Imago Imperii – Fate Of A King

I bolognesi Imago Imperii danno alle stampe il loro secondo full lenght, un concept all’insegna di un power metal epico, sinfonico e valorizzato da un’anima neoclassica consigliato agli amanti del genere, che troveranno più di un riferimento alle opere passate di Grave Digger, Rage e Gamma Ray.

Accompagnato da un bellissimo artwork (opera dell’artista russo Wadim Kashin) arriva sul mercato il secondo lavoro dei bolognesi Imago Imperii, quintetto attivo dal 2011 e con alle spalle, otre ad un ep il full length Legendaria, licenziato tre anni fa.

La band che tra le sue fila vede cimentarsi alla chitarra il bravo Luke Fortini, anche nei thrashers Hyperion e protagonista su queste pagine lo scorso anno con il suo album solista (Inside), licenzia un lavoro ispirato, di matrice power metal, tradizionalmente influenzato dal sound dei maestri tedeschi, ma valorizzato da sinfonie tastieristiche che fanno da tappeto ad intense cavalcate heavy power in cui il chitarrista ricama solos neoclassici di ottima fattura.
Fate Ok A King è dunque un’opera classica, in cui la musica accompagna il concept, ambientato nell’Inghilterra medievale al tempo dell’invasione normanna, narrando le vicende di Harold Godwinson, ultimo Re Anglosassone.
The Tapestry è l’intro di ordinanza, ricorda le atmosfere che facevano da prologo ai concept più famosi dei Grave Digger e lascia poi alla tellurica Saxon Warriors il compito di aprire le danze.
Si nota subito che Fortini e la sua sei corde sono l’arma in più del gruppo nostrano, fautore di un power metal epico e roccioso, che alterna mid tempo potenti ed epici a cavalcate in doppia cassa ispirati da Grave Digger, Rage ed in parte Gamma Ray.
La parte sinfonica, altrettanto importante dona quel tocco di pomposa epicità in brani travolgenti come Kingdom’s United e Marching For Hope, mentre le guerresche Battle Of Stamford Bridge e Conqueror risultano il cuore pulsante ed indomabile dell’album.
Completano la line up degli Imago Imperii il singer Gwarner, il tastierista Ivanhoe e la sezione ritmica composta da Nick al basso e Iskandar alla batteria, tutti protagonisti di prestazioni convincenti e che fanno di Fate Of A King un lavoro da non perdere per tutti gli amanti del power metal dai tratti epici, sinfonici e neoclassici.

Tracklist
1.The Tapestry
2.Saxon Warriors
3.Kingdom’s United
4.Fate of a King
5.The Landing
6.Battle at Stamford Bridge
7.Conqueror
8.Marching for Hope
9.King’s Nightmare
10.Harold Rex
11.End of an Era

Line-up
Gwarner – Vocals and Concept
Ivanhoe – Keyboards and Programming
Lüke – Guitars
Mick – Bass guitar
Iskandar – Drums

IMAGO IMPERII – Facebook

Jag Panzer – Mechanized Warfare

Doverosa riedizione per un classico dello US power, ancora oggigiorno splendidamente carico di suggestioni musicali d’alta scuola.

Sul fatto che gli Jag Panzer siano parte integrante della storia del metal, non solo americano, credo nessuno avrà nulla da obiettare.

Del resto, sotto le insegne dell’hard & heavy più classico, i nostri sono nati nel lontano 1981. Il loro sesto album, Mechanized Warfare, vide la luce nel 2001, prodotto da Jim Morris, per la Century Media. Lo ristampa, ora, la sempre volitiva ed attenta Punishment 18 Records. Abbiamo così l’opportunità imperdibile di riassaporare un autentico classico, duro e puro, come da tradizione del miglior US power. Delle dieci tracce che vanno a comporre l’album, l’opener Take To the Sky, Unworthy e la penultima Power Surge superano i sei minuti, mentre la conclusiva All Things Renewed ben oltrepassa i sette: la cosa già la dice lunga sulla scrittura musicale degli Jag Panzer, articolata e progressiva, senza rinunciare minimamente ad una sola oncia di un approccio al metal sempre potentissimo e solenne, epico e stentoreo. Mechanized Warfare svolgeva e svolge un discorso musicale di classe assolutamente superiore, vincente in ogni magica sfaccettatura dei suoi solchi. Si ascolti ad esempio l’intensa The Scarlet Letter, ispirata al capolavoro di Hawthorne. Tristi e malinconiche le melodie delle canzoni, una gemma le complesse progressioni musicali alle quali la band si abbandona sempre senza alcuna autoindulgenza. Aggressività e fascino: il binomio di una grandissima band. Ieri come oggi. Stupenda e molto dark anche la grafica.

Tracklist
1- Take to the Sky
2- Frozen in Fear
3- Unworthy
4- The Silent
5- The Scarlet Letter
6- Choir of Tears
7- Cold Is the Battle
8- Hidden in My Eyes
9- Power Surge
10- All Things Renewed

Line up
Chris Broderick – Guitars
John Tatley – Bass
Henry Conklin – Vocals
Mark Briody – Guitars
Rikard Stjernquist – Drums

JAG PANZER – Facebook

Asymmetric Universe – When Reality Disarticulates

When Reality Disarticulates è il biglietto da visita di questo notevole trio che agisce con il monicker Asymmetric Universe: da segnare sul taccuino perché la sensazione è che questo sia solo l’avvio di un percorso artistico molto interessante.

