Naudiz – Wulfasa Kunja

Un disco come questo riporta alla sorgente stessa del concetto di black metal, dato che ha in sé tutte le caratteristiche migliori del genere.

Puro, devastante e senza compromessi black metal pagano, che più nero e pagano non si potrebbe.

Gli italiani Naudiz tornano con un secondo disco per la Iron Bonehead Productions, ed alzano ulteriormente l’asticella rispetto al disco precedente, Aftur till Ginnungagaps, che era già su ottimi livelli. Il black metal dei Naudiz è di concezione classica, ovvero chitarre non troppo distorte ma belle corpose e veloci, voce in clean e potente, e batteria al fulmicotone. Il risultato è molto interessante, regalando un gran disco di black metal, come è sempre più difficile ascoltarne. Con ciò qui non si vuole affermare che fosse meglio prima, anche perché il black metal ha moltissime declinazioni, e bisogna ascoltare caso per caso. Un disco come questo riporta alla sorgente stessa del concetto di black metal, dato che ha in sé tutte le caratteristiche migliori del genere. Wulfasa Kunja è soprattutto un disco pagano, che descrive il mondo e la religione nordica con competenza, come fanno i Naudiz fin dal primo disco. Non si sa granché di questo gruppo, ma non interessa nemmeno, dato che la potenza e la godibilità di questo lavoro sono molto esaurienti di per sé. Gli argomenti trattati sono tutti inerenti alla mitologia nordica, un substrato antichissimo che non è mai veramente morto, e che ha resistito più tenacemente delle nostre tradizioni pagane, che invece hanno perso molto presto la battaglia con il cristianesimo. Il mondo descritto in questo disco è radicalmente differente dal nostro, è più vicino di noi al caos primordiale, e sa che prima o poi finirà, e non ci sarà nessuna ricompensa. I Naudiz sono bravissimi nel mettere in musica questo differente sentire, che è maggiormente veritiero rispetto alle nostre menzogne quotidiane. Siete pronti per un ragnarok di black metal ? Una delle migliori uscite di quest’anno per il vero black metal.

TRACKLIST
01 Garmr
02 Vali ok Nari
03 Jarnvidr
04 Angrboda
05 Loki
06 Geri ok Freki
07 Vanargandr
08 Wulfasa Kunja

LINE-UP
ᛗᚲ: Guitars
ᚢᛞ: Bass, Vocals
ᛗᛞ: Drums

NAUDIZ – Facebook

Mosaic – Old Man’s Wyntar

Supreme Thuringian Folklore …come spesso accade nell’underground si celano grandi realtà per “open-minded people”.

Spettacolare riedizione (la quarta in tre anni) da parte della tedesca Eisenwald dell’ep Old Man’s Wyntar dei Mosaic, che in realtà nascondono le gesta musicali di un solo artista, Inkantator Koura, accompagnato da altri musicisti (Leshiyas, Scorpios, Maya e altri).

Le tre precedenti edizioni non sono neanche lontanamente paragonabili alla magnificenza dell’ attuale packakging in A5 digibook con testi tedesco e inglese, con intervista all’artista e storia del concept; inoltre, per rendere imperdibile il tutto e’ stato aggiunto un terzo capitolo intitolato Joyful reminiscense and sacred eyes. Inkantator Koura narra di un concept riguardo a winter journey through ancient mysticism and bittersweet darkness e lo fa creando un masterpiece, stratificando suoni black metal, neofolk, ambient, experimental trascinando l’ascoltatore in un vortice di emozioni varianti dall’ incanto alla melanconia, dall’orgoglio alla oscurità, dalla disperazione alla estasi. L’opera alterna momenti folk e neo folk struggenti e dolorosi con parti black raramente esasperate o ritmicamente forsennate, ma cariche di fierezza e disperazione; la struttura è complessa a formare una materia cangiante che sfida l’ascoltatore ad entrare in un regno di freddo e oscurità omaggiante la stagione invernale. L’opera originaria, edita nel 2014, nelle parole dell’autore intesa come un omaggio a Paysage d’Hiver, entità guidata da Wintherr (ora anche nei Darkspace), si divide in due capitoli: il primo, Awakening & Snowfall, inizia con Incipit:Geherre, una litania ovattata sferzata da un gelido vento, per poi proseguire con Onset of Wyntar, brano a tinte black molto atmosferico con Inkantator che declama le sue lyrickal magick.
Il terzo brano Im Winter, che conclude il primo capitolo, profuma di immobili e infiniti ghiacci e mi ha ricordato echi, probabilmente non voluti, di una leggenda Krauta di acidfolk, gli Amon Duul II (qualche vecchio ascoltatore ricorderà); il secondo capitolo, …of Magick and Darkness, presenta Snowscape, un breve viaggio guidato da una tersa melodia,White gloom, un fiero inno black come un lupo in cerca di prede da dilaniare, mentre in the darkness the wind still blows… e Black Glimmer, spettrale e salmodiante racconto ricco di tensione per un posto in cui …nothing shall be green here, for as long as winter reigns. Il terzo capitolo, Joyful reminiscense and sacred eyes, presenta altri tre brani che completano il concept, Silent world, holy awe, oscuro e acido folk rock ,Vom ersten schnee/a tale of mother Hulda dove una nonna, su note molto malinconiche, narra al nipote l’origine della neve; il finale Silver Nights, della durata di circa venti minuti (l’opera dura in tutto molto più di un’ora) chiude su intense, atmosferiche ed epiche note black un lavoro molto particolare, originale, di non facile assimilazione e, come chiosa Inkantator, …for candid, open minded people that take an umbiased approach to music and don’t need to sort everything into stereotyped thinking.

