Asylum – 3-3-88

Oltre ad essere un documento storico, questa raccolta inedita, che ha girato per anni in forma di mp3 fra i collezionisti più accaniti, è un ottimo disco e soprattutto una validissima introduzione a ciò che poi saranno gli Unorthodox.

Ritorna uno dei dischi fondamentali della storia del doom metal del Maryland, una delle scene più feconde ed influenti per questo lento e devastante sottogenere del metal.

Gli Asylum nacquero negli anni ottanta, e da questo gruppo nacquero poi gli Unorthodox, un altro grande gruppo di quello stato, ed infatti l’ultima traccia di questo lavoro ha proprio quel nome. Questo lavoro non vide mai la luce, ed è composto da canzoni e demo mai pubblicati. Lo stile è quello del doom del Maryland in fase di formazione, nel senso che è ancora forte l’influenza dell’heavy metal sul gruppo, e si potrebbe affermare che sia un metal non ancora doom, ma con al suo interno un nucleo di composizione differente dall’heavy canonico, che risente fortemente anche della tradizione americana. Colpisce anche la bravura tecnica della band, di molto superiore alla media di quel periodo, e ciò si riflette anche sulla composizione dei pezzi. Ascoltando il disco si può percepire molto bene il cambiamento stilistico degli Asylum, che avanza sempre di più verso una forma maggiormente dilatata del suono, acquistando anche maggiore pesantezza, e valicando spesso i confini della psichedelia, con un suono davvero in stile Maryland. Oltre ad essere un documento storico, questa raccolta inedita, che ha girato per anni in forma di mp3 fra i collezionisti più accaniti, è un ottimo disco e soprattutto una validissima introduzione a ciò che poi saranno gli Unorthodox, un gruppo fondamentale per una certa scena doom, che intitolerà il suo disco di esordio proprio Asylum. Il loro talento qui esce con prepotenza, senza lasciare nulla di intentato, e ci troviamo di fronte ad una notevole opera recuperata con grande merito dalla Shadow Kingdom Records.

Tracklist
1. World In Trouble
2. Mystified
3. Time Bomb
4. Road To Ruin
5. Psyche World
6. Forgotten Image
7. Nowhere
8. Funk 69
9. Indecision
10. Unorthodox

Pat Heaven – To Heaven Again

Un pezzo importante nella storia dell’hard & heavy made in Italy, ristampato su CD in formato 45 giri da collezione.

Una ristampa attesa trent’anni.

I goriziani Pat Heaven nacquero nel 1986 e si conquistarono presto un folto seguito, anche e soprattutto grazie alla attività concertistica, in Italia e non solo (suonarono anche nell’allora Jugoslavia). Una vera rarità divenne il loro unico disco, uscito in tiratura limitata per la Docam nel 1988. E a tiratura limitata è anche questa fondamentale riedizione, che esce grazie alla Andromeda Relix di Gianni Della Cioppa. Il quintetto era composto da Massimo Deviter (alla voce), Roberto Gattolin (alla chitarra), Luca Collovati (al basso), Gianandrea Garancini (batteria) e Dario Trevisan (alle tastiere). Il loro era un ottimo hard rock, sulla scia di Deep Purple e Rainbow e, quindi, giocato sull’interplay chitarra-tastiere, tra parti rocciose e melodie accattivanti, figlio della grande tradizione inglese degli anni Settanta e dei primi Ottanta. All’epoca non furono in moltissimi a poterlo apprezzare, il che rende questa benemerita ristampa ancora più interessante, testimonianza di quanto ricca e florida fosse la scena hard & heavy nostrana lungo gli Eighties. Un disco che non potrà non incontrare, pertanto, i favori di tutti coloro che amano senza riserve l’hard rock più puro e classico. Possiamo così riscoprire un’altra grande voce italiana del passato. Quel passato che, come diceva William Faulkner, non passa mai. Giustamente e per fortuna, aggiungiamo noi non senza una grande gioia. Dedicato al tastierista del gruppo, Dario Trevisan, da poco scomparso.

Tracklist
1 Runnin’ Alone
2 The Rush of the Thunder
3 Loneliness of Rock
4 Zero
5 Don’t You Know
6 Never Cry
7 Hope For a Man
8 The Rush of the Thunder (reprise)
9 The Second
10 Here Is My Love
11 Hey You
12 Reach Me Now
13 Doctor Doctor
14 Break in the Cages
15 Mistreated

Line-up
Massimo Deviter – voce
Roberto Gattolin – chitarra
Luca Collovati – basso
Gianandrea Garancini – batteria
Dario Trevisan – tastiere

PAT HEAVEN – Facebook

Die Sonne Satans – Metaphora

Ci si perde in questo tempo dilatato, in questi suoni altri, in questo austero tempo che non è il nostro, ed il tutto sarebbe immensamente piaciuto all’inquisitore Eymerich, a parte il monicker ovviamente.

Dopo 25 anni dalla sua uscita torna il disco Metaphora del progetto dark ambient italiano Die Sonne Satans, manovrato dalle tenebre da Paolo Beltrame, deus ex machina del gruppo.

Metaphora era originariamente uscito nel 1993 come metà dello spilt con i Runes Order, per i tipi della mitica Old Europa Cafè, un’etichetta di ambient e industrial che ha tracciato una strada ancora molto futuristica tuttora. Su Die Sonne Satanas non si sa granché, solo che dietro al nom de plume c’è Paolo Beltrame, ma va benissimo così, perché ci sono le sue opere a parlare di e per lui. Il disco ha avuto un ottimo restauro sonoro da parte di Maurizio Pustinaz, il tutto avvallato da Beltrame stesso. L’opera in questione non è prettamente musica, né si avvicina minimamente alla sua concezione tradizionale ma va ben oltre: è un insieme di ambient e di spunti che hanno per oggetto il simbolismo religioso, come se si lavorasse sulla materia religiosa e la si facesse uscire in un’altra maniera. Centrale è il concetto espresso dal breve titolo Metaphora, che in greco significa trasportare oltre, per cui un termine viene usato per significare qualcosa di diverso dalla sua origine. Qui è esattamente così, nel senso che si prende un significato e lo si usa in contesti diversi, facendolo diventare altro. Ciò che stupisce maggiormente in un disco come questo è la capacità di penetrare dentro l’ascoltatore, e come fosse un rito sciamanico portarlo lontano, in un ambiente diverso dal suo. Alcuni stilemi della religione cristiana vengono qui lavorati a tal punto che diventano un qualcosa ora di liquido, ora di monolitico, come se fossero salmi che minimali salgono al cielo accompagnati da droni e loop. Metaphora era un disco gigantesco già all’epoca dell’uscita, in un momento magico per il movimento ambient industrial occultistico italiano. Ascoltare questo album è una vera esperienza sonora, e ognuno ci sentirà ciò che preferisce, non ci sono limitazioni qui od intrattenimento. In quei fantastici anni novanta in Italia si producevano autentiche chicche di questo genere, musica che era ben oltre la musica, poi è arrivata la risacca e si è affievolito tutto, anche se rimane qualcosa. L’etichetta Annapurna di Firenze, una delle migliori in Italia con un catalogo notevolissimo, ci dà la possibilità di ascoltare un disco che è bellissimo e che è meraviglioso nel senso che produce autentica meraviglia e bellezza. Ci si perde in questo tempo dilatato, in questi suoni altri, in questo austero tempo che non è il nostro, ed il tutto sarebbe immensamente piaciuto all’inquisitore Eymerich, a parte il monicker ovviamente.