Per gli amanti del metal e del rock strumentale, una nuova e giovane band si affaccia sulla scena tricolore: sono i torinesi Asymmetric Universe, all’esordio autoprodotto con quattro brani racchiusi in un ep intitolato When Reality Disarticulates.

Federico Vese (Chitarra), Nicolò Vese (Basso) e Gabriele Bullita (Batteria) danno alle stampe diciannove minuti di musica progressiva contaminata da vari generi ed influenze lontanissime tra loro come il progressive metal, il jazz, la fusion e la musica orchestrale ed elettronica.
Di queste proposte, specialmente in contesti più estremi come il death metal più tecnico, ne abbiamo ascoltate un bel po’ nel corso degli anni, quindi la relativa novità della proposta, a mio parere, è messa in secondo piano da una prova di grande spessore a livello strumentale e dalla comunque ottima fruibilità all’ascolto di questi primi quattro brani; questi giovani musicisti piemontesi, infatti, dimostrano una sorprendente maturità nell’amalgamare una pregevole tecnica con una forma canzone perfettamente delineata, così da essere compresa anche da chi non è un grande estimatore della musica strumentale.
Echi crimsoniani si intrecciano con progressive e metalliche partiture care ai Dream Theater, inframezzate o legate a forti accenni jazz/fusion, tra l’opener Trees Houses Hill, la funambolica Hermenuetic Shock e gli arcobaleni di note che colorano gli spartiti di Off The Beaten Track e The Clouds Passing By.
When Reality Disarticulates è il biglietto da visita di questo notevole trio che agisce con il monicker Asymmetric Universe: da segnare sul taccuino perché la sensazione è che questo sia solo l’avvio di un percorso artistico molto interessante.

Tracklist
1.Trees Houses Hill
2.Hermenuetic Shock
3.Off The Beaten Track
4.The Clouds Passing By

Line-up
Federico Vese – Guitar
Nicolò Vese – Bass
Gabriele Bullita – Drums

ASYMMETRIC UNIVERSE – Facebook

Padus – Diva Sporca

Diva Sporca è un disco che sa di antico, di qualcosa che si muove nelle nebbie, di sguardi impauriti al cielo verso la luna nera che sta sopra di noi da millenni, è anche ricerca musicale e passione che porta oltre.

Padus è il progetto molto particolare ed originale di Matteo Zanella, un abitante del delta del Po che suona il basso in un’orchestra di musica da ballo.

E proprio il basso come strumento è messo al centro di questa singolare opera, specialmente il basso distorto, che diventa in pratica un gruppo musicale a sé stante. Matteo Zanella è uno di quei musicisti totali e straripanti, ha la musica nel cervello e la crea in maniera ricercata ed originale. Scrive e suona tutto lui, e come genere siamo dalla parti di un doom che si incrocia con il dark ambient, ma molto forte è la connotazione teatrale del tutto, infatti le canzoni sono vere e proprie storie sceneggiate. Di solito gli strumenti impiegati sono il basso distorto per l’appunto, un organo a canne ed una batteria campionata, ma ci sono anche il vento, i tuoni ed incombe la figura del Po, questo fiume misterioso che attraversa terre antiche e difficili da decifrare. Matteo non si ferma però qui, e dato che ha anche la passione per la pittura, ha disegnato anche l’ermetica copertina del lavoro musicale. Diva Sporca è un viaggio nelle tenebre, nell’occulto e nella disperazione umana, nella vera e propria sporcizia del mistero umano, e anche in una natura che per noi è cattiva, ma semplicemente è se stessa, è l’uomo che inventa categorie di pensiero altrimenti inesistenti. Il disco è una continua sorpresa, il cantato è in italiano ed è molto incisivo, e contribuisce in maniera notevole a contribuire alla cifra stilistica del disco. La tecnica di Matteo è notevole, ma non è quella al centro del suo suono, bensì è al suo servizio. Diva Sporca è un disco che sa di antico, di qualcosa che si muove nelle nebbie, di sguardi impauriti al cielo verso la luna nera che sta sopra di noi da millenni, è anche ricerca musicale e passione che porta oltre. Ci sono anche brani sperimentali come Elocubrazione che fanno perdere le proprie attuali coordinate e conducono molto lontani, in quello stato particolare di trance leggera che solo certa musica può indurre. Si consiglia anche di seguire la pagina facebook di Padus, poiché Zanella vi posta i notevoli quadri ispirati ai pezzi del progetto.
Un disco unicamente tenebroso, un lavoro molto compiuto di un musicista che sa essere e dire molte cose differenti.

Tracklist
1 – Diva Sporca
2 – La luna nera
3 – Elocubrazione
4 – La peste
5 – La strada per l’oblio

PADUS – Facebook

Grand Magus – Wolf God

Wolf God si inserisce in una discografia con pochi eguali a livello qualitativo e, considerando che siamo arrivati all’album numero nove per i Grand Magus, tanto di cappello.

Il ritorno dei Grand Magus si intitola Wolf God, atteso dai fans e dagli addetti ai lavori come una delle più importanti uscita dell’anno, almeno per quanto riguarda l’anima più epica del metal odierno.

