Sinlust – Sea Black

Sono mari oscuri e pericolosissimi quelli su cui navigano i Sinlust, gruppo black metal transalpino al secondo album dopo il debutto di ormai sei anni fa (Snow Black).

Il nuovo Sea Black è, di fatto la seconda parte di un concept sviluppato con il primo disco, una storia dark/fantasy scritta dal cantante Firefrost con lo pseudonimo di Nicolas Skinner, diventato un romanzo (Noire Neige) che ha ottenuto un discreto successo.
La musica che accompagna la storia è un metal estremo dai rimandi black metal, con molte parti atmosferiche tra soluzioni progressive ed ovviamente dark, seguendo lo sviluppo della trama.
Sea Black è un’opera davvero riuscita ed affascinante, l’album è curato e prodotto bene così da poter godere dei passaggi a tratti più intricati che il combo usa a suo piacimento, non mancando di travolgere l’ascoltatore con la furia, come in una tempesta al largo delle coste dove, le onde altissime prendono la forma di demoni prima di scagliarsi violentemente sulla prua straziata dagli elementi.
Un’ora esatta di metal estremo ben eseguito dove non manca la melodia: il lavoro delle sei corde ha spunti classici nei solos, lo scream declama epico e cattivo la trama, mentre la sezione ritmica si accanisce senza pietà sui navigli dal timone spezzato.
Black metal epico e dark travolgente (Dawning Of The Volcano God è splendidamente epica e terrificante) con un uso perfetto delle atmosfere: poche, quasi nulle le tastiere, ma tanta musica oscura pregna di epicità progressiva.
Echi dei primi Opeth in un contesto black metal che ricorda la cattiveria di Gorgoroth e primi Satyricon, otto perle nere che non scendono sotto i cinque minuti e regalano intense emozioni estreme come in Cannibal Beast, Sea Of Trees e nella conclusiva e spettacolare Forgotten’s Master, progressive black metal in un crescendo di straordinario trasporto emotivo.
I Sinlust suonano musica estrema spettacolare: una grande band ed un album bellissimo, ovviamente consigliato.

TRACKLIST
01. Red Priestess
02. Sea Conquerors
03. Dawning Of The Volcano God
04. Cannibal Beast
05. Streams Attractions
06. Sea Of Trees
07. Trilateral Conflict
08. Forgotten’s Master

LINE-UP
Firefrost – Vocals
Infernh – Drums
Chris in lust – Guitars
Rain Wolf – Bass

SINLUST – Facebook

Necromutilator – Ripping Blasphemy

Dalla fredda e nebbiosa pianura mantovana arrivano i Necromutilator, trio diabolico al servizio dell’oscuro signore attivo dal 2009 e con un paio di lavori alle spalle: il demo The Devil Arisen del 2011 ed il full length Eucharistic Mutilations, uscito tre anni fa.

Tornano con Ripping Blasphemy, ep di quattro brani licenziato dalla Terror From Hell, quindici minuti di metal estremo oscuro e malato, tra death, black e thrash old school.
Un’atmosfera malsana accompagna tracce malefiche come la title track, brano dall’impronta death metal con una forte anima black, mentre Exhorted Sacrifice si avvicina al mood del thrash vecchia scuola.
Un sound senza compromessi, che vuole rappresentare il puro male in musica, è quello che accompagna i tre diabolici musicisti (P. voce e chitarra, R. batteria e E. al basso) nel loro glorificare la morte e la malvagità a colpi di death/thrash/black ispirato da Morbid Angel, Venom e primi Darkthrone.
I Necromutilator si confermano una band da seguire per i fans del metal estremo più nero ed abissale .

TRACKLIST
1.Ripping Blasphemy
2.Exhorted Sacrifice
3.Unholy Semen of Doom
4.Gate to Eternal Possession

LINE-UP
P – Vocals, Guitars
R – Drums
E – Bass

NECROMUTILATOR – Facebook

Tod Huetet Uebel – N.A.D.A.