Tracklist
1.The garden of Hydra
2.Body snatcher
3.Spiritwook (revised)
4.Source
5.Orbis
6.The Venerable
7.Advent
8.Pleurotomaria (revised)
9.Cheopys

ANNAPURNA – Facebook

Esoteric – The Pernicious Enigma [re-issue]

The Pernicious Enigma è uno dei migliori album funeral doom mai pubblicati e, nello specifico, quello che poco più di vent’anni fa collocò d’imperio gli Esoteric ai vertici del movimento.

Prosegue la meritoria opera di ristampa delle opere degli Esoteric da parte della Aesthetic Death.

Se l’anno scorso avevamo potuto riapprezzare Esoteric Emotions – The Death of Ignorance, il demo d’esordio della creatura di Greg Chandler, con The Pernicious Enigma si fa un ulteriore passo avanti.
Il perché è presto spiegato e non deriva solo dalla rilevanza del lavoro in questione, ma anche dal fatto che il tutto è stato oggetto di un restyling sonoro da parte dello stesso Chandler, del quale è universalmente riconosciuta la maestria anche dietro al mixer.
Chiaramente tutto risulta più facile quando l’oggetto dell’operazione è uno dei migliori album funeral doom mai pubblicati e, nello specifico, quello che poco più di vent’anni fa collocò d’imperio la band inglese ai vertici del movimento.
Chi conosce già i contenuti di The Pernicious Enigma ma non ne possedesse la copia originale, con questa re-issue può prendere i classici due piccioni con un fava, mentre se, invece, qualche appassionato se ne fosse perso fino ad oggi i contenuti, si sappia che l’interpretazione chandleriana del genere è a suo modo unica, collocandosi in maniera equilibrata tra le asprezze estremiste in stile Disembowelment e l’approccio più melodico atmosferico di gran parte della scuola scandinava.
Dopo l’ascolto di due brani capolavoro come Creation e Dominion of Slaves è trascorsa già mezz’ora ma resta ancora da goderne tre volte tanto; questo doppio album, infatti, oltre a tracce opprimenti e dolenti offerte con la solita maestria, esibisce anche la vis sperimentale di NOXBC9701040 e la repentina sfuriata death di At War with the Race, prima di chiudere con lo struggente finale di Passing Through Matter.
La riedizione di The Pernicious Enigma non può che essere accolta con entusiasmo da parte dei numerosi estimatori degli Esoteric ma, d’altra parte, rischia di acuire ancor più il senso di attesa per nuovo materiale inedito che si protrae ormai dalla fine del 2011, quando Greg Chandler regalò agli appassionati di funeral l’ultimo full length Paragon Of Dissonance.

Tracklist:
Disc 1
1. Creation (Through Destruction)
2. Dominion of Slaves
3. Allegiance
4. NOXBC9701040
Disc 2
1. Sinistrous
2. At War with the Race
3. A Worthless Dream
4. Stygian Narcosis
5. Passing Through Matter

Line-up:
Gordon Bicknell – Guitars, Keyboards, Samples
Greg Chandler – Vocals, Keyboards
Bryan Beck – Bass
Simon Phillips – Guitars, Samples
Steve Peters – Guitars

Anthony Brewer – Drums (tracks 1-3, 7, 9)

ESOTERIC – Facebook

Ayahuasca Dark Trip – Upaya

Upaya è un’opera che piacerà a chi vuole qualcosa di più dalla musica e dalle sensazioni che essa genera, grazie anche ad elementi sonori che intrigheranno chi ama gruppi come gli Yob o i Neurosis.

Upaya è un disco uscito originariamente nel 2017, per essere poi ristampato nel 2018 dall’italiana Argonauta Records.

Gli Ayahuasca Dark Trip sono una bestia che nasce e prolifera in diverse nazioni, come il Perù con Brayan Anthony, negli Usa con Indrayudh Shome dei Queen Elephantine (anche loro su Argonauta Records), Pedro Ivo Araújo dei Necro dal Brasile, la colonia olandese formata da Buddy van Nieuwenhoven dei Cosmic Nod, Floris Moerkamp e Robin van Rooij, e infine la Grecia con Sifis Karadakis. La loro proposta va ben oltre la musica, essendo un rituale vero e proprio, dove la sonorizzazione è solo uno degli aspetti coinvolti. Molti gli stili che qui trovano un rifugio sicuro, a partire da suoni provenienti da diverse zone del mondo e dei loro strumenti, dalla musica per meditazione per poi arrivare ad una psichedelia poco convenzionale, come dovrebbe essere questo genere. Decisamente difficile riuscire a descrivere questa musica usando solo le parole invece che le note: ascoltando Upaya si viaggia moltissimo, partendo dai nostri esordi primordiali, quando la musica era pienamente catartica e non mero intrattenimento, e serviva quale portale per accedere a dimensioni sconosciute e precluse a chi non voleva vedere oltre. Gli Ayahausca Dark Trip sono proprio come l’infuso da cui il gruppo prende il nome, che è un potente sostanza psicotropa e anche un purgante, perché il corpo umano fa entrare ed uscire molte cose: questo disco non può essere infatti ascoltato come si fa di solito con le musiche alle quali siamo abituati, ma deve essere potenziato usando sostanze o semplicemente mettendosi le cuffie ed estraniandosi. Il gruppo entra direttamente nel limitatissimo novero di gruppi che fa realmente musica rituale come i Nibiru (tanto per rimanere in casa Argonauta Records), pur se su piani differenti. Upaya è un’opera che piacerà a chi vuole qualcosa di più dalla musica e dalle sensazioni che essa genera, grazie anche ad elementi sonori che intrigheranno chi ama gruppi come gli Yob o i Neurosis.
Un rituale davvero riuscito, dedicato alla memoria di Robin Van Rooij, il 27enne batterista del gruppo, scomparso poco prima dell’uscita del disco.

Tracklist
1.Rhythm of the Caapi
2.Water from Above, Water from Below
3.The Vine
4.Eternal Return
5.Drowning in the Godhead
6.Gathering Psychotria

Line-up
Indrayudh Shome
Floris Moerkamp
Buddy Van Nieuwenhoven
Sifis Karadakis
Thijs Meindertsma
Pedro Ivo Araujo
Brayan Anthony
Robin Van Rooij

AYAHUASCA DARK TRIP – Facebook

Pyre – Human Hecatomb

Il quartetto di San Pietroburgo suona death old school e Human Hecatomb è un deflagrante esempio di metal estremo che esplode dalle casse con una forza dirompente.

La Redefining Darkness Records ristampa questo ottimo lavoro uscito originariamente nel 2014 e del quale ci eravamo occupati a suo tempo sulle pagine metal di In Your Eyes.