Perché, parliamoci chiaro: il trio svedese con le sonorità doom/stoner di inizio carriera non ha più nulla a che spartire, perché la band è quanto di più heavy metal si possa trovare in giro oggigiorno, una potentissima e travolgente macchina da riff, scolpiti sulle montagne e cresciuti tra le foreste dove regna il dio lupo.
Ovvio che i mid tempo su cui è strutturato gran parte dell’album porta inevitabilmente a qualche passaggio più rallentato ed evocativo, ma i Grand Magus continuano nel loro dinamismo compositivo che ha caratterizzato l’ultimo periodo, con picchi epici che ne fanno i sovrani del genere (Dawn Of Fire).
La produzione cristallina e potente esalta le caratteristiche dei brani, ed una tracklist impeccabile rende Wolf God un’altra montagna metallica targata Grand Magus: epica, dalle linee melodiche perfettamente inserite in un contesto metallico possente, in cui la voce di Janne JB Christoffersson sembra nata per questo sound.
La virtù maggiore della proposta dei Grand Magus è proprio quella di risultare personale e riconoscibile in un genere tradizionale come l’heavy epic metal, grazie a quel tocco che viene dal passato remoto dei musicisti coinvolti (va ricordato che JB Christoffersson e Ludwig Witt hanno militato negli Spiritual Beggars).
La band svedese si conferma tra i sovrani del genere e rimane poco da scrivere davanti a brani di una forza metallica sovrumana come Wolf God, A Hall Clad In Gold, l’epica To Live and Die in Solitude e la distruttiva e motorheadiana He Sent Them All to Hel: anche Wolf God si inserisce in una discografia con pochi eguali a livello qualitativo e, considerando che siamo arrivati all’album numero nove, tanto di cappello.

Tracklist
01. Gold and Glory
02. Wolf God
03. A Hall Clad in Gold
04. Brother of the Storm
05. Dawn of Fire
06. Spear Thrower
07. To Live and Die in Solitude
08. Glory to the Brave
09. He Sent Them All to Hel
10. Untamed

Line-up
Janne JB Christoffersson – Vocals, Guitars
Mats Fox Hedén Skinner – Bass
Ludwig Witt – Drums

GRAND MAGUS – Facebook

Myrath – Shehili

Di un album come Shehili resta sempre ben in evidenza la sua natura metallica, una potente tempesta di sabbia musicale che travolge senza trovare ostacoli, esaltata da raffinate sinfonie che passano agevolmente dal classico symphonic prog metal al sound intriso della tradizione musicale araba.

Parlare di Shehili in poche righe non è assolutamente facile a causa della quantità debordante di musica dalla quale si viene travolti che rende questo quinto e ultimo lavoro dei tunisini Myrath un capolavoro di progressive/power/folk metal.

Shehili è il nome di un vento che soffia nel Sahara, e che, insieme ad antiche leggende, porta con sé questi nuovi dodici brani firmati da una band unica, protagonista di un sound che oltre al power/progressivo di Kamelot e Dream Theater si profuma di antiche pozioni e fragranti essenze provenienti dal deserto, affascinante luogo di leggende e misteri che antichi popoli si tramandano da millenni.
L’ascolto dell’album si rivela così un’emozione unica, tra percussioni tribali, strumenti del folklore tunisino, ritmiche power/prog e songwriting impeccabile: un’esperienza da non perdere per chi ama la musica ed il suo universo senza barriere, quando al comando c’è la bellezza dell’arte, qui portata alla sublimazione da un sound dai mille risvolti e dettagli che si presentano davanti a noi fin dalle prime note dell’intro Asl, foriera di rossi tramonti sulla sabbia del deserto, prima che Born To Survive ci spalanchi del tutto le porte di questa sontuosa opera metal.
Di un album come Shehili resta comunque ben in evidenza la sua natura metallica, una potente tempesta di sabbia musicale che travolge senza trovare ostacoli, esaltata da raffinate sinfonie che passano agevolmente dal classico symphonic prog metal al sound intriso della tradizione musicale araba.
Il singolo Dance, la successiva Wicked Dice, brano dall’appeal eccezionale, la sinfonica ed orientaleggiante Lili Twil, Mersal e la conclusiva title track risplendono nella notte del deserto come le più fulgide delle stelle in questo firmamento musicale chiamato Myrath.

Tracklist
01.Asl (Intro)
02.Born To Survive
03.You’ve Lost Yourself
04.Dance
05.Wicked Dice
06.Monster In My Closet
07.Lili Twil
08.No Holding Back
09.Stardust
10.Mersal
11.Darkness Arise
12.Shehili

Line-up
Anis Jouini – Bass
Malek Ben Arbia – Guitars
Elyes Bouchoucha – Keyboards, Vocals (backing)
Zaher Zorgati – Vocals
Morgan Berthet – Drums

MYRATH – Facebook

Gorguts – From Wisdom to Hate

Riedizione, davvero benemerita, di un grande disco della basilare cult band del death metal made in
Canada.

Quando si parla dei Gorguts si parla di Storia, quella con la esse maiuscola.

