Hanormale – Reborn In Butterfly

Hanormale è una concezione superiore e altera del black metal e più in esteso della visione musicale nel suo insieme.

Hanormale è, in breve, una concezione superiore e altera del black metal, e più in esteso della visione musicale nel suo insieme.

Se si cerca un lavoro musicale totale, senza barriere e nemmeno riferimenti conosciuti, l’universo è quello sterminato del black metal, ma il resto è totalmente sconosciuto e molto prezioso. Questa avventura sonora nasce nel 2009 per mano di Arcanus Incubus, e fin da subito la conduce per vie inesplorate, usando il black come se fosse l’Arcadia di Capitan Harlock, e anche noi se vogliamo possiamo far parte dell’equipaggio. Non ci sono limiti o regole, ci si spinge oltre sempre e comunque. Un pezzo comincia in una maniera, poi al terzo minuto siamo già a due o tre stili musicali diversi che vi possiamo trovare dentro. E non è nemmeno tutto, poiché vi sono progressioni musicali totalmente inaspettate e di grande spessore. Descrivere un disco come Reborn In Butterfly è impossibile, ci vorrebbe un libro o una tesi universitaria, sicuramente bisogna sentirlo e risentirlo ancora, affinché la meraviglia che genera arrivi bene dentro di noi. Il titolo dice molto di quello che sarà poi la musica, qui c’è una morte ed una rinascita come farfalla, con tutti gli stadi intermedi. Musica che proviene dal caos, caos che diventa ordine e tutto si concatena perfettamente, perché l’ordine non appartiene né alla vita né alla morte. Dalla prima all’ultima nota, non necessariamente in ordine, tutto è concatenato e i sentimenti sono l’unica guida. Hanormale copre un’estesa porzione dello scibile umano, vengono qui coinvolte tantissime tradizione e molti possibili futuri, e questa grandiosità si traduce in musica. Quello che questo disco vuole comunicarci, anche se ognuno troverà giustamente un messaggio diverso, è che ci sono cose che possiamo compenetrare solo diventando qualcosa di altro e di diverso da noi, ed in questo senso il black metal è il veicolo perfetto. Molti altri stili fanno qui la loro comparsa, e sono tutti al servizio della narrazione che Hanormale concepisce e mette in musica. Un disco di caratura superiore e da ascoltare in ordine naturale o sparso, ma per farlo bisogna diventare noi stessi medium di questa splendida musica.

Tracklist
1.It Is Happening Again
2.Like A Hug, Darkness Embrace Us All
3.Human
4.Satan Is a Status Symbol
5.Ghettoblaster BlackMetal
6.Hakuzosu
7.Candentibus Organis
8.Rare Green Areas
9.Al Tanoura
10.Iperrealismo
11.The Search For The Zone
12.Requiem For Our Dead Brothers

HANORMALE – Facebook

Beneath The Hollow – Nihilist

Nihilist è composto da sei brani che nulla aggiungono e nulla tolgono al metal moderno, un modo per spaccarsi il testone in headbanging sfrenati se si è fans del genere, da ignorare se questo modo di fare metal non raggiunge corde scaldate dai suoni classici e old school.

Quello che alcuni anni fa veniva descritto come alternative metal, definizione generica e non propriamente esatta per certe realtà, si è trasformato in groove metal, etichetta molto più modaiola ed ancora più astratta.

Alla fine anche i Beneath The Hollow, band in arrivo da Chicago, suonano metal moderno diviso tra un’anima thrash ed un altra core ed il loro ep, intitolato Nihilist, non fa altro che seguire i soliti cliché del genere, un metal estremo che non manca di melodie, sia in qualche passaggio strumentale che nell’alternanza tra scream/growl e voce pulita.
Nihilist è composto da sei brani che nulla aggiungono e nulla tolgono al metal moderno, un modo per spaccarsi il testone in headbanging sfrenati se si è fans del genere, da ignorare se questo modo di fare metal non raggiunge corde scaldate dai suoni classici e old school.
Il groove ovviamente non manca in brani come Killing Floor e Our Own Hell, con il quintetto statunitense che raggiunge lidi nu metal con Omens.
I Machine Head del controverso The Burning Red e i Pantera sono i gruppi che più ispirano i Beneath The Hollow, mentre le parti propriamente alternative ricordano note fuoriuscite nell’ultimo decennio del secolo scorso in quel di Seattle.

Tracklist
1.Killing Floor
2.Our Own Hell
3.Spineless
4.Nihilist
5.Omens
6.Doom

Line-up
Aaron Revels- Vocals
Jesse DeGroot- Guitar
Tyler Williams- Bass
Matt DeGroot- Drums
URL Facebook

BENEATH THE HOLLOW – Facebook

Blind Monarch – What Is Imposed Must Be Endured

I Blind Monarch offrono un lavoro di grande sostanza e convincente dalla prima all’ultima nota: certo, qui il sound è volto ad evocare solo sofferenza e stoica sopportazione, per cui ognuno si prenda la propria croce con la prospettiva di portarsela appresso per il resto dei suoi giorni, senza che possa arrivare il Cireneo del caso ad alleviarne il peso.

Ciò che ci viene imposto deve essere sopportato: questo è quanto ci viene comunicato dai Blind Monarch con il titolo del loro album d’esordio, intitolato appunto What Is Imposed Must Be Endured.