TRACKLIST
1.Incipit: Geherre
2.Onset of Wyntar
3.Im Winter
4.Snowscape
5.White Gloom
6.Black Glimmer
7.Silent World, Holy Awe
8.Vom ersten Schnee
9.Silver Nights

LINE-UP
Inkantator Koura – all instruments and vocals

MOSAIC – Facebook

Author – Lopun Alku

Album che lascia poco all’ascoltatore se non la fatica di arrivare in fondo, Lopun Alku potrebbe trovare qualche estimatore solo tra gli appassionati più oltranzisti del black metal underground.

La terra dei mille laghi, tra i paesi nordici è quella che meno viene accostata al black metal, eppure nella storia della musica estrema la Finlandia non è certo meno importante delle vicine Svezia e Norvegia.

La tradizione vede la scena di questa terra più orientata verso il death metal o il viking ma non sono mai mancate le oscure realtà che mantengono alto il fuoco della fiamma nera della musica; in questi anni che ha visto il genere perdere popolarità, la scena underground è venuta in soccorso dei fans, supportando nuove band ed opere altrimenti perse negli oscuri inferi che si aprono come abissi su al nord.
Author è una one man band (il mastermind del gruppo è il polistrumentista J.V , aiutato dal vivo da una manciata di musicisti della scena) al primo full length, dopo un’ ep uscito sempre per Naturmacht Productions lo scorso anno del quale troviamo presenti due tracce, l’opener Kuolevaisen kirous e Olemme nähneet päivän päättyvän.
Lopun alku, dai testi rigorosamente in lingua madre, è un lavoro di black metal canonico, con scream maligno d’ordinanza ed un’atmosfera glaciale che pervade tutti i brani che compongono quest’ opera estrema, con il difetto non trascurabile di una piattezza di fondo che non dà modo ai brani di sollevarsi, con il ripetersi dello stesso riff per oltre mezz’ora di black metal scontato come il freddo dei mesi invernali nella città di Pori, città di prvenienza degli Author.
Album che lascia poco all’ascoltatore se non la fatica di arrivare in fondo, Lopun Alku potrebbe trovare qualche estimatore solo tra gli appassionati più oltranzisti del black metal underground.

TRACKLIST
1. Kuolevaisen kirous
2. Lopun alku
3. Olemme nähneet päivän päättyvän
4. Kadotus
5. Ei ikinä enää
6. Uusi aamunkoi

LINE-UP
J.V – Vocals, lyrics, guitars, bass, keyboards, all music :
J.W. – Studio Session drumming :

Live line up:
J.V. – Vocals
Chronos – Lead guitar
L.H. – Rhythm Guitar
J.H. – Bass
Enceladus – Drums

AUTHOR – Facebook

Azarath – In Extremis

In Extremis è un disco che merita grande attenzione e riverserà sopra di voi un’immensa potenza di fuoco, risultando moderno ma possiede anche un suono che riporta all’epoca d’oro del death metal.

Torna una delle bestie musicali più immonde della pia Polonia, ed è un ritorno molto gradito quello degli Azarath.

Il gruppo è stato fondato nel 1998 nella cittadina polacca di Tczew, e l’unico membro fondatore è il batterista Inferno, che altri non è che il batterista dei più famosi e altrettanto polacchi Behemoth fin dall’anno 1998, ed è tuttora attivo con loro. E gli Azarath sono appunto una delle maggiori band polacche attualmente in circolazione, e se ascolterete In Extremis capirete facilmente il perché. Il disco è un diluvio di ottimo death black metal, con un approccio, tanto per intenderci, alla maniera dei primi Morbid Angel, con il suono altrettanto rassomigliante a quello dei Behemoth o dei Marduk, ma in realtà il tutto è molto Azarath. In Extremis arriva sei anni dopo Blasphemer’s Maledictions uscito nel 2011, ed è un disco davvero estremo e potente. Il suo suono è un death con venature black soprattutto nell’impianto chitarristico, ma rimane comunque sempre fortemente death. La cosa più importante è che non troverete tregua in questo assalto guidato dalla potente batteria di Inferno, sempre puntuale e decisiva, e tutto il gruppo lo segue perfettamente, aiutato da una produzione molto precisa e mirata sul suono. Gli Azarath non sono l’ennesimo gruppo death black, e nemmeno il passatempo di Inferno, sono semplicemente uno dei gruppi più potenti in circolazione, forti di un suono peculiare, alfiere della via polacca al death metal, e più in generale alla musica estrema. In Extremis è un disco che merita grande attenzione e riverserà sopra di voi un’immensa potenza di fuoco, risultando moderno ma possiede anche un suono che riporta all’epoca d’oro del death metal.

TRACKLIST
1. The Triumph of Ascending Majesty
2. Let My Blood Become His Flesh
3. Annihilation (Smite All the Illusions)
4. The Slain God
5. At the Gates of Understanding
6. Parasu Blade
7. Sign of Apophis
8. Into the Nameless Night
9. Venomous Tears (Mourn of the Unholy Mother)
10. Death

LINE UP
Inferno – Drums
Bart – Guitars
Necrosodom – Guitars, Vocals
Peter – Bass

AZARATH – Facebook

Ben Blutzukker – Analogic Blood

Quattro tracce tra heavy metal e thrash/black per questa one man band del tedesco Ben Blutzukker.

Ben Blutzukker è un polistrumentista tedesco e questo ep di quattro brani è il suo primo lavoro a suo nome.

Analog Blood prende il titolo da un progetto elettronico del 2007 a cui Ben ha partecipato (Digital Blood) e da cui sono stati tratti e rivisitati in versione metallica quattro brani.
Non è la prima volta che il musicista si avventura nel mondo del metal, visto la sua militanza nei thrash metallers Jormundgard, con cui ha collaborato dal 2000 al 2004.
Un ritorno metallico, dunque, con questo ep dove Blutzukker reinterpreta questi brani conferendogli una veste heavy metal, tra le sue ispirazioni ed influenze che vanno dal thrash metal a mid tempo dal flavour oscuro e gotico:
Analog Blood vede una voce aggressiva sporcata da uno scream black che ricorda quello di Abbath, e l’alternanza di ritmiche tra veloci cavalcate thrash metal e potenti mid tempo, dove la sei corde traccia linee di sangue con il black, altro genere nelle corde del musicista di Aschaffenburg.
Tra le quattro tracce si distinguono Digital Blood, title track dell’album targato 2007 e reinterpretata in versione black metal, per poi trasformarsi in un brano di heavy classico attraversato da oscure atmosfere dark/gothic, e la conclusiva Red, anch’ essa concettualmente un brano black vicino al sound solista del leader dei norvegesi Immortal.
Un ascolto che può diventare interessante se siete amanti tanto del metal estremo che di quello classico.