Un’altra prova di grande efficienza da parte di rappresentanti della scena black metal lusitana.

Tod Huetet Uebel è una delle diverse band che contribuiscono a rendere sempre più fresca e stimolante la scena black metal lusitana.

Dopo il full length del 2015, il duo composto da Daniel C. e Marcos M. si ripropone con un ep di una ventina di minuti fatto di due soli brani dalla durata decisamente diversa tra loro, con il secondo di questi (Da) che da solo occupa in pratica tutto lo spazio del lavoro.
A differenza di altre band trattate di recente, i Tod Huetet Uebel appaiono molto più spostati verso una forma di black più esasperato, ai confini del depressive: ne consegue un ascolto molto più complesso, derivante da un modus operandi che bandisce del tutto o quasi la melodia, passando da ossessive sfuriate, contraddistinte dalle urla incessanti di Marcos, a rallentamenti improvvisi che riportano il tutto ad una matrice ambient.
Il primo e più breve brano, Nå, è soprattutto una furiosa espressione di urgenza compositiva, con un mood tra il disperato e l’apocalittico che poi verrà convogliato nella ben più lunga e frastagliata traccia conclusiva.
Non è affatto banale per una band black spingere un singolo brano su simili minutaggi, ma non è certo il coraggio a fare difetto ai Tod Huetet Uebel, ed e così che, tra campi di tempo dovuti a frenate alternate a parossistiche accelerazioni, sempre sovrastate dalle vocals straziate di chi non ha un domani, N.A.D.A. si rivela un altro consistente tassello posto a puntellare un movimento, sorprendente solo per chi è meno predisposto a cogliere i segnali di vitalità provenienti da realtà musicali considerate (a torto) ai margini della scena internazionale.

Tracklist:
1. Nå
2. Da

Line up:
Daniel C. – Guitars, Bass
Marcos M. – Vocals

TOD HUETET UEBEL – Facebook

Condor – Unstoppable Power

Un sound che rimane confinato nei meandri dell’underground, a sola esclusiva dei fans legati al thrash metal più rozzo, ignorante ed accecato dalla furia malefica del black metal.

Secondo album per i norvegesi Condor, attivi dal 2009, con il loro sound che esprime l’irruenza del thrash unita alla morbosa devastazione del black metal, tutto rigorosamente old school e sporcato da una cattiveria notevole.

Un sound che rimane confinato nei meandri dell’underground, a sola esclusiva dei fans legati al thrash metal più rozzo, ignorante ed accecato dalla furia malefica del black metal.
Unstoppable Power è tutto qui, un po’ poco per uscire dagli ascolti dei fanatici del genere, con il caos, che regna su brani senza compromessi come l’opener Embrace By Evil o Chained Victims, a ripetersi per tutti i trentasei minuti di durata, tra esplosioni ritmiche di scuola thrash metal, attitudine black e velocità fine a sé stessa.
Chris Sacrifice declama con rabbioso tono le malefatte delle truppe infernali, mentre davanti a noi passano i primi Slayer, i Venom ed i Darkthrone in un mulinello di suoni estremi che ci trascinano sotto e ci lasciano annegare nel sangue delle vittime, massacrati in una battaglia senza fine.
In 83 Days Of Radiation, spunti black’n’roll portano il sound dei Condor davanti all’anima di Lemmy, che arriccia il naso e boccia il gruppo norvegese, impegnato ad essere oltremodo cattivo ma poco incisivo e ripetitivo nelle soluzioni adottate per questo Unstoppable Power.
Sinceramente, qui non ho trovato che una serie di idee abusate fino allo sfinimento dai gruppi che bazzicano nell’underground da un po’ di anni, rendendo questo album perlomeno trascurabile: qualche spunto classico nei solos alza il livello dell’album fino ad una sufficienza risicata.