La fondamentale band canadese è sempre stata apprezzatissima dalla critica ma non ha finora trovato, presso il pubblico, il riconoscimento che certamente merita. Il suo approccio anticonvenzionale al death metal, in questo
senso, può essere stato un’involontaria arma a doppio taglio. Come che sia, la Punishment 18 fa ora uscire l’attesa ristampa del classico From Wisdom to Hate (grande titolo), che il quartetto originario del Quebec, attivo dal 1989, pubblicò, nel 2001, per la Season of Mist, tre anni dopo il capolavoro Obscura, di cui veniva portato avanti il taglio sperimentale e progressivo, tecnicissimo e feroce nel medesimo tempo. Con gli otto brani dell’album, tra i quali spiccano le sinistre orchestrazioni della quarta traccia (Unearthing the Past), i Gorguts confermavano la loro personalissima proposta, fatta di accelerazioni brutali e molto hardcore, alternate a rallentamenti doom: quasi un’opera mirante a realizzare una deframmentazione sonora dei canoni death, con un alone oscuro, se non tetro, che va a contraddistinguere la totalità delle composizioni. Verrebbe da dire che se i King Crimson avessero mai inciso un lavoro di death metal, forse questo sarebbe stato From Wisdom to Hate. L’anno dopo la stampa del disco, nel 2002, il batterista Steve MacDonald si suicidò e la band temporaneamente si sciolse, per poi riformarsi in occasione del bellissimo Colored Sands (2013), l’atto della rinascita artistica di un gruppo storico e seminale.

Track list
1- Inverted
2- Behave Through Mythos
3- From Wisdom to Hate
4- The Quest For Equilibrium
5- Unearthing the Past
6- Elusive Treasures
7- Das Martyrium Des…
8- Testimonial Ruins

Line up
Steve Cloutier – Bass
Steve MacDonald – Drums
Luc Lemay – Guitars / Vocals
Daniel Mongrain – Guitars

GORGUTS – Facebook

Shuffle – Won’t They Fade?

Won’t They Fade? è un album che ha bisogno però di orecchie allenate all’ascolto di generi diversi tra loro per essere apprezzato, pena il rischio di apparire un minestrone fine a sé stesso: a voi l’ardua sentenza…

Secondo lavoro sulla lunga distanza per gli Shuffle, quintetto transalpino che ha già all’attivo un ep di debutto licenziato nel 2012 (Desert Burst), ed il primo full length datato 2015 (Upon The Hill).

Il gruppo cerca di uscire dai soliti cliché del metal moderno creando un sound vario ed alternativo, partendo da una base post rock e progressiva e ristrutturandola con iniezioni neanche troppo velate di metal alternativo, post rock e nu metal.
Ne esce un lavoro vario con i brani che si differenziano uno dall’altro uscendo dai confini di un genere preciso, a volte forzando un po’ troppo nel variare a tutti i costi la formula.
Gli Shuffle convincono di più quando l’anima progressiva prende il sopravvento e ne escono brani potenti ed a loro modo estremi, con uno scream dai rimandi core che violenta l’elegante spartito di cui può vantarsi questo lavoro.
Won’t They Fade? risulta così un ascolto piacevolmente vario nel suo mescolare input e generi di cui si compone il metal/rock degli ultimi anni, passando per brani come Paranoia Of The Soul, brano che dal nu metal in stile P.O.D. ed Hed PE passa agevolmente all’alternative progressivo di band come A Perfect Circle e Porcupine Tree.
Won’t They Fade? è un album che ha bisogno però di orecchie allenate all’ascolto di generi diversi tra loro per essere apprezzato, pena il rischio di apparire un minestrone fine a sé stesso: a voi l’ardua sentenza.

Tracklist
1. Spoil The Ground
2. Switch To The Otherside
3. Checkmate Fool
4. Faded Chalk Lines
5. Oh Glop D’Eternitat
6. Paranoia Of The Soul
7. Behind Ur Screen
8. Wintertide
9. Virtual Hero

Line-up
Jordan – Lead Voice, Guitars
Sullivane – Keyboards, Backing Vocals
Jonathan – Bass, Backing Vocals
Antoine – Samples, Backing Vocals, Percussions
Grantoine – Drums, Percussions

SHUFFLE – Facebook

Equaleft – We Defy

Un album riuscito, anche in presenza delle spigolose ed intricate vie della tecnica, che il gruppo dimostra a tratti di saper maneggiare senza stancare l’ascoltatore, il cui ascolto è consigliato agli amanti del thrash moderno e del death core tecnico e progressivo.

Quelli della Raising Legend Records continuano a proporci ottime realtà nate specialmente nel loro paese, il Portogallo.

E’ il momento degli Equaleft, band proveniente da Oporto e fautori di un thrash metal moderno pregno di groove e molto tecnico, con passaggi progressivi al limite del djent.
Il quintetto, attivo dal 2004, arriva con We Defy al secondo lavoro sulla lunga distanza, cinque anni dopo il precedente Adapt & Survive ed un ep uscito una decina d’anni fa.
We Defy alterna momenti ipertecnici ad altri più lineari che poi sono il punto di forza di un album che non cede proprio grazie a questi chiaroscuri che impediscono all’ascoltatore di rimanere imbrigliato nelle tele di brani come la title track, uno di quelli che più si avvicinano al djent.
Quando gli Equaleft decidono di picchiare decisi e diretti, il thrash/groove metal moderno prende il sopravvento, rallentato da macigni sonori in cui il growl di matrice deathcore è un grido abissale.
Da questo lato Mindset è uno dei brani più riusciti dell’intero lavoro, così come la devastante Strive e la progressiva Fragments.
Un album riuscito, anche in presenza delle spigolose ed intricate vie della tecnica, che il gruppo dimostra a tratti di saper maneggiare senza stancare l’ascoltatore, il cui ascolto è consigliato agli amanti del thrash moderno e del death core tecnico e progressivo.

