Powerdrive – Rusty Metal

Rusty Metal si rivela un lavoro imperdibile grazie a dieci brani perfetti, dieci inni al rock’n’roll style, dai chorus che, dopo un solo ascolto, sono già lì a ronzarvi in testa, dieci candelotti di nitroglicerina dai riff scolpiti sulle tavole della legge del rock.

Girate la chiave, accendete i motori e lasciate che la vostra macchina metallica sfrecci nella notte tra le curve della riviera del ponente ligure fino al ponte immaginario che vi collegherà alle coste degli States, tra la città degli angeli e le strade della polverosa frontiera.

L’ascolto del debutto dei rockers savonesi Powerdrive sarebbe da vietare mentre si è alla alla guida; troppo pericoloso, troppi effetti collaterali, troppa voglia di schiacciare il piede sul pedale dell’acceleratore e portare la vostra auto e i vostri sensi al limite: d’altronde The Road Is My Best Friend come canta Machine Gun Miche, vocalist dei Machine Gun Kelly, uno che di hard rock se ne intende.
I Powerdrive nascono nel 2013, ma dopo poco tempo l’attività si ferma per ricominciare nel 2015, con una line up che vede, oltre al cantante, Dr. Rock (ex Sfregio, Denial, Hastur) e Jacopo Napalm (Eligor ex Sacradis, Hastur) alle chitarre, Roby Grinder (Winternius, ex Sacradis, Sfregio, Hastur) al basso e Ylme (ex Sfregio, Lethal Poison) alla batteria.
Dopo essere stata chiusa ai Blackwave Studios quel tanto che basta per uscirsene con questa esplosiva raccolta di brani, la band piazza uno straccio dentro il serbatoio del bolide che li ha portati in giro nella notte, avvicina la fiamma dell’accendino e mentre le prime note dell’opener riempiono lo spazio, il botto e le fiamme fanno da coreografia al loro hard & heavy, pregno di rock ‘n’roll di scuola Ac/Dc, Motorhead e della scuola losangelina.
Rusty Metal si rivela un lavoro imperdibile grazie a dieci brani perfetti, dieci inni al rock’n’roll style, dai chorus che, dopo un solo ascolto, sono già lì a ronzarvi in testa, dieci candelotti di nitroglicerina dai riff scolpiti sulle tavole della legge del rock.
Solo Lady Of The Moonlight, power ballad posta a metà album, raffredda i bollenti spiriti dell’ascoltatore, travolto dalla forza dei quattro brani che danno il via al bombardamento targato Powerdrive; rilassate le membra si riparte con Serpent Seib e non ci si ferma più.
Hard To Survive, Living, il punk rock di Singin’ In The Cemetery (che tanto sa di Ramones) e la canzone autointitolata vi strapperanno un sorriso maligno: è l’ora di togliersi la cravatta, sbottonare la camicia, salire in auto e sfrecciare nella notte con l’acceleratore a tavoletta e il rock’n’roll dei Powerdrive nelle orecchie.

Tracklist
1.The road is my best friend
2.Hard to survive
3.Living hell
4.On the run
5.Moonlight lady
6.Serpent seib
7.Fire in the small club
8.Midnight dancer
9.Powerdrive
10.End of the world

Line-up
Machine Gun Miche – Vocals
Dr. Rock – Guitars
Jacopo Napalm – Guitars
Roby Grinder – Bass
Ylme – Drums

POWERDRIVE – Facebook

Postcards From Arkham – Spirit

L’aria in questo lavoro è differente, si respira a pieni polmoni grazie a musica composta con cura e talento, per un disco che raggiunge il cuore e ci porta a stupirci nuovamente della musica, finalmente dei suoni che ci rendono la vita migliore.

Ritorna l’ottimo gruppo ceco Postcards From Arkham, che offre musica progressiva misteriosa e malinconica ispirandosi a H.P. Lovecreaft, nume immenso e tutelare di chi nelle tenebre vede meglio che nella luce piena.

Spirit è il loro ultimo lavoro ed è come sempre un piccolo grande capolavoro. Partendo dai capisaldi della letteratura lovecraftiana il disco si snoda attraverso una struttura onirica, con musiche progressive che si adattano alle situazioni da raccontare, con una voce che ci sussurra e ci racconta storie che vengono da lontano, o forse dalla foresta più vicina. Ascoltando Spirit si viene pervasi da un senso di ricongiungimento a qualcosa da cui eravamo lontani, prigionieri delle nostre false convinzioni e delle nostre assurde sicurezze. Rispetto agli altri loro dischi, che consigliamo tutti molto caldamente, Spirit è ammantato da bellissime percussioni che punteggiano i momenti più importanti, rinforzando melodie che sono particolari ed originali di questo gruppo, che è una vera gemma nascosta dell’underground europeo. Lo scopo di questo lavoro è quello di far innalzare per qualche tempo la nostra anima ascoltando questi suoni che sono magici, oscuri ma positivi, hanno dentro il post rock e suoni etnici, qualcosa del neofolk e tanto di sognante e mesmerico. Musicalmente sono sempre stati un gruppo molto avanti, ma qui si superano ed innalzano ad un livello superiore la loro musica, raggiungendo vette molto alte, infatti l’ultima bellissima traccia del disco si intitola per l’appunto Elevate. L’aria in questo lavoro è differente, si respira a pieni polmoni grazie a musica composta con cura e talento, per un disco che raggiunge il cuore e ci porta a stupirci nuovamente della musica, finalmente dei suoni che ci rendono la vita migliore. I Postcard From Arkham finalizzano il loro percorso di maturazione con un’opera molto importante e dai grandi contenuti che si pone al di là dei generi.