TRACKLIST
1. Embraced By Evil
2. Riders Of Violence
3. Chained Victims
4. You Can’t Escape The Fire
5. Unstoppable Power
6. 83 Days Of Radiation
7. Malevolent Curse
8. Horrifier

LINE-UP
Chris Sacrifice – vocals, bass, guitars
Maggressor – guitars
Obskurvind – drums

CONDOR – Facebook

Sincarnate – In Nomine Homini

Il death doom dei Sincarnate è pervaso da una costante tensione: la band si muove con grande consapevolezza su un terreno scivoloso, sul quale una minore competenza nel maneggiare la materia porterebbe inevitabilmente a tediare l’audience, cosa che non avviene mai grazie a spunti ora ritmici, ora melodici, esaltati da un produzione di qualità.

Ancora da un suolo rumeno che si sta rivelando sempre più fertile in tema di metal, giunge una proposta di grande interesse a base di death doom, dalla buona personalità ed altrettanta intensità, da parte dei Sincarnate.

In effetti, il genere citato non fotografa correttamente lo stile del gruppo di Bucarest, che immette anche nel proprio sound massicce dosi di black e death metal, con un’aura epica e liturgica che sposta le coordinate altrove rispetto all’interpretazione del genere delle band scandinave, per esempio.
In Nomine Homini, così come fanno presagire il titolo e la copertina, oltre che presentare molte parti corali cantate in latino, verte su tematiche religiose, ovviamente rivedute e corrette secondo la personale visione di questo gruppo di musicisti.
L’album, considerando anche le due bonus track, si spinge oltre l’ora complessiva di durata, mettendo comunque alla prova l’attenzione degli appassionati, visto che l’approccio stilistico proposto dai Sincarnate non è mai ammiccante o sbilanciato sul versante melodico, bensì mostra l’intento della band di trascinare l’ascoltatore nel proprio gorgo, rappresentando la religione come tutt’altro che un’estrema ancora di salvezza.
Una rilettura, quella contenuta in In Nomine Homini, che ridisegna a tinte fosche l’impatto del culto del divino sull’umanita, evidenziandone le discrasie e, di fatto, spiegandone attraverso diversi fermi immagine quanto le varie credenze abbiano frenato lo sviluppo dell’autoderminazione dell’uomo, cosa della quale ancora oggi finiamo per pagarne le conseguenze, per assurdo forse ancor più che in epoche definite oscurantiste.
Il death doom dei Sincarnate è pervaso da una costante tensione, che il frequente ricorsi a campionamenti di urla strazianti o di voci recitanti contribuisce a mantenere sempre elevata; la band si muove con grande consapevolezza su un terreno scivoloso, sul quale una minore competenza nel maneggiare la materia porterebbe inevitabilmente a tediare l’audience, cosa che non avviene mai grazie a spunti ora ritmici, ora melodici, esaltati da un produzione di qualità (alla quale ha contribuito anche un nume tutelare della scena estrema rumena come Edmond Karban).
Non serve più di tanto entrare nel dettaglio dei vari brani, visto che In Nomine Homini deve essere assimilato come un continuum che trova il suo termine con la magnifica Liwyatan, traccia che tra voci angeliche, canti gregoriani, ritmiche squadrate ed il growl impietoso di Marius Mujdei, si rivela quale autentica summa concettuale e musicale dei Sincarnate.
Infatti, i due pur ottimi brani finali sono altrettante bonus track che vanno considerate come a sé stanti nell’economia di un album decisamente bello, da lavorare però con dedizione e proprio per questo foriero di soddisfazione non appena si riesce a decrittarne l’essenza.

Tracklist:
1. Attende Domine
2. Agrat bat Mahlat
3. Curriculum Mortis
4. She-Of-The-Left-Hand (Sophia Pistis)
5. In Nomine Homini
6. The Grand Inquisitor
7. Lamentatio Christi
8. Dies Illa
9. Liwyatan
10. De Luctum Perpetuum
11. Atonement

Line up:
Andrei Jumuga – drums
Andrei Zala – bass
Marius Mujdei – vocals
Giani Stanescu – guitars
Cristