuizioni post-rock e influssi black metal creando un equilibrio che ha pochi eguali; la nuova opera Winter, dalla copertina, come al solito, evocativa e dalle tinte pastello si dipana per una abbondante ora in sei movimenti (Pathway, Penance, Fear, Interment, Death, Sight) che descrivono il senso di perdita e l’eterno dilemma vita – morte, conducendo noi ascoltatori a un profondo viaggio interiore ricco di contrasti e dubbi; l’opera nella sua alternanza di atmosfere tristi, meditative e momenti black condotti con grande maestria da una solida sezione ritmica, da un guitar sound convinto e variegato e da uno scream incisivo, ha bisogno di essere centellinata con molti attenti ascolti perché, ad un approccio superficiale non rivela la sua alta qualità.
Le atmosfere suggestive sono molteplici, passando dall’ opener di diciassette minuti, Pathway, dove anime sferzate da tormente di neve urlano la loro ribellione all’infinito, al viaggio introspettivo di Fear dove una circolare melodia si infrange su stalattiti black affilate e disperate; l’urlo feroce di Death non lascia scampo e ci trasporta velocemente verso una “blessed death”, mentre i delicati arpeggi tinteggiati di ambient di Sight si aprono in una ultima decisa cavalcata che conclude un lavoro superbo … I Surrender, I Descend, I Dissolve, I End.
Da ricordare a lungo .

TRACKLIST
1. I (Pathway)
2. II (Penance)
3. III (Fear)
4. IV (Interment)
5. V (Death)
6. VI (Sight)

LINE-UP
Grungyn Bass, Vocals
The Watcher Guitars, Vocals
Derwydd Drums, Percussion

FEN – Facebook

Entity Of Hate – Cursed for Eternity

Un lavoro breve ma davvero notevole, alla luce di una freschezza impronosticabile quando ci si cimenta con sonorità in voga circa un ventennio fa.

I Diabolus Arcanium, gruppo di Chennai dedito ad un atmospheric black metal, sono stati protagonisti di un’evoluzione invero particolare: infatti, al posto della band originaria ne esistono oggi due, che si muovono però in due direzioni ben distinte.

La prima di queste si chiama Cybernation e, come da monicker, i suoi primi passi saranno improntati a sonorità industriali, mente la seconda, denominata Entity Of Hate, ha appena pubblicato sotto l’egida della Transcending Obscurity il proprio esordio, l’ep Cursed For Eternity.
Tra le due è quest’ultima a dare in qualche modo continuità a quando già fatto dalla band madre, visto che le pulsioni symphonic black vengono ancor più esasperate per approdare su un territorio a metà strada tra il melodic black/death di scuola finlandese (Norther, Kalmah e primi Children Of Bodom) e, ovviamente, i Dimmu Borgir, imprescindibili per chi si approccia a questo genere.
Più che alla maestosità del sound però, Hex, responsabile di questi tutti i suoni ad eccezione della chitarra ritmica a cura di Virgil, punta all’incisività delle parti soliste, che trovano la loro ideale sublimazione in un brano killer fin dalle sue prime note come la title track, decisamente difficile da schiodare dalla mente.
Il connubio tra le tastiere e le sei corde funziona ottimamente anche in Lovers & Prey e Heart Shaped Dagger, con la prima più orientata al black e la seconda che fa riemergere la vena heavy e melodica della traccia di apertura, mentre a livello vocale Hex si disimpegna bene anche se la specialità non appare in assoluto il suo punto di forza.
La strumentale Bloody Tears (Castlevania) non toglie e non aggiunge alcunché e, quindi, si rivela tutto sommato superflua nell’economia dell’ep, ma queste sono piccole smagliature all’interno di un lavoro breve ma davvero notevole, alla luce di una freschezza impronosticabile quando ci si cimenta con sonorità in voga circa un ventennio fa.
Non resta che attendere le prossime mosse di questa nuova “entità” proveniente dall’India: le basi per produrre qualcosa di notevole sono state indubbiamente poste.

Tracklist:
1. Cursed For Eternity
2. Lovers & Prey
3. Heart Shaped Dagger
4. Bloody Tears (Castlevania)

Line-up:
Hex – Lead guitars/Keyboards/Vocals/Bass & Drums on the track Castlevania
Virgil – Rhythm guitars
Karry – Bass (except on Castlevania)
Simon – Drums (except on Castlevania)

ENTITY OF HATE – Facebook

The Great Old Ones – EOD: A Tale of Dark Legacy

La band transalpina prosegue la sua elaborazione del verbo lovecraftiano con un terzo album pregno di atmosfere black malsane e orrorifiche.

I’m finally here…i’m finally here in Innsmouth“… questi sono i primi versi dell’ intro del terzo full della band francese di Bordeaux The Great Old Ones, realtà della scena black e post-black; fino dagli esordi “Al Azif ” del 2012 il loro suono e i loro testi sono stati totalmente devoti al culto di H.P.Lovecraft, maestro dell’ orrore cosmico e cantore dei Grandi Antichi e del mito di Cthulu.

L’Ordine Esoterico di Dagon è un culto importato da Obed Marsh (da conoscere l’omonima doom band australiana) in Innsmouth poco dopo il 1800, dove gli adepti si sottoponevano, per ottenere imperitura prosperità, a insane unioni con esseri mostruosi derivanti dagli abissi; la band si immerge completamente nelle atmosfere oscure e malsane evocate dal racconto del maestro di Providence creando un opera a forti tinte black metal, limando al meglio i dettagli post-black presenti sui precedenti lavori; per raggiungere questo obiettivo il suono prodotto da ben tre chitarre parte da un veemente assalto black metal (The Shadow over Innsmouth) colmo di repentini cambi di tempo con uno screaming cupo, passa attraverso momenti più sperimentali come The Ritual che, con percussioni e tastiere, crea veramente un mood di angosciante attesa prima di evolvere in una malvagia cavalcata black; tutti i brani, in totale sette compreso il breve intro, sono tesi a “mostrare” l’atmosfera presente nel racconto di Lovecraft e una menzione speciale per Mare Infinitum, l’ ultimo brano che nei suoi abbondanti dieci minuti dipana un oscuro aroma di antica magnificenza. In definitiva un buon album che ha bisogno di attenti ascolti per poter essere assimilato in toto, magari rileggendo, per poter cogliere tutte le sfumature, lo splendido racconto di Lovecraft; nel panorama internazionale dell’estremo ormai ci sono diverse band death (dal sudamerica, ma non solo) e black che, partendo dagli scritti del maestro, creano un suono che cerca di ricordare le atmosfere malsane, orrorifiche generate dalla mente dello scrittore americano.

TRACKLIST
1. Searching for R. Olmstead
2. The Shadow over Innsmouth
3. When the Stars Align
4. The Ritual
5. Wanderings
6. In Screams and Flames
7. Mare Infinitum

LINE-UP
Sébastien Lalanne – Bass
Xavier Godart – Guitars
Benjamin Guerry – Guitars, Vocals, Lyrics, Songwriting
Léo Isnard – Drums
Jeff Grimal – Guitars, Vocals

THE GRAET OLD ONES – Facebook

The Downspiral To Hell – Unusual Methods to Dismember the Spiritual Halo

Metal estremo sperimentale con diverse buone idee (le parti brutal) e un impatto sufficiente per non passare inosservato.

I The Downspiral To Hell sono il progetto di due musicisti della scena estrema spagnola, José Luis Miranda Morales e Antonio Miranda, insieme pure nei Lagrimas Negras e nei Violet Moon Shining.

Di base a Saragozza, i due sono attivi con questo monicker da una dozzina d’anni e alle loro spalle hanno già due full length, Thorn uscito nel 2005 e The Advent of Neurosis licenziato nel 2008; tornano così dopo otto anni sotto le spoglie di questa creatura estrema che, partendo da una base black, esplora diverse anime del metal più brutale, con una neanche troppo celata vena progressiva che valorizza non poco il sound.
Le voci alternano screams maligni in puro stile black a profondi e gutturali growl, per poi lasciare il sound in mano a delicate voci pulite.
Il sound mescola nel torbido calderone del metal estremo, passando da sfuriate black che ricordano i Satyricon di Nemesis Divina, a devastanti parti death brutal, poi d’incanto la musica si trasforma e le parti atmosferiche dai rimandi progressivi prendono il sopravvento.
Non è facile riuscire in poco più di mezzora ad amalgamare in modo sagace i vari deliri metallici di cui si compone la musica del duo, ma senza far gridare al miracolo il tutto funziona discretamente, anche se una produzione leggermente piatta fa perdere qualche punto al lavoro; metal estremo sperimentale, dunque, con diverse buone idee (le parti brutal) e un impatto sufficiente per non passare inosservato.
Potrei parlarvi degli Arcturus in versione death brutal o dei Cannibal Corpse con mire avanguardiste, preferisco lasciarvi alla musica del gruppo consigliandovi di avvicinarvi senza paraocchi e con una buona dose di pazienza: quando il sound di Unusual Methods to Dismember the Spiritual Halo si farà spazio in voi potrà lasciarvi buone sensazioni.

TRACKLIST
1.Creatures and Threat
2.Snake Eyes in Euphoria
3.The Ochre Sky
4.The Old Script
5.Within the Oppression
6.The Canvas of Confusion
7.My Desolation
8.Thoughts Through Ethic
9.Icy Winds of Fire
10.Outside Emptiness
11.Not Alone
12.Rapture in Grey
13.Burning Winds of Ice

LINE-UP
José Luis Miranda Morales – Guitars, Vocals
Antonio Miranda – Keyboards, Vocals

THE DOWNSPIRAL TO HELL – Facebook

Skáphe – Skáphe²

Gli Skáphe tentano di rendersi interessanti rendendosi fastidiosi: se la loro missione era di provocare all’ascoltatore una tremenda emicrania, missione compiuta

Gli Skáphe – progetto recente di quell’Alex Poole, stacanovista dell’extreme metal, che si è imposto al mondo del metal sotto lo pseudonimo Chaos Moon (oltre a Esoterica e Krieg) – prima di Skáphe² erano una delle innumerevoli band statunitensi, di Philadelphia, di discrete prospettive e aspirazioni: l’esordio nel 2014, dal titolo omonimo, difficilmente avrebbe potuto far pensare ad un secondo lavoro di questa portata, nel bene e specialmente nel male.

L’uscita di Skáphe² – una specie di black metal / horror noise dai molteplici riferimenti – è stata accompagnata da un certo hype nel mondo del metal, essendo stato arruolato per l’occasione quel D.G. dei Misþyrming (oltreché Naðra) che piuttosto bene avevano fatto nel 2015, con Söngvar elds og óreiðu.
Vi sarebbe molto di cui discutere sulla legittimità del riferirsi a quest’album di circa 36 minuti – fortunatamente per chi lo deve ascoltare il disco non è eccessivamente lungo – definendolo un album black metal, e non tanto perché i nostri facciano un uso massiccio di harsh noise, suoni dronici che sconfinano in territori pseudo-avanguardisti (ricercati specialmente tramite ritmiche squinternate), quanto perché – almeno per la prima parte del disco – non vi è la possibilità di distinguere precisamente finanche un solo riff o una qualche forma di melodia: quanto invece una pressoché completa atonalità e una mancanza di qualsivoglia senso dell’armonia. L’unica cosa che un ascoltatore percepirà durante la prima metà del disco – rinominato I, II e III – sarà un’atmosfera orrorifica ma monotona, miasmi da incubo che vorrebbero a loro modo suonare dejonghiani. Discernere la fine e l’inizio di un brano dall’altro e provare ad analizzarli singolarmente è virtualmente impossibile (tant’è che le stesse tracce sono semplicemente ordinate tramite numerazione romana, come facessero parte di una suite, da intendersi come un flusso). Un ulteriore guaio per i tre brani iniziali, da ascoltarsi preferibilmente come un unico e lungo intro, risiede nel fatto che il tutto non riesce neppure a suscitare il tanto agognato inferno esistenziale che invece manifestamente ricerca: in termini sonici il wall of sound è certamente monolitico, ma suona un po’ retorico, come se fosse più importante il concetto astratto della concreta esperienza sonora. Al punto che sembra quasi che se si prendesse una qualsiasi frazione di una traccia e la si spostasse altrove non verrebbe tolto e aggiunto pressoché nulla all’esperienza finale di ascolto: il ché non è definibile esattamente come “un risultato apprezzabile”, se parliamo di “cose black metal” e non di cose merzbowiane. Poi succede qualcosa e, superata la metà del disco, a partire da IV, il tutto magicamente si apre a ricametti, cacofonie e circolarità – finanche interessanti e non banali – post-metal, mentre in V si raggiunge il climax ritualistico del lavoro. Ma è troppo poco per impressionare: nel momento in cui comincia ad essere divertente l’album presto finisce.
Riferimenti: gli Skáphe saccheggiano un po’ da tutti e rovinano un po’ tutto, da alcune tra le cose migliori dei Deathspell Omega e dei Blut Aus Nord fino ai Portal e ai Mitochondrion, e soprattutto da un Gnaw Their Tongues appiattito e privato della sua consueta eleganza di stampo mefistofelico (eleganza manifesta anche nell’ultimo Hyms for the Broken, Swollen and Silent, questo invece, sì, un disco notevole). In conclusione: il fatto che Skáphe² risulti ermetico non significa necessariamente che sia un album profondo. L’impossibilità di cogliere – a larghi tratti – non dico significati e sensi (e “la musica” – tra la quale ovviamente anche il BM -, ricordiamolo, è o dovrebbe essere in prima istanza fondazione di significati e sensi) ma anche solamente una qualche sorta di melodia non nobilita necessariamente un disco: a tratti Skáphe² è affascinante, molto più spesso è retorico, ma alla fine resta fondamentalmente un prodotto di mera estetica, troppo superficiale, astratto e tronfio, oltreché terribilmente fastidioso all’orecchio, per poter rappresentare il futuro del black metal.

TRACKLIST:
1. I
2. II
3. III
4. IV
5. V
6. VI

LINE-UP
Alex Poole
D.G.

SKAPHE – Facebook

Ultha – Converging Sins

La band afferma di essere un blend di USBM, Scandinavian BM,doom miscelato con darkwave vocals;altamente consigliato

Nell’oscuro e multiforme mondo del black metal esistono realtà che cercano di emozionare l’ascoltatore, creando un suono che memore delle nobili radici possa evolvere in un qualcosa di personale e riconoscibile.

A mio parere questo è il caso degli Ultha, quintetto teutonico proveniente da Colonia, giunto con Converging Sins al secondo full length dopo l’esordio “Pain Cleanses Every Doubt” del 2014; band estremamente prolifica, visto che nel giro di due anni ha prodotto anche un EP e uno split di omaggio ai Bathory (le nobili radici) con il brano Raise the dead.
Gli Ultha ci propongono un album monumentale sia come lunghezza, cinque brani per sessantaquattro minuti circa, sia come varietà di suoni; non vi è nulla di sperimentale nel loro suono o di particolarmente complicato, ma è la loro capacità di miscelare diverse influenze a fare, secondo me, la differenza con altre opere: si colgono echi di Emperor, sprazzi di Wolves in the Throne Room e altre delizie che lascio all’ascoltatore che si vorrà cimentare nell’ascolto. Le atmosfere si fanno subito intriganti fin dal primo lunghissimo brano, circa diciotto minuti, che inizia in pieno clima atmospheric con un evocativo e affascinante arpeggio di chitarre doppiato da avvolgenti tastiere, per poi esplodere in una sfuriata black, sorretta da uno scream particolarmente efficace; il guitar work è sempre piuttosto creativo nell’elaborare momenti suggestivi e “melodici” per un risultato melanconico ma al contempo aggressivo. Anche la presenza , nella prima parte del secondo brano di nove minuti, di clean vocals femminili a sorreggere la struttura, non scalfisce il mood oscuro che si manifesta pienamente nella seconda parte con un disperato scream e i suoni taglienti delle chitarre. Gli altri tre brani offrono ulteriori particolarità sonore con una menzione speciale per l’ ultimo brano che presenta un intro particolarmente sinistro, lento e surreale per poi deflagrare in una cavalcata infinita. Così dovrebbe essere inteso il black metal oggi, come la possibilità di poter intessere mille idee su un genere da sempre aperto alle sperimentazioni, cosa che farà inorridire tutti i credenti del “true”, ma credo che la strada intrapresa da questa giovane band possa essere quella giusta per poter esprimere la propria personalità; mi aspetto ulteriori grandi cose da loro in futuro.

TRACKLIST
1. The Night Took Her Right Before My Eyes
2. Mirrors in a Black Room
3. Athame | Bane Emanations
4. You Will Learn About Loss
5. Fear Lights the Path (Close to Our Hearts)

LINE-UP
Chris Noir Bass, Vocals
Manuel Schaub Drums
Andy Rosczyk Electronics
Ralph Schmidt Guitars, Vocals
Ralf Conrad Guitars

ULTHA – Facebook

Misanthropic Rage – Gates No Longer Shut

Come appare chiaro dal monicker scelto, la misantropia la fa da padrone, una malinconica e rabbiosa solitudine raccontata attraverso sette brani articolati di black metal progressivo.

Debuttano, tramite la Godz Ov War Productions, gli avantgarde black metallers Misanthropic Rage, duo polacco formatosi solo lo scorso anno.

Un ep di rodaggio licenziato all’inizio dell’anno ed ora questo Gates No Longer Shut, lavoro sufficientemente ispirato per accontentare gli amanti del black metal dalle trame progressive e dalle molte parti atmosferiche.
Il duo composto da W. alla voce e dal polistrumentista AR. rientra nella schiera di gruppi che, all’approccio oscuro ed maligno del black, aggiunge soluzioni atmosferiche intimiste e buone parti in cui risalta l’uso vario delle ritmiche.
Non mancano chiaramente le classiche sfuriate chitarristiche, lo scream diabolico e le partenze a razzo, ma in generale i brani mantengono la caratteristica di piccole e varie suite dove il gruppo si lascia andare in cangianti sfumature dai colori scuri.
Come appare chiaro dal monicker scelto la misantropia la fa da padrone, una malinconica e rabbiosa solitudine raccontata attraverso sette brani articolati che vedono nelle armonie acustiche di Into The Crypt, nel violento incedere che si trasforma in una marcia doom della seguente Niehodowalny e nelle trame maligne della conclusiva I Took The Fate In My Hands, i momenti migliori di Gates No Longer Shut.
In generale l’album risulta in grado di regalare spunti interessanti, aiutato da una produzione discreta, manca forse il classico brano sopra la media che possa trainare tutti gli altri, ma si può certo considerare il lavoro dei Misanthropic Rage come una buona partenza.

TRACKLIST
1.In A Blind Dimension
2.Gates No Longer Shut
3.I, The Redeemer
4.Into The Crypt
5.Niehodowalny
6.Cross Hatred
7.I Took The Fate In My Hands

LINE-UP
W. – Vocals
AR. – Vocals, All instruments

MISANTHROPIC RAGE – Facebook

Terra – Mors Secunda

Un disco meraviglioso, che riuscirà a toccare dentro chi è ancora disposto ad emozionarsi con la musica pesante.

Ultimamente in Inghilterra c’è un gran fermento nell’ambito della musica estrema.

Stanno uscendo moltissimi bei dischi e ci sono gruppi molto validi, e ci sono anche gruppi eccezionali come i Terra, che vengono da Cambridge che fanno musica eccezionale, tra il black metal e l’atmospherical, ma più che dare definizioni è importante ascoltarli, perché in questi due pezzi di lunga durata raggiungono apici davvero notevoli. In certi momenti sembra che la sezione ritmica faccia una cosa, mentre la chitarra si fonde con un vento che porta lontani e la voce rimbomba da antichi e ancora vergini anfratti. Il risultato è di un’intensità e coinvolgimento eccezionali, si rimane attaccati ad ascoltare cosa viene dopo quel giro continuo di basso, o quella rullata che introduce qualcosa di meraviglioso. Un disco meraviglioso, che riuscirà a toccare dentro chi è ancora disposto ad emozionarsi con la musica pesante.

TRACKLIST
01. Apotheosis
02.Nadir

LINE-UP:
Luke Braddick – Drums
Olly Walton – Vocals, Bass
Ryan Saunders – Vocals, Guitars

TERRA – Facebook

Earth And Pillars – Pillars I

Si rimane attoniti e piacevolmente allibiti nell’ascoltare canzoni di oltre quindici minuti, che come un vento impetuoso ci sradicano dall’abituale sradicamento del tempo come lo conosciamo, per portarci lontano, ma anche molto vicini alla nostra anima.

Il black metal è uno dei linguaggi musicali più ricchi e vari che siano mai esistiti.

