…But Secretly We Thirst si rivela sicuramente una buona partenza per il gruppo lecchese, che mostra una sua già delineata idea di metal estremo seguendo le proprie ispirazioni in maniera personale.
Dal più oscuro underground estremo tricolore arrivano i Polymorphia, band proveniente da Lecco al debutto con questo ep di cinque brani intitolato …But Secretly We Thirst.
Il gruppo, nato nel 2017, è composto attualmente dai tre membri fondatori Matteo Tagliaferri alla batteria, Davide Maglia alla chitarra, Silvio Bergamaschi al basso, ai quali si è aggiunto il cantante Luca Beloli.
L’ep mostra una band con buone potenzialità, il cui sound è un oscuro death metal con richiami al thrash di matrice statunitense, valorizzato da un buon lavoro chitarristico e brutalizzato dal possente e profondo growl di cui è capace il vocalist.
L’atmosfera che si respira tra il solchi di questi primi cinque brani segue le tematiche ispirate ad autori come H.P. Lovecraft, Hermann Hesse, Dickens e Lautréamont e all’analisi sulla mente umana ed i suoi misteri, con la musica che, tra Morbid Angel e Slayer, imprime il suo marchio metallico su brani dall’ottimo tiro come l’opener Ode To The Ocean, la title track e Madness Dream, traccia molto interessante conclusa da un lento passaggio dai rimandi doom/death.
Prodotto dalla Vomit Arcanus Production, …But Secretly We Thirst si rivela sicuramente una buona partenza per il gruppo lecchese, che mostra una sua già delineata idea di metal estremo seguendo le proprie ispirazioni in maniera personale.
Tracklist
1.Ode To The Ocean
2….But Secretly We Thirst
3.Fog
4.Madness Dream
5.Censer
La musica è violenta ma sì lieve che porta il nostro animo molto in alto.
Post black metal per esprimere con la giusta profondità pensieri e tormenti, là dove una volta c’era solo carta ora ci sono nere vibrazioni.
La proposta sonora dei Coil Commemorate Enslave è un post black metal con momenti atmospheric, minimale nelle forma ma molto ricca nella sostanza, con una parte molto importante di tematiche depressive metal. Il deus ex machina è Consalvo che suona tutti gli strumenti, una delle menti black metal più interessanti che abbiamo in Italia, e al quale in questo giro si è affiancato alla voce Daniele Rini degli Ghost Of Mar, il quale fa un gran lavoro e completa alla perfezione il musicista principale. Una delle maggiori peculiarità della creatura di Consalvo è la sua grande capacità di fare melodie molto belle in mezzo al caos del post black metal. Il disco è più melodico se confrontato con i precedenti, che sono tutti caldamente consigliati, anche perché c’è un ben preciso percorso musicale che è ancora in pieno compimento. Maggiore melodia significa anche un pathos più corposo e questo disco veste perfettamente chi vuole un qualcosa di sentimentale dal codice black metal, che permette di esprimere in maniera adeguata una gamma pressoché infinita di sensazioni. Nella musica dei Coil Commemorate Enslave trova dimora il gotico, come sentimento ottocentesco di sbigottimento di fronte alla nostra vita e ai suoi accadimenti, e che soprattutto interpreta il tutto rimaneggiandolo attraverso una bellezza che è debitrice consapevole della morte. Uno dei pezzi più belli del disco e canzone da fare ascoltare nelle scuole è La Voce, una messa in musica del poema omonimo di Giovanni Pascoli, che potrebbe essere considerato un nume tutelare di questo progetto. La musica è violenta ma sì lieve che porta il nostro animo molto in alto. Ci sono anche tracce di neofolk lungo questo bellissimo viaggio in musica, una delle esperienze più belle in campo black metal altro che si possa fare. Ci vuole grande talento e molto lavoro per fare un post black di questo livello: qui c’è tanto talento e concretezza, anche se il disco si fa ascoltare come se fosse un sogno.
Tracklist
1.Intro
2.Anti prophet
3.Dirt
4.Nothing else but black
5.Nemesis
6.E.F.S.D.
7.The snake and the rope
8.La voce
Questo concerto è di grande bellezza e valore dall’inizio alla fine, sarà molto gradito ai fedeli del gruppo ma anche a chi deve cominciare ad approcciarsi a loro: alla fine si vorrebbe chiedere il bis, ma basta ricominciare l’ascolto daccapo.
Questo disco in edizione limitata in 100 copie, con copertina incollata che rimanda ai bootleg degli anni settanta, è la registrazione di un concerto dei Mos Generator a Manchester del quattro ottobre 2017, durante il tour di promozione di Abyssinia.
La registrazione è ottima, la band americana è in forma eccellente e ne viene fuori un gran spettacolo. In questo concerto viene emerge in maniera prepotente tutta la potenza di questo gruppo che su disco è ottimo, ma che ha la sua ragione di esistere dal vivo, e qui ne abbiamo la migliore testimonianza possibile. I Mos Generator sono un gruppo che guarda agli anni settanta e ottanta del rock, ma poi li rielabora in una forma originale, carica ed affascinante. Ascoltando Night Of The Lordssi percepiscono le belle vibrazioni del rock pesante americano, quella capacità di suonare in maniera fluida, potente e melodica al contempo. Anche l’estetica da bootleg anni settanta valorizza questo album, e lo pone nella giusta prospettiva storica. I riff dei Mos Generator provengono da quel tempo, ma non è emulazione è la continuazione di un nobile lignaggio che non finirà mai, ma che solo pochi gruppi sanno cogliere nella sua essenza. Questo concerto è di grande bellezza e valore dall’inizio alla fine, sarà molto gradito ai fedeli del gruppo ma anche a chi deve cominciare ad approcciarsi a loro: alla fine si vorrebbe chiedere il bis, ma basta ricominciare l’ascolto daccapo. Si sente che anche il pubblico presente quella sera gradì molto, anche perché non è possibile non venire catturati dalla forza dei Mos Generator, band che ha saputo ritagliarsi con la propria musica e la propria credibilità uno spazio davvero importante nei cuori di chi ama il rock pesante. Un bellissima jam dal vivo, con l’unica pecca che sia in edizione fin troppo limitata.