Del resto tutto ciò è la sintesi estrema del doom, che non deve essere scambiata come una forma passiva di rassegnazione bensì quale presa di coscienza dell’ineluttabile.
Il quartetto di Sheffield sembra provenire direttamente dal secolo scorso, sia come approccio che come immagine e questo non è affatto un male, considerando che di quest’ora scarsa ci musica suddivisa in quattro lunghi brani resta la viva sensazione d’aver ascoltato il genere in una delle sue forme più pure ed incontaminate.
La band inglese prende sicuramente sputo dal seminale Forest Of Equilibrium dei connazionali Cathedral (nella parte centrale della traccia autointitolata è riscontrabile un incedere non dissimile a quello di Ebony Tears), rielaborandone però la lezione sostituendo l’anima psichedelica con una ben più pesante e vischiosa componente che può rimandare a protagonisti invece d’oltreocaeno come i magnifici Bell Witch: il risultato che ne consegue è un lavoro ruvido, corposo e privo di spunti melodici, perché se bisogna proprio caricarsi sulle spalle il peso di questa esistenza lo si deve fare senza palliativi di sorta.
E’ anche per questo, quindi, che Tom Blyth non fa sconti a livello vocale passando dal growl ad un aspro screaming non facendo nulla per apparire gradevole, mentre il fratello Adam sciorina riff rocciosi dimostrando però di saperci fare anche quando è chiamato a tessere qualche trama solista.
Solo nell’ultimo brano, Living Altar, appaiono passaggi più rarefatti, con tanto di vocalizzi femminili (forniti sempre dalla famiglia Blythe), decisamente ben costruiti e funzionali all’alternanza con i più canonici momenti basati su un impietoso e monolitico doom.
I Blind Monarch offrono un lavoro di grande sostanza e convincente dalla prima all’ultima nota: certo, qui il sound è volto ad evocare solo sofferenza e stoica sopportazione, per cui ognuno si prenda la propria croce con la prospettiva di portarsela appresso per il resto dei suoi giorni, senza che possa arrivare il Cireneo del caso ad alleviarne il peso.

Tracklist:
1. Suffering Breathes My Name
2. My Mother, My Cradle, My Tomb
3. Blind Monarch
4. Living Altar

Line-up:
Paul Hubbard – Bass
Lee Knights – Drums
Adam Blyth – Guitars
Tom Blyth – Vocals

Fiona Blyth Vocals (track 4)

BLIND MONARCH – Facebook

Polar – Nova

Un disco molto organico, potente, melodico e con esplosioni notevoli, per un gruppo che ha compiuto un passo molto importante nella propria evoluzione.

Nuovo album per i londinesi Polar, che propongono una miscela di post hardcore e metalcore, con una spruzzata di elettronica.

Dopo diversi episodi discografici i Polar hanno sentito il bisogno di cambiare rotta, essendo attivi dal 2009, e ovviamente invecchiando le cose si vedono in maniera diversa, le prospettive cambiano, la mutazione è prima nel nostro cervello poi seguono molte altre cose. Nei dischi precedenti il gruppo aveva affrontato anche temi politici, mentre qui le vicende narrate hanno un carattere maggiormente personale. Il loro suono è molto peculiare, parte dal post hardcore ma non ne possiede la melodia, bensì ne sottolinea la drammaticità e la capacità di creare tensione. Le melodie, che vengono create soprattutto grazie ai riff di chitarra che si combinano con la sezione ritmica, sono ottime ma non vengono messe al di sopra di tutto come fanno altri gruppi simili, bensì sono un elemento che concorre a creare esplosioni sonore. Ecco, questa è una delle caratteristiche migliori di questo gruppo, che in certi momenti offre passaggi molto belli e ritornelli che creano disordine dal vivo. I Polar sono sicuramente una band per giovani, il loro metal è moderno ma possiedono caratteristiche che li distinguono nettamente da quelli a loro affini. Ci sono certi passaggi, certi momenti che sono molto luminosi, infatti il loro proposito era quello di creare un disco che fosse come una nova appunto, che altro non è che un’esplosione che fa diventare la stella più lucente. Ogni passaggio è concatenato molto bene, e tutti gli elementi occupano il loro posto. Il risultato è un disco molto organico, potente, melodico e deflagrante, per una band che ha compiuto un passo molto importante nella sua evoluzione.

Tracklist
1- Mære
2- Devil
3- Cradle
4- Drive
5- Adore
6- Sonder
7- Amber
8- Breathe
9- Prey
10- Dusk
11- Midnight
12- Brother

Line-up
Adam Woodford – vocals
Tom Gree – guitars
Fabian Lomas – guitars
Jonny Bowman – bass
Nick Jones – drums

POLAR – Facebook

Sadism – Ethereal Dead Cult

Attitudine spropositata, impatto debordante ed una atmosfera umida e polverosa come i cunicoli di oscure catacombe fanno di questo ritorno firmato Sadism un lavoro dedicato agli amanti del death metal old school.

I Sadism sono un’istituzione nel loro paese, il Cile.

La band sudamericana torna con l’ottavo album della sua trentennale carriera, che l’ha vista attraversare decenni di metal estremo con l’orgoglio di essere una delle più famose e longeve band di metal estremo del proprio continente.
Ethereal Dead Cult risulta una mazzata di death metal old school (o classico, fate voi) impressionante, con un sound che affonda le sue radici a cavallo tra gli anni ottanta e novanta, quando i primi lavori di Morbid Angel e compagnia mettevano a ferro e fuoco l’underground estremo mondiale.
Light Embrace e No Opposites danno il via alla macabra danza, il growl del singer Ricardo Roberts accompagna un sound grezzo, dalle scorie thrash di stampo slayerano che animano questi dieci tributi al genere, senza soluzione di continuità.
Il massacro ritmico su cui è strutturata Hypnotic Conjuring, la devastante The Spectral Veils valorizzano un lavoro decisamente diretto e senza fronzoli.
Attitudine spropositata, impatto debordante ed una atmosfera umida e polverosa come i cunicoli di oscure catacombe fanno di questo ritorno firmato Sadism un lavoro dedicato agli amanti del death metal old school.

Tracklist
01.Light Embrace
02.No Opposites
03.Agonize
04.Black Halo Solaris
05.Hypnotic Conjuring
06.This Burial Is Ours
07.The Spectral Veils
08.The Blanderer
09.Ethereal Dead Cult
10.Full Of Parasites

Line-up
Ricardo Roberts – Vocals
Gabriel Hidalgo – Guitars
Juán Eduardo Moore – Bass Guitar
Juán Pablo Donoso – Drums
Rodrigo Alpe – Session & Live Guitars

SADISM – Facebook

Ultio – Fera Ep

Una tempesta che si abbatte sulle vostre teste, e si sta bene in mezzo ai rovesci, tra quella violenza sonora, quel qualcosa in più che possiedono solo i dischi black metal che sono di un livello superiore.