Tracklist
1.Before Sunrise
2. Once Upon a Failure (ft. André Ribeiro from Sullen and Sollar – guitar solo)
3. We Defy
4. Mindset
5. Endless
6. Strive
7. Overcoming
8. Fragments
9. Realign (ft. Nuno Cramês “Veggy” – guitar solo)
10. Disconnected
11. Uncover the Masks (ft. José Pedro Gonçalinho – saxophone)

Line-up
Miguel “Inglês“ – Vocals
Bernardo “Malone“ – Guitar
Miguel Martins – Guitar
Marco Duarte – Drums
André Matos – Bass

EQUALEFT – Facebook

Avem – Meridiem

Meridiem dei progsters austriaci Avem è un lavoro collocabile tra quelli di matrice progressiva, moderna e pregna di umori che alternano sfumature alternative, metal e dark.

I viennesi Avem firmano per Wormholedeath che licenzia il loro primo album sulla lunga distanza intitolato Meridiem, un lavoro collocabile tra quelli di matrice progressiva, moderna e pregna di umori che alternano sfumature alternative, metal e dark.

Dietro al microfono la voce grintosa della singer Nora Bendzko a cui alle sue spalle agiscono quattro musicisti che sanno unire una buona tecnica strumentale, obbligatoria se si suona il genere e feeling di stampo rock, per un risultato che in generale soddisfa.
Potrebbero storcere il naso gli ormai obsoleti puristi del genere, fuorviati dall’atmosfera alternative di molti dei brani presenti, ma è un dettaglio che non inficia le buone sensazioni che lasciano brani come l’opener Sun-Chaser, Bermuda o Whispers On The Wind.
Progressive metal moderno dunque, un ramo dell’immenso albero progressivo che sta regalando ottimi lavori in questi ultimi anni e che viene alimentato da band come gli Avem, andando oltre ai soliti schemi e confezionando lavori di grande respiro, freschi, metallici e maturi.
Il piglio aggressivo e drammatico di Lost Cosmonaut si scontra con il rock progressivo attraversato da ritmiche sapientemente congegnate di Earth-Shaker o le sfumature tooliane di Sonder in un’alternanza di suoni ed atmosfere che rendono questa ora di musica un ascolto ampiamente soddisfacente per chi ama il genere.
Gli Avem risultano una band dalle potenzialità enormi, vedremo in futuro la direzione che prenderà la loro musica, aperta a qualsiasi tipo di evoluzione, per ora promossi senza riserve.

Tracklist
01.Sun Chaser
02.How I Got My Wings
03.Bermuda
04.Star Gazer
05.Lost Cosmonaut
06.Phantoms
07.Earth Shaker
08.Whispers On The Wind Feat. Andreas Gammauf
09.Chernobyl
10.Storm Facer Feat. Alexander Hirschmann
11.Sonder
12.LDV

Line-up
Reece Tyrrell – Guitars
Florian Uhl – Bass
Seppo Uhari – Drums
Nora Bendzko – Vocals
Manu Sharma – Keyboards

AVEM – Facebook

Thamiel – Sator

Sator funzione bene dall’inizio alla fine, ha un bella carica e un bel suono che arrivano molto diretti all’ascoltatore.

Da Brindisi arriva il debutto sulla lunga distanza per i Thamiel, ex Merkavah, fondati dal chitarrista Gianluigi Papadia e dal batterista Antonio Greco.

Totalmente autoprodotto, il loro disco è una proposta sonora incentrata sul black death degli anni novanta, dalla forte connotazione mediterranea. I Thamiel hanno un incedere notevole, il suono è un black death molto peculiare, che si rifà certamente alla tradizione scandinava, ma che guarda molto anche ai paesi bagnati dal mar Mediterraneo, come la stessa Italia e la Grecia. Infatti il loro suono possiede certe caratteristiche altresì irrintracciabili nei gruppi nordici. Il tutto è strutturato molto bene, il disco ha una sua organicità ben precisa, e si sente che questi musicisti hanno sia passione che competenza, cose mai scontate, specialmente nelle epoche attuali. Con una forte componente esoterica, il disco sembra scaturire direttamente da una lettura di opere maledette, con un’atmosfera molto intima e diabolica. Lungo tutto il percorso del lavoro si dipana anche una precisa ricerca musicale, con al centro la produzione di un suono originale, personale ed immediatamente riconoscibile, intendimento che riesce perfettamente. Il debutto dei Thamiel è convincente e molto godibile, un canto di amore verso il black ed il death metal, e quale omaggio migliore se non creare qualcosa di personale e bello in quel campo? Sator funziona bene dall’inizio alla fine, ha un grande carica e un bel suono che arriva molto diretto all’ascoltatore. Il sommerso musicale racchiude gruppi molto validi come i Thamiel, che facendo molti sforzi e sacrifici riescono a produrre cose che altri nomi più blasonati non sono più in grado di fare.

Tracklist
1 Intro
2 Sol Invictus
3 Kathaar
4 Darkened Centuries
5 Sator
6 Bloodshed In The North
7 Desecrate Ritual
8 Ex Comunicatio

Line-up
Mino Mingolla – Vocals
Gianluigi Papadia – Guitar
Andrea Caiulo – Bass
Antonio Cape Greco – Drums

THAMIEL – Facebook

Blood Thirsty Demons – …In Death We Trust

L’opera non cala di tensione in tutta la sua durata: atmosfere macabre e cavalcate heavy si inseguono in brani perfettamente strutturati nei quali l’influenza primaria rimane Steve Sylvester e la sua leggendaria creatura, a cui Cristian Mustaine rende il doveroso tributo.