La band in questione si chiama Pyre, proviene dalla Russia e questo Human Hecatomb risulta per ora il loro unico full length all’interno di una discografia che comprende anche un ep e un paio di split.
La nuova edizione dell’album contiene molti contenuti speciali, tra cui una manciata di demo mai pubblicati e la cover di Nocturnal Hell dei canadesi Slaughter.
Il quartetto di San Pietroburgo suona death old school e Human Hecatomb è un deflagrante esempio di metal estremo che esplode dalle casse con una forza dirompente.
Stop and go a iosa, rallentamenti pesanti come macigni ed un growl echeggiante come nelle produzioni di vent’anni fa, fanno di questo lavoro un monolite sonoro, con il gruppo che dimostra di aver imparato perfettamente la lezione dei maestri le cui opere nascevano nell’oscurità dei primi anni novanta.
Le due scuole principali, scandinava e statunitense, sono ben rappresentate nel sound di questo lavoro con Entombed e Dismember da una parte ed Obituary dall’altra, ma potrei nominarvi almeno una decina di gruppi che hanno fatto la storia del genere e che vengono rappresentate con la giusta personalità dai Pyre.
I momenti salienti di questo lavoro sono sicuramente l’opener Mercyless Death, Flesh To Poles e la conclusiva Disturbia che lascia spazio ai contenuti extra che valorizzano ancora di più questa ristampa.
Inutile dire che se vi siete persi la prima pubblicazione, ora la Redefining Darkness Records vi regala l’occasione per rimediare, approfittatene.

Tracklist
1.Merciless Death
2.Far beyond The Unknown
3.Last Nail In Your Coffin
4.Possessed
5.Flesh To Poles
6.Under The Death Reign
7.We Came To Spill Thy Blood
8.Cursed Bloodline
9.Disturbia
10.Far Beyond The Unknown (demo)
11.Flesh To Poles (demo)
12.Cursed Bloodline (demo)
13.We Came To Spill Thy Blood (demo)
14.Nocturnal Hell (Slaughter cover)

Line-up
Dym Nox – Bass, Vocals
Kannib Maledik – Drums
Roman Rotten – Guitars
Fred Obsinner – Guitars

PYRE – Facebook

Opprobrium – Supernatural Death

Il duo della Louisiana ci investe con la sua furia, i ritmi serratissimi, i mid tempo rocciosi e le cavalcate devastanti che portano alle band storiche del genere, quelle che a metà degli anni ottanta muovevano i primi passi nel mondo del metal estremo.

Nuova riedizione di Supernatural Death degli Opprobrium, compilation a cura della Brutal Records, uscita originariamente un paio di anni fa.

La band della Louisiana, conosciuta dal 1986 come Incubus, cambiò monicker nel 1999 e nel 2000 esordì con l’album Discerning Forces, seguito da altri quattro lavori, l’ultimo licenziato nel 2016 ed intitolato Serpent Temptation
Il duo è composto da Moyses M.Howard alla batteria e Francis M.Howard alla chitarra e voce: il sound tracima violenza death/thrash come da tradizione, quindi siamo nel metal estremo di metà anni ottanta.
Il duo di Metairie ci investe con la sua furia, i ritmi serratissimi, i mid tempo rocciosi e le cavalcate devastanti che portano alle band storiche del genere, quelle che a metà degli anni ottanta muovevano i primi passi nel mondo del metal estremo.
Gli Slayer sono la band alla quale il duo si rapporta, anche se alcune soluzioni più death metal oriented sono ispirate dai primissimi Obituary e la produzione risulta in linea con la proposta old school del combo in un delirante massacro estremo.
Sessanta minuti sono tanti per un sound che non si discosta dalla solita formula, anche se una manciata di brani alza il valore di questa compilation (Voices From The Grave, Underground Killer, Sadistic Sinner ed Hell’s Fire).
Quella del gruppo statunitense è una proposta adatta solo ed esclusivamente ai fans del death/thrash metal vecchia scuola, uno dei generi underground per antonomasia, ma se vi piacciono i primissimi Slayer un ascolto è d’obbligo.

Tracklist
1. The Battle Of Armageddon
2. Voices From The Grave
3. Blaspheming Prophets
4. Underground Killer
5. Serpent Temptation
6. Hunger For Power
7. Blind Vengeance
8. Sadistic Sinner
9. Rigor Mortis
10. Cataleptic
11. Hell’S Fire
12. Assault
13. Incubus
14. Death
15. Curse Of The Damned City
16. Fear Of The Unknown

Line-up
Moyses M.Howard – Drums
Francis M.Howard – Guitars, Vocals

OPPROBRIUM – Facebook

Torment Of Souls – Zombie Barbecue

Parti che si avvicinano al thrash metal si scontrano con altre death , le atmosfere ricordano le strade brulicanti di non morti dei film horror, la tensione è altissima ma la componente melodica, importantissima nella struttura dei brani, gioca un ruolo per nulla marginale rendendo l’ascolto vario e piacevole.

Gruppo attivo dalla prima metà degli anni novanta, i Torment Of Souls portano avanti il loro concept dalle tematiche horror a suon di death metal old school.

Quattro full length ed un paio di ep compongono la discografia completa del gruppo, con questo lavoro che risulta l’ultimo della serie, essendo uscito originariamente nel 2013.
L’apocalisse zombie incombe sulla terra e i Torment Of Souls la raccontano tramite le trame del loro metal estremo di scuola death, dal taglio melodico e progressivo, quindi niente devastazioni brutal/gore come potrebbe far pensare il titolo, ma un più ragionato death metal suonato con perizia ed un buon talento per le melodie.
Parti che si avvicinano al thrash metal si scontrano con altre death , le atmosfere ricordano le strade brulicanti di non morti dei film horror, la tensione è altissima ma la componente melodica, importantissima nella struttura dei brani, gioca un ruolo per nulla marginale rendendo l’ascolto vario e piacevole.
Blooddawn esplode dopo un lungo strumentale, il thrash metal oscuro e pesante di matrice americana è l’arma in più del combo tedesco, e fuso con il death metal crea un sound estremo pregno di malsana musica progressiva.
Brani come la title track o la devastante Die Hure 3 convincono, il banchetto per l’orda di famelici zombie è ormai pronta, il cielo grigio dal fumo degli incendi che illuminano le strade della città annuncia l’ennesimo massacro, con la bellissima Bone Stone Brain, un brano che ricorda non poco gli Iced Earth di The Dark Saga resi ancora più estremi dal growl e dalle scudisciate ritmiche.
The Walking Death conclude il lavoro con ritmiche marziali che si trasformano in una cavalcata metallica, il refrain si tinge di rosso sangue ed il chorus thrash è da cantare a squarciagola mentre ci si appresta al pasto cannibale.
Zombie Barbecue ha fondamentalmente nel solo titolo il suo punto debole, ovviamente si tratta di un appunto marginale all’interno di un giudizio più che positivo.

Tracklist
1.Blooddawn
2.Zombie barbecue
3.Schrei
4.Die Hure 3
5.Bone Stone Brain
6.Ex Geht Zu Ende
7.Sore Intestines
8.Galgenmann
9.The walking Dead

Line-up
Jochen Hamper – Vocals
Thomas Hotz – Guitar
Georg Sander – Guitar
Markus Reger – Guitar
Joachim Hotz – Drums
Daniel Hayward – Bass

TORMENT OF SOULS – Facebook

Heaving Earth – Diabolic Prophecies

Ottima iniziativa da parte della Eclectic Productions che ripropone Diabolic Prophecies, primo lavoro sulla lunga distanza dei deathsters cechi Heaving Earth.