Tracklist
Side One:
1 Strangest Times
2 Lonely One Kenobi
3 Shadowlands
4 Easy Evil
5 There’s No Return From Nowhere
6 Dance of Maya / Red
Side Two:
7 Breaker
8 On The Eve
9 Catspaw
10 Step Up/Jam
11 Electric Mountain Majesty
Line-up
Tony Reed: guitar, vocals
Jono Garrett: drums
Sean Booth: bass
The Love Riot Squad VS The F-World è un album che cresce notevolmente con gli ascolti e merita sicuramente l’attenzione di chi nel genere cerca qualcosa di più che la solita minestra alternativa ad uso e consumo delle radio rock.
Terzo lavoro sulla lunga distanza per questo gruppo alternative rock transalpino, al secolo The Morganatics.
The Love Riot Squad VS The F-World segue We Come From The Stars, licenziato nel 2015 ed il debutto uscito due anni prima ed intitolato, Never Be Part Of Your World, tutti in regime di autoproduzione e che hanno regalato al quintetto parigino una discreta fama a livello underground.
Il nuovo lavoro è un’opera ambiziosa in cui confluiscono atmosfere e sfumature abitualmente trovate in molti dei generi che formano il sound variopinto dei The Morganatics.
Più di un’ora e undici brani a formare un’opera che non manca di toccare corde emozionali come amore, melancolia e dolore, sentimenti che si scontrano con un sound che alterna graffiante metallo alternativo, ed accenni ad un post rock progressivo moderno.
Elettronica e pop rock completano questo caleidoscopio musicale creato dal quintetto francese in un’atmosfera di tensione emotiva che rimane il punto di forza dell’album .
Splendido il brano Gloria, dove la band unisce il post metal progressivo dei Leprous con accenni al sound dai rimandi new wave degli Editors, per tornare al più graffiante alternative rock con Hannah, pezzo legato al rock più popolare negli ultimi anni, mentre la conclusiva OMDB (Il faudra me passer sur le corps) risulta la traccia più progressiva dell’opera in un crescendo di emozioni melanconiche.
I The Morganatics hanno confezionato un ottimo lavoro, il loro metal alternativo risulta adulto, melodico, mai banale, ricco di atmosfere intimiste e melanconiche senza cadere mai nello scontato. The Love Riot Squad VS The F-World è un album che cresce notevolmente con gli ascolti e merita sicuramente l’attenzione di chi nel genere cerca qualcosa di più che la solita minestra alternativa ad uso e consumo delle radio rock.
Tracklist
1. Table 9
2. Hannah
3. Shark Or Tank
4. 18´44
5. Done With The Wings (Video bei YouTube)
6. The Bitter Strife
7. Gloria
8. Stubborn Girl
9. Square One
10. Can´t Rise (to your expectations)
11. OMDB (Il faudra me passer sur le corps)
La ristampa limitata a cinquecento copie mantiene inalterata l’atmosfera catacombale che il combo americano creò per questo putrido lavoro, rivestito da un maligno drappo nero, di matrice Morbid Angel, anche se, all’interno del mondo Crucifixion si agitano demoni ancora più temibili di quelli che accompagnavano i primi passi dell’angelo morboso.
L’etichetta colombiana La Caverna Records ristampa il secondo lavoro dei deathsters statunitensi Crucifixion, l’ormai storico ed introvabile Paths Less Taken, uscito originariamente nel 1998 con l’aggiunta del demo Raising The Dead licenziato dalla band nel 1996.
I Crucifixion nacquero ad Houston nel 1990, la loro avventura musicale si fermò nel 1998 all’indomani dell’uscita di questo lavoro, successore del debutto Desert of Shattered Hopes, full length uscito nel 1993.
Il gruppo texano proponeva un metal estremo di stampo death, pregno di sfumature black/doom, abissale e marcio come da tradizione nelle opere estreme di quel periodo.
La ristampa limitata a cinquecento copie mantiene inalterata l’atmosfera catacombale che il combo americano creò per questo putrido lavoro, rivestito da un maligno drappo nero, di matrice Morbid Angel, anche se, all’interno del mondo Crucifixion si agitano demoni ancora più temibili di quelli che accompagnavano i primi passi dell’angelo morboso.
Rallentamenti doom ed accelerazioni si arricchiscono di atmosfere nere come la pece e malatissime, il growl abissale di Danny Martinez risulta un rantolo blasfemo che vomita malignità tra le note di di Pass Less Taken (il brano), dieci minuti di death metal orrido e maligno di grande spessore.
Ottima iniziativa della label colombiana che dà nuova vita (o morte, fate voi) ad un nera gemma underground consigliata agli appassionati del genere.
Tracklist
1.Ejercito de Malandros (Army of Thugs)
2.Sweating Buckets
3.Last Haunted Scriptures
4.Cell Block 8
5.Catholicos Diabolicos (Diabolic Catholics)
6.Tecato´s Field
7.Resurrections of the Flesh
8.Damned
9.Stealing from the Dead
10.Paths Less Taken
11.Catholicos Diabolicos (Diabolic Catholics)
12.Paths Less Taken
13.Damned
14.Weird Resurrections of the Flesh
Line-up
Puppet Cavazos – Drums
Mark Vargas – Guitars (rhythm)
Armando Mata – Guitars, Piano
Danny Martinez – Vocals, Bass
Noe Diaz – Guitars
Cease To Exit spazza via tutto in poco tempo, ma alla fine ci sarà molto da ricostruire perché, dopo un simile micidiale terremoto sonoro, rimarranno solo le macerie a ricordarci del passaggio dei Noisem.
Death, thrash, grindcore, punk, il tutto mescolato in un folle cocktail estremo chiamato Cease To Exist, nuovo album degli statunitensi Noisem, ex Necropsy arrivati al terzo full length.
Il trio di Baltimora ritorna sul mercato tramite la 20 Buck Spin con questo dinamitardo lavoro composto da dieci brani per appena ventuno minuti di massacro sonoro, nel quale i generi descritti formano una devastante esplosione che forma un fungo atomico di proporzioni bibliche.
Diretto e perfetto nella sua aggressività misurata, nella durata ma non negli effetti, Cease To Exittorna a rinverdire i fasti del grindcore di matrice Terrorizer/Repulsion/primi Napalm Death, con una carica esplosiva che non lascia spazio ad altro che non sia un sound riottoso e belligerante.
Si sale sulle barricate con Constricted Cognition e Deplorable per non scendere più fino alla conclusiva Ode To Absolution, guidati da Harley Phillips, Sebastian Phillips e Ben Anft , mentre le ossa si accumulano tra blast beat, vocals al vetriolo ed una ben delineata attitudine punk/hardcore. Cease To Exit spazza via tutto in poco tempo, ma alla fine ci sarà molto da ricostruire perché, dopo un simile micidiale terremoto sonoro, rimarranno solo le macerie a ricordarci del passaggio dei Noisem.
Tracklist
1.Constricted Cognition
2.Deplorable
3.Penance for the Solipsist
4.Putrid Decadence
5.Filth and Stye
6.Eyes Pried Open
7.Sensory Overload
8.Downer Hound
9.So Below
10.Ode to Absolution
Line-up
Harley Phillips – Drums
Sebastian Phillips – Guitars
Ben Anft – Vocals, Bass
I Rebis pescano nel passato, usando bene il presente e guardando decisamente al futuro, con le distorsioni sempre accese e una gran voglia di far rumore, senza rinunciare a buone melodie che fanno sognare in tempi certamente non facili.
I Rebis sono un gruppo torinese nato nel 2018 per mano del bassista Federico De Leo, ex Know Margaret, e del chitarrista Sabino Matera, ex My Sins Don’t Bother, i quali coinvolgono il batterista Giacomo Fontana, ex Your Anguish, ed il chitarrista cantante Simone Cantino, ex Mu.
Il primo ep è una fusione di tante cose che loro lo definiscono crossover anni novanta, e ciò è calzante, poiché in questo suono convergono il post metal, il post rock e appunto una fascinazione anni novanta, il tutto rielaborato in maniera originale. Le canzoni dell’ep sono tutte ben strutturate, si portano dietro e dentro le passate esperienze sonore dei componenti dei Rebis, usando questo gruppo come un nuovo inizio e l’ep come ideale biglietto di presentazione. Soggettivamente preferisco le canzoni in italiano come Sirene, ma anche quelle in inglese sono molto buone. Il gruppo sa essere spigoloso, nervoso ma anche melodico e sognante: il risultato è fresco e diretto, un buon inizio di qualcosa di nuovo racchiuso in un ep che è la giusta forma, per il momento, con tracce di media durata nelle quali vengono ben sviluppate le diverse direzioni del sound.
I Rebis pescano nel passato, usando bene il presente e guardando decisamente al futuro, con le distorsioni sempre accese e una gran voglia di far rumore, senza rinunciare a buone melodie che fanno sognare in tempi certamente non facili. Un’altra nota del loro stile è una freschezza giovanile e un grande facilità nel creare ottimi ritornelli che sono supportati da solide strofe.
Tracklist
1.Arise
2.The Plunge
3.Ocean Gravel
4.Sirene
5.Mud and Silver
Line-up
Simone Cantino – Vocals, Guitar
Sabino Matera – Guitar
Federico De Leo – Bass
Giacomo Fontana – Drums
Gli At The Dawn hanno indurito il sound senza perdere quell’approccio melodico e raffinato, marchio di fabbrica della scena italiana, facendo sì che il lavoro offerto sia quanto mai coinvolgente.
Tornano con un nuovo album ed una formazione per due quinti rinnovata gli At The Dawn a confermare il buon stato di salute della scena tricolore nel genere.
Il terzo album della band imolese si intitola The Battle To Come, è stato registrato, prodotto e mixato dalla coppia Simone Mularoni (DGM) e Simone Bertozzi (Arcana13, Ancient Bards) ai Domination Studio e vede all’opera, oltre ai chitarristi Michele Viaggi, Michele Vinci e al cantante Stefano De Marco, la sezione ritmica nuova di zecca composta da Andrea Raffucci al basso e Antero Villaverde alla batteria.
Il nuovo album vede il quintetto sterzare verso un sound più power ed epico, sempre ispirato da un’anima più progressiva, ma sicuramente più potente e diretto rispetto a quello offerto fin qui.
Cavalcate heavy/power potenti, crescendo epici, tastiere che ricamano trame sinfoniche su mid tempo rocciosi, fanno di The Battle To Come un album diretto e metallico, raffinato come da tradizione dei gruppi nostrani e quindi assolutamente godibile.
Ovvio che il genere per sua natura non lascia spazio a nulla che non sia già stato scritto e suonato, ma gli At The Dawn, grazie ad un buon mix tra songwriting, perizia tecnica e produzione regalano ai fans del genere un gioiellino musicale.
Dopo l’intro è di Brotherhood Of Steel il compito di aprire le porte e darci il benvenuto in un nuovo album che non registra attimi di stanchezza, anche nei brani più melodici e lineari come l’elegante power/aor di A Rose In The Dark.
Il power/heavy/prog metal trova la sua naturale incarnazione nelle possenti e suggestive Anthem Of Thor, The Call, The Forsaken Ones, con la nuova sezione ritmica sugli scudi e Viper Of The Sands potente brano dai ricami prog metal.
Gli At The Dawn hanno indurito il sound senza perdere quell’approccio melodico e raffinato, marchio di fabbrica della scena italiana, facendo sì che il lavoro offerto sia quanto mai coinvolgente.
Tracklist
01. The Battle To Come
02. Brotherhood Of Steel
03. Cadaver Synod
04. Anthem Of Thor
05. Dragon Heart
06. A Rose In The Dark
07. The Call
08. Torquemada (The Hand Of God)
09. The Forsaken Ones
10. Viper Of The Sands
11. King Of Blood And Sand
Line-up
Michele Viaggi – guitars
Michele Vinci – guitars
Stefano De Marco – vocals
Andrea Raffucci – bass
Antero Villaverde – drums
Dieci brani che non trovano tregua, dieci inni metallici dall’impatto old school che trovano nei vari Motorhead, Possessed ed Hellhammer le massime influenze, meritandosi un più che sufficiente giudizio per attitudine, impatto e songwriting.
Amanti del metal old school di matrice thrash/speed metal, sedetevi comodi, portate le cuffie alle orecchie e fatevi massacrare dagli Hellish Grave e dal loro secondo full length, intitolato Hell No Longer Waits.
Speed metal, thrash ed una forte attitudine black metal sono il mix esplosivo con cui la band brasiliana si impossessa delle anime dei appassionati dagli ascolti fermi tra gli anni ottanta ed i primi anni del decennio successivo, un prodotto che più underground di così non si può ma assolutamente in grado di farvi saltare i padiglioni auricolari.
Un sound senza compromessi è quello con cui la band di San Paolo ci aggredisce, con Satana che suggerisce blasfemie varie su di una potenza di fuoco non indifferente.
In Hell No Longer Waitstutto puzza di zolfo e decomposizione: gli Hellish Grave danno così un seguito al paio di ep ed al primo lavoro su lunga distanza Worship Macabre, in un clima da tregenda, un inferno che brucia di metallo estremo.
Dieci brani che non trovano tregua, dieci inni metallici dall’impatto old school che trovano nei vari Motorhead, Possessed ed Hellhammer le massime influenze, meritandosi un più che sufficiente giudizio per attitudine, impatto e songwritng.
Tracklist
1.Transilvanian Nights
2.In Nomine Draculae
3.Revenant Awakening
4.Over My Haunted Pact
5.Possessed by the Witch
6.Macabre Worship
7.Lust for Youth
8.Locomotive Blast
9.Hell No Longer Waits
10.Soldiers of Hell
I The Rods sono tornati con un album magnifico all’insegna dell’heavy metal più duro e puro, imperdibile per chiunque si dichiari un amante di questi suoni.
Nuovo album per i The Rods, leggendaria band statunitense, veri pionieri dell’heavy metal a stelle e strisce con il loro primo lavoro (Rock Hard) targato 1980.
David Feinstein, con un passato remoto negli Elf del cugino Ronnie James Dio, Carl Canedy, che con lui fondò i Thunder insieme a Joey DeMaio prima della nascita dei Manowar, e Garry Bordonaro tornano con Brotherhood of Metal, a distanza di quattro anni dall’ultimo lavoro e nono capitolo di una discografia che vide i The Rods protagonisti nella scena metallica degli anni ottanta, prima di un lungo silenzio durato venticinque anni, ed il ritorno nel 2011 con Vengeance. Brotherhood Of Metal, licenziato dalla SPV/Steamhammer spara undici cannonate metalliche ad altezza d’uomo, una carica esplosiva da far impallidire le nuove generazioni di musicisti impegnati in una battaglia già persa contro gente del calibro di Feinstein e soci.
Fin dalla title track posta come opener verrete travolti dalla forza dirompente dei The Rods, una macchina da guerra metallica che nell’arco di cinquantadue minuti non fa prigionieri.
Nessuna ballad, solo grande heavy metal duro come l’acciaio, classicamente anni ottanta, sorretto da un tappeto ritmico pesantissimo, tastiere che conferiscono sfumature epiche ad una serie di brani dove esaltanti cori dall’impatto live di un carro armato non si contano.
Si arriva a Party All Night, il brano più rock’n’roll del lotto, posizionato a metà tracklist dopo una serie di bordate metalliche (Smoke On The Horizon, Louder Than Loud), mentre Tonight We Ride e 1982 sono inni all’heavy metal old school e The Devil Made Me Do It un’irresistibile hard & heavy che lascerà pochi sopravvissuti in sede live.
I The Rods sono tornati con un album magnifico all’insegna dell’heavy metal più duro e puro, imperdibile per chiunque si dichiari un amante di questi suoni.
Tracklist
01. Brotherhood Of Metal
02. Everybody’s Rockin’
03. Smoke On The Horizon
04. Louder Than Loud
05. Tyrant King
06. Party All Night
07. Tonight We Ride
08. 1982
09. Hell On Earth
10. The Devil Made Me Do It
11. Evil In Me
Vinyl bonus track
12. Crank It Up (35 Years)
Line-up
David “Rock” Feinstein – Guitars, Vocals
Carl Canedy – Drums
Gary Bordonaro – Bass
La band americana continua il suo viaggio nel mondo del dark/gothic ed anche Mana, come il precedente lavoro, si nutre del buio della notte, un mondo oscuro pregno di atmosfere new wave in potenziata dall’anima heavy metal che agita il sound dei nostri.
Dopo l’ep di debutto licenziato sul finire dello scorso anno, è arrivato il momento anche gli Idle Hands di pubblicare il primo lavoro sulla lunga distanza.
La band americana continua il suo viaggio nel mondo del dark/gothic ed anche Mana, come il precedente lavoro, si nutre del buio della notte, un mondo oscuro pregno di atmosfere new wave in potenziata dall’anima heavy metal che agita il sound dei nostri.
Solo un brano (Blade And The Will) era presente nella track list dell’ep, il resto sono tutti brani inediti e risultano un buon passo in avanti per il gruppo di Portland, che ci avvolge nel suo nero mantello musicale.
Erede del dark rock ottantiano, il sound di questi undici brani ci catapulta nel mondo ombroso dei Sisters Of Mercy, mentre dagli anni novanta gli Idle Hands pescano tra le atmosfere gotiche dei Type 0 Negative per tornare nel decennio precedente, rispolverando l’U.S. metal dei Metal Church in un mix di piacevole metal/rock dalle tinte dark.