Black metal classicheggiante, feroce, estremo e bellissimo.

Il debutto della one man band Ultio, per l’etichetta genovese Brucia Records, è un pugno in faccia, uno di quelli che fanno bene ma sono molto pesanti. Questo ep è un atto d’amore incondizionato verso il black metal che genera un magma sonoro dentro al quale l’ascoltatore si vuole annientare, un abbattimento di tutto ciò che lo circonda attraverso questo suono. Fin dalle prime convulse e granitiche note si può sentire che Ultio conosce e controlla molto bene la materia che tratta, le ripartenze sonore sono fulminee, il suono è martellante e non lascia scampo, la batteria trancia tendini ed ossa come su un campo di battaglia, i riff sono molto adeguati e lasciano il segno. Fera è un concentrato di venti minuti di battaglia sonora, nella quale le tenebre vincono nettamente e senza appello, dove la luce non si vede mai se non per negativo, e in cui la forza sonica spazza via tutto. La lunghezza del disco è giusta, riuscendo così a concentrare tante cose in poco spazio, con una tensione musicale fortissima. Fera delizierà gli estimatori della prima e seconda ondata del black metal, ma tutti gli amanti del nero metallo qui troveranno un prodotto selvaggio e senza rimorsi. Inoltre il disco può essere ascoltato come un unicum sonoro, dato che il filo conduttore è sempre lo stesso, e si dipana in vari rivoli che poi confluiscono in un mare nero. Era da tempo che un disco black non obbligava a schiacciare nuovamente il tasto play dopo la fine, per riascoltarlo ancora e Fera spinge a farlo più volte. Una tempesta che si abbatte sulle vostre teste, e si sta bene in mezzo ai rovesci, tra quella violenza sonora, quel qualcosa in più che possiedono solo i dischi black metal che sono di un livello superiore. Registrato in poco tempo, il lavoro possiede anche una certa urgenza tipica degli albori del genere, un no future molto bene marcato e presente.
Un gran bel debutto, e aspettiamo già il prossimo disco di Ultio.

Tracklist
1.Beasts
2.Ablaze
3.Beyond the fog
4.The right weapon

Line-up
Ultio – Everything

Bergraven – Det framlidna minnet

Grande talento compositivo di Par Stille, artista che non ha timore di sporgersi oltre i limiti del black, miscelandolo in un blend multidimensionale e arricchendolo di nuova vita.

Per lunghi dieci anni Par Stille ha tenuto ghiacciata la sua creatura, la “Montagna Nera” (Bergraven) e devo anche dire che, sinceramente, con la grande quantità di materiale uscito nel frattempo, io me ne ero anche dimenticato; aver letto di una nuova uscita ha risvegliato i sensi nel ricordo delle interessanti opere del passato: Fordarv (2004), Dodsvisioner (2007) e Till Makabert Vasen (2009).

Avanguardistico Black che non ha timore di oltrepassare i limiti del genere, di inglobare frammenti multidimensionali a creare brani fluidi, sempre stimolanti e open mind; opere da recuperare per godere del talento multiforme di Par Stille, musicista svedese, che in questi dieci anni ha dedicato il suo talento allo sviluppo del suono di Stilla, quattro dischi dal 2013, orientato su un black più tradizionale a tinte naturalistiche. Il ritorno dei Bergraven è un piacere per il nostro apparato uditivo, la struttura complessa dei brani, otto per quasi cinquantacinque minuti, ci conduce in una sfida dove la fluidità del suono si accompagna a una capacità di integrare strutture jazz/folk senza pari. La band, un trio costituito dagli stessi musicisti di Stilla, offre tante suggestioni nelle sue evoluzioni come gli otto minuti di Der Dodens Stiger, in cui un inizio black atmosferico lentamente si sfilaccia in trame acustiche madrigalesche e medievaleggianti, ricche di pathos e tristezza. I brani variano, non sono ancorati a strutture prefissate, con l’aiuto di strumenti non usuali nel black come sax, trombe, vibrafono e piano, e i risultati conquistano in Leendet av ans verk dove il folk si coniuga con naturalezza al jazz per un risultato dal sapore particolare. L’ingresso della tromba a metà del brano è da pelle d’oca e il tutto viene inglobato in una furia black che conduce al termine. Difficile spiegare il disco e le sue sensazioni scrivendo solo qualche riga, ma invito gli ascoltatori a provarlo, lasciandosi trasportare dal grande talento compositivo di Par Stille, artista che non ha timore di sporgersi oltre i limiti del genere.

Tracklist
1. Minnesgåva
2. Allt
3. Den följsamma plågan
4. Minnets melankoli
5. Leendet av hans verk
6. Den dödes stigar
7. Till priset av vårt liv
8. Eftermäle

Line-up
Pär Stille – Bass Vocals, Guitars
Andreas Johansson – Bass
J. Marklund – Drums

BREGRAVEN – Facebook

Alpha Wolf – Fault

Gli Alpha Wolf non inventano nulla, ma riescono a fondere fra loro in maniera molto originale degli elementi che sono esistenti ma che non sempre facili da legare.

Alpha Wolf sono un gruppo australiano che pone in maniera notevole la violenza in musica.