Ottima iniziativa da parte della Eclectic Productions che ripropone Diabolic Prophecies, primo lavoro sulla lunga distanza dei deathsters Heaving Earth, gruppo nato in Repubblica Ceca una decina d’anni fa, e che oltre due demo ( il primo, Vision Of The Vultures è presente come bonus su questa nuova edizione), ha licenziato un secondo full length tre anni fa (Denounching The Holy Throne).

Nella tracklist fa bella mostra di sé la cover di Pain Divine, brano dei Morbid Angel tratto dal masterpiece Covenant, ad indicare perfettamente la strada compositiva presa dalla band, allora un quartetto composto da Michal Kusak al microfono, Tomas Halama e Patrik Snobl alla chitarra e al basso e Jiri Zajic alla batteria.
Il suono offerto è un death metal old school, nel solco della tradizione tra growl profondi e mid tempo efferati, valorizzato da una tecnica che permette al gruppo di sbizzarrirsi in ghirigori solistici, passaggi veloci e potentissimi rallentamenti.
Diabolic Prophecies risulta un album ben fatto, ovvio che il tipo di musica suonata permetta poche concessioni all’originalità, ma è un dettaglio, almeno per gli amanti dei suoni estremi di stampo death che troveranno tra le trame di brani dalla potenza estrema impressionante come The Shrine Of Desolation o Hideous Idiolatry Violation, buoni motivi per tornare ad occuparsi degli Heaving Earth e di questo loro primo lavoro.
Non sono solo i Morbid Angel, ma è tutto il death metal di matrice statunitense ad essere presente nel sound del gruppo ceco in tutte le sue migliori vesti, quindi approfittate di questa nuova riedizione di Diabolic Prophecies.

Tracklist
1.Serpents Domination
2.Beyond The Void
3.Seething Fragments
4.Atavistic Revelation
5.The Shrine Of Desolation
6.Humanity Exiled
7.Disciples Of Obscurity
8.Hideous Idiolatry Violation
9.Pain Divine
10.Fundamental Decomposition
11.Concepted Backwards
12.Vultured Vision

Line-up
Michal Kusak — Vocals
Tomas Halama — Guitars, Bass
Patrik Snobl — Guitars, Bass
Jiri Zajic — Drums

HEAVING EARTH – Facebook

Pensées Nocturnes – Grotesque

Nuovi stili musicali, nuove avanguardie, influenzano positivamente o inquinano irrimediabilmente il black metal? Un quesito per tutti coloro che approcciano album come Grotesque, della one-man band francese Pensées Nocturnes. A voi l’estrema decisione.

Quello che non manca sicuramente alla one-man band francese dei Pensées Nocturnes è il coraggio.

Al giorno d’oggi, le mille sfumature che ha assunto il black metal, hanno reso il genere sicuramente più accessibile; molti – probabilmente – che in passato aborrivano questa lato estremo del metal, hanno iniziato ad avvicinarsi al genere, anche grazie alla moltitudine di album di sottogeneri, che oggi invadono gli scaffali dei negozi di dischi (o meglio i siti internet, vista la repentina e triste scomparsa del classico negozietto sotto casa).
In Grotesque, album uscito nel 2010 e riedito in vinile quest’anno da Les Acteurs de l’Ombre Productions, oggetto di questa recensione, il genere proposto da Vaerohn si potrebbe definire avantgarde post black metal con sfumature barocco/neoclassiche(!), cantato in francese.
Ma andiamo per gradi. Il primo pezzo Vulgum Pecus, dopo un desolante inizio da marcia funebre, procede senza che, in alcun modo, qualcuno possa identificarne una band black metal. Pezzi orchestrali maestosi, pomposi, legni, ottoni ed archi che sostituiscono i più “tradizionali” strumenti del genere, quali chitarre zanzarose e bassi distorti, in assenza totale di drumming ritmico (blast beat) e parti vocali (scream). La parte terminale accoglie persino un sottofondo di applausi stile Scala di Milano, quasi a voler sottolineare che ciò che andremo ad ascoltare non sarà un semplice album, bensì un vero e proprio concerto sinfonico.
Se non fosse per la durata del pezzo (più di tre minuti) avrei pensato ad un (bellissimo) intro. A questo punto, cresce l’attesa e la curiosità, per il secondo pezzo, Paria, che, dopo alcuni secondi di cacofonica introduzione di batteria e basso, mostra il suo vero intento: struggere l’ascoltatore, deprimerlo sino a condurlo al suicido, annichilendolo al punto da renderlo completamente abulico ed indolente. Un lamento angosciante, costruito su accelerazioni scoordinate e momenti soporiferi, scanditi da batteria e piatti, e da sprazzi di gorgheggi vocali più accostabili ad un tenore, intervallati da urla strazianti (tra lo scream e il growl). Senza soluzione di continuità tra gli strumenti (quasi sempre si ha l’impressione che le basi ritmiche facciano a pugni e che tutto sia improvvisato), il genere proposto da Vaerohn, vacilla tra uno stile che vuole essere estremo, ma che non lo è almeno nel senso letterale del termine, ed un’opera sinfonica, un funeral depressive doom di matrice classica, sostenuto da una base quasi jazzata (ma nel senso disarmonico del termine). Come nella successiva Rahu che, addirittura, sotto ad un vero cantato scream (finalmente) quasi trascende, nelle sue seppur brevi accelerazioni, uno speed metal, inaspettato, e forse mai ascoltato prima. Malinconici arpeggi, accompagnati da violoncelli, fagotti, clavicembali – e chi più ne ha più ne metta – da orchestra barocca, sempre quasi sembrando in disaccordo tra loro, con una voce in bilico tra un lamentoso clean e uno straziante scream/growl , sono ciò che ci si può aspettare, acquistando questo album. Eros è un pezzo più shoegaze inglese che metal vero e proprio, che non fa altro che acutizzare la ferita oramai aperta, per chi si aspettava un album black, o estasiare chi invece era alla ricerca di nuove sperimentazioni sonore. Anche in questa traccia, dopo il classico riff monocorde tipico del genere, diciamo in drone style, si percepisce l’amore smisurato del francese per la musica classica (la parte terminale è un trionfo di trombe e tromboni). Monosis, è il momento più funebre dell’album. Una voce sempre tra il clean, nella sua espressione più lirica, e uno scream strozzato e straziante, che mostra quanto il nostro, più che cantare, voglia esternarci la sua disperazione per la vita terrena. Suoni più da Bladerunner danno un tocco sci-fi al pezzo, subito seguiti da una parentesi folkeggiante – quasi gypsy – da festa di Santa Sara (patrona di tutti i Gitani), che sfocia poi irrimediabilmente nel caos sonoro di ritmiche sparate alla velocità della luce, in completa disarmonia tra loro.
Se qualcuno avesse ancora dubbi sul fatto che Mr.Vaerohn volesse sconvolgerci in qualche modo, ecco che arrivano Hel e la successiva Thokk (depressive cacophonic classic black metal?) emblematici esempi di ciò che abbiamo ascoltato sinora; in Hel qualche inserto di xilofono da film dell’orrore ci ottenebra la mente, ci vaporizza quel poco di luce interiore che ancora ci era rimasta, mentre l’organo da chiesa di Thokk, fa piazza pulita di quel che ci resta di ancora umano.
L’ultima track (un teatralmente tragico pezzo di pianoforte) è Suivante (Seguente), che chiude un drammatico capitolo musicale, quasi sicuramente capolavoro per chi ama la sperimentazione sonora e queste nuove forme artistiche, un deludente (ed inquinante) nuovo approccio al black, per i tradizionalisti.
Il voto 6, deriva dalla media tra 7, per il coraggio e la ricerca di nuovi suoni, e 5 per l’aver voluto inserire la parola black in questo contesto.
Ultima nota di colore, tanto per prenderci ancor più alla sprovvista: face painting d’ordinanza per il nostro, ma più che Abbath pare un misto tra Pennywise e il Joker … Bambini, paura!

Tracklist
1.Vulgum Pecus
2.Paria
3.Râhu
4.Eros
5.Monosis
6.Hel
7.Thokk
8.Suivant

Line-up
Vaerohn – Vocals, all instruments, songwriting, lyrics

PENSEES NOCTURNES – Facebook

Hirax – Born In The Street 1983-1984

Born In The Streets è un buon pretesto per tuffarsi nel clima metallico dei primi anni ottanta in compagnia di Katon De Pena e compagni, ottimi outsider della scena thrash metal statunitense.

La FOAD ristampa in vinile i primi demo degli Hirax, band dello storico cantante Katon De Pena, unico membro originale del gruppo rimasto in formazione dal lontano 1984.

Facente parte della scena di San Francisco, covo di fiere metalliche come Testament, Megadeth, Exodus e Metallica, la band ancora in attività (l’ultimo album si intitola Immortal Legacy ed è uscito nel 2014) ed è una delle più amate realtà della prima ondata thrash metal che invase il mondo musicale, anche se in termini commerciali rimasero un passo indietro rispetto alle band citate.
I demo di cui si compone Born In The Streets 1983/1984 sono Hirax, omonimo lavoro del 1984, e La Kaos, licenziato un anno prima, integrati da una manciata di brani inediti che fanno della compilation una chicca per gli amanti della band di Katon De Pena.
Influenzato dalla New Wave Of British Heavy Metal, il gruppo americano sfoggiava una rabbiosa grinta heavy speed, con la voce del cantante a valorizzare le fughe velocissime dei suoi compari e dimostrandosi come uno dei migliori interpreti della scena.
I brani inediti hanno la pecca del suono deficitario e da garage e rimangono essenzialmente delle testimonianze storiche interessanti per i fans e nulla più, mentre il demo omonimo dimostra di cosa fossero capaci gli Hirax quando decidevano di spingere a tavoletta.
La Kaos ci riserva il lato rock’n’roll della band con almeno due perle di hard & heavy come My Baby e She’s Man Killer, che tanto sanno di Thin Lizzy.
Born In The Streets è un buon pretesto per tuffarsi nel clima metallico dei primi anni ottanta in compagnia di Katon De Pena e compagni, ottimi outsider della scena thrash metal statunitense.

Tracklist
Side A
1.Born in the Streets
2.Battle Cry
3.Stand and Be Counted
4.Believe in the King
5.To Be Free
6.The Saviour
7.War Hero

Side B
8.Intro / Life Goes On
9.She’s Man Killer
10.My Baby
11.Y.B.D.
12.Runnin’

Line-up
Katon W. De Pena – Vocals
Steve Harrison – Bass
Lance Harrison – Guitars
Mike Vega – Drums

HIRAX – Facebook

Internal Suffering – Choronzonic Force Domination

Choronzonic Force Domination risulta un lavoro consigliato ai fans di Incantation, Morbid Angel, Decide e Immolation, nel caso se lo fossero perso al momento della sua prima uscita quattordici anni fa.

Giunge il momento della ristampa anche per i colombiani Internal Suffering e non poteva che riguardare il loro album migliore, quel Choronzonic Force Domination uscito nel 2004 per Displaced Records e prodotto nientemeno che da Erik Rutan (Morbid Angel, Hate Eternal, Ripping Corpse ed Alas).

Ovvio che, allora, la presenza di un protagonista così importante della scena estrema mondiale portasse un certo interesse nei confronti del gruppo da parte degli amanti del death metal più violento e brutale.
Interesse ben riposto visto il muro sonoro con cui gli Internal Suffering assaltano l’ascoltatore, un muro altissimo e spesso, invalicabile per chiunque non abbia confidenza con i suoni estremi.
Curato dalla Satanath Records, il ritorno sul mercato di Choronzonic Force Domination dimostra le capacità del gruppo colombiano, realtà di una scena conosciuta solo agli intenditori e messa in secondo piano dal sempre presente Brasile, quando si parla di metal sudamericano.
Si diceva del muro, altissimo ed invalicabile che i quattro brutali distruttori alzarono con questo lavoro che unisce una violenza sonora devastante ed un buona tecnica esecutiva, senza cedere di un passo in quanto ad impatto.
E qui emerge l’unico difetto riscontrato in Choronzonic Force Domination, essendo composto da tredici aggressioni sonore senza soluzione di continuità ma pure senza una minima variazione sul tema che possa dare quel tocco più vario e meno uniforme al lavoro.
Un dettaglio, per molti magari più che un semplice difetto, fatto sta che Choronzonic Force Domination risulta un lavoro consigliato ai fans di Incantation, Morbid Angel, Decide e Immolation, nel caso se lo fossero perso al momento della sua prima uscita quattordici anni fa.

Tracklist
1.Choronzonic Force Domination (I Am the Power 333 of the Tenth Aethyr!)
2.Summon the Gods of Chaos (Projected into the Abyss)
3.Across the Tenth Aethyr (Transcending into the Outerworlds)
4.Baphomet Invocation (Ancient Gods Return)
5.Legion (We, as One… Dominate!)
6.Dagon’s Rising (Macrocosmic Guardian of the Threshold)
7.Dispersion & Darkness (In the Outermost Abyss It Dwells)
8.Orbiting Chaosphere (Primal Chaos Manifestation)
9.Enter the Gate of Death (…into the Darkly Shinning World)
10.Internal Suffering – Enter The Gate Of Death (Original 1999 Version) [bonus track]
11.Internal Suffering – Choronzonic Force Domination (Rough Mix) [bonus track]
12.Internal Suffering – Summon The Gods Of Chaos (Rough Mix) [bonus track]
13.Internal Suffering – Thelemic Conqueror (Promo 2005) [bonus track]

Line-up
Fabio Marin – Vocals
Andres Garcia – Bass
Alex del Rey + Diego Alonso – Guitars
Wilson “Chata” Henao – Drums

INTERNAL SUFFERING – Facebook

Solaris – L’ Orizzonte Degli Eventi

Ristampa del primo lavoro dei romagnoli Solaris che fanno uno stoner rock desertico in italiano, votato all’occulto e alla metafisica.