La voce segue i canoni del dark rock e della new wave, così da risultare di gradimento per gli amanti del genere; come scritto in precedenza la band ha fatto un passo avanti significativo nel personalizzare il proprio sound, grazie anche ad una track list che risulta di buon livello lungo tutta la durata dell’opera. Jackie, Don’t Waste Your Time e Double Negative i brani più significativi di questo buon lavoro targato Idle Hands, consigliato a chi negli anni ottanta non viveva di solo metal classico.
Tracklist
1. Nightfall
2. Jackie
3. Cosmic Overdrive
4. Don’t Waste Your Time
5. Give Me To The Night
6. Blade And The Will
7. Dragon, Why Do You Cry?
8. Double Negative
9. It’ll Be Over Before You Know It
10. A Single Solemn Rose
11. Mana
Line-up
Gabriel Franco – Vocals, Guitar, Studio Bass
Sebastian Silva – Lead Guitar
Colin Vranizan – Drums
Thrash metal e hardcore, progressive e crossover, sono dunque le anime che vivono nel sound degli Aftermath, che continuano la loro denuncia contro politiche dannose ed una società allo sfascio tramite una musica estrema che non manca di sorprendere per l’ottima preparazione strumentale dei protagonisti, che tra Devin Townsend e Voivod ci investono con il loro metal fuori dagli schemi e non poco riottoso.
Con There Is Something Wrong sembra di essere tornati a metà degli anni novanta, quando nel metal imperversavano le sonorità crossover e non era così raro trovarsi al cospetto di band dal sound che univa un deflagrante thrash metal, progressive e hardcore, ad accompagnare testi di denuncia politica e sociale.
Ed infatti gli Aftermath arrivano proprio da quel periodo, essendo attivi addirittura dalla seconda metà degli anni novanta, ma con l’unico album Eyes of Tomorrow licenziato (oltre a vari demo) nel 1994.
Un lungo silenzio nel corso del quale il nome del gruppo di Chicago era accomunato ad un paio di compilation ed ora il ritorno con questo nuovo e fiammante There Is Something Wrong, che con un po’ di ritardo sulla storia del crossover metal torna a far parlare di Kyriakos “Charlie” Tsiolis e compagni.
Thrash metal e hardcore, progressive e crossover, sono dunque le anime che vivono nel sound degli Aftermath, che continuano la loro denuncia contro politiche dannose ed una società allo sfascio tramite una musica estrema che non manca di sorprendere per l’ottima preparazione strumentale dei protagonisti, che tra Devin Townsend e Voivod ci investono con il loro metal fuori dagli schemi e non poco riottoso.
Partenza dallo spirito hardcore con le potenti ma lineari FFF (FalseFlagFlying), Diethanasia,Scientists And Priest e Smash, Reset, Control, poi l’album comincia a solcare lidi progressivi molto vicini ai Voivod di Angel Rat e The Outer Limits con una serie di brani che mantengono un impatto estremamente hardcore come Gaslight, Pseudocide e la title track.
Il nuovo album della storica band statunitense non troverà certo tutti gli estimatori del periodo di uscita del primo album, ma sicuramente non tradirà quei fans che non si sono dimenticati del gruppo e dell’ormai storico Eyes Of Tomorrow.
Tracklist
1.Can You Feel It?
2.False Flag Flying
3.Diethanasia
4.Scientists and Priest
5.Smash Reset Control
6.Gaslight
7.A Handful of Dynamite
8.Temptation Overthrown
9.Pseudocide
10.There Is Something Wrong
11.Expulsion
Line-up
Kyriakos “Charlie” Tsiolis – Vocals
Steve Sacco – Guitar
Ray Schmidt – Drums
George Lagis – Bass
Mors Aeterna è uno dei motivi per cui amiamo così tanto l’underground pesante.
Il terzo disco dei texani Destroyer Of The Light è semplicemente uno dei migliori dell’anno in ambito heavy.
Mors Aeterna possiede una profondità ed una complessità rarissimi da trovare in musica. Nati ad Austin in Texas, là dove per le imperscrutabili leggi del destino c’è una bellissima e florida scena musicale in uno degli stati americani più reazionari, nel 2012 i nostri sono uno di quei gruppi che compiono un’evoluzione continua e senza requie fin dai loro inizi. Nel disco troviamo stili musicali diversi, tutti funzionali al progetto superiore, come nella massoneria. Ed infatti l’occulto qui è presente in tutto, dal titolo alla copertina, dalle musiche ai testi. Mors Aeterna è una narrazione, una ricerca di qualcosa che va oltre le umane capacità ma che è insita in noi, ed in fondo l’importante è la ricerca più che lo scopo finale. Musicalmente si può trovare qualcosa come il post doom, ovvero doom fuso con il post rock, stoner, momenti di new wave, come anche di doom classico, oltre a molto altro. Quello che conta in questo caso è chiudere gli occhi ed ascoltare: ad esempio Falling Star è un pezzo commovente, un perfetto esempio di musica pesante fatta con il cuore e con il cervello posseduto da qualche entità di un’altra dimensione. Un’altra cose che colpisce dei Destroyer Of The Light è la delicatezza, la leggiadria con la quale si sviluppa la loro musica, sembra davvero che suonino con una grazie immane e bellissima. I loro suoni si diffondono nel cervello come una benefica droga oppiacea, non ci si preoccupa più di nulla, perfettamente allineati con il globo terracqueo e non solo. L’ascolto dell’album può essere fatto continuativamente, ma anche ogni singola canzone è indicata come terapia. Perché questo lavoro dei texani è qualcosa di terapico, e lo sanno fare solo i grandi gruppi. Mors Aeterna è uno dei motivi per cui amiamo così tanto l’underground pesante. Oltre all’insieme, la miriade di particolari e di intarsi distribuiti per tutto il disco vi garantiranno molti ascolti, grazie ai quali se ne comprenderà la natura profonda.