Realtà consolidata nella scena metal nostrana da anni di attività e sette full length, tornano i Blood Thirsty Demons, one man band dalle sonorità horror metal creata dal polistrumentista e songwriter Cristian Mustaine.

….In Death We Trust è il nuovo ed ottavo lavoro su lunga distanza per la band lombarda, licenziato dalla The Triad Rec in co-produzione con la C.M. Releases e composto da nove brani per cinquanta minuti di horror metal old school, ispirato dai gruppi che hanno fatto la storia del genere, italiani ed internazionali come Death SS, King Diamond e Mercyful Fate e con quell’attitudine tutta italiana ispirata alla tradizione dark e occulta che fa della nostra nazione una vera scuola per chi suona il genere.
….In Death We Trust continua sulla falsariga dei lavori precedente che hanno portato i Blood Thirsty Demons all’attenzione dei fans dell’horror metal, con lugubri tastiere che creano la giusta atmosfera e l’heavy metal di matrice old school a dominare la scena.
In generale l’opera non cala di tensione in tutta la sua durata, atmosfere macabre e cavalcate heavy si inseguono in brani perfettamente strutturati, l’influenza primaria rimangono Steve Sylvester e la sua leggendaria creatura, a cui Cristian Mustaine rende il doveroso tributo in tracce come la title track, Message From The Dead o Killed By The Priest.
Una menzione particolare vanno anche ai suoni di ispirazione doom/dark della bellissima My Last Minute e la conclusiva …My Soul To Take, quattordici minuti di sunto compositivo della musica creata dal mastermind.
I Blood Thirsty Demons si confermano con questo nuovo lavoro si confermano come buon punto di riferimento per gli amanti dell’horror metal di scuola Death SS.

Tracklist
1. AL II,63
2. I’m Dead!!
3. My Last Minute
4. …In Death We Trust
5. Message From The Dead
6. The Only Road
7. Cry On My Tomb
8. Killed By The Priest
9. …My Soul To Take

Line-up
Cristian Mustaine – all the instruments and vocals

BLOOD THIRSTY DEMONS – Facebook

None – Damp Chill of Life

L’opera di None è di assoluto rilievo per l’abilità nell’unire in maniera ottimale le componenti più cupe e al contempo più atmosferiche del black metal, al cui interno la tendenza di matrice depressive viene infatti stemperata da aperture melodiche.

None è il nome di un progetto atmospheric black del quale poco si sa, se non il fatto che la sua provenienza è la sempre fertile per queste sonorità terra statunitense.

Damp Chill of Life è il terzo full length che, come quelli usciti nel 2017 e nel 2018, è stato pubblicato puntualmente l’11 aprile, data che evidentemente riveste un significato preciso per questo musicista (probabile infatti che si tratti di un solo project).
L’opera di None è di assoluto rilievo per l’abilità nell’unire in maniera ottimale le componenti più cupe e al contempo più atmosferiche del black metal, al cui interno la tendenza di matrice depressive viene infatti stemperata da aperture melodiche che rimandano alle band cascadiane, ma il tutto viene poi rafforzato da una scrittura non banale e sempre carica di tensione emotiva.
Damp Chill of Life si snida per circa tre quarti d’ora, tra brani molto lunghi come la title track, dal drammatico incedere punteggiato dal tipico screaming disperato, o Cease, dall’incipit ambient che si apre nella seconda parte in un dolente e cristallino afflato melodico.
La componente ambient è comunque sempre piuttosto presente, così come sprazzi di folk regalati da un notevole lavoro di chitarra acustica: Damp Chill of Life è un album in cui vengono alternati con maestria passaggi dall’enorme impatto emotivo ad altri più rarefatti e riflessivi, senza il tutto appaia mai frammentato e qui risalta la bravura, anche esecutiva, del nostro anonimo quanto ottimo protagonista.
Una produzione al di sopra della media per gli standard del genere chiude alla perfezione un cerchio all’interno del quale è possibile conservare con cura questo album,  chiuso da un altro splendido e sofferto monumento alla disperazione come A Chance I’d Never Have.
Per fortuna, contraddicendo il titolo di quest’ultima traccia, un progetto come None ha avuto invece la possibilità di emergere in tutta la sua bellezza in questi ultimi anni, grazie al supporto di un etichetta come la Hypnotic Dirge, come sempre capace di portare alla luce magnifiche realtà altrimenti destinate a languire nei meandri dell’underground più nascosto e inaccessibile.

Tracklist:
1.Fade
2.The Damp Chill of Life
3.Cease
4.You Did a Good Thing
5.It’s Painless to Let Go
6.I Yearn to Feel
7.A Chance I’d Never Have

Philadelphia – Search And Destroy Deluxe

Versione rimasterizzata e deluxe ad opera della Roxx records per Search And Destroy, secondo album dei Philadelphia, storica band cristiana attiva nella prima metà degli anni ottanta.

Torniamo a parlare di rock cristiano d’annata grazie ad una nuova uscita targata Roxx Records:
trattasi di Search And Destroy, secondo lavoro dei Philadelphia, attivi dall’alba degli anni ottanta in quel di Shreveport, Louisiana.