Ristampa del primo lavoro dei romagnoli Solaris che fanno uno stoner rock desertico in italiano, votato all’occulto e alla metafisica.

Il suono che ci propongono i ragazzi romagnoli è un qualcosa che nasce nello stoner ma soprattutto nell’innovativa tradizione di gruppi italiani come i Timoria ed i Ritmo Tribale, anche se il tutto è profondamente frutto del gruppo. I Solaris sono anche un’ottima sintesi di quanto di meglio ci sia stato negli ultimi venti anni in un certo sottobosco musicale italiano. Questo ep è stato appunto ristampato in un’edizione limitata di 200 copie, grazie al buon successo avuto nella prima edizione. L’ascolto infatti è molto piacevole, il suono è ipnotico ed incalzante, come se fosse un trip lisergico in mezzo ad una terra molto calda, e il cantato in italiano valorizza enormemente il tutto. I testi parlano di storie viste attraverso un velo mitico, ma anche una lontananza molto vicina, e hanno bisogno della loro musica per essere capiti. A livello compositivo il lavoro è notevole, e e lo si sente in ogni frangente, e la musica si sposa benissimo con le parole. I Solaris non sono affatto un gruppo comune, questo ep lo grida ed è un’altra prova che a cercarlo abbiamo un underground unico in Italia, solo che a volte è più facile cercare altri prodotti in giro di minore qualità. Dentro questo ep c’è anche tanto sentimento, tanta voglia di vedere il leviatano per capire fino in fondo, senza fermarsi ad apparenze digitali. C’è un gusto di antico in questo disco, di pagano e di forte come l’odore dei boschi. Ascoltateli e fatevi un’idea, non vi stancherete di questo ep.

Tracklist
1.Luna
2.Nottetempo
3.Erode
4.Leviatano
5.Specchio

Line-up
Alberto Casadei
Paride Placuzzi
Lorenzo Bartoli
Alan Casali

SOLARIS – Facebook

Coroner – Punishment For Decadence

Questa volta tocca alla Century Media riproporre sul mercato uno dei capisaldi del thrash europeo, Punishment For Decadence dei Coroner, a distanza di trent’anni dalla prima uscita nell’anno metallico 1988.

Questa volta tocca alla Century Media riproporre sul mercato uno dei capisaldi del thrash europeo, Punishment For Decadence dei Coroner, a distanza di trent’anni dalla prima uscita nell’anno metallico 1988.

Il trio svizzero non ha bisogno di presentazioni, almeno per chi il genere lo mastica da un po’, un trio di infallibili musicisti con a capo Tommy T. Baron, chitarrista mostruoso e anima del gruppo nato a Zurigo nel 1983 e che in carriera ha scritto una manciata di capolavori di thrash metal tecnico e progressivo tra i quali Punishment For Decadence è il secondo lavoro.
La discografia dei “Voivod” svizzeri si ferma nel 1993, ma bastano cinque anni ed altri tre album (No More Color, Mental Vortex e Grin) per entrare nella leggenda del metal estremo.
Punishment For Decadence viene licenziato dunque nel 1988 dalla Noise Records, label che si prenderà carico in seguito delle uscite più importanti del metal suonato nel centro Europa, e nella formazione, oltre al già citato chitarrista troviamo Ron Royce (voce, basso) e Marquis Marky (batteria).
L’album èuna scheggia impazzita di thrash metal ultra tecnico, veloce e progressivo, la voce cartavetrata di Royce si scaglia su una serie di cavalcate dove la doppia cassa impera e la chitarra è splendida protagonista di intrecci armonici che faranno scuola e straordinari solos che impazzano su brani a tratti esaltanti.
L’anima progressiva del terzetto svizzero si fa largo tra la tempesta di metallo che si abbatte sull’ascoltatore con i primi due brani, Aborted e Masked Jackal.
Arc-Lite è uno strumentale magnifico, una prova di tecnica spaventosa da parte dei tre musicisti, mentre l’album continua a regalare perle estreme come Skeleton On Your Shoulder e la devastante The New Breed, con Tommy T. Baron che esce dai canoni del genere per regalare solos dall’impostazione shred.
Primo capolavoro di questa straordinaria band, Punishment For Decadence testimonia la bravura, non solo strumentale, dei Coroner, replicata con gli album successivi, ma queste sono altre storie metalliche.

Tracklist
1. Intro
2. Absorbed
3. Masked Jackal
4. Arc-Lite
5. Skeleton on Your Shoulder
6. Sudden Fall
7. Shadow of a Lost Dream
8. The New Breed
9. Voyage to Eternity
10. Purple Haze

Line-up
Ron Royce – Vocals, Bass
Tommy T. Baron – Guitars
Marquis Marky – Drums

CORONER – Facebook

Coroner – No More Color

A detta di molti il successivo Mental Vortex è stato il migliore disco dei Coroner ed è quasi sicuramente vero, ma No More Color è l’espressione massima degli inizi della band, nella quale viene espressa davvero tutta la grandezza di un thrash diverso e bellissimo.

I primi tre introvabili e costosissimi album dei Coroner sono finalmente stati rimasterizzati e ristampati dalla Century Media Records.

Gli svizzeri sono stati e sono tuttora un gruppo fondamentale, ma la storia non è stata né lineare né facile. No More Color è il terzo disco del 1989, e testimonia ciò che sono sempre stati i Coroner: un gruppo bravissimo e fuori posto. Per la media di fine anni ottanta erano una band troppo difficile per l’ascoltatore medio del thrash metal, ma se si ascolta nel 2018 questo disco, ogni trenta secondi vi verrà da dire che avete già sentito da qualche parte questo passaggio, e anche che questo bridge non è sconosciuto. Thrash molto tecnico, ma non per questo meno traboccante di passione, quello dei Coroner è stato l’asfalto posato su una strada che moltissimi hanno percorso dopo di loro. Non poteva essere di meno per un gruppo di roadies dei connazionali Celtic Frost. In No More Color ci sono momenti di autentico entusiasmo, linee melodiche di altissimo livello, e soprattutto una composizione stellare. Effettivamente per il 1989 era forse troppo, ed infatti i nostri nel 1993 incisero l’ultimo disco Grin, preceduto da Mental Vortex e chiusero per il momento la loro avventura. Nel 2010 fecero un reunion tour, e ora sono in pausa. Cosa lasciano i Coroner ? Tantissimo, basta ascoltarli e capirete perché ci sono persone che li nominano e si illuminano loro gli occhi. In poche parole, qui c’è la tecnica, la passione e la tensione musicale che uno ama nel metal, ecco questo dei Coroner è uno dei migliori metal possibili. La rimasterizzazione, in verità abbastanza scarsa, porta a galla in maniera ancora più marcata la pulizia e la bellezza dei paesaggi sonori di questi svizzeri. Una delle cose più belle dei Coroner è che non cercano scorciatoie, non fanno i furbi, ma lavorano duramente e cercano sempre vie nuove per esprimere il loro talento e l’ascoltatore. A detta di molti il successivo Mental Vortex è stato il loro miglior disco ed è probabilmente vero, ma No More Color è l’espressione massima degli inizi della band, nella quale viene espressa davvero tutta la grandezza di un thrash diverso e bellissimo.

Tracklist
1. Die By My Hand
2. No Need To Be Human
3. Read My Scars
4. D.O.A.
5. Mistress of Deception
6. Tunnel of Pain
7. Why It Hurts
8. Last Entertainment

Line-up
Tommy T. Baron – Guitars
Marquis Marky – Drums, Vocals (backing), Lyrics
Ron Royce – Bass, Vocals

CORONER – Facebook

Coroner – R.I.P.

R.I.P. è il primo dei full length ristampati dalla Century Media utili a ricordare chi fossero i Coroner, una band di fondamentale importanza nello sviluppo di un certo tipo di trash metal tanto d’impatto quanto tecnico ed innovativo.

La Century Media ha rimesso meritoriamente in circolazione i primi tre dei cinque full length pubblicati dai Coroner, una band che non dovrebbe avere bisogno di presentazioni, vista la sua importanza nello sviluppo di un certo tipo di trash metal tanto d’impatto quanto tecnico ed innovativo.

Presupponendo che queste righe vengano lette da qualcuno che non abbia mai sentito parlare del gruppo svizzero, si può tranquillamente affermare che con R.I.P., album d’esordio uscito nel 1987, veniva decisamente alzata l’asticella qualitativa in un genere che, poco più a nord, era da qualche anno letteralmente esploso sotto i colpi inferti dalla triade formata da Kreator, Sodom e Destruction.
Ciò che sorprende in un lavoro come R.I.P. è il suo non essere a rischio di obsolescenza: infatti, nonostante una produzione che per forza di cose trent’anni fa non poteva essere paragonabile a quelle odierne, questi tre magnifici musicisti dimostravano una creatività ed una padronanza strumentale non comune, che brani come Suicide Commando e Coma esibivano in maniera eloquente.
Dopo lo scioglimento avvenuto nei primi anni novanta, successivamente al’uscita di Grin, il solo vocalist e bassista Ron Royce non è più stato coinvolto con altre band all’interno della scena, mentre Marquis Marky è stato impegnato con gli Apollyon Sun di Tom G.Warrior e Tommy T.Baron ha svolto un ruolo da protagonista nei due album più sperimentali (non a caso) dei Kreator, Outcast ed Endorama.
Oggi la band risulta in teoria ancora attiva, ma dopo il tour effettuato all’inizio del decennio e l’annuncio di un possibile nuovo disco qualche anno fa, di fatto non si hanno più notizie che confermino questa possibilità: sperare non costa nulla, perché personaggi di questa levatura potrebbero avere ancora moltissimo da dire.

Tracklist:
1. Intro
2. Reborn Through Hate
3. When Angels Die
4. Intro (Nosferatu)
5. Nosferatu
6. Suicide Command
7. Spiral Dream
8. R.I.P.
9. Coma
10. Fried Alive
11. Intro (Totentanz)
12. Totentanz
13. Outro

Line-up:
Tommy T. Baron – Guitars, Vocals (backing)
Marquis Marky – Vocals (backing), Drums
Ron Royce – Vocals, Bass

CORONER – Facebook

Sadness – Ames De Marbre

La ristampa di quest’album degli svizzeri Sadness, uscito all’inizio degli anni novanta , da una parte fornisce l’occasione di riscoprire una band che all’epoca ottenne una discreta attenzione in virtù di una cifra stilistica anche coraggiosa, ma dall’altra ci fa constatare amaramente come gran parte dei lavori pubblicati poco meno di trent’anni fa fossero penalizzati da produzioni che impedivano loro di apparire ancora oggi attuali.

Questo, ovviamente, è un problema che riguarda sostanzialmente le opere di seconda fascia, come appunto fu Ames de Marbre,  esordio su lunga distanza per la band elvetica, edito nel 1993 e riproposto oggi grazie al meritorio operato dall’etichetta olandese Vic Records, le cui uscite son appunto perlopiù delle ristampe.
I Sadness proponevano un gothic doom che sembrava però suonato e composto con un approccio vicino al post punk, ricco quindi di buone intuizioni ma, col senno di poi, un po’ farraginoso e dai suoni anche troppo scarni; nonostante l’album conservi il suo fascino vintage, frutto anche di una scrittura mai scontata, della quale offrono una buona testimonianza brani magnifici come Lueurs e Red Script, quello che venticinque anni fa appariva alle nostre orecchie indubbiamente interessante oggi si rivela irrimediabilmente datato .
Pregio e difetto essenziale della band di Sion era quello di muoversi con buona padronanza all’interno del metal dalle tonalità più oscure, attingendo liberamente dal death, dal doom e dal gothic, cospargendo il tutto di una certa teatralità: come contraltare, mancava per forza di cose di quell’amalgama che probabilmente si sarebbe riuscita a trovare se le stesse composizioni fossero state affidate ad un produttore con i mezzi e le competenze odierne.
Tutto questo non significa che Ames de Marbre fosse un’opera trascurabile, anzi, credo fermamente che gli estimatori di certe sonorità potranno gradire non poco questa riedizione, che offre anche la possibilità di ascoltare i due demo pubblicati dai Sadness nel 1991 (Y) e nel 1992 (Eodious), utili più a fini di curiosità che altro, alla luce di una resa sonora ai limiti dell’ascoltabilità; non va dimenticato, però, che in quegli stessi tempi uscivano dischi che, pur con gli stesi mezzi tecnici a disposizione, se riascoltati oggi non sono affatto a rischio di obsolescenza (per esempio, Seredenades o Turn Loose The Swans) e questo è tutto ciò che fa la differenza tra album seminali (quelli citati) ed altri validi ma inevitabilmente destinati a restare confinati nella nicchia delle opere di culto ricordate da un numero esiguo di persone.

Tracklist:
1. Ames de Marbre
2. Lueurs
3. Tristessa
4. Opal Vault
5. Tears of Sorrow
6. Red Script
7. Antofagasta
8. Red Script
9. Eodipus
10. Disease of Life
11. Face of Death
12. Y
13. The Lost Colors
14. Outro

Line up:
Gradel – Drums
Steff – Guitars, Vocals
Chiva – Guitars, Piano
Andy – Bass, Vocals (German)

SADNESS – Facebook

Jester Beast – The Lost Tapes of… Poetical Freakscream

Un’opera imperdibile per riscoprire o riascoltare al meglio di quanto offerto dall’odierna tecnologia uno dei gruppi storici nati nel nostro paese, leggendari testimoni di un’epoca importantissima per lo sviluppo delle sonorità estreme nel nostro paese.

Viene riproposto in una nuova veste e migliorato in modo sensibile nella produzione un album storico della scena thrash metal tricolore: si tratta di Poetical Freakscream dei piemontesi Jester Beast, gruppo che all’epoca dell’uscita (1991) formava insieme a Broken Glazz, Gow e Negazione la punta dell’iceberg della scena metallica piemontese, allora una delle più attive nello stivale.