Tracklist
1. One world is not enough
2. From the bottom of the ocean
3. Owls not what they seem
4. 2nd of april
5. Thousand years for us
6. Polaris
7. My gift, my curse
8. Elevate

POSTCARDS FROM ARKHAM – Facebook

Vreid – Lifehunger

Il sound dei Vreid è ben più composito e ricco di sfaccettature rispetto a quello pur sempre apprezzabilissimo del cosiddetto black’n’roll”; così, pur senza assumere toni preponderanti, heavy metal, hard rock e altre sfaccettature entrano a buon diritto nel tessuto sonoro di Lifehunger consentendoci di ascoltare una raccolta di brani scorrevoli e convincenti.

Parlare dei Vreid non equivale certo a farlo per una qualsiasi band proveniente dalla Norvegia e dedita al black metal.

Il combo di Sogndal è, infatti, come la maggior parte dei lettori saprà molto bene, la diretta emanazione di ciò che furono i Windir, una delle band più importanti del movimento black scandinavo ed una delle prime, soprattutto, ad inserire nel genere elementi folk e pagan in maniera più convinta ed articolata.
Dopo la morte prematura di Valfar, i Windir di fatto non si sciolsero ma mutarono il loro monicker in Vreid, cambiando, saggiamente, le sonorità ed optando per un black più diretto e allo stesso tempo aspro ma non per questo monolitico.
Se gli anni migliori per il gruppo sono forse stati quelli della fine dello scorso decennio, il livello delle uscite si è sempre mantenuto ben al di sopra della media, e se una punta di opacità era stata riscontrata nei più recenti Welcome Farewell e Sólverv, si può tranquillamente affermare che con Lifehunger questa viene spazzata via per lasciare spazio a quello che, in maniera decisamente riduttiva, viene definito dalla stessa band black’n’roll.
In realtà il sound dei Vreid è ben più composito e ricco di sfaccettature rispetto a quello pur sempre apprezzabilissimo all’insegna del “palla lunga e pedalare”; così, pur senza assumere toni preponderanti, heavy metal, hard rock o addirittura qualcosa di vicino al country (Hello Darkness) entrano a buon diritto nel tessuto sonoro di Lifehunger consentendoci di ascoltare una raccolta di brani scorrevoli, intriganti e decisamente vari.
Se i Vreid scaricano tutti i cavalli in Sokrates Must Die o nella title track, d’altra parte dimostrano di sapersi muovere anche a ritmi più ragionati (One Hundred Years, Heimatt) senza perdere mai di vista il proprio filo conduttore; questi musicisti sono oggi una garanzia di qualità all’interno del genere e se, magari, la band è meno celebrata rispetto alle altre “storiche”, ciò avviene solo perché spesso ci si dimentica che si tratta della logica e naturale evoluzione di un gruppo che, nello scorso millennio, contribuì fattivamente alla crescita esponenziale di una scena che ancora oggi continua a diffondere il proprio misantropico ed irrequieto sentire.

Tracklist:
1. Flowers & Blood
2. One Hundred Years
3. Lifehunger
4. The Dead White
5. Hello Darkness
6. Black Rites in the Black Nights
7. Sokrates Must Die
8. Heimatt

Line-up:
Sture: Vocals & guitars
Strom: Guitars
Steingrim: Drums
Hváll- Bass and keys

Guest Musician
Aðalbjörn ‘Addi’ Tryggvason (SÓLSTAFIR): vocals on “Hello Darkness”

VREID – Facebook

NeversiN – The Outside In

I Neversin mettono in campo le loro doti al servizio di dodici piacevoli brani che formano un album fresco e solare, nel quale il metal sposa soluzioni tecnicamente importanti, mantenendo ugualmente un approccio caldo ed una forma canzone ben definita.

Non sono pochi gli album usciti negli ultimi anni che hanno rinfrescato la scena progressive metal, specialmente per quanto riguarda la scena underground italiana, una delle più ricche di talenti.

Certo che il prog metal classico (quello che si rifà ai Dream Theater, tanto per intenderci), ha poche frecce da scagliare contro il bersaglio dell’originalità, ma con album piacevoli, prodotti e suonati bene come il terzo lavoro dei nostrani NeversiN il risultato è ampiamente convincente e consigliato agli amanti del genere.
In The Outside In troverete prog metal di classe che non disdegna passaggi di ruvido hard & heavy e più melodico classic rock, un buon cantante che ricorda James La Brie ed una raccolta di brani che, appunto, uniscono grinta e melodia sotto il segno del metal progressivo, genere non così facile da proporre se non si è bravi musicisti ed ottimi songwriter.
Il quintetto nostrano mette in campo un po’ tutte queste caratteristiche, al servizio di dodici piacevoli brani che formano un album fresco e solare, nel quale il metal sposa soluzioni tecnicamente importanti, mantenendo un approccio caldo ed una forma canzone che in brani davvero belli come A Storm Is Coming, Life Preserved, o nelle ultime quattro tracce che formano la splendida suite The Symphony Of Light, confermano la band come un’ottima alternativa ai soliti nomi, proveniente dall’undergorund tricolore.
Come sempre la Revalve ha visto giusto, licenziando questa ottima terza prova dei NeversiN, gruppo che ha le carte in regola per non farsi dimenticare dagli appassionati.

Tracklist
01 – When Darkness Falls…
02 – A Storm Is Coming
03 – Rage, Pt. 2
04 – Life Preserved
05 – Rain
06 – B.O.Y. (Because of You)
07 – Light of the West
08 – Evenstar
09 – Cosmic Stroll in C# (Symphony of Light – Movement I)
10 – Light the Universe (Symphony of Light – Movement II)
11 – The Main Sequence (Symphony of Light – Movement III)
12 – Collapse (Symphony of Light – Movement IV)

Line-up
BeN – Vocals
Skench – Guitars
Sgana – Guitars
Hurt – Bass
Albertino – Drums

NEVERSIN – Facebook/

The Flesh – Dweller

Ventidue minuti di note che creano un mondo (quello dei The Flesh) di totale annientamento psichico, disturbante ed estremo come i generi da cui trae abominevole energia per arrivare inesorabilmente alla fine.

All’ascolto di Dweller non si può non constatare l’attitudine estrema degli olandesi The Flesh, tale da far impallidire una buona fetta delle band ascoltate negli ultimi tempi sotto la voce hardcore/punk.

La band olandese, composta da membri di Herder, Vervohed e Blood Diamond, trascende dai generi e si impone come decadente ed alcolico disfacimento mentale e fisico, un bombardamento di lucida pazzia che unisce in un sound corrosivo hardcore, crust, stoner malatissimo e black metal.
Ne esce un mostro cerebrale, un sound che trascina in un vortice di autolesionismo fagocitando pustole di menti malate e vomitandole insieme ai residui di fegato e organi impregnati di whiskey.
La voce di Jelle Kunst è un urlo di dolore sopra un tappeto di musica torturata da ritmiche sludge e black metal, come se nelle varie Black Rain o Siren’s Call, Darkthrone e Motorhead si riunissero per una jam crust/hardcore.
Lunga discesa nell’inferno del decadimento, Dweller non lascia speranze, il suo violento incedere non dà tregua, mentre Kunst vomita ormai senza freni perversione e livore.
Ventidue minuti di note che creano un mondo (quello dei The Flesh) di totale annientamento psichico, disturbante ed estremo come i generi da cui trae abominevole energia per arrivare inesorabilmente alla fine.

Tracklist
1.Tot In Den treure
2.Black Rain
3.Siren’s Call
4.Dweller (In The Dark)
5.Salax
6.Thrones In The Sky
7.A Knife To The Conformist
8.Fire Red Gaze

Line-up
Jelle Kust – Vocals
Sven Post – Guitars
Jeroen Vrielink – Bass
Tom Nickolson – Drums

THE FLESH – Facebook

Rabhas – Maelstrom

L’impatto è notevole, i brani sono convincenti, manca solo un minimo di cura in più nella produzione, ma è un dettaglio messo in ombra dal monumentale impatto che il gruppo produce con questa raccolta di brani estremi.

Continuano ad arrivare interessanti proposte dall’underground estremo nazionale come i bolognesi Rabhas, band attiva dal 2011 e con alle spalle un primo demo ed un full length (Demolizione) uscito nel 2014.

Questo nuovo album Maelstrom, invece, è uscito nella primavera di quest’anno tramite la label russa Narcoleptica Prod ed è composto da nove brani cantati in italiano, come da tradizione del gruppo.
E appunto di un maelstrom musicale si tratta, un devastante death metal che non disdegna parti intricate capaci di mettere in evidenza la buona tecnica del gruppo che alterna death metal classico a parti più brutali e dall’impatto di un asteroide.
Il growl brutale accompagna dunque le evoluzioni dei musicisti impegnati sulle varie Maelstrom, Perversione Assassina, la progressiva Putridamente, in un death metal di scuola americana e consigliato agli amanti di Death, Morbid Angel ed Obituary.
L’impatto è notevole, i brani sono convincenti, manca solo un minimo di cura in più nella produzione, ma è un dettaglio messo in ombra dal monumentale impatto che il gruppo produce con questa raccolta di brani estremi.
Maelstrom si rivela così un buon lavoro per gli amanti del death metal di matrice statunitense, ai quali va l’invito a supportare il gruppo bolognese.

Tracklist
1.Intro
2.Maelstrom
3.Perversione assassina
4.Nevrotomia
5.Putridamente
6.Effetto nocebo
7.Visione
8.Rabhas
9.Tenebrae ad Libitum

Line-up
L – vocals
Preck – bass + guitars
Sguicio – drums
Fischio – guitars

RABHAS – Facebook

Ultha – The Inextricable Wandering

Grande affresco di black metal angosciante, disperato e figlio della desolazione metropolitana. Un’opera di altissimo livello.

Nella recensione del loro ultimo full length Converging Sins, del 2016, mi auguravo un’ulteriore crescita della band tedesca e tale auspicio, alla luce del nuovissimo lavoro, è stato assolutamente ben riposto.

Anche l’approdo alla potente Century Media non ha scalfito di una virgola la proposta di questi artisti, che proseguono la loro strada peculiare e personale, mettendo a fuoco il loro sound, senza perdere un oncia di potenza e passione costruendo noto dopo nota un’ atmosfera oscura, drammatica, angosciante. Memori dei suoni del passato (nel 2016, coverizzarono Raise the Dead di Quorthon), i quattro musicisti di Colonia definiscono un passionale suono black metal, miscelandolo con misteriosi aromi darkwave e derive doom: il risultato che ne scaturisce è un blend affascinante estremamente avventuroso e dal flavour metropolitano; non respiriamo gli aromi derivanti dalle fredde lande scandinave, ma la puzza del degrado urbano, la dissoluzione della civiltà industriale. E’ angosciante viaggiare all’interno di questi sei brani per più di un’ora di musica: l’approccio disperato è disturbante, la proposta non è immediata, non ci sono comfort zone, tutto è lacerante; non aspettatevi cambi di tempo repentini all’interno dei brani, che sono invece infinite cavalcate appassionate, condotte su note di basso ora avvolgenti ora frenetiche, con le chitarre instancabili nel tessere trame sonore prettamente black con le tastiere che immergono il tutto in un atmosfera grigia, fosca e plumbea. Non una nota sprecata, non manierismi, il suono è altamente coinvolgente fin dall’ opener The Avarist, quindici minuti meravigliosi che ci immergono in mondi bui, senza speranza ma allo stesso tempo ammalianti. Il potere dell’oscurità penetra i nostri sensi, diventa un tutt’uno con la nostra essenza vitale e ci spinge ad amare incondizionatamente tutte le note espresse nell’album sia quando l’afflato cosmico e l’ambient presenti in There Is No Love, High Up in the Gallows ci fanno galleggiare in un liquido amniotico primordiale, sia quando le note ossessive, noir e cinematografiche di We Only Speak in Darkness ci ricordano che… you exist for nothing. Le pressanti pulsioni dark wave di Cyanide Lips si aprono in un disperato scream forgiando un black angosciante e senza futuro. L’ “inestricabile vagare” del titolo ci “costringe” ad affrontare con paura le disilluse note dei quasi diciannove minuti dell’ultimo disperato viaggio: I’m Afraid to Follow You There, dove una fredda e distaccata maestosità lentamente si sfibra in note black feroci, capaci di fagocitare l’ultimo anelito di speranza che pensavamo di avere. Sarebbe fantastico vedere questa band dal vivo, nel frattempo godiamoci quest’opera di altissimo livello. Tra le uscite dell’anno ha trovato sicuramente un posto importante nella mia anima, insieme all’esordio dei Mare.

Tracklist
1. The Avarist (Eyes of a Tragedy)
2. With Knives to the Throat and Hell in Your Heart
3. There Is No Love, High Up in the Gallows
4. Cyanide Lips
5. We Only Speak in Darkness
6. I’m Afraid to Follow You There

Line-up
C – Bass, Vocals
M – Drums
A – Electronics
R – Guitars, Vocals

ULTHA – Facebook

Anisoptera – Spawn Of Odonata

Spawn Of Odonata è composto da otto brani di death progressivo e dissonante, in linea con quanto proposto negli ultimi tempi dai gruppi prog e technical metal.

Arrivano dalla Bay Area, luogo storico per il metal a stelle e strisce (specialmente parlando di thrash e death metal), gli Anisoptera, duo in attività dal 2014 con un demo seguito dal singolo Ammonite, licenziato un anno dopo e che troverete in questo nuovo full length.

Spawn Of Odonata è composto da otto brani di death progressivo e dissonante, in linea con quanto proposto negli ultimi tempi dai gruppi prog e technical metal.
Il mood è brutale, la provenienza da un luogo storico come la Bay Area si sente, ma il duo ne valorizza l’aspetto più tecnico con una serie di partiture intricate che arricchiscono l’approccio estremo del gruppo con sonorità jazz e fusion, nascoste nell’atmosfera estrema di brani come Rebirth, Cursed o Sterilization.
Randall Krieger e Robby Perry mettono la tecnica al servizio del sound, e rispetto a molti loro colleghi la parte più violenta e metallica è sempre in evidenza: un bene, perché Spawn Of Odonata rimane legato ben stretto al genere, senza lasciare i lidi estremi per avventurarsi in generi totalmente opposti al classico death metal.
Le ritmiche sono i constante cambiamento di tempi e modi, pur con una potenza sempre devastante, il growl è arcigno e la chitarra ha il suo daffare nel creare scale vorticose ma seguendo sempre l’economia del brano.
L’album si chiude al meglio con Heterochromia Iridis, brano strumentale acustico, mai come in questo caso definibile quale sorta di quiete dopo la tempesta metallica.

Tracklist
1. Parasite
2. Rebirth
3. Cursed
4. Aerial Predator
5. Sporadic Cycle
6. Ammonite
7. Sterilization
8. Heterochromia Iridis

Line-up
Randall Krieger- Guitar
Robby Perry- Vocals

ANISOPTERA – Facebook

Akroterion – Decay of Civilization

Alle soglie del capolavoro, la conferma della qualità assoluta di quello che è un grandioso gruppo italiano: l’oscurità e le tenebre in musica, raccontate in maniera creativa e personale.

L’opera seconda di questa eccezionale band italiana – un trio composto da Skrat (voce), BP Gjallar (chitarre, basso, sintetizzatori) e Francisco Verano (batteria) – esce non casualmente il 21 settembre, giorno dell’equinozio di autunno: gli Akroterion sono infatti da sempre attenti cultori di tematiche di matrice esoterico-occulta ed astrologico-ermetica.

Decay of Civilization presenta sette nuove tracce, splendidamente tenebrose e drammatiche, intarsiate di elementi dark, doom, ma soprattutto thrash e black mutati, sulla scia di Celtic Frost e in parte Coroner. In certi frangenti e nella costruzione delle atmosfere, poggiando su di una competenza artistico-musicale e tecnico-compositiva di prim’ordine, gli Akroterion paiono inoltre guardare ancora più indietro, a certo oscuro prog, per proiettarlo poi in questo nostro assurdo terzo millennio. Fondamentale al riguardo, secondo l’opinione di chi scrive, è l’uso di tastiere e synth, che rendono abilmente il sound tanto antico ed ancestrale quanto moderno e futuristico. Siamo in presenza di un gioiello, che risplende di luce (nera), possente e meditativo nel medesimo tempo, sperimentale ed originale, che merita – a mio avviso – un posto di assoluto primo piano tra i dischi dell’anno.

Tracklist
1- Initiatory Death
2- Blood Label
3- Red Dawn Under a Chemical Sky
4- Soul Corruption
5- Brains
6- Decay of Civilization
7- The Gift of Lady Death

Line-up
Skrat – voce
BP Gjallar – chitarre. basso, sintetizzatori
Francisco Verano – batteria

AKROTERION – Facebook

Hierophant – Spawned Abortions

I deathsters romagnoli Hierophant sono rimasti in tre, ma la devastante carica estrema e maligna che li ha sempre contraddistinti è rimasta immutata

I deathsters romagnoli Hierophant sono rimasti in tre, ma la devastante carica estrema e maligna che li ha sempre contraddistinti è rimasta immutata.

La band, torna con questo 7” in cui troviamo nel lato A l’inedito Spawned Abortions, che conferma la proposta assolutamente sopra le righe dei ravennati, e nel lato B la cover del classico Realm Of Chaos dei leggendari Bolt Thrower.
Il death metal feroce e carico di malata attitudine hardcore ci investe in tutta la sua furia in Spawned Abortions, nuovo massacro sonoro di scuola Hierophant all’insegna del, caos primordiale, un attacco frontale che si trasforma in una mattanza quando le note della storica Realm Of Chaos, tornano a dispensare morte e sofferenza.
Lorenzo Gulminelli (voce e chitarra), Ben Tellarini (batteria) ed il nuovo arrivato Fabio Carretti (basso e voce) sono le figure che stanno dietro questo mostro sonoro chiamato Hierophant, una delle realtà più convincenti dell’ottima scena death metal tricolore.

Tracklist
1.Spawned Abortions
2.Realm Of Chaos

Line-up
Lorenzo Gulminelli – Vocals/Guitar
Ben Tellarini – Drums
Fabio Carretti – Bass/Vocals

HIEROPHANT – Facebook

MINERVIUM – ETERNO E OMEGA

Buon ep d’esordio per questo combo black metal di Catanzaro. Un primo passo, sicuramente non falso, che molto ci racconta delle espressioni tipiche del genere mediterraneo, sia per liriche e tematiche proposte, che per linguaggio e manifestazione musicale

Quando si parla di black metal immediatamente si pensa a satanismo, anticristianesimo, occultismo o a tematiche (spesso molto care ad un certo black francese) più legate a stati d’animo umani connessi con la depressione, la disforia, la grigia malinconia e frequentemente anche misoginia, odio, avversione nei confronti di tutto e tutti (il cosiddetto “Anti”).

Ma quando ci si appropinqua a band provenienti dalla Grecia e, appunto, dalla nostra penisola, si può spesso incappare in produzioni fortemente influenzate dall’antichità classica (Magna Grecia ed Impero Romano).
I Minervium – già il nome ci riconduce immediatamente ad una precisa fase storica del nostro Paese – non fanno eccezione.
La Colonia Minervia, o più semplicemente Minervium, fu un territorio romano (inizialmente conosciuto come Solacium, città del letterato Cassiodoro – siamo circa cent’anni prima di Cristo) sito proprio sulla costa ionica, poco più a sud di Catanzaro, città natale della band, composta da Vulr (voce, all’anagrafe Kristian Barrese), Antonius Pan (chitarra), Angelo Bilotta (batteria) e Gianluca Molè (basso).
Apprezzando indubbiamente il loro attaccamento alla propria terra natia, ammiriamo volentieri il black metal da loro proposto – cantato in italiano – sicuramente di ottima fattura. Il combo, esplicitamente influenzato da quella che io definisco “fascia mediterranea” (Portogallo, Grecia e ovviamente Italia su tutte), esordisce con questo ep di 5 tracks, uscito oggi in formato digitale, ma previsto su cd il prossimo gennaio per l’attivissima russa Narcoleptica Productions (già label di band quali Darkestrah, Ritual americani e di altre 50 bands circa).
Dopo l’intro Il canto del mare (un melodico arpeggio, cullato dal leggiadro suono di onde che si infrangono sulla battigia), la prima vera track Invocando il passato, mostra fin da principio, quanto i nostri abbiano a cuore miscelare ad uno dei più classici black metal, viete atmosfere, momenti di secolare doom e nostalgiche malinconie di un antico nostro passato che fu. Anche le successive due canzoni (Cenere e la title track) paiono impregnate di vetusto passato, dove l’Antico ne imbeve ogni singola nota. Interitus (dal latino = annientamento) , ultimo breve momento strumentale di veloce black, più che categorico annullamento, a chiusura definitiva, ci appare come un nuovo inizio, un trait d’union con la prossima produzione, quasi che fosse l’attacco iniziale della prima track di un imminente probabile futuro album.
Non manca nulla: tremolo, scream, blast beat, up-tempo e mid-tempo, sapientemente alternati, armonicamente amalgamati, e soprattutto ben bilanciati, per non indurre mai l’ascoltatore, né alla noia e al sonno indotti dalla ripetitività dei tempi cadenzati, né alla schizofrenica monotonia delle hyper velocità fini a se stesse. Sonnamboliche atmosfere contornano tutto l’album, e il cantato in italiano clean spesso rende il tutto ancor più arcaico, d’un fascino remoto.
L’ascolto è piacevole, le sonorità sono limpide e la definizione musicale dei singoli strumenti ripone indubbiamente a loro favore. Una produzione all’altezza, ci permette inoltre di apprezzare le buone capacità tecniche dei ragazzi di Catanzaro. Ovvio, non siamo di fronte all’album che sconvolgerà le masse (è comunque un mini-album di esordio, ricordiamolo), ma sicuramente arricchisce la nostra scena, e propone una “new entry” che potrà dire la sua, in un futuro prossimo, in un scena, quella del black nostrano, sempre più imperiosamente ai vertici mondiali del genere.
In attesa di un full-length, ci godiamo appieno il nuovo arrivato, ma che profuma di antichi aromi e di primeve fragranze musicali.

Tracklist
1. Il canto del mare
2. Invocando il passato
3. Cenere
4. Eterno e omega
5. Interitus

Line-up
Gianluca M. – Bass
Angelo B. – Drums
Antonius Pan – Guitars
Vulr – Vocals

MINERVIUM – Facebook

Baest – Danse Macabre

La band danese è una vera bestia estrema che si affaccia sul mercato con un lavoro improntato sul death metal di matrice scandinava, mettendo in pratica gli insegnamenti dei maestri e portando a casa un giudizio più che positivo, guadagnato per un impatto notevole ed una produzione scintillante.

Un demo ed un ep, entrambi usciti nel 2016, sono stati sufficienti ai Baest per approdare alla Century Media, che licenzia il loro debutto sulla lunga distanza.

La band danese, come suggerisce il monicker in lingua madre, è una vera bestia estrema che si affaccia sul mercato con un lavoro improntato sul death metal di matrice scandinava, mettendo in pratica gli insegnamenti dei maestri e portando a casa un giudizio più che positivo, guadagnato per un impatto notevole ed una produzione scintillante.
Ovvio che all’ascolto di Danse Macabre non si rinviene la benché minima traccia di originalità, perché tutto è perfettamente in linea con quanto proposto da Entombed, Bloodbath e compagnia a suo tempo, quindi il consiglio e di tuffarsi nella macabra danza sbattendo a dovere la vostra testolina senza porsi troppe domande.
L’album si apre con il singolo Crosswhore, esempio lampante della devozione del gruppo danese per le band citate e per lo swedish death in genere, quindi tra le varie Hecatomb, Danse Macabre e la conclusiva Ego Te Absolvo si trovano mid tempo, accelerazioni, atmosfere monolitiche ed oscure ed una serie di melodie che a tratti rendono il sound catchy.
La produzione, come scritto, è perfetta, magari per qualcuno fin troppo cristallina e pulita, ma sicuramente inattaccabile dal punto di vista della resa, quindi se amate il genere nella sua veste più tradizionale, questa nuova proposta targata Century Media non potrà che regalarvi una mezz’ora abbondante di soddisfacente metal estremo.

Tracklist
1. Crosswhore
2. Hecatomb
3. Danse Macabre
4. Atra Mors
5. Messe Macabre
6. Ritual
7. Vortex
8. Ego Te Absolvo

Line-up
Simon Olsen – vocals
Svend Karlsson – guitars
Lasse Revsbech – guitars
Mattias ‘Muddi’ Melchiorsen – bass
Sebastian Abildsten – drums

BAEST – Facebook

Riven – Hail To The King

Trattandosi della prima uscita con il marchio Riven,  Hail To The King strappa una comoda sufficienza, non solo di stima ma anche per le valide intuizioni, sicuramente da sviluppare in futuro, disseminate nei primi due brani.

Esordio per la one man band Riven, creatura del musicista belga Zeromus (Tom Mesens).

Quello offerto in Hail To The King è un funeral doom piuttosto minimale ma apprezzabile, anche se la distanza qualitativa rispetto ai modelli ai quali Mesens si rifà resta decisamente marcata.
Skepticism, Thergothon, Evoken and Ahab vengono indicati quali fonti di ispirazione in sede di presentazione, ma in realtà sono le due band finlandesi a contribuire in maniera pressoché totale all’idea compositiva messa in campo per l’occasione.
Dei primi troviamo sicuramente il ricorso all’organo, strumento che offre sempre aspetti peculiari all’interno dei lavori in cui viene utilizzato in maniera più corposa, mentre dei secondi si rinviene soprattutto un certo minimalismo sia a livello compositivo che di produzione.
I tre lunghi brani, tutti della durata di poco inferiore al quarto d’ora, si snodano così come ce li si sarebbe aspettati:  lenti, solenni ma anche fin tropo lineari in certi frangenti; uno dei problemi dell’album è che l’intensità va a scemare man mano che si procede lungo la tracklist e così, mentre The Plague e The Bells Sound Once More sono tutto sommato buone tracce nella quali Mesens lascia trasparire in maniera più decisa la propria devozione agli Skepticism (cosa che non può mai essere nociva, per forza di cose), la title track si trascina senza mai decollare a livello di coinvolgimento emotivo.
Insomma, ci sono diverse cose da rivedere, sia per quanto riguarda il comparto esecutivo, sia per l’equilibrio dei suoni (in particolare quelli della batteria) ma, trattandosi della prima uscita con il marchio Riven,  Hail To The King strappa una comoda sufficienza, non solo di stima ma anche per le valide intuizioni, sicuramente da sviluppare in futuro, disseminate nei primi due brani.

Tracklist:
1. The Plague
2. The Bells Sound Once More
3. Hail to the King

Line-up:
Tom Mesens (aka Zeromus): All instruments and vocals

RIVEN – Facebook

Last Rites – Nemesis

Un’entusiasmante raccolta di brani, consigliata con colpevole ritardo rispetto all’uscita, ma non per questo meno meritevole della doverosa attenzione da parte degli appassionati di metal estremo.

Vent’anni di thrash/death di alto livello festeggiati con questo nuovo lavoro composto da cinque brani inediti e tre composizioni rifatte per l’occasione.