Il gruppo cristiano infatti nacque nel 1981 per arrivare all’esordio tre anni dopo con Tell the Truth… pubblicando in seguito questo lavoro, uscito originariamente nel 1985, creandosi così un buon seguito, specialmente nei tanti concerti che lo vide impegnato in quel periodo.
Poi un lungo silenzio fino al 2015 ed all’uscita del singolo No Compromise che anticipava il nuovo album, licenziato tre anni fa ed intitolato Warlord.
L’impegno nella scena cristiana ha caratterizzato la storia dei Philadelphia, ora un trio composto dallo storico chitarrista Phil Scholling, dal batterista Brian Martini e dal bassista cantante Brian Clark ex Survivor come il batterista.
Il sound di Search And Destroy si colloca perfettamente nell’hard & heavy dell’epoca, brani più hard rock oriented si alternano con rocciosi anthem metallici, i Philadelphia molto attenti alle melodie, raggiungevano un buon livello qualitativo grazie ad un egregio lavoro sui solos, molto ispirati e sempre graffianti, mentre brani di classic rock più radiofonico lasciavano spazio ad ispirate tracce heavy che strizzavano l’occhio al Regno Unito.
Una buona dose di grinta si evince nella title track posta come opener, in Judgement Day e nell’esplosiva Fastrack, ma è comunque tutto l’album che gira a pieno regime anche se l’età è avanzata e Search And Destroy come suoni e approccio al genere rimane confinato nella prima metà degli anni ottanta.
Una riedizione assolutamente gradita per gli amanti del decennio ottantiano e del classic metal statunitense.

Tracklist
1.Search and Destroy
2.Bobby’s Song
3.Oh My Boy
4.Judgement Day
5.Mirror Man
6.Fastrack
7.Showdown
8.Decision Time

Line-up
Brian Clark – Bass, Vocals
Brian Martini – Drums, Percussion
Phil Scholling – Guitars

PHILADELPHIA – Facebook

Accursed Spawn – The Virulent Host

Tra le trame sonore dell’album si riconosce più di una influenza di matrice death/thrash/brutal, e se gli Accursed Spawn non inventano nulla si rivelano una macchina da guerra da non sottovalutare.

In Canada il metal estremo di matrice death/thrash lo sanno suonare davvero bene, a testimonianza di una scuola ben delineata e che riserva sempre gradite sorprese per gli amanti dell’headbanging.

Gli Accursed Spawn trovano la loro strada musicale attraverso un death metal feroce e senza compromessi, potenziato da accelerazioni thrash e da un sound che dal groove necessario per fare la differenza oggigiorno.
Attivo dal 2010, il gruppo di Ottawa arriva al primo full length tramite la PRC Music, e questo assalto sonoro intitolato The Virulent Host non fa prigionieri, intenso e devastante come deve essere un’opera del genere.
Palla lunga e pedalare quanto si vuole, ma Interrogated Bludgeonment o Cesium 137 sono bombardamenti sonori che non mancano di freschezza ed una dose insana di violenza brutale che colpisce nel segno.
Tra le trame sonore dell’album si riconosce più di una influenza di matrice death/thrash/brutal, e se gli Accursed Spawn non inventano nulla si rivelano una macchina da guerra da non sottovalutare.

Tracklist
1.Bhopal ‘84
2.Bloodforged
3.Interrogated Bludgeonment
4.The Virulent Host
5.Cesium 137
6.The Ageless Curse
7.Shotgun Facelift
8.Mass Glossectomy
9.Dogmatic Affliction

Line-up
Jay Cross – Drums
Adam Pell – Guitars (lead)
Weiyun Lu – Bass
Paul Kelly – Guitars (lead)
Luke Wargasm – Vocals

ACCURSED SPAWN – Facebook

Mortado – Rupert The King

Ascoltando Rupert The King ci si mette di fronte a quel mostro musicale che è il metal in una delle sue più potenti e riuscite versioni, un esempio di heavy/thrash che sgorga dagli altoparlanti come sangue da un arto tagliato.

L’uscita di GL Perotti dagli Extrema dopo trent’anni di storia del metal tricolore è notizia ormai archiviata da tempo, ma lo storico cantante non ha perso troppo tempo e, chiamati a raccolta tre musicisti dal curriculum “importante” come il batterista Manuel Togni (Aleph, Soulphureus, Spellblast, Uli Jon Roth, Blaze Bayley, Kee Marcello e Doogie White) e i due Franzè, Simone al basso e Stefano alla chitarra solista (Dennis Stratton, Blaze Bayley e Will Hunt), ha dato vita ai Mortado, praticamente un’esplosione di sonorità metalliche di matrice heavy/thrash che sarebbe riduttivo definire old school, anche se la tradizione e la classicità del sound sono fuor di dubbio ed alimentano l’atmosfera generale di Rupert The King.

Una varietà di stili, impatto ed attitudine impressionante animano questa prima opera targata Mortado che, se in un primo momento attira l’attenzione per l’importanza del tipo dietro al microfono, con il passare del tempo non fa prigionieri, travolgendo con un songwriting ed una prova strumentale di altissimo livello.
Perotti canta con l’entusiasmo di un leone da troppo tempo ingabbiato , la sezione ritmica potente e chirurgica asseconda una chitarra solista che regala attimi di grande ispirazione heavy metal, chiamando in causa nomi altisonanti come Iron Maiden, Megadeth, Death Angel, ma che, proprio per la sua varietà, lascia spazio a soluzioni che pescano dagli Alice in Chains come dai fondamentali (per il background dello storico singer) Suicidal Tendencies.
Ascoltando Rupert The King ci si mette di fronte a quel mostro musicale che è il metal in una delle sue più potenti e riuscite versioni, un esempio di heavy/thrash che sgorga dagli altoparlanti come sangue da un arto tagliato.
La title track posta in apertura, Babylon’s Flag, la maideniana Venom, le devastanti Double Face e Secret Society, il canto sciamanico The Great Spirit, sono insieme alle altre adrenaliniche tracce quello che riesce a regalare GL Perotti con i suoi Mortado ed è decisamente tanta roba…