Nati addirittura nella prima metà degli anni ottanta, i Jester Beast purtroppo, dopo il primo demo Destroy After Use, licenziato nel 1988 e questo unico full lenght, si fermò fino al 2012, anno di uscita dell’ep The Infinite Jest.
La F.O.A.D. Records si prende carico di pubblicare questa nuova edizione dello storico lavoro, una mastodontica opera che vede, oltre a Poetical Freakscream nella più potente versione pre-mix, an che The Lost Tapes of… Poetical Freakscream, che riserva un bonus cd con il demo Destroy After Use ed una manciata di brani live risalenti al 1988.
Capitanati dal chitarrista C.C. Muz, i Jester Beast mostrarono a tutti d’essere un gruppo dall’impatto unico e dotato di un’ottima tecnica, ma penalizzato da un mixaggio approssimativo e incompleto che fece di Poetical Freakscream un’opera riuscita a metà, per fortuna oggi ascoltabile in una veste più consona alla qualità della musica proposta.
Il sound poggiava le sue basi sul thrash furioso degli Slayer (specialmente nel primo demo) e su quello più elaborato dei Voivod (tanto che Michael “Away” Langevin, batterista della formazione canadese, curò in seguito artwork e logo sull’ep The Infinite Jest) ma attraversato da un’attitudine hardcore: il tutto rese i Jester Beast una delle realtà più importanti dell’allora scena underground.
Un’opera imperdibile per riscoprire o riascoltare al meglio di quanto offerto dall’odierna tecnologia uno dei gruppi storici nati nel nostro paese, leggendari testimoni di un’epoca importantissima per lo sviluppo delle sonorità estreme nel nostro paese.

Tracklist
1.Freak Channel 9
2.Illogical Theocracy
3.Jester Day
4.Claustrophobic Autogamic
5.Swan Ain’t Die
6.Poetical Freakscream
7.Mother
8.D.A.U.
9.Unidentified Body

“Destroy Ater Use” – Demo 1988
10.Mother
11.Destroy After Use
12.Hypnotized
13.Clustrophobic Autogamic
14.Outro

Live in Treviso, 16/04/1988
15.Hypnotized
16.Psychopathic
17.Dream Over Dream
18.Labyrinth
19.Suck My Powerful Dick
20.Still Born

Line-up
STEO ZAPP – Vocals
CC MUZ – Guitar
ROBY VITARI – Drums
PIETRO “DURACELL” GRASSILLI – Bass

JESTER BEAST – Facebook

Cabrakaan – Songs From Anahuac

Un ep molto originale e pieno di pathos, di vitalità messicana e di melodie ragionate, dove anche le durezze stanno bene nel contesto, dato che i Cabrakaan sono un gruppo molto particolare e lo fanno sentire molto bene.

Ep del 2014 per questo gruppo messicano che fa un buon folk metal con molte influenze che si potrebbero definire new age.

I Cabrakaan però non hanno molto di messicano, ma sono piuttosto un gruppo che va ad inserirsi in una maniera di fare folk metal che si potrebbe definire sinfonica. La loro musica non è segnata dalla durezza o dalla velocità, ma dalla costante ricerca del bilanciamento tra metal e folk, cercando sempre di trovare soluzioni sonore originali. La voce di Pat Cuikäni è molto bella e piena, carica di epicità e di possibilità canore, quasi come una guida in un mondo differente dal nostro. Le peculiarità di questo gruppo sono molte, e i ragazzi di Toluca hanno una forte personalità. Questo ep a volte sembra una colonna sonora di un manga o di un anime, come quelli di Miyazaki, dove la realtà è davvero sfumata e il sogno diventa tangibile. Anche il gioco fra aulica voce femminile e voce in growl è molto funzionale e ben fatto. La band trae una grossa ispirazione dalle tradizioni azteche e riesce a renderle molto bene anche dal vivo. Infatti, nonostante sia stato fondato solo nel 2012, il gruppo ha una solida reputazione internazionale, dato che ha partecipato a molti festival in giro per il mondo. I nostri si sono trasferiti da poco a Calgary in Canada, e da lì stanno preparando il nuovo disco che, ascoltato il loro primo ep, fa nascere una bella attesa. Un ep molto originale e pieno di pathos, di vitalità messicana e di melodie ragionate, dove anche le durezze stanno bene nel contesto, dato che i Cabrakaan sono un gruppo molto particolare e lo fanno sentire molto bene.

Tracklist
1. Cipactli
2. Citalmina
3. Obsidian
4. La Leyenda
5. La Llorona
6. Meshika

Line-up
Pat Cuikäni – Lead Vocals/Ocarinas
Marko Cipäktli – Drums/Harsh Vocals
Alex Navarro – Guitar
Paul Belmar – Guitar
Rex Darr – Bass

CABRAKAAN – Facebook

Hexx – Quest For Sanity & Watery Gates

Power/thrash statunitense, selvaggio e feroce, ruvido e glorificato dal dio metallo: il sound del gruppo era quanto di più amato dai kids sfuggiti ai lustrini del Sunset Boulevard, figlio del metal classico potenziato da iniezioni letali di speed/thrash.

Tra il 1988 e il 1990 prima che il full length Morbid Reality (uscito nel 1991) concludesse la prima fase della loro carriera, ripresa una quindicina d’anni dopo, i thrashers americani Hexx licenziarono questi due ep, Quest For Sanity (1988) e Watery Graves (1990).

La Vic Records ristampa in un unico formato i due storici lavori, così che il gruppo californiano, dopo il buon ritorno sulla lunga distanza dello scorso anno (Wrath Of The Reaper) ,torna a far parlare di sè dopo una lunga sosta ai box.
Band di culto nel panorama power/thrash statunitense, gli Hexx sono tornati in pista con una formazione rinnovata rispetto all’epoca dell’uscita di questi brani: d’altronde sono passati trent’anni, il metal classico ha vissuto il periodo buio dei primi anni novanta e dell’inizio del nuovo millennio, non ha mai mollato è sopravvissuto nell’underground e continua la sua missione tra alti e bassi.
Ai tempi era tutta un’altra cosa, ed una band come gli Hexx era venerata dai fans, fresca del capolavoro Under The Spell uscito nel 1986.
Il sound del gruppo, un power/thrash statunitense, selvaggio e feroce, ruvido e glorificato dal dio metallo, era quanto di più amato dai kids sfuggiti ai lustrini del Sunset Boulevard, figlio del metal classico potenziato da iniezioni letali di speed/thrash.
La band all’epoca era un quartetto, con il chitarrista Dan Watson ed il batterista Jon Shafer, unici superstiti nella formazione che ha registrato l’ultimo album.
Una produzione in linea con le uscite dell’epoca ed una grinta invidiabile da parte del gruppo, fanno di questa operazione un buon modo per rituffarsi nel metal di fine anni ottanta.

Tracklist
1.Racial Slaughter
2.Sardonicus
3.Fields Of Death & Mirror Of The Past
4.Twice As Bright
6.Watery Graves
7.Edge Of death
8.Under The Spell

Line-up
Bill Peterson – Bass
John Shafer – Drums
Dan Watson – Guitars
Clint Bower – Guitars, Vocals

Current Line Up:
Eddy Vega – vocals
Dan Watson – guitars
Bob Wright – guitars
Mike Horn – bass
John Shafer – drums

URL Facebook
https://www.facebook.com/officialhexx

Contenuto musicale (link youtube – codice bandcamp – codice soundcloud)
[Not answered]

Descrizione Breve