Parliamo dei Last Rites, nome storico della scena ligure, essendosi formati a Savona nel 1997 ed arrivati ad oggi con un curriculum che consta di otto lavori tra full length, live ed ep, vari cambi di line up e tanta passione.
Nemesis, licenziato dalla MASD Records, è stato registrato, mixato e masterizzato presso il Blackwave Studio di Genova da Fabio Palombi e risulta una travolgente bassa pressione metallica che dal golfo ligure ci investe con la sua potenza, in uno tsunami di cambi di tempo e roboanti solos che si scambiano la scena, tuonando tra lampi e fulmini, ritmiche mozzafiato ed uno scream che è l’urlo arrabbiato e aggressivo degli dei del thrash metal contro il genere umano.
Davvero entusiasmante questa raccolta di brani, che vedono la band partire all’attacco con l’opener Paradox Of Predestination e non fermarsi più, almeno fino a Glory To The Brave, outro del brano Fallen Brother dedicato al compianto chitarrista Vic Mazzoni scomparso lo scorso anno.
Mezz’ora di saliscendi tra le onde in burrasca, con la costa sferzata dal vento metallico chiamato Nemesis, ed i Last Rites ad impartire una lezione di metal estremo, con i Carcass di Heartwork a jammare con i Kreator e gli ultimi Necrodeath in brani spettacolari come Ancient Spirit, Human Extinction e la conclusiva, Soul’s Harvest.
Un album bellissimo che MetalEyes consiglia con colpevole ritardo rispetto all’uscita, ma non per questo meno meritevole della doverosa attenzione da parte degli appassionati di metal estremo.

Tracklist
1. Paradox of Predestination
2. Architecture of Self-Destruction
3. 26.04.86
4. Ancient Spirit
5. Fallen Brother – Glory to the Brave (Outro)
6. Human Extinction
7. Realm of Illusions
8. Souls’ Harvest

Line-up
Dave – Vocals, Guitars
Bomber – Guitars
Fens – Bass
Laccio – Drums

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Venues – Aspire

Molti gruppi dello stesso genere hanno meno talento dei Venues e Aspire è un debutto che li porterà lontano, facendosi apprezzare da chi ama una certa deriva melodica e molto radiofonica del metal moderno, tutto sommato però altrettanto innocua.

Dalla Germania, terra assai feconda per il modern metal ed il post hardcore, arrivano i Venues, carichi di pop e tanto sentimento.

Definire post hardcore questo disco non è propriamente corretto, perché le coordinate corrette sono pop e un pizzico di metal, con una produzione abbastanza piatta, sbilanciata fortissimamente verso un pubblico di giovanissimi a cui il disco piacerà moltissimo ed è giusto così. La maggior parte degli ascoltatori di questo lavoro saranno ragazzi e ragazze molto giovani ed è a loro che è diretto questo feuilleton, melenso solo per un pubblico più anziano, mentre invece qui c’è molta energia e tantissima melodia, in qualche passaggio fin troppa e forzata. Aspire è un disco nel quale la voce di Nyves regala aggressività femminea e dolcezza e si bilancia benissimo con il cantato maschile. Anche il loro look è molto giovane ed attuale, e tutto ciò ha sicuramente la sua parte, come ha sempre avuto nel metal, dove anche la trascuratezza spesso è calcolata, a seconda del pubblico al quale ci si deve rivolgere. Funziona tutto molto bene in questo debutto del gruppo tedesco, ed è infatti un ottimo prodotto per un pubblico selezionato, rischiando alla fine d’essere solo confezionato molto bene ma senza cuore, almeno l’impressione è appunto questa. Molti gruppi dello stesso genere hanno meno talento dei Venues e Aspire è un debutto che li porterà lontano, facendosi apprezzare da chi ama una certa deriva melodica e molto radiofonica del metal moderno, tutto sommato però altrettanto innocua.

Tracklist
1 – We are one
2 – Lights
3 – The longing
4 – Fading away
5 – The epilogue
6 – Dilemma
7 – My true North
8 – Star children
9 – Nothing less
10 – Shades of memory
11 – Silence
12 – Ignite

Line-up
Nyves – Vocals
Robin – Vocals
Constantin – Guitar
Toni – Guitar
Flo – Bass
Dennis – Drums

https://www.facebook.com/VENUESofficial/

Aenigma – Into The Abyss

Into The Abyss è un lavoro in grado di aprire agli Aenigma spazi interessanti in una scena come la nostra, ancora una volta sugli scudi per quanto riguarda questo tipo di sonorità.

All’interno della scena sinfonica tricolore molte sono le band che hanno rilasciato lavori di spessore in questi ultimi anni, cercando una propria via in un genere che da ormai più di vent’anni si è consolidato nel vasto panorama metallico.

Prima la scena olandese, poi quella scandinava, fino ai nostri giorni e alle realtà nate in riva al Mediterraneo dove, dai fondali marini, arriva il suono di Into The Abyss, primo full length degli Aenigma, band toscana attiva dal 2013 e con un paio di ep alle spalle.
La prova sua lunga distanza non ha spaventato di certo i quattro giovani musicisti nostrani e Into The Abyss risulta un buon lavoro, affrontato con la giusta grinta e personalità da una band che accentua la parte estrema, specialmente nelle ritmiche, anche se è la sola voce della cantante Caterina Bianchi a svettare su canzoni che non lasciano spazio al growl.
Più centro europeo che scandinavo si rivela il sound di questo lotto di brani, tenuti insieme da orchestrazioni presenti ma mai debordanti, una prestazione vocale convincente e più rock rispetto alle sirene operistiche a cui siamo abituati (la voce della cantante si avvicina più a Cristina Scabbia che a Floor Jansen o Tarja) fanno di Into The Abyss un album da ascoltare e riascoltare, metallico, a tratti raffinato nei momenti di calma apparente prima che improvvise burrasche portino mareggiate estreme.
Tra i brani, Falling è il classico singolo dall’appeal orchestrale, Infected è aggressiva e death metal oriented, Crimson Moon è la classica semi ballad gotica e Sentence è un crescendo di emozionante symphonic metal.
Into The Abyss è un lavoro in grado di aprire agli Aenigma spazi interessanti in una scena come la nostra, ancora una volta sugli scudi per quanto riguarda questo tipo di sonorità.