Tracklist
1. Overture Putrefactio
2. Dissolution
3. Afterlife
4. The Unknown
5. Falling Star
6. Burning Darkness
7. Pralaya’s Hymn
8. Loving the Void
9. Into the Abyss
10. Eternal Death
Line-up
Steve Colca: guitar/vocals
Keegan Kjeldsen: guitar
Penny Turner: drums
Nick Coffman: Bass
Discreto debutto per una band che ha iniziato un suo percorso e che si spera possa portare ulteriori frutti, magari esibendo una migliore personalità.
Inesauribile l’underground nel proporre nuovi artisti, nella fattispecie black metal, provenienti dalla città mineraria di Freiberg, in Sassonia.
I Nornír, un quartetto, di recente costituzione con all’attivo un demo del 2015 e un Ep del 2017 (Urd) e che ora, su Northern Heritage, si fa conoscere compiutamente con un full length suonato con passione e conoscenza della materia. I rimandi sono tutti verso il freddo suono scandinavo, soprattutto quello gelido degli anni 90, la cosiddetta “second wave” che ormai rappresenta, per moltissime band, fonte primaria di ispirazione e anche metro di paragone. I quattro musicisti, dallo scarno passato underground, ci scaldano il cuore con sette brani fedeli alla linea, impastando black secondo i crismi classici, tremolo picking e sezione ritmica impattante, con buone melodie dal vago sapore folk e da un sufficiente potere evocativo. Lo scream di Lethian, anche chitarrista, è viscerale e rauco al punto giusto, generando buone sensazioni e mantenendo la giusta tensione lungo lo scorrere dei brani; anche interventi in clean vocals hanno il potere di far emergere spunti interessanti come in Natt, il brano più lungo, dove l’interplay delle voci e delle chitarre è molto suggestivo aprendosi poi con vigore in un classico sviluppo black che ci riporta indietro nel tempo. Discreto debutto per una band che ha iniziato un suo percorso e che spero possa portare ulteriori frutti, magari dotati di migliore personalità. L’ottima Valhalla’s Calls in chiusura dell’opera dimostra che la band ha ottime frecce al suo arco.
Tracklist
1. Kveld
2. Vergessenheit
3. Natt
4. Transzendenz
5. Yggdrasil og nornene
6. Isvinden i nord
7. Valhalla’s Call
Non lasciatevi ingannare dalla provenienza, perché il trio non ha nulla a che fare con il sound nato sui marciapiedi del Sunset Boulevard, anzi il metallo incendiario racchiuso in questo ottimo lavoro risulta di matrice europea, tra power metal, melodic death e hard & heavy.
Gli Athanasia sono un nuovo gruppo proveniente dagli Los Angeles, formato dal cantante e chitarrista Caleb Bingham (ex Five Finger Death Punch), dal bassista Brandon Miller e dal batterista Jason West (ex Murderdolls/Wednesday13).
Non lasciatevi ingannare dalla provenienza, perché il trio non ha nulla a che fare con il sound nato sui marciapiedi del Sunset Boulevard, anzi il metallo incendiario racchiuso in questo ottimo lavoro intitolato The Order of the Silver Compass risulta di matrice europea, tra power metal, melodic death e hard & heavy.
Tedesco/scandinavo, così si potrebbe definire la matrice del sound creato dagli Athanasia, che offrono mezz’ora abbondante di musica divisa in otto brani uno più bello dell’altro.
L’approccio melodico si alterna con sfuriate estreme gelide come il vento che soffia dai paesi scandinavi, le atmosfere drammatiche ed un tocco progressivo tradiscono a tratti la nazionalità a stelle e strisce, lasciata solo intravedere, mentre il power death metal melodico regna sovrano tra i solchi di piccoli gioiellini metallici come l’opener Read Between The Lines, la title track, Cyclops Lord e Nightmare Sound.
L’album offre un’altalena imperdibile di metal estremo e classico, tra sfumature melodiche di alto livello e hard & heavy sfoggiato in refrain dall’appeal altissimo, con l’ottima la prova di Bingham al microfono, alle prese con clean e scream, e alla chitarra, con la quale sciorina riff di scuola classica, e dei suoi due compari a formare una sezione ritmica rocciosa e varia.
La conclusiva metal ballad WhiteHorse chiude benissimo un album che lascerà a bocca aperta i fans dei generi citati, assolutamente accontentati in toto dal sound di questo ottimo lavoro.
Tracklist
1.Read Between The Lines
2.Spoils Of war
3.The Order Of The Silver Compass
4.Cyclops Lord
5.The Bohemian
6.Mechanized Assault
7.Nightmare Sound
8.WhiteHorse
Line-up
Caleb Bingham – Guitar/Lead Vocals
Brandon Miller – Bass/Background Vocals
Jason West – Drums
Nel suo genere The Disconnect sarà una delle migliori uscite di quest’anno, potente, melodica e molto interessante.
Quarto disco per gli inglesi Heart Of A Coward, uno dei gruppi europei di metalcore più intensi e di valore.
The Disconnect segna anche un nuovo inizio per la band, dato che è il primo dall’entrata nel 2018 del nuovo cantante Kaan Tasan, in possesso di una voce notevole. Fin dalle prime note si capisce che il gruppo di Milton Keynes gioca su un territorio molto differente rispetto a che frequenta lo stesso genere. Il loro suono è un metalcore molto moderno, con inserti di elettronica, ma che vive tutto sulla potenza dei riff e dell’interazione del resto del gruppo. Gli Heart Of A Coward riescono a fondere potenza e melodia molto bene e hanno un’intensità che non cala mai, sia che facciano un pezzo più veloce o uno meno ritmato. La nuova voce di Tasan ha apportato un bel miglioramento, facendo ripartire il gruppo come da zero. Fare parte del roster dell’etichetta Arising Empire, sussidiaria della Nuclear Blast Records, è già sinonimo di qualità nel mare magnum del metalcore e del modern metal, e The Disconnect dimostra che c’è effettivamente qualcosa in più nel gruppo inglese. Il suono è granitico, ma le differenze le fanno i particolari, nel senso che ci sono molti elementi diversi che riescono a dare quel quid in più che riesce a fare la differenza. Il cammino che il gruppo ha fatto dagli inizi è importante, e si può percepire ascoltando i primi dischi e paragonandoli a The Disconnect. Il lavoro compositivo è notevole e ben strutturato e la musica ne risente positivamente, perché presenta elementi che altri gruppi più superficiali non hanno. Dopo una lunga pausa come quella che hanno avuto gli Heart Of A Coward non si era sicuri che sarebbero tornati come prima, ma sono riusciti a farlo migliorati e più forti. Nel suo genere The Disconnect sarà una delle migliori uscite di quest’anno, potente, melodica e molto interessante.