Come in un laboratorio si possono acquisire elementi e conoscenze standard per poi fare qualcosa di completamente nuovo, una fotografia di un angolo ancora sconosciuto. Gli Earth And Pillars fanno proprio questo, inventano un qualcosa che non c’era prima, seppur usando elementi conosciuti. Si potrebbe definire per facilità il loro black metal come atmosferico, mentre sarebbe più appropriato dire che lo suonano nell’atmosfera, poiché la loro musica porta lontano, molto lontano. Pillars I è un disco di valore assoluto, incredibile dalla prima all’ultima nota, contenente un miliardo di emozioni, di lacrime e voli radenti su foreste innevate, ma soprattutto di libertà, sia di creare che di immaginare. Il gruppo fa una musica che è in parte suono, ma in gran parte sentimento, un sentire diverso rispetto a quello che possiamo provare. Nelle loro lunghe canzoni si alternano sfuriate e pezzi quasi elettro ambient, per poi riprendere il viaggio, mischiando sudore, freddo e morte. L’atmosfera che pervade il disco, il suo nucleo più nascosto è un magma che brucia incessantemente, un continuo cercare, un sublimare il nostro destino di sofferenza. Da molto tempo non si ascoltava un disco come Pillars I in ambito black metal atmosferico, come in altri ambiti. Si rimane attoniti e piacevolmente allibiti nell’ascoltare canzoni di oltre quindici minuti, che come un vento impetuoso ci sradicano dall’abituale sradicamento del tempo come lo conosciamo, per portarci lontano, ma anche molto vicini alla nostra anima. Ognuno qui deve aggiungere qualcosa di suo, lasciando il suo io, perché qui c’è di meglio. Tastiere, chitarre distorte, caverne e radure incontaminate.
Chiudere gli occhi ed ascoltare.
Stupefacente, sognante e tremendamente vivo.

TRACKLIST
1.Pillars
2.Myth
3.Solemnity
4.Penn

EARTH AND PILLARS – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Mesarthim – .- -… … . -. -.-. .‬

Difficile fare meglio per chi si cimenta con il black metal atmosferico, anche se è evidente che l’impatto melodico del lavoro potrebbe risultare eccessivo per chi predilige il genere nella sua veste più cruda

E’ triste rendersi conto d’essersi quasi del tutto dimenticati un qualcosa che si era imparato molto bene (anche se in maniera un po’ coercitiva) qualche decennio fa …

Quando ho visto quella sfilza di punti e trattini che rappresentano il titolo del nuovo disco dei Mesarthim mi sono chiesto, senza rifletterci più di tanto, che diavolo significasse, finché, dopo qualche giorno, in un anfratto del mio sempre più ristretto hard disk interno è balenato un ricordo del passato coincidente con il periodo del servizio di leva in marina, quando conoscevo alla perfezione l‘alfabeto Morse, in quanto radiotelegrafista …
Già: ti-taa taa-ti-ti-ti e via discorrendo, in questo caso significa Absence, un titolo ed un mezzo per veicolarlo che si addicono al modus operandi dei Mesarthim, misterioso duo australiano del quale avevo già avuto modo di parlare in occasione del precedente full length Isolate.
Se, all’epoca, avevo espresso alcune perplessità derivante da un approccio gradevole ma non particolarmente incisivo, devo ammettere che stavolta i due “puntini” (che, seguendo la logica del Morse, equivalgono ad E) hanno fatto un deciso passo avanti.
Absence‬, infatti, offre quasi quaranta minuti di black atmosferico molto meglio definito ed efficace: le linee melodiche disegnano scenari cosmici in cui prevale un aspetto sognante che blast beat e screaming vocals non riescono più di tanto a screziare.
Le tastiere, soprattutto, tracciano un percorso lungo il quale l’ascoltatore viene trasportato facendolo sentire a proprio agio ma senza lesinargli, comunque, un senso di inquietudine derivante dalla riproposizione di schemi non dissimili dal depressive, benché molto meno oscuri ed urticanti nella loro espressione.
Il lavoro è davvero molto bello, con picchi rinvenibili un po’ in tutti brani, ma con menzione particolare per quello conclusivo (-…., ovvero 6), laddove il contrasto tra la voce e le ariose armonie si fa più intenso e ficcante.
Difficile fare meglio per chi si cimenta con il black metal atmosferico, anche se è evidente che l’impatto melodico del lavoro potrebbe risultare eccessivo per chi predilige il genere nella sua veste più cruda; anche per questo, Absence è un disco che mi sentirei di consigliare proprio a chi volesse approcciarsi per le prima volta a sonorità gravitanti nell’universo metal.

Tracklist:
1.
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2.
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3.
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4.
….-
5.
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6.
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Line-up:
. – Vocals
. – Other

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