Tracklist
1.Beginning of the End
2.Falling (Into the Abyss)
3.Infected
4.Away from All
5.Essence of Life
6.Crimson Moon
7.City of Falling Stars
8.Sentence
9.The Sacrifice
10.Indistructible

Line-up
Matteo Pasquini – Drums
Caterina Bianchi – Vocals
Lorenzo Ciurli – Guitars, Vocals
Valerio Mainardi – Bass

AENIGMA – Facebook

https://youtu.be/RzHDMcAoPDM

Throne – Consecrates

Pochi gruppi riescono a fare musica come i Throne, conferendole una sensazione di inusitata pesantezza ma riuscendo al contempo ad essere onirici e psichedelici.

Pesantissima mazzata sludge metal per questo gruppo italiano proveniente dai dintorni di Ferrara.

I Throne sono attivi dal 2012, anno nel quale si sono formati e hanno dato alle stampe il loro debutto Avoid Light per Moonlight Records. I nostri sono un concentrato di cattiveria e putridume musicale, nel quale la luce non si vede mai, spostandosi rumorosamente nel tunnel. Il loro suono è un infetto principalmente dallo sludge, ma non mancano momenti di suoni vicini alle cose che si muovono nelle paludi della Lousiana, o passaggi in growl che ci portano in territori marcatamente metal. Il marchio di questo disco del 2017 è il suo continuo ed incessante groove, che continua a muoversi senza mai fermarsi, lento ed inesorabile, che procura più di un sottile brivido di piacere. Fare un disco credibile di sludge non è affatto facile come potrebbe sembrare, perché se non si possiedono talento e abilità compositiva l’affidarsi totalmente alla pesantezza non basta. I Throne hanno tutte le capacità per spiccare nel mucchio, e ce le mostrano con un lavoro che non ha mai un momento di pausa né un calo fisiologico. Consecrates è la colonna sonora dell’ombra che ci avvolge grazie ai nostri peccati, ma anche perché vediamo il mondo per quello che è, rischiando la pazzia per questo. I monolitici riff di chitarra sono le basi sulle quali far confluire da altre dimensioni il resto degli strumenti facenti parte di questa bestia sonica che non vi lascerà scampo. Ascoltando Consecrates perderete il senso del tempo, verrete imbarcati su una una nave che viaggia velocissima verso un nero vortice e vorrete assaporare ancora quelle sensazioni che vi dà questa musica. Pochi gruppi riescono a fare musica come i Throne, conferendole una sensazione di inusitata pesantezza ma riuscendo al contempo ad essere onirici e psichedelici. Un album che fa male.

Tracklist
1.Sister Abigail
2.Lethal Dose (feat. Dorian Bones)
3.Codex Gigas
4.There’s No Murder in Paradise
5.Baba-Jaga
6.V.I.R.
7.Lazarus Taxon

Line-up
Samuele Benna
Riccardo Carrara
Mirko Lavezzini
Enrico Maria Emanuelli
Emanuele Dughetti

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Spectrum Mortis – קדוש

Il lavoro è breve, aggirandosi attorno ai venticinque minuti di durata, ma la densità del sound fa sì che questo non si tramuti in un difetto: ciò che resta è l’impressione di aver ascoltato l’opera di una band di alto livello, capace di maneggiare con competenza una materia insidiosa come il doom ritualistico.

קדוש (Kadosh) è il titolo di questo secondo full length degli spagnoli Spectrum Mortis.

Il lavoro si basa su un interessante black doom intriso di un’aura mistica ben introdotta dal salmodiare in latino ascoltabile nella iniziale title track.
I restanti tre brani mettono in mostra una band dalle idee chiare sugli obiettivi da perseguire, che sono essenzialmente volti all’offerta di un sound occulto e ritualistico nel quale confluirono in maniera equilibrata i diversi generi estremi.
Ciò che colpisce di un lavoro di questo genere è anche la sua qualità a livello di suoni e di esecuzione da parte dei singoli musicisti; anche grazie a questo che il messaggio degli Spectrum Mortis giunge forse e chiaro alle orecchie degli ascoltatori, ed un brano magnifico come Fiat Nox lo testimonia nel migliore nei modi, con il suo incedere solenne e minaccio nei solchi del miglior black doom
Et Filius Aurora sposta le coordinate verso il death, senza che all’interno dello sviluppo del brano non venga trovato lo spazio per rallentamenti atti a raccogliere le invocazioni proferite dal vocalist Sheram, e sempre black death ancor più furioso è poi quanto viene scagliato sull’audience con Christus Mysticusm, confermando la sapiente alternanza con passaggi più rarefatti atti a rompere la tensione per poi farla riesplodere con ancora più forza e convinzione.
Il lavoro è breve, aggirandosi attorno ai venticinque minuti di durata, ma la densità del sound fa sì che questo non si tramuti in un difetto: ciò che resta è l’impressione di aver ascoltato l’opera di una band di alto livello, capace di maneggiare con competenza una materia con la quale i neofiti rischiano ad ogni piè sospinto di cadere nel ridicolo.

Tracklist:
1. I. קדוש
2. II. Fiat Nox (Hymn to the Master of Death)
3. III. Et Filius Aurorae (Hymn to the Son of Dawn)
4. IV. Christus Mysticus (Hymn to the Messenger of Gods)

Line-up:
Sheram – Vocals, Bass
Aataa – Guitars
Aath – Guitars
Ta’ao – Drums

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