TRACKLIST
1. Walpurgisnacht
2. From Hell
3. Digital Blood
4. Red

LINE-UP
Ben Blutzukker – All Instruments

BEN BLUTZUKKER – Facebook

Winter Deluge – Devolution-Decay

Quello dei Winter Deluge non è un black per palati raffinati ma neppure per gli appassionati duri e puri: si colloca piuttosto in una sorta di terra di mezzo nella quale, a mio avviso, riesce nell’intento di intrigare tutti piuttosto che non accontentare nessuno

Il secondo full length dei neozelandesi Winter Deluge è un classico esempio di come il black metal, in fondo, sia qualcosa in più rispetto ad un semplice genere musicale, almeno per chi lo apprezza per quello che è, senza troppo perdersi in menate connesse a look, stile, tecnica e stucchevoli diatribe su quanto sia o meno “true”.

Devolution – Decay lo ascolti una prima volta e pensi che sia nient’altro se non un normale album, onesto e corrosivo il giusto per attirare un minimo di attenzione ma, in fondo, privo di quel quid in più per renderlo in qualche modo “necessario”.
Poi, come quasi sempre avviene (spingendomi ad affermare che chi liquida un disco dopo uno o due ascolti commette non solo un atto di presunzione e superficialità, ma una sorta di reato di falso ideologico) i passaggi successivi sono quelli che rendono accessibile buona parte delle pieghe che increspano il sound: è solo allora che di Devolution – Decay si capisce molto di più, potendo osservare il tutto sotto una luce diversa.
L’operato dei Winter Deluge perde via via la sua apparente ed uniforme opalescenza per mostrare spunti dalla malevola incisività che non risparmiano la vanità umana (Tentacles Of Time), l’ingerenza della religioni su ogni aspetto dell’esistenza (Corrupt Prophets) o la deriva psichica che sempre più affligge un’umanità priva di certezze (The Negation of Existence): Devolution – Decay scorre ruvido su tempi medi e mai parossistici, ma con accelerazioni repentine che esaltano la rapidità percussiva di Autumnus e qualche rallentamento che va a lambire il doom.
Qualche parvenza gradita di melodia chitarristica la si riscontra in forme omeopatiche, come avviene nell’ottima …Now You Reap, ma è in generale la sensazione disturbante che pervade il lavoro a renderne l’ascolto molto più di un atto dovuto.
Quello dei Winter Deluge non è un black per palati raffinati ma neppure per gli appassionati duri e puri: si colloca piuttosto in una sorta di terra di mezzo nella quale, a mio avviso, riesce nell’intento di intrigare tutti piuttosto che non accontentare nessuno: certo, nesuna novità, ma il tutto va a favore di una asciutta ortodossia e, soprattutto, di una consistente profondità, che è proprio quanto serve per connotare il proprio operato di un valido segno distintivo.

Tracklist:
1.Der Letzte Atemzug
2.The Negation Of Existence (The Cotard Syndrome)
3.Corrupt Prophets
4.Yersinia Pestis
5.Tentacles Of Time
6….Now You Reap
7.Perversion Of Common Sense
8.Winter Deluge
9.The Image That Remains

Line-up:
Arzryth – Lead, Rhythm, Bass Guitars
Autumus – Drums
Mort – Rhythm Guitars
Seelenfresser – Vocals

WINTER DELUGE – Facebook

Aksaya – Kepler

Kepler è un disco non comune e nemmeno conforme, ma che segue una poetica tutta sua, ed è assai notevole poiché esula dal mero significato black, per andare a ricercare qualcosa di diverso.

Fondati nel 2013 i francesi Aksaya non sono affatto un gruppo black comune, poiché hanno una forte impronta personale, che rende unico il loro suono.

Sin dalle prime battute di Kepler gli Aksaya rendono satura l’atmosfera con il loro black geneticamente modificato, che si muove tra l’ortodossia classica, l’atmospheric, un pizzico di depressive e una forte carica hardcore. I tempi sono veloci ma all’occorrenza si dilatano, per trovare soffocanti aperture melodiche, che puntellano maggiormente l’impianto di sofferenza. Gli Aksaya parlano delle nostre vite, di sofferenza e della guerra che quotidianamente combattiamo, e che a volte si trasferisce sui tristemente noti campi di battaglia. Non c’è speranza in questo affascinante tipo di black metal, ma solo una dolorosa catarsi, che comunque non è poco. La potenza del gruppo è molto ben calibrata e precisa e si abbatte in improvvise sfuriate, ma la loro peculiarità maggiore è il fare mid tempo davvero carichi, progressivi e molto strutturati. Sono presenti anche pezzi più melodici, che impreziosiscono il tutto. Il cantato in francese conferisce un timbro molto personale alla musica degli Aksaya, e ciò funziona splendidamente, poiché la metrica della lingua dell’esagono è assai votata alla potenza.
Kepler è un disco non comune e nemmeno conforme, ma che segue una poetica tutta sua, ed è notevole poiché esula dal mero significato black per andare a ricercare qualcosa di diverso. Tutto l’album è sopra il buono, mentre alcuni passaggi sono davvero entusiasmanti.

TRACKLIST
1.Kepler
2.Laїka
3.Fractale
4.Anomalie, Prélude À La Découverte
5.Tau Ceti E
6.Syn 1.0
7.K-701.04
8.Non Morietur

AKSAYA – Facebook

Malignance – Architects Of Oblivion

Un gran ritorno per un gruppo fedele al metal e che, senza tanti proclami e pose, fa un disco da riascoltare spesso, mentre fuori scorre la vera battaglia chiamata quotidianità.

Dopo quattordici da Regina Umbrae Mortis tornano i genovesi Malignance e lo fanno con prepotenza.

Nato nel 2000 dall’incontro del chitarrista Arioch, del bassista Achemar e del cantante Krieg, il gruppo muove i primi passi con un suono death thrash che lascia ben presto spazio all’attuale black, ma le influenze originarie, come potrete ascoltare nel disco, non vanno affatto perse. Nel 2001 viene rilasciato l’ep Ascension To Obscurity, per poi firmare per BOTD e pubblicare il full length Regina Umbrae Mortis, che vi consiglio di andare a recuperare perché è un disco notevole. Nel 2005 i Malignance partecipano allo spilt De Vermis Misteris, che fin dal titolo mi sembra sia chiaro di cosa si tratti, e Arioch in quel momento decide di sospendere le attività dei Malignance per dedicarsi ad altri progetti. Nel 2015 Arioch e Krieg danno nuovamente vita ai Malignance per arrivare a questo nuovo Architects Of Oblivion . I Malignance usano generi conosciuti ma li rielaborano alla loro maniera per arrivare a quello che definirei Genoan Battle Metal, perché sarebbe piaciuto ai balestrieri medioevali genovesi che andavano a conquistarsi fama e morte in battaglie lontane. Il cantato è quasi sempre pulito, a parte qualche momento di maggior concitazione, e la musica è molto potente, con composizioni di notevole intensità che hanno il gusto di metal antico e moderno allo stesso tempo. Architects Of Oblivion non si esaurisce certo in quanto detto poco sopra ed ha molte sfumature, anche melodiche, ma è sopratutto un forte concentrato di lucida potenza metal, e di quest’ultimo ne è un ottimo distillato. Basso slappato come nella vecchia scuola, chitarre che avanzano come falangi e la batteria che lancia dardi infuocati. Un gran ritorno per un gruppo fedele al metal e che, senza tanti proclami e pose, fa un disco da riascoltare spesso, mentre fuori scorre la vera battaglia chiamata quotidianità.

TRACKLIST
1.Architects of Oblivion
2.Iron of Janus
3.Nakedness of Evil
4.Hekate Kleidoukos
5.Thy Raven Wings
6.Industrial Involution
7.Hailstorm of Malignance
8.Gods of the Forsaken
9.The negative spiral of Self Indulgence
10.And then I shall fall

LINE-UP
David Krieg – Vocals
Arioch – Guitars, bass, drum programming

Live Members:
Lord of Fog – drums
Eligor – Guitars
Actaeon – Bass

MALIGNANCE – Facebook

Patria – Magna Adversia

L’aggettivo più calzante per un lavoro come Magna Adversia è “completo”, in quanto non manca nulla di ciò che l’appassionato ricerca in un album black.

I Patria sono da un decennio gli esponenti più in vista del black metal brasiliano.

Indubbiamente tale status è dovuto anche alla notevole prolificità della band, considerando che Magna Adversia ne è il sesto full length, attorniato da una sequela di uscite minori. Del resto, nella scena musicale odierna, ed ancor più nell’underground metal, è quanto mai importante dare frequenti segnali di vita per non farsi dimenticare, venendo soppiantati da altri nomi.
I Patria indubbiamente aderiscono a tale modello e lo fanno per di più (cosa fondamentale) unendo alla quantità quella qualità di cui quest’ultimo lavoro non fa certo difetto.
Il black metal, nell’interpretazione fornita dalla coppia Mantus / Triumphsword, aderisce in maniera piuttosto fedele ai dettami nordeuropei, con una certa tendenza verso le sonorità della scuola svedese, nonostante in questa occasione i nostri si avvalgano dell’aiuto di nomi pesanti della scena norvegese quali Asgeir Mickelson alla batteria e Øystein G. Brun alla produzione.
Forse anche grazie a questo incontro tra diversi flussi di ispirazione che vanno a fondersi con un gusto melodico ben radicato nelle radici latine dei musicisti, Magna Adversia entra a far parte di diritto del novero di album black metal che, probabilmente, verranno ricordati a livello di consuntivi di fine anno.
Se è inutile ricercare spunti innovativi vale la pena infatti di godere della capacità della band brasiliana di rendere ogni brano meritevole di attenzione per perizia tecnica, intensità e fruibilità, proprio grazie a linee melodiche che sovente vengono guidate da eccellenti progressioni chitarristiche o dalle puntuali ed efficaci orchestrazioni affidate a Fabiano Penna dei Rebaelliun.
L’aggettivo più calzante per un lavoro come Magna Adversia è “completo”, in quanto non manca nulla di ciò che l’appassionato ricerca in un album black: potenza strumentale unita a forza evocativa, ritmi incalzanti ma controllati, fino a qualche sconfinamento nel doom, varietà compositiva conferita da diversi break acustici ed uno screaming adeguatamente vetriolico; dovendo estrarre dal mazzo i brani che più mi hanno colpito in una tracklist inattaccabile, scelgo la più rallentata A Two-Way Path, l’irresistibile Communion e la più nervosa Porcelain Idols.
Se il black metal può aver esaurito in parte la propria spinta propulsiva nelle aree geografiche che ne hanno visto la nascita e la consacrazione, non è affatto così in nazioni in cui la tradizione del genere è relativamente recente e viene costantemente ravvivata da band come i Patria che, fortunatamente, hanno ancora molto da dire e da fare.