Tracklist
1.Rupert The King
2.In The Middle Of The Night
3.Babylon’s Flag
4.No Escape
5.Double Face
6.Dangerous Deal
7.The Great Spirit
8.Venom
9.The Art Of Soul
10.Secret Society
11.Blood Shover

Line-up
Gianluca GL Perotti – Vocals
Manuel Togni – Drums
Simone Franzè – Bass
Stefano Franzè – Guitars

MORTADO – Facebook

Vultures Vengeance – The Knightlore

Un songwriting di livello e il gran lavoro strumentale non fanno che confermare le ottime sensazioni che avevano destato i lavori precedenti e i Vultures Vengeance ne escono alla grande anche dalla prova su lunga distanza.

Anche per i romani Vultures Vengeance è arrivato il momento del debutto su lunga distanza dopo il primo demo ed un paio di ep (Where The Time Dwelt It uscito nel 2016 e Lyrids: Warning From The Reign Of The Untold pubblicato lo scorso anno) che ne avevano caratterizzato la discografia in questi primi dieci anni di attività.

Il quartetto capitanato dal leader e fondatore Tony T. Steele, impegnato in veste di chitarrista e cantante, lancia il suo grido di guerra tramite otto canzoni pregne di atmosfere epiche che si rifanno alla tradizione metallica anni ottanta, tramite un epic metal duro e puro, una manna per i defenders legati al genere.
Dimenticate quindi soluzioni care al power metal, The Knightlore ci presenta un sound ispirato dalla new wave of british heavy metal e dall’epic di Citith Ungol e Manilla Road, convincente ed orgogliosamente old school.
Fin dall’opener A Great Spark from the Dark la band ci scaraventa in un mondo parallelo, dove onore, sangue ed eroi trovano la loro ideale dimensione, raccontati per mezzo di un sound classico che non farà prigionieri tra gli amanti del genere e dei gruppi citati.
Un songwriting di livello e il gran lavoro strumentale non fanno che confermare le ottime sensazioni che avevano destato i lavori precedenti e i Vultures Vengeance ne escono alla grande anche dalla prova sulla lunga distanza, mentre le chitarre continuano a sanguinare come spade estratte dai corpi dei guerrieri nemici.
Pathfinder’s Call, la title track, la furiosa Dead Men and Blind Fates riecheggiano epiche e metalliche contribuendo a rendere The Knightlore un’opera consigliata a tutti gli amanti del genere.

Tracklist
1. A Great Spark from the Dark
2. Fates Weaver
3. Pathfinder’s Call
4. The Knightlore
5. Lord of the Key
6. Dead Men and Blind Fates
7. Eye of a Stranger
8. Chained by the Night

Line-up
Tony T. Steele – Vocals / Guitars
Matt Savage – Bass
Tony L.A. Scelzi – Guitars
Matt Serafini – Drums

Origin – Abiogenesis – A Coming into Existence

Più diretto rispetto alle più intricate ultime prove, il sound degli Origin era comunque valorizzato dalla tecnica stupefacente che ha reso il gruppo statunitense è diventato un punto di riferimento per gli amanti del genere.

Abiogenesis – A Coming into Existence è una sorta di prequel (come nella migliore tradizione delle saghe cinematografiche) della storia discografica degli Origin, una delle band più conosciute ed apprezzate nel technical death.

La band statunitense infatti tornata sul mercato dopo lo sfavillante ultimo lavoro (Unparalleled Universe) uscito lo scorso anno, mette mani su del materiale inciso prima della nascita del gruppo, ovviamente mai pubblicato e con l’aggiunta del primo ep uscito nel 1998 (A Coming into Existence) dando vita ad un nuovo album che, se non arriva al livello compositivo del disco uscito un paio di anni fa, poco ci manca.
Le tracce che compongono il primo cd intitolato Abiogenesis sono state scritte tra il 1990 ed il 1993, quindi siamo agli albori del genere, il sound alterna molti elementi grind ad un brutal death che già faceva intuire la grande tecnica in possesso degli Origin, un massacro sonoro senza soluzione di continuità che trova poi in A Coming Into Existence (posta nel secondo cd) la sua prima esplosione di furia iconoclasta data in pasto ai fans del genere.
Più diretto rispetto alle più intricate ultime prove, il sound degli Origin era comunque valorizzato dalla tecnica stupefacente che ha reso il gruppo statunitense è diventato un punto di riferimento per gli amanti del genere.
L’opera è sicuramente consigliata ai fans della band e del genere, risultando un buon modo per completare la collezione di cd targati Origin.

Tracklist
Disc 1 – Abiogenesis
1.Insanity
2.Mauled
3.Autopsied Alive
4.Spastic Regurgitation
5.Bleed as Me
6.Mind Asylum
7.Infestation
8.Murderer

Disc 2 – A Coming into Existence
1.Lethal Mainpulation the Bone Crusher Chronicles
2.Sociocide
3.Manimal Instincts
4.Inner Reflections the Pain from Within
Line-up
Paul Ryan – Guitars, Vocals (additional)
Clint Appelhanz – Bass, Guitars, Vocals (additional)
George Fluke – Drums
Jeremy Turner – Guitars, Vocals
Mark Manning – Vocals

ORIGIN – Facebook