Tracklist
01. Drown In Ruin
02. Ritual
03. Collapse
04. Culture Of Lies
05. In The Wake
06. Senseless
07. Return To Dust
08. Suffocate
09. Parasite
10. Isolation
Line-up
Kaan Tasan – Vocals –
Carl Ayers – Guitars –
Steve Haycock – Guitars –
Vishal “V” Khetia – Bass –
Christopher “Noddy” Mansbridge – Drums –
Divina Commedia – Purgatorio è un altro lavoro che merita applausi a scena aperta dal primo all’ultimo minuto di musica offerta dagli Starbynary.
Finalmente i notevoli Starbynary pubblicano la seconda parte della trilogia dedicata alla Divina Commedia e, ovviamente, dopo essere partiti con l’Inferno tocca ora al Purgatorio, raccontato attraverso le note create dai cinque musicisti nostrani.
La band continua nella sua straordinaria opera con un altro capitolo tutto da ascoltare, dopo gli sfavillanti e precedenti lavori, dal debutto Dark Passenger uscito nel 2014 ed appunto Inferno, bellissimo album del 2016 che dava il via alla trilogia incentrata sull’opera dantesca.
Il cantante Joe Caggianelli ed il chitarrista Leo Giraldi tornano accompagnati dal tastierista Luigi Accardo, dal bassista Sebastiano Zanotto e dal batterista Alfonso Mocerino, con uno spettacolare e magniloquente album di power progressive metal che, se da una parte risulta di chiara ispirazione Symphony X (ricordo che nel primo album Mike Lepond fu ospite d’eccezione al basso), deborda di una personalità marcata, di grande fascino e di un songwriting che rimane di altissimo lungo la sua intera durata.
Per oltre un’ora si va su e giù per scale progressive tra solos metallici eleganti, raffinati, ma che non si fanno pregare quando l’atmosfera drammatica richiede un impatto graffiante, ritmiche al cardiopalma ed un sontuoso uso dei tasti d’avorio, mai come in questo album protagonisti così come la prestazione del cantante.
A tratti gli Starbynary ci vanno davvero pesante: Underneath the Stones è squarciata da parti estreme, le ritmiche di Running And Screaming si avvicinano pericolosamente al thrash, così come la sontuosa Laying Bound alterna richiami sinfonici a schiaffi power metal feroci. Walking Into Fire è una metal song progressiva che, se non fosse cosa pressoché scontata, mette in mostra la notevole tecnica degli Starbynary, mentre Eden e Stars calmano le acque, aprendosi ad un sound che si scrolla la tensione ed i ritmi serrati e ci porta verso le porte del Paradiso, prossima ed obbligatoria tappa del viaggio che la band ha intrapreso nelle pagine di una delle opere letterarie più importanti di tutti i tempi. Divina Commedia – Purgatorio è un altro lavoro che merita applausi a scena aperta dal primo all’ultimo minuto di musica offerta dagli Starbynary.
Tracklist
01 – On The Shores Of Purgatory
02 – Miserere
03 – Underneath The Stones
04 – Blindness
05 – In The Smoke
06 – Running And Screaming
07 – Laying Bound
08 – The Suffering
09 – Walking Into Fire
10 – Eden
11 – Stars
12 – Ary (Bonus Track)
Line-up
Joe Caggianelli – Vocals
Leo Giraldi – Guitars
Luigi Accardo – Keyboards
Alfonso Mocerino – Drums
Sebastiano Zanotto – Bass
Rammstein è un album molto potente, estremamente ironico ma anche terribile nella descrizione di ciò che siamo davvero, come se ci guardassimo allo specchio senza filtri.
Tornano i Rammstein con un disco che, fin dalla mancanza del titolo, è un nuovo inizio, un decisivo upgrade della loro carriera.