Tracklist:
1. Infidels
2. Axis
3. Heartless
4. A Two-Way Path
5. Communion
6. Now I Bleed
7. Arsonist
8. The Oath
9. Porcelain Idols
10. Magna Adversia

Line-up:
Mantus – all instruments
Triumphsword – vocals

Asgeir Mickelson – drums

PATRIA – Facebook

Entity Of Hate – Cursed for Eternity

Un lavoro breve ma davvero notevole, alla luce di una freschezza impronosticabile quando ci si cimenta con sonorità in voga circa un ventennio fa.

I Diabolus Arcanium, gruppo di Chennai dedito ad un atmospheric black metal, sono stati protagonisti di un’evoluzione invero particolare: infatti, al posto della band originaria ne esistono oggi due, che si muovono però in due direzioni ben distinte.

La prima di queste si chiama Cybernation e, come da monicker, i suoi primi passi saranno improntati a sonorità industriali, mente la seconda, denominata Entity Of Hate, ha appena pubblicato sotto l’egida della Transcending Obscurity il proprio esordio, l’ep Cursed For Eternity.
Tra le due è quest’ultima a dare in qualche modo continuità a quando già fatto dalla band madre, visto che le pulsioni symphonic black vengono ancor più esasperate per approdare su un territorio a metà strada tra il melodic black/death di scuola finlandese (Norther, Kalmah e primi Children Of Bodom) e, ovviamente, i Dimmu Borgir, imprescindibili per chi si approccia a questo genere.
Più che alla maestosità del sound però, Hex, responsabile di questi tutti i suoni ad eccezione della chitarra ritmica a cura di Virgil, punta all’incisività delle parti soliste, che trovano la loro ideale sublimazione in un brano killer fin dalle sue prime note come la title track, decisamente difficile da schiodare dalla mente.
Il connubio tra le tastiere e le sei corde funziona ottimamente anche in Lovers & Prey e Heart Shaped Dagger, con la prima più orientata al black e la seconda che fa riemergere la vena heavy e melodica della traccia di apertura, mentre a livello vocale Hex si disimpegna bene anche se la specialità non appare in assoluto il suo punto di forza.
La strumentale Bloody Tears (Castlevania) non toglie e non aggiunge alcunché e, quindi, si rivela tutto sommato superflua nell’economia dell’ep, ma queste sono piccole smagliature all’interno di un lavoro breve ma davvero notevole, alla luce di una freschezza impronosticabile quando ci si cimenta con sonorità in voga circa un ventennio fa.
Non resta che attendere le prossime mosse di questa nuova “entità” proveniente dall’India: le basi per produrre qualcosa di notevole sono state indubbiamente poste.

Tracklist:
1. Cursed For Eternity
2. Lovers & Prey
3. Heart Shaped Dagger
4. Bloody Tears (Castlevania)

Line-up:
Hex – Lead guitars/Keyboards/Vocals/Bass & Drums on the track Castlevania
Virgil – Rhythm guitars
Karry – Bass (except on Castlevania)
Simon – Drums (except on Castlevania)

ENTITY OF HATE – Facebook

Evil Priest – Evil Priest

Le atmosfere catacombali che aleggiano su tutto l’ep, il growl che spunta da un buco collegato al centro degli inferi ed il senso di morbosa devastazione, lo rendono un nero gioiellino, da ascoltare se si è amanti del metal estremo dalle venature più malvagie.

MetalEyes vola virtualmente in Sudamerica, precisamente in Perù, per incontrare gli Evil Priest, trio estremo nato nei meandri nascosti e diabolici di Lima.

L’ep omonimo, primo parto malefico del gruppo è disponibile in musicassetta, altra prova dell’approccio assolutamente underground dei tre musicisti peruviani, che hanno consegnato la loro musica nelle mani della Caligari Records.
Death/black feroce e senza compromessi, aperto da una lunga nenia liturgica (Ikarus) e seguita da tre brani che risultano un compromesso tra i primi lavori dei Morbid Angel e il death/black suonato dai gruppi dell’est europeo (soprattutto polacchi).
Ne esce un lavoro macabro, dove il caos demoniaco regna sovrano, con tre tracce assolutamente maligne, una voce proveniente dall’inferno, ferri del mestiere soffocati da una produzione old school, così come la musica suonata.
Ma attenzione perché il tutto funziona ed Evil Priest non è un’ opera da sottovalutare, la sua natura estrema convince dando la sensazione di essere al cospetto di un gruppo vero.
Le atmosfere catacombali che aleggiano su tutto l’ep, il growl che spunta da un buco collegato al centro degli inferi ed il senso di morbosa devastazione, lo rendono un nero gioiellino, da ascoltare se si è amanti del metal estremo dalle venature più malvagie.

TRACKLIST
1.Ikarus
2.Great Snake
3.Gates of Beyond
4.Evil Priest

LINE-UP
E.P. – Supreme Invocations from the Depths
M.C – Density of the Dark Matter
R.P. – Obscure Resonance

EVIL PRIEST – Facebook

Wiegedood – De Doden Hebben het Goed II

De Doden Hebben het Goed II è il disco black metal che non si sentiva da tempo, laddove furia, morbosa potenza e, perché no, una buona dose di melodia, vanno a scontarsi frontalmente con l’inevitabile tendenza, derivante dal background dei musicisti, a lambire i confini del genere.

Secondo album per questi notevoli Wiegedood, band fiamminga che annovera tra le sue fila musicisti in forza a nomi di spicco delle scena belga come AmenRa ed Oathbreaker.