Fault è il titolo del loro ultimo ep, pubblicato dopo vari demo e dopo il debut album Mono del 2017 su Greyscale Records. Mettiamo subito una cosa in chiaro: questi australiani sono una delle cose più interessanti uscite negli ultimi anni in campo metalcore, il loro groove è devastante e hanno anche un pizzico di deathcore nel loro suono, e qualcosa anche del nu metal. Ogni canzone è una lama affilata che taglia chirurgicamente l’obiettivo, non scappa nulla, tutto è molto intenso e studiato per creare devastazione dal vivo. Gli Alpha Wolf non inventano nulla, ma riescono a fondere fra loro in maniera molto originale degli elementi che sono esistenti ma che non sempre facili da legare. Non manca la melodia nelle loro composizioni, tutto è funzionale ad una violenza sonora che si manifesta in forme e modi differenti a seconda del momento e delle cose che si vogliono esprimere. La tensione è sempre alta, succede sempre qualcosa nelle loro canzoni, la voce graffia e culla in maniera ossessiva, ci sono repentini cambi di tempo, la cadenza non è velocissima ma è devastante. Nell’affollato panorama attuale del metalcore gli Alpha Wolf sono uno dei gruppi dalle maggiori peculiarità e dalle molte possibilità che le mostrano in questo ep che dovrebbe essere quello che li farà notare nel mondo, anche grazie al fatto che esce per una sussidiaria della Nuclear Blast, la Sharptone Records. Come biglietto da visita non è per niente male anzi, finalmente un disco metalcore molto potente e con influenze diverse. Fault è un ep da gustare fino in fondo, magari andando anche a riscoprire il loro disco precedente.

Tracklist
1. No Name
2. Spirit Breaker
3. Russian Roulette
4. Fault
5. Sub Zero
6. The Lonely Bones

Line-up
lochie
scottie
john
sabian
mitch

ALPHA WOLF – Facebook

Inferi – The End of an Era | Rebirth

Death melodico scandinavo e technical death metal si fondono nelle trame veloci ed intricate degli Inferi, che hanno confezionato un’opera estrema molto interessante.

Tornano sul mercato i deathsters statunitensi Inferi, al sesto full length della loro carriera, iniziata una dozzina d’anni fa con il debutto Divinity in War.

La band, proveniente dalla patria del country (Nashville, Tennessee), ci propone da anni il suo melodic death metal tecnicissimo, tempestoso e alimentato da una furia travolgente.
The End of an Era | Rebirth è composto da una decina di esplosioni sonore dove la parola d’ordine è velocità supersonica, una estremizzazione del sound dei Children Of Bodom, band più vicina agli Inferi di quanto si possa pensare.
Death melodico scandinavo e technical death metal si fondono nelle trame veloci ed intricate degli Inferi, che hanno confezionato un’opera estrema molto interessante.
Un sound che non lascia tregua, e da Gatherings in the Chamber of Madness si viene travolti da una tempesta di note che incollano l’ascoltatore alla poltrona colpendolo con micidiali frustate melodic death suonate a mille all’ora.
Il bello è che il gruppo non perde mai la bussola e l’ascolto se ne giova, tra solos sempre più veloci in cui non mancano melodie di matrice scandinava e le ritmiche dettano l’andatura inumana di tracce violentissime come A New Breed Of Savior, The Warrior’s Infinite Opus e Cursed Unholy.
Quasi un’ora di funambolismi, scale, salite e discese a velocità proibitive e ritmiche forsennate, il tutto pervaso da un talento melodico sorprendente.

Tracklist
1.The Ruin of Mankind
2.Gatherings in the Chamber of Madness
3.The Endless Siege
4.A New Breed of Savior
5.Sentenced to Eternal Life
6.The War Machine Embodiment
7.The Warrior’s Infinite Opus
8.Quest for the Trinity
9.Forged in the Phlegethon
10.Cursed Unholy

Line-up
Malcolm Pugh – Guitars
Mike Low – Guitars
Spencer Moore – Drums
Andrew Kim – Bass
Stevie Boiser – Vocals

INFERI – Facebook

Marianas Rest – Ruins

Ruins va ben oltre le già elevate aspettative, proiettando i Marianas Rest ai vertici di una scena melodic death doom che, in Finlandia, pare davvero attingere ad un filone aureo apparentemente inesauribile.

Dopo un primo album splendido come Horror Vacui, pubblicato nel 2016, c’era una certa attesa per una sorta di prova del nove che per una band è il secondo full length, quello che ha il compito di consolidare e magari evolvere quanto di buono già mostrato in occasione dell’esordio.

Ruins in realtà va ben oltre le aspettative, proiettando la band finlandese ai vertici di una scena melodic death doom che, nella terra dei mille laghi, pare attingere ad un filone aureo apparentemente inesauribile.
I Marianas Rest si presentano con Kairos, un brano che per ritmica ed interpretazione vocale mostra più di una inclinazione black che ben si sposa con l’incedere ricco di tensione, addolcita con il contributo melodico di un sempre superbo lavoro chitarristico; la successiva canzone, The Spiral, è un’altra delle travi portanti del lavoro, in virtù di uno sviluppo a tratti più pacato ma altamente drammatico.
Dopo aver regalato un quarto d’ora di musica magnificamente intensa il gruppo finnico continua a sciorinare brani che non lasciano spazio ad indugi o riempitivi: i ritmi tendono mediamente ad accelerare senza che, però, il senso di malinconia che pervade l’intero lavoro finisca per essere messo in secondo piano; tra queste tracce spicca una trascinante Unsinkable, che appare l’ideale sintesi di un sound che collega al meglio il tragico incombere dei migliori Swallow The Sun con la vocazione melodica degli Insomnium.
Quando si arriva al termine di un’altra gemma come Restitution, ben più che soddisfatti di quanto già ascoltato, con la traccia conclusiva Omega l’archiviazione di Ruins come ottimo disco viene messa in discussione visto che tale valutazione rischia di apparire persino ingenerosa: il brano capolavoro trova spazio proprio in coda, con il suo crescendo emotivo irresistibile che conduce ad un finale dominato da un lunghissimo e commovente assolo di chitarra.
Come l’aquila, che è il simbolo ed il nome in lingua madre della loro città, Kotka, i Marianas Rest spiccano un maestoso volo verso le vette più altre del genere, sedendosi con pari dignità allo stesso tavolo di quelle band che hanno rappresentato la naturale quanto inevitabile fonte d’ispirazione.