I tedeschi del’est sono stati per molto tempo un unicum nel panorama internazionale, fin dagli esordi uno dei gruppi più radicali e sconvolgenti dal punto di vista dei testi e della musica, tanto da diventare un vero e proprio punto di riferimento. In loro scorre una tradizione musicale e gestuale tedesca che parte da lontano, passa dai Kraftwerk e dalla ebm tedesca, come i Deutsch-Amerikanische Freundschaft, e arriva oltre loro. Questo disco è uno dei migliori della loro carriera, sempre di alto livello seppure con qualche scivolone. Rammstein è un album molto potente, estremamente ironico ma anche terribile nella descrizione di ciò che siamo davvero, come se ci guardassimo allo specchio senza filtri. Musicalmente sembra che come al solito venga fusa l’elettronica con il metal, mentre invece si compie un’operazione ben più profonda, dato che alcune canzoni suonando pop come non mai, ma non in modo leggero, rivelandosi anzi una condanna senza appello: ascoltare Auslander per credere, un pezzo che sembra una presa in giro mentre è un’ammissione che cambia a seconda della lingua ma con il senso che resta lo stesso. Nelle sua viscere più profonde questo disco è un pugno diretto alla faccia della Germania, il che era chiaro fin dall’incredibile video di Deutschland, un cortometraggio che rimarrà indelebile nella storia. In quella canzone, che ha suscitato mille polemiche, ma che è già uno dei classici dei Rammstein, si elencavano con il suono, le parole e le immagini le malefatte della nazione germanica in una maniera pressoché perfetta. E si continua nel disco a sferzare tutto e tutti, e in prima fila a prendere i colpi ci sono i Rammstein stessi. Bisogna riconoscere all’album ciò che è veramente, ovvero un’opera versatile, potente e che vede il gruppo non al massimo splendore, ma sotto una luce diversa, come se fosse esplosa una bomba e i Rammstein fossero sopravvissuti addirittura più forti. Canzoni come Sex, con un giro di basso clamoroso in apertura, fanno vedere molto chiaramente di cosa siano capaci i Rammstein, che sanno accelerare e rallentare a piacimento, rimanendo unici in tutti i casi. Un lento come Was Ich Liebe entra nel territorio di gruppi come Depeche Mode e simili, sempre con il tocco personale di chi sa confezionare molto bene quelle che possiamo definire melodie dure. In questa epoca di continui cambiamenti, di poca sostanza e di estrema vacuità negli ascolti, con una netta preferenza per le cose ovvie, i Rammstein confezionano uno disco all’altezza della loro fama, con canzoni che permettono molto ascolti e che sono tutte di buon livello, con una struttura tipica del gruppo tedesco, ma con molti elementi nuovi ed un’elettronica originale rispetto all’ultima uscita. Come al solito, nel caso di Lindemann e soci, traducendo i testi si capirà molto meglio l’essenza, assai complessa e rinvenibile in profondità, che è una delle peculiarità maggiori di questa band.
Tracklist
1. Deutschland
2. Radio
3. Zeig dich
4. Ausländer
5. Sex
6. Puppe
7. Was ich liebe
8. Diamant
9. Weit weg
10. Tattoo
11. Hallomann
Line-up
Christoph Schneider – Drums
Richard Z. Kruspe – Guitar
Paul Landers – Guitar
Till Lindemann – Singer
Oliver Riedel – Bass Guitar
Flake Lorenz – Keyboards
Qualche valido spunto a livello strumentale, specialmente nei brani in cui le chitarre si impongono con ritmiche incisive, e un look ed un’attitudine alla Judas Priest sono ciò che resta di un lavoro che rimarrà confinato nell’underground confuso tra la montagna di uscite che ogni mese affolla il mercato dell’hard & heavy.
Originari di Stoccarda ed attivi da oltre dieci anni, arrivano al debutto i rockers Syrence, quintetto avaro di informazioni e dedito ad un hard & heavy melodico, assolutamente vecchia scuola ed alquanto scolastico.
Licenziato dalla Fastball Music, Freedom In Fire è composto da una dozzina di brani che alternano mid tempo heavy, hard rock di matrice tedesca e qualche graffiante puntata metallica.
Il problema di Freedom In Fire è l’assoluta mancanza di appeal: i brani non esplodono, causa una produzione che segue le coordinate old school dell’album, e il cantante Johnny Vox, dal tono altamente melodico, risulta troppo monocorde e poco adatto ai brani più heavy metal oriented come Fozzy’s Song, un crescendo epico che (come già accennato) fatica ad imporsi mancando di quella scintilla che trasforma il compitino in un buon brano.
Qualche valido spunto a livello strumentale, specialmente nei brani in cui le chitarre si impongono con ritmiche incisive (Living On The Run, From Ashes To The Sky), un look ed un’attitudine alla Judas Priest sono ciò che resta di un lavoro che rimarrà confinato nell’underground confuso tra la montagna di uscite che ogni mese affolla il mercato dell’hard & heavy.
Tracklist
1. Freedom In Fire
2. Living On The Run
3. Your War
4. Fozzy´s Song
5. Addicted
6. Symphony
7. From Ashes To The Sky
8. Evil Force
9. Red Gold
10. Wild Time
11. Kings Of Speed
12. Seven Oaks
Line-up
Johnny Vox – Lead Vocals
Fritz Jolas – Bass
Oliver Schlosser – Guitar
Julian Barkholz – Guitar
Arndt Streich – Drums
Con All My Scars, album massiccio, potente e diretto, i Black Thunder firmano dieci brani tellurici e compatti sicuramente meritevoli d’attenzione.
Secondo lavoro per i Black Thunder, trio lombardo fondato da Andrea Ravasio (batteria e voce) e Davide Ferrandi (chitarra e voce), raggiunti in seguito da Ivan Rossi (basso e voce).
All My Scars segue di cinque anni il primo album (Dominant Idea), esce in versione digitale per Club Inferno Ent. e risulta composto da dieci brani dal sound legato alla scuola tradizionale di matrice hard & heavy, anche se non manca di groove nel suo marciare inarrestabile, pregno di mid tempo e cori diretti di stampo hardcore/thrash.
Le ritmiche, per niente scontate, cuciono ragnatele di riff in continua evoluzione, le accelerazioni ricordano l’heavy thrash di scuola americana, mentre i solos sono 100% di matrice heavy.
Nel sound di All My Scarsvivono molte anime che i Black Thunder riescono a domare creando un macigno sonoro niente male: i brani si susseguono senza soluzione di continuità, con reminiscenze panteriane che escono prepotentemente da brani potentissimi come Try To Break Me, dalla pachidermica Stop The Abuse e dalla thrashy Unrecognized Citizen.
Con All My Scars, album massiccio, potente e diretto, il trio lombardo, inarrestabile come un blindato, firma dieci brani tellurici e compatti sicuramente meritevoli d’attenzione.
Tracklist
1. Devil In My Bones
2. Try To Break Me
3. Angry Man
4. Stop The Abuse
5. Disorder And Pain
6. Days Could Stop To Run
7. Fly Away
8. Black Rain
9. Unrecognized Citizen
10. Anyway Have To Be Better
Line-up
Andrea “Andre” Ravasio – Drums, lead vocals
Davide “Ferdy” Ferrandi – Lead and rhythm guitars, backing vocals
Ivan Rossi – Bass, backing vocals