De Doden Hebben het Goed II è il seguito della prima parte, uscita nel 2015, e mette a fuoco ancor meglio l’idea di black metal perseguita dal trio, che solo a tratti fa emergere le pulsioni postmetal/posthardcore che fanno parte delle band madri.
Infatti, il genere gode di un’interpretazione a tratti furiosa e sorprendentemente fedele ai dettami della tradizione (Ontizlling), mentre in altri frangenti ad emergere sono passaggi intrisi di malsana oscurità (la title track); di certo c’è che la qualità si mantiene sempre ai massimi livelli, perché questa è tutt’altro che un’interpretazione calligrafica di uno stile che molti ritengono, a torto, morto e sepolto se non sulla via dell’estinzione.
De Doden Hebben het Goed II è il disco black metal che non si sentiva da tempo, laddove furia, morbosa potenza e, perché no, una buona dose di melodia, vanno a scontarsi frontalmente con l’inevitabile tendenza, derivante dal background dei musicisti, a lambire i confini del genere, per poi rientrare in un alveo comunque sempre instabile e cangiante.
Un brano come Smeekbede è il migliore esempio di come la materia oscura, forgiata in Norvegia nei primi anni novanta, possa essere manipolata e trasformata senza che le sue coordinate di base vengano minimamente intaccate.
Difficile fare di meglio oggi, anche per chi il black metal lo ha inventato, perché quello che potrebbe apparire, viste le premesse, un semplice diversivo per musicisti orientati a sonorità sempre estreme ma dalla struttura più complessa, costituisce di fatto una maniera di liberare in maniera più esplicita quella rabbia che nel post hardcore viene quasi repressa dal suo incedere plumbeo.
Esattamente il disco di black metal che ogni appassionato vorrebbe ascoltare, detto questo c’è ben poco d’altro da aggiungere.

Tracklist:
1.Ontzielling
2.Cataract
3. De Doden Hebben het Goed II
4.Smeekbede

Line-up:
Wim Sreppoc – drums
Gilles Demolder – guitars
Levy Seynaeve – guitars, vocals

WIEGEDOOD – Facebook

Acrimonious – Eleven Dragons

Questi greci sanno molto bene come si fa a rendere interessante un disco e passano di registro in registro con molta facilità: il lavoro è davvero piacevole, libero da tanti vincoli che a volte appesantiscono troppo i dischi di black death

Un diluvio satanico di black metal classico con inserzioni notevoli di death metal.

Terzo album per gli oscuri Acrimonious, attivi fin dal 2002, con molti cambi di formazione che non hanno impedito loro di produrre ottimi album, ed Eleven Dragons si rivela il loro disco più riuscito. Il tiro è del black metal classico, con chitarre veloci e non troppo distorte, la voce trova la sua giusta collocazione tra il growl ed il clean, e la sezione ritmica è molto pulsante. L’ispirazione gli Acrimonious la trovano nella prima ondata black metal, quando il suono era debitore all’hardcore punk, ma gli ellenici ci aggiungono molto di loro, con la voce epica di Cain Latifer che narra di nere storie, e le melodie sono messe in primo piano, senza essere sovrastrutturate da un impianto sonoro troppo pesante per poterle cogliere. Eleven Dragons è un disco di grande sostanza, un tributo molto efficace al nero signore, ed è un disco che segna il grande ritorno del gruppo, che si spera essere stabile. Questi greci sanno molto bene come si fa a rendere interessante un disco e passano di registro in registro con molta facilità: il lavoro è davvero piacevole, libero da tanti vincoli che a volte appesantiscono troppo i dischi di black death, primo fra tutti l’essere ridondanti. Qui tutto fluisce da e verso l’abisso, forse l’unica e vera salvezza che ci viene concessa. Una delle particolarità maggiori del disco è la grande epicità delle canzoni che sembrano allestimenti teatrali, poiché sono piene di drammaticità e pathos. Una grande prova.

TRACKLIST
1. Incineration Initiator
2. The Northern Portal
3. Damnation’s Bells
4. Satariel’s Grail
5. Elder of the Nashiym
6. Kaivalya
7. Qayin Rex Mortis
8. Ominous Visions of Nod
9. Stirring the Ancient Waters
10. Litany of Moloch’s Feast
11. Thaumitan Crown

LINE-UP
Cain Letifer – guitars, vocals
Semjaza – guitars, bass
C.Docre – drums

ACRIMONIOUS – Facebook

Naddred – Sluagh

La scena black in Irlanda ha partorito diversi buoni gruppi, ma sinceramente nessuno era all’altezza di questi ragazzi, e ascoltando le quattro tracce di questo demo lo capirete, essendo questo un black di livello assoluto.

Dall’Irlanda arriva un nuovo gruppo di black metal da tenere assolutamente d’occhio, figlio di vari incesti fra diversi gruppi dell’underground irlandese, quali Slidhr, Eternal Helcaraxe e Sol Axis.

Il suono di questo gruppo ha l’incedere caratteristico dei grandi gruppi, poiché il loro black metal è veloce, melodico, potente e riesce anche a fare notevoli incursioni nel death metal, il tutto con classe e senso della misura. Soprattutto i ragazzi irlandesi non sono dogmatici, ma scorrazzano da par loro. Questo demo in cassetta lascia presagire un grande futuro, ed effettivamente i segnali ci sono tutti. Quattro pezzi che scorrono benissimo, con una facilità compositiva che potrebbe fare invidia a gruppi ben più consacrati- L’underground del black metal è una continua fucina di ottimi dischi, e soprattutto è la fiamma che tiene su il tutto, senza si scivolerebbe nella noia e nello stereotipo. Il black metal è una materia che ognuno può plasmare a proprio piacimento, e i Naddred lo fanno con grande capacità, e questi quattro pezzi vorresti che fossero cento, tanto sono belli e neri. La scena black in Irlanda ha partorito diversi buoni gruppi, ma sinceramente nessuno era all’altezza di questi ragazzi, e ascoltando le quattro tracce di questo demo lo capirete, essendo questo un black di livello assoluto.

TRACKLIST
01 Four Crowned Prince Of Hell
02 Sluagh
03 The Beast Walks The Earth
04 The Dullahan

NADDRED – Facebook

Förgjord – Uhripuu

Uhripuu è un gran disco, senza compromessi e con ottime melodie, ed è un’opera da non lasciarsi assolutamente scappare.