Tracklist:
1. Kairos
2. The Spiral
3. Hole in Nothing
4. The Defiant
5. Unsinkable
6. Shadows
7. Restitution
8. Omega

Line-up:
Harri Sunila – Guitars
Nico Mänttäri – Guitars
Jaakko Mäntymaa – Vocals
Nico Heininen – Drums
Niko Lindman – Bass
Aapo Koivisto – Keyboards

MARIANAS REST – Facebook

Signs Of Human Race – Inner Struggle Of Self-Acceptance

E’ un sound intimista e nervoso quello che la band ha creato per dar vita ai cinque lunghi brani che compongono la tracklist di Struggle Of Self-Acceptance, che alterna, com’è da tradizione del genere, parti metalliche ed estreme a più pacati momenti di post rock dalle atmosfere che non permettono di scendere al di sotto di un grado di tensione elevato.

Le vie del progressive moderno portano su strade ormai battute ma pur sempre affascinanti, come dimostra il debutto dei Signs Of Human Race, quintetto bresciano che in questa primavera 2019 debutta con Inner Struggle Of Self-Acceptance, opera progressivamente metallica, alternativa ed avanguardistica.

Licenziato dalla Sliptrick Records, label acchiappatutto nel panorama underground europeo, l’album del gruppo lombardo non mancherà di soddisfare gli amanti dei suoni progressivi dal taglio moderno, sempre in bilico tra impatto estremo, sound drammatico, nervoso e dark, ed un’attitudine alternativa che risulta un mix perfettamente bilanciato tra metal estremo di matrice death (Opeth), prog rock alternativo (Tool) ed ispirazioni tradizionali che rimandano al prog psichedelico dei Pink Floyd.
Non male per un debutto, anche perché i Signs Of Human Race si dimostrano band capace di far dimenticare all’ascoltatore di essere al cospetto di una giovane band al debutto, con una serie di brani maturi, personali e perfetti nel saper miscelare le varie influenze che ispirano i cinque musicisti.
E’ un sound intimista e nervoso quello che la band ha creato per dar vita ai cinque lunghi brani che compongono la tracklist di Inner Struggle Of Self-Acceptance, che alterna, com’è da tradizione del genere, parti metalliche ed estreme a più pacati momenti di post rock dalle atmosfere che non permettono di scendere al di sotto di un grado di tensione elevato, mentre la musica (e qui sta il bello) scorre fluida grazie ad un songwriting ispirato.
Diventa difficile scegliere un brano in particolare, ma direi che i dodici minuti conclusivi della bellissima Choking In Hopeless Agony possono tramutarsi facilmente nel sunto compositivo del questo ottimo lavoro, consigliato senza remore agli amanti del genere.

Tracklist
1. Dreaming Reality
2. Above The Languages Of Life
3. Journey Into Self-Reflection
4. Of Love And Misgiving
5. Choking In Hopeless Agony

Line-up
Remek James Robertson – Vocals/Keyboards
Diego Lorenzi – Guitars
Alessandro Ducroz – Guitars
Davide Brighenti – Bass
Samuele Leonard Sereno – Drums

SIGNS OF HUMAN RACE – Facebook

Evangelist – Deus Vult

Album consigliato agli amanti del doom classico, Deus Vult porta avanti la tradizione dei maestri svedesi e chiudendo gli occhi vi sarà chiara la sensazione di essere al cospetto del saio di Messiah Marcolin.

Il cavaliere crociato in ginocchio su un tappeto di resti umani, stanco per le decine di battaglie rende grazia al signore, ancora vivo e pronto per portare la sua parola in terre ostili.

La colonna sonora che rende viva questa immagine non può che essere un potente ed epico esempio di doom metal classico e declamatorio, notevole nelle parti in cui la chitarra si erge a protagonista di solos ispirati, mattatrice di questo ultimo lavoro della misteriosa band chiamata Evangelist.
Poche informazioni provengono dal gruppo polacco, arrivato con Deus Vult al terzo full length in dieci anni di attività, un album classico ed estremamente evocativo in cui non mancano gemme doom di elevato spessore come Memento Homo Mori, Prophecy e la conclusiva Eremitus (Keeper Of The Grail).
Siamo nel doom metal ispirato da Candlemass e Atlantean Codex, potente e ben strutturato dal duo di Cracovia che rimane nell’ombra lasciando alla musica il compito di catturare i fans del genere.
Come accennato il ruolo della chitarra solista è preponderante nell’economia dei brani, ispirata ed emozionale quanto basta perché si possa credere che sanguini come la punta della spada conficcata nel cuore degli infedeli.
Album consigliato agli amanti del doom classico, Deus Vult porta avanti la tradizione dei maestri svedesi e chiudendo gli occhi vi sarà chiara la sensazione di essere al cospetto del saio di Messiah Marcolin.

Tracklist
1.God Wills It!
2.Memento Homo Mori
3.Heavenwards
4.Prophecy
5.The Passing
6.The Leper King
7.Eremitus (Keeper of the Grail)

EVANGELIST – Facebook

Bleeding Utopia – Where the Light Comes to Die

Un album consigliato senza remore agli amanti del death metal scandinavo che troveranno più di uno spunto proveniente dagli anni d’oro del genere.

Una tempesta di suoni estremi di matrice Swedish death si abbatterà su di voi dopo aver premuto il tasto play del vostro lettore, una forza della natura, implacabile nel suo sfogo senza soluzione di continuità, ma in grado di regalare spunti melodici vincenti e perfettamente incastonati in un sound formato da tuoni e fulmini old school.

Loro sono i Bleeding Utopia da Västerås (Svezia) e Where the Light Comes to Die è il loro terzo album in uscita per Black Lion Records, suonano Swedish Death di matrice old school, melodico quel tanto che basta per valorizzare un approccio assolutamente devastante.
I riff sono comandamenti scritti nelle tavole della legge del genere, solos di ispirazione classica ma con un passo indietro rispetto ad un impatto da death metal band classicamente scandinava.
Il quintetto si può certo definire come una via di mezzo tra Dismember, At The Gates e Primi Edge Of Sanity, con un insana e folle corsa verso lidi slayerani che ne accentuano la vena estrema di brani distruttivi, melodici e debordanti che da Ascendants Of Hate, traccia che da via al bombardamento sonoro, in poi non trova ostacoli.
Where the Light Comes to Die è  senza remore agli amanti del death metal scandinavo che troveranno più di uno spunto in arrivo dagli anni d’oro del genere.

Tracklist
1.Ascendants of Hate
2.Seek Solace in Throes
3.Enhance My Wrath
4.Already Dead
5.Welcome to My Pantheon
6.Crown of Horns
7.Ruthless Torment
8.III and Daunting Perversions
9.Heralds of Hate and Defiance

Line-up
David Ahlen – Bass, Vocals
Andreas Moren – Guitars
Adam Björk – Drums
Kristian Järvenpää – Guitars
Iiro “Ipe” Jarva – Bass

BLEEDING UTOPIA – Facebook

Lyfordeath – Nullius In Verba

Oscuro, pesante, dai ritmi serrati e dal grande impatto, il sound della band portoghese reclama un posto nelle novità più convincenti del panorama estremo del loro paese e non solo, l’album è un esempio dell’alta qualità dei gruppi lusitani, sempre un passo avanti quando si tratta di metal estremo dalle atmosfere più cupe.

A confermare l’ottima salute della scena estrema portoghese irrompono sul mercato i Lyfordeath, trash/death metal band fuori con il primo lavoro su lunga distanza intitolato Nullius in Verba.

Oscuro, pesante, dai ritmi serrati e dal grande impatto, il sound della band portoghese reclama un posto nelle novità più convincenti del panorama estremo del loro paese e non solo, l’album è un esempio dell’alta qualità dei gruppi lusitani, sempre un passo avanti quando si tratta di metal estremo dalle atmosfere più cupe.
Un’anima progressiva vive tra i solchi di Nullius In Verba, così come le tante sfumature nero/gotiche che portano ai re del metal estremo portoghese, i Moonspell.
Ma attenzione, di black metal nell’album non esiste traccia, fin dall’opener Tenebrae è un oscuro thrash metal potenziato di mid tempo death che detta le regole, avvolto da un drappo nero di ispirazione dark/gothic che invece esalta l’atmosfera di brani davvero pesanti come Mortal, nove minuti in cui litanie doom/dark vengono soppiantate da sfuriate thrash metal per una delle tracce più interessanti dell’album.
Il canto, che raggiunge toni profondi nelle parti più pulite, si avvicina non poco a quello più famoso del sacerdote dei Moonspell, Fernando Ribeiro, mentre l’opera si conclude con le due parti della title track, sunto del credo musicale della band, tra death, thrash, atmosfere dark e poetici passaggi recitati.
Nullius In Verba è un album consigliato agli amanti delle sonorità descritte, una delle tante sorprese che ci riserva l’underground estremo.

Tracklist
1.Prophetia
2.Tenebrae
3.Lumine
4.Dawn of Souls
5.Mortal
6.Carved in the Bones
7.Ignio
8.The Day the Hell Froze
9.Deus Ex Machina
10.Nullius in Verba – Act. 1
11.Nullius in Verba – Act. 2

Line-up
Gil Dias – Vocals
Emanuel Ribeiro – Bass, Back Vocals
João Almeida – Guitar
Carlos Moreira – Guitar
Luís Moreira – Drums

LYFORDEATH – Facebook

Eluveitie – Ategnatos

Il lavoro migliore e più oscuro di un’ottima discografia, un’avventura musicale che continua ad essere notevole ed unica.

Gli svizzeri Eluveitie sono un capitolo a parte nel grande romanzo del folk metal, e con questo ultimo lavoro rilasciano una delle loro prove migliori, continuando la loro perenne evoluzione verso l’alto.

Ategnatos è uno dei loro dischi più veloci e rabbiosi, sempre con una grandissima presenza della melodia, portando ad un livello molto alto il loro discorso musicale. Il titolo è in gallico, e significa rinascita, ed infatti questo disco è un percorso attraverso le tenebre verso qualcosa che ci renderà diversi. La componente epica e pagana degli Eluveitie è sempre stata molto importante, una ben precisa cifra stilistica che è la loro struttura profonda. Questo disco è però un cambiamento importante, un cercare qualcosa di differente, un insinuarsi nelle vene aperte del folklore nordico, in special modo gallico e celtico, per cercare una via alternativa per il futuro attraverso il passato. Sicuramente è il loro lavoro maggiormente profetico, quello a più alto tasso di occulto, anche se loro non sono mai stati un gruppo che offre un folk metal buono solo per ubriacarsi. La musica di Ategnatos è magniloquente e alta, epica e molto veloce, quasi come se tutto il lavoro fosse svolto sotto dettatura di uno spirito del passato. I tanti elementi del gruppo concorrono tutti insieme per dare il meglio, ed infatti gli Eluveitie sono una grande band che ha saputo supplire benissimo ai cambi di formazione. Il disco si basa anche sul concetto degli archetipi, che hanno accompagnato da sempre l’uomo nella sua travagliata storia, e che sono l’eredità più profonda che abbiamo, poiché sono essi stessi trasmissione di una sapienza autentica ed antica. Per aggiungere una maggiore profondità epica, gli Eluveitie hanno suonato in studio con un vero quartetto d’archi ed il risultato è molto valido. Se si dovesse scegliere un pezzo su tutti forse Worship, con la partecipazione dell’immenso Randy Blythe dei Lamb Of God alla voce, è il pezzo che rappresenta meglio lo spirito di questo lavoro, il migliore e più oscuro di un’ottima discografia, un’avventura musicale che continua ad essere notevole ed unica.

Tracklist
1. Ategnatos
2. Ancus
3. Deathwalker
4. Black Water Dawn
5. A Cry In The Wilderness
6. The Raven Hill
7. The Silvern Glow
8. Ambiramus
9. Mine Is The Fury
10. The Slumber
11. Worship
12. Trinoxtion
13. Threefold Death
14. Breathe
15. Rebirth
16. Eclipse

Line-up
Chrigel Glanzmann – Vocals, Whistles, Mandola, Bagpipes, Bodhran
Fabienne Erni – Vocals, Celtic Harp, Mandola
Alain Ackermann – Drums
Rafael Salzmann – Guitars
Jonas Wolf – Guitars
Kay Brem – Bass
Michalina Malisz – Session Hurdy Gurdy –
Matteo Sisti – Whistles, Bagpipes, Mandola
Nicole Ansperger – Fiddle

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Árstíðir Lífsins – Saga á tveim tungum I: Vápn ok viðr

L’ennesima opera superba offerta da questo gruppo di musicisti unici per la loro capacità di avvolgere il black metal di un’aura solenne ed emozionante.

Saga á tveim tungum I: Vápn ok viðr è il quarto full length di una delle creature più pregiate in ambito black metal emerse nell’ultimo decennio.

Nulla di strano, a ben vedere, nel momento in cui si realizza che l’islandese Árni, motore della band, fa parte anche dei formidabili Carpe Noctem, oltre ad aiutare Marcel Dreckmann negli altrettanto grandi Helrunar.
Il musicista tedesco contraccambia prestando la sua profonda voce alla riuscita del progetto a cui partecipa anche l’altro germanico Stefan, coinvolto a sua volta nei notevoli, ma ormai da tempo ai box, Kerbenok. Diciamo subito che, in quest’ultima opera, il black metal così come lo conosciamo viene spesso scalzato da una solenne anima folk che sovrasta per potenziale evocativo l’impatto delle tracce più robuste. Infatti, al termine dell’ascolto di questo splendido lavoro, è difficile rimuovere dalla memoria brani di rara profondità emotiva come Sundvǫrpuðir ok áraþytr, Siðar heilags brá sólar ljósi e Fregit hefk satt, che non spezzano la tensione ma semmai ne aumentano l’impatto allorché la stessa viene scaricata tramite cavalcate perfette per scrittura ed esecuzione come Fornjóts synir ljótir at Haddingja lands lynláðum, Morðbál á flugi ok klofin mundriða hjól  o Stǫng óð gylld fyr gǫngum ræfi.
Dopo quasi un’ora di splendida musica arriva la lunghissima chiusura di matrice black doom Haldi oss frá eldi, eilífr skapa deilir, traccia che racchiude nel suo limpido scorrere tutte le anime che pulsano all’interno degli Árstíðir Lífsins.
Saga á tveim tungum I: Vápn ok viðr si rivela così l’ennesima opera superba offerta da questo gruppo di musicisti unici per la loro capacità di avvolgere il black metal di un’aura solenne ed emozionante che si stacca per approccio sia dalla tradizione scandinava, sia dalle più recenti tendenze cascadiane provenienti da oltreoceano,  offrendo una cifra stilistica difficilmente replicabile per chiuque.

Tracklist:
1.Fornjóts synir ljótir at Haddingja lands lynláðum
2.Sundvǫrpuðir ok áraþytr
3.Morðbál á flugi ok klofin mundriða hjól
4.Líf á milli hveinandi bloðkerta
5.Stǫng óð gylld fyr gǫngum ræfi
6.Siðar heilags brá sólar ljósi
7.Vandar jǫtunn reisti fiska upp af vǫtnum
8.Fregit hefk satt
9.Haldi oss frá eldi, eilífr skapa deilir

Line-up:
Árni – Drums, Percussion, Viola, Cello, Organ, Vocals, Vocals (choirs)
Stefán – Guitars, Bass, Piano, Vibraphone, Vocals, Vocals (choirs)
Marsél – Vocals, Choirs, Narration

ARSTIDIR LIFSINS . Facebook

Flesh Temple – Fire, Promise…

Nel complesso questo ep deve essere valutato positivamente nella sua veste di prima uscita per i Flesh Temple: i tre brani sono piuttosto efficaci pur se non ancora in grado di lasciare un segno indelebile.

E’ dallo stato dell’Alberta che ci giunge questa nuova proposta all’insegna del death doom: ne è autore Eli Elliott, che fa tutto da solo in occasione di questa prima uscita del suo progetto Flesh Temple.

Il musicista canadese è attivo anche nel duo black metal Mausoleum e, in effetti, certe accelerazioni ritmiche che si ascoltano nel corso di Fire, Promise… sono riconducibili a questo retaggio; tutto ciò rende sicuramente interessante questa prima prova che appare più sbilanciata sul versante estremo del sound rispetto a quello più malinconico e dolente tipico del doom, anche se nella title track l’incedere si fa a tratti più riflessivo lasciando spazio ad apprezzabili passaggi di chitarra solista.
Nel complesso questo ep deve essere valutato positivamente nella sua veste di prima uscita per i Flesh Temple: i tre brani sono piuttosto efficaci pur se non ancora in grado di lasciare un segno indelebile, penalizzati anche da una produzione che in certi frangenti mette troppo in primo piano il suono della batteria finendo per lasciare sullo sfondo gli altri strumenti e la voce.
Comunque le basi poste da Elliott per questa sua nuova avventura appaiono piuttosto solide, per cui non resta che attenderne i futuri sviluppi.

Tracklist:
1.Conduit
2. Tears
3. Fire, Promise

Line-up:
Eli Elliott- All instruments

Destroyers Of All – The Vile Manifesto

Un album consigliato a tutti gli amanti del thrash metal di scuola americana che non disdegnano estremismi ed atmosfere progressive.

The Vile Manifesto è il terzo lavoro dei thrashers portoghesi Destroyers Of All dopo un primo ep licenziato nel 2013 (Into The Fire) ed un secondo lavoro uscito un paio d’anni fa (Bleak Fragments).

Il quintetto di Coimbra se ne esce con un album convincente sotto tutti gli aspetti: il suo death/thrash richiama le sonorità di matrice americana, indurendone l’impatto e mettendo in risalto la propria bravura tecnica con ricami progressivi.
The Vile Manifesto è un gran bel lavoro e il songwriting all’altezza della situazione valorizza questi quaranta minuti di metal effervescente, duro come l’acciaio ma nel quale non mancano sorprese compositive come lo stacco di matrice samba nel bel mezzo del massacro di Destination Unknown.
Non perde colpi questo album, in tutto il suo svolgimento la tensione rimane altissima così come la qualità dei brani che si mantiene su un livello medio alto, regalando bordate death/thrash di grande spessore come l’opener Tohu Wa-Bohu, The Elephant’s Foot e la iper tecnica Sheol.
Un album consigliato a tutti gli amanti del thrash metal di scuola americana che non disdegnano estremismi ed atmosfere progressive.

Tracklist
1.Tohu Wa-Bohu
2.False Idols
3.Destination: Unknown
4.Break the Chains
5.The Elephant’s Foot
6.The Dead Valley
7.Sheol
8.Ashmedai
9.HellFall
10.Kill the Preacher

Line-up
João Mateus – Vocals
Alexandre Correia – Guitar
Guilherme Busato – Guitar
Bruno da Silva – Bass
Filipe Gomes – Drums

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Iced Earth – Enter The Realm EP

La Century Media ristampa Enter The Realm, il primo demo degli Iced Earth, inizio di una delle carriere più longeve ed importanti del metal classico americano.

Tutto iniziò da qui: la storia di una delle metal band americane più amate dagli estimatori dei suoni classici partì esattamente trent’anni fa da questi cinque brani più intro che formavano un demo intitolato Enter The Realm.

La carriera degli Iced Earth di Jon Schaffer ebbe il suo apice nella seconda metà degli anni novanta, tra Burnt Offerings licenziato nel 1995, The Dark Saga e Something Wicked This Way Comes, usciti rispettivamente nel 1996 e nel 1998, senza ombra di dubbio i tre album capolavoro del gruppo di Tampa.
Una discografia che non è mai scesa sotto un buon livello qualitativo, anche se i problemi per il chitarrista ritmico più sottovalutato della storia del metal classico a stelle e strisce, ma lodato per il suo enorme talento come songwriter e della sua creatura, non sono certo mancati.
Prima del successo, con il passaggio dietro al microfono di Matthew Barlow e poi del chiacchierato Ripper Owens e infine del bravissimo Stu Block, c’erano cinque musicisti con la passione per la new wave of british heavy metal, il thrash della Bay Area e l’U.S. power metal.
Nel 1989 il chitarrista ritmico Jon Schaffer, insieme a Greg Seymour (batteria), Gene Adam (voce), Dave Abell (basso) e Randy Shawver (chitarra solista) diede alle stampe questo demo, appunto l’inizio di quella che diventerà una delle più longeve ed importanti realtà uscite dalla scena classica statunitense.
E’ anche per merito di Colors, dell’oscura Nightmare o della superba Iced Earth se la band divenne un punto di riferimento ed ispirazione per molti gruppi metal negli anni a venire, probabilmente la band statunitense più influente sulle nuove generazioni insieme ai Nevermore di Warrel Dane, parlando di metal di scuola classicamente americana.
Enter The Realm verrà ristampato dalla Century Media in formato CD, digitale e per la prima volta anche in vinile, per gli amanti del gruppo un acquisto obbligato.

Tracklist
1.Enter the Realm
2.Colors
3.Nightmares
4.To Curse the Sky
5.Solitude
6.Iced Earth

Line-up
ICED EARTH Line-Up 1989
Jon Schaffer – rhythm guitar, backing vocals
Greg Seymour – drums
Gene Adam – vocals
Dave Abell – bass guitar
Randy Shawver – lead guitar

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Falaise – A Place I Don’t Belong To

Furia, stasi, estasi, pianto e meraviglia, per un disco che non si vorrebbe mai smettere di ascoltare, facendosi trascinare in qualcosa di molto intimo, di struggente e di solipsistico.

Il titolo di questo disco, A Place I Don’t Belong To, è un qualcosa che molti di noi provano sulla propria pelle e dentro la propria pelle.

Quella sensazione di essere in un posto, o meglio, dentro una vita che non gli appartiene e di non trovare mai una casa: tutto ciò è dentro questo disco e si va anche oltre, grazie allo splendido post black metal dei Falaise, un duo proveniente da Todi. Qui tutto è finalizzato ad emozionare e a stupire nel senso che avevano queste parole nel mondo classico, ovvero meravigliare in maniera profonda. Ci sono momenti, come nel pezzo finale della traccia Leaves In The Wind, ma se ne potrebbero citare molto altri, che sono di valore assoluto, nei quali si vorrebbe correre gridando per prati sotto la pioggia, rotolarsi in qualche altra vita, chiudere gli occhi e basta. Disco figlio del dolore di vivere e di avere qualcosa a cui davvero non si appartiene, ma da ciò può scaturire un album come questo, contenitore di un post black metal di assoluto valore e di grande originalità. I Falaise sono attivi dal 2015 e hanno sempre prodotto cose di buona qualità, partendo dal black metal e andando a compiere una sintesi molto originale e bella del post black metal. Questo sottogenere è avanzato molto negli ultimi anni grazie a gruppi molto validi, ma i Falaise sono di un altro livello. Nella loro proposta musicale il black metal è ancora molto presente, i brani sono costruiti con un approccio neo classico, e ci sono anche elementi di molti altri generi, come lo shoegaze, il metal sinfonico ed altro. Tutti questi differenti codici musicali vengono usati, insieme ad una voce in growl, per portare l’ascoltatore in alto, per farlo sognare ad occhi aperti, ma forse è meglio chiuderli per sognare più forte. Non esiste un pezzo migliore come non ci sono riempitivi, qui tutto scorre per rimanere impresso nella memoria: ci sono momenti molto vicini al black più tradizionale, anche perché i Falaise giocano con la chitarra, mentre la batteria è sublime ed è un elemento portante. Furia, stasi, estasi, pianto e meraviglia, per un disco che non si vorrebbe mai smettere di ascoltare, facendosi trascinare in qualcosa di molto intimo, di struggente e di solipsistico. Un disco a cui aprire le braccia e abbandonarsi completamente.

Tracklist
1.Intro
2.Once, My Home
3.When The Sun Was Warming My Heart
4.A Place I Don’t Belong To
5.An Emptiness Full Of You
6.Leaves In The Wind
7.Consumed Soul
8.Holding Nothing

Line-up
Matteo Guarnello – Vocals, Keyboards, Drums –
Lorenzo Pompili – Guitars, Bass –

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