Terzo album per i Förgjord , leggendario gruppo finnico attivo da metà degli anni novanta.

Formati in concomitanza con l’epoca aurea del black, i Förgjord sono un gruppo che ha prodotto poco ma tutto di estrema qualità. Il loro suono è un black classico molto devoto alla tradizione finnica del genere, quindi assai fedele al passato ma molto efficace. La loro caratteristica principale è quella di saper creare un pathos notevole, riuscendo a scolpire nella mente dell’ascoltatore melodie ben precise, sotterrate sotto tonnellate di riffs e distorsioni. La voce è un growl senza tregua, con la chitarra perfettamente distorta in stile black e la batteria costantemente all’assalto. In generale il suono non è molto dissimile da quello di molte altre band, ma è profondamente diverso il risultato, essendo davvero notevole l’empatia che riescono a scatenare. Black metal in giro ce n’è molto ma difficilmente riesce a raggiungere queste vette, coinvolgendo totalmente e direttamente, portandoci in un nero vortice di ossa e neve. La scuola finlandese, ed in particolare le uscite della Werewolf Records, qui in collaborazione con la Hells Headbangers, è di grande interesse, e ultimamente sta continuando a tenere elevata la qualità delle sue uscite, confermando la Finlandia come una delle terre promesse, o maledette, del metal, e del black in particolare. Uhripuu è un gran disco, senza compromessi e con ottime melodie, ed è un’opera da non lasciarsi assolutamente scappare.

TRACKLIST
1.Johdanto
2.Uhripuu
3.Kuolleiden Yö
4.Täyttymys
5.Vahvempi Kuin Koskaan
6.Nälkämaan Laulu
7.Kiviseen Syleilyyn
8.Tie, Totuus Ja Kuolema
9.Ovat Korpit Pois Lentäneet

LINE-UP
Valgrinder – Guitars, Bass
Prokrustes Thanatos – Vocals, Drums
BLK – Drums

FÖRGJORD – Facebook

Disharmony – Goddamn the Sun

Lo stile dei Disharmony fa riferimento alla vecchia scuola del black ellenico, fortemente legata all’aspetto epico sia del suono che dei testi.

Finalmente arriva il tempo del debutto per i Disharmony, gruppo greco di black metal sinfonico. Formati nel 1991, si sciolsero nel 1995 producendo tre demo ed un ep di culto sulla label Molon Lave, per poi riprendere recentemente le attività, culminate in questo disco.

Lo stile dei Disharmony fa riferimento alla vecchia scuola del black ellenico, fortemente legata all’aspetto epico sia del suono che dei testi. La forza dei Disharmony sta nella loro capacità di fondere molte cose diverse all’interno del loro suono, dagli elementi più vicini al suono classico del symphonic black metal, a cose più minimali e quasi recitate. Infatti si ha la netta impressione che questo disco sia come un atto teatrale, che parte da lontano per arrivare fino a noi. Il disco è pieno di pathos, di forza narrativa, e di immagini mentali molto forti. Il tortuoso cammino gruppo di questo gruppo rassomiglia al percorso di un fiume sotterraneo che ha finalmente trovato il modo di sgorgare in superficie sfogando tutta la sua potenza. Il disco è molto particolare e va approcciato con una mente aperta per poterlo apprezzare in tutta la sua ricchezza, che è molto grande e particolare. I Disharmony non sono affatto un gruppo comune e lo dimostrano con questo disco, che è al di sopra della media, e può essere considerato un nuovo inizio per loro. Le soluzioni sono molteplici per tutta la durata del disco, non facendo mai annoiare l’ascoltatore, introducendo anche qualche elemento di novità nel genere, a volte piuttosto stantio. Un lavoro epico, e forte, che narra di un mondo che non è il nostro, tutto da scoprire.

TRACKLIST
1. Invocation – Troops Of Angels
2. The Gates Of Elthon
3. Elochim
4. Summon The Legions
5. War In Heaven
6. Rape The Sun
7. Praise The Fallen
8. Whore Of Babylon
9. The Voice Divine
10. Third Resurrection

DISHARMONY – Facebook

Black Cilice – Banished From Time

Black Cilice documenta questa sofferenza, questo dilaniamento continuo, portandoci totalmente in un’altra dimensione, dove si interrompe il normale flusso della vita.

Il mistero ammanta la figura di Black Cilice, musicista portoghese che da anni è uno dei migliori dell’ottima scena black metal portoghese. Dopo Mysteries del 2015, il nostro ritorna con questo gran disco di black metal classico e lo fi, completamente devoto all’oscuro verbo del nero metallo.

Black Cilice usa il black metal per introdurci in un’atmosfera altra, in una dimensione diversa dalla nostra, dove l’uomo è completamene trasfigurato in un sentimento dilaniato, figlio della frattura tra la nostra anima e ciò che siamo nella nostra dimensione normale e quotidiana. Noi indossiamo ogni giorno delle maschere per sottosta ai diktat di una società che non vole che siamo noi stessi, ed ogni giorno soffriamo, sanguinando con un falso sorriso. Black Cilice documenta questa sofferenza, questo dilaniamento continuo, portandoci totalmente in un’altra dimensione, dove si interrompe il normale flusso della vita. La dimensione in cui ci porta Black Cilice è puro dolore distillato in musica, dove la sua voce in lontananza è un lamento disperato, e la musica è un diluvio di black metal lo fi, formando un magma che converge su di noi, non dandoci punti di riferimento e portandoci lontano, o forse molto vicino ad un qualcosa che abbiamo dimenticato. Black Cilice non sbaglia un disco, confermandosi uno dei più validi nella scena europea e non solo, con un black metal davvero particolare ed unico. Quest’ultimo parte dalla fase classica del genere, per arrivare ad una sintesi personale, unica ed esoterica, per un mistero che si rinnova in continuazione.

TRACKLIST
01 Timeless Spectre
02 On the Verge of Madness
03 Possessed by Night Spirits
04 Channeling Forgotten Energies
05 Boiling Corpses

BLACK CILICE – Facebook

Cripta Oculta – Lost Memories

Lost Memories è un viaggio dentro un passato che riposa dentro di noi e che non aspetta altro che risvegliarsi, ed è anche un ottimo disco di black metal selvaggio e fatto con passione.

Tornano con il loro quarto album i portoghesi Cripta Oculta, uno dei gruppi principali della scena black metal portoghese. Il duo pubblica, con la label di riferimento portoghese Signal Rex, un altro grande disco di black metal classico, intriso di misticismo e di ricerca di qualcosa che va molto oltre gli schemi di questa società.

Il Portogallo è una terra antica ed inquieta, che da moltissimo tempo vive di inquietudine e di uno strano modo di sentire le cose, che ha portato il suo popolo a sviluppare una sensibilità molto particolare, con uno sguardo melanconico verso la vita. Tutto ciò si è spesso tradotto in svariati capolavori nelle più disparate discipline, e Lost Memories si inserisce a pieno titolo in questa casistica. I Cripta Oculta sono difensori e diffusori delle tradizioni lusitane, e in questo disco ci conducono per antichi sentieri grazie al loro black metal selvaggio, lo fi e classicheggiante, di grande impatto. Qui la musica è un mezzo per comunicare empaticamente qualcosa che non potrebbe essere comunicato qualcosa, e chi apprezza il black metal conosce benissimo questo processo. La narrazione ci porta in boschi, sentieri e nel cuore del Portogallo, e il black metal dei Cripta Oculta ci fa vedere cose celate allo sguardo dell’uomo moderno. Si torna indietro in un’esperienza davvero coinvolgente, grazie ad un gruppo assolutamente fuori dal comune per capacità di comunicare e per la sua potenza di fuoco. Si cambia spesso registro in questo disco, passando da cavalcate black metal a momenti di dark ambient con strumenti tradizionali lusitani, andando a ricercare un passato che non è solo nostalgia, ma riproposizione di una tradizione che era e che ora non è più. Lost Memories è un viaggio dentro un passato che riposa dentro di noi e che non aspetta altro che risvegliarsi, ed è anche un ottimo disco di black metal selvaggio e fatto con passione.

TRACKLIST
1.Mistérios do Sangue
2.Uma Noite de Trevas
3.Para o reavivar das Tradições
4.Batalha Nocturna
5.A Dança do Fado Negro
6.A Mão de Ferro que Esmaga Sião

SIGNAL REX – Facebook

Trauer – A Walk Into The Twilight

A Walk Into The Twilight è colmo di passaggi dal grande potenziale evocativo e di splendide melodie che più di una volta, purtroppo, devono essere intuite piuttosto che ascoltate con la dovuta nitidezza.

Certo che sta cominciando a capitare troppo spesso e, benché di norma non lo ritenga un problema prioritario o insormontabile, qualche domanda bisogna pure cominciare a porsela, considerando che il calendario è puntato sul 2017 e la tecnologia progredisce ogni giorno.

Sto parlando di album di black metal, provenienti da un po’ tutte le parti del mondo, che paiono essere stati registrati con l’ausilio di una macchina del tempo, riportando i musicisti nella prima metà degli anni novanta, quando la foga e l’urgenza espressiva erano prioritarie rispetto alla pulizia e alla resa sonora.
Questo secondo full length dei teschi Trauer, per esempio, sarebbe potenzialmente un bellissimo lavoro a livello di scrittura, perché con le sue sonorità che, partendo da una base black sconfinano sovente nel depressive e nel doom, andrebbe a collocarsi in un punto d’incontro ideale per i miei gusti musicali, peccato però che la produzione e qualche sbavatura tecnica finiscano per inficiarne parzialmente il risultato finale.
Già, perché A Walk Into The Twilight è colmo di passaggi dal grande potenziale evocativo e di splendide melodie che più di una volta, purtroppo, devono essere intuite piuttosto che ascoltate con la dovuta nitidezza.
Detto questo, preferisco mille volte di più ascoltare un lavoro con tali caratteristiche piuttosto che un cristallino sbrodolamento di tecnica esecutiva fine a sé stessa, però innegabilmente, in questa maniera, si rischia di depauperare un patrimonio musicale non trascurabile.
Basti, quale dimostrazione, un brano come When Our Hertbeats Counting Down, inaugurato da arpeggi acustici (in questo caso fortunatamente puliti) che lasciano spazio ad un accenno quasi funeral, per poi lanciarsi in una cavalcata dolente chiusa da una bellissima melodia chitarristica: uno come il sottoscritto, che considera Andacht dei Lunar Aurora (non certo un prodotto da esibire quale esempio di limpidezza sonora) quale miglior album black metal mai uscito dal suolo tedesco, riesce abbastanza facilmente ad andare oltre l’aspetto formale, prediligendo l’impatto emotivo di una proposta come questa, dalla buona profondità anche a livello lirico, mentre lo stesso non accadrà a chi è abituato a fare le pulci ad ogni singola nota, il quale verrà inevitabilmente spinto a mettere in secondo piano gli effettivi contenuti musicali.
Non ci vogliono produttori di grido per valorizzare un genere che fa anche della genuinità uno dei propri dirompenti punti di forza, ma una band dal notevole potenziale, come lo sono i Trauer, avrebbe dovuto trovare almeno una via di mezzo che avesse consentito di godere di A Walk Into The Twilight senza dover recriminare su ciò che poteva essere e, purtroppo, non è stato.

Tracklist:
1. The Invocation of the Parasites
2. A Servant to the Desert
3. Walking in the Twilight
4. Procession in the Fog
5. Her String Dance
6. Under Grey Vaults
7. When Our Heartbeats Counting Down
8. Ending at the Ground

Line-up:
Neideck – All instruments, Vocals
Dominion – Drums
H.S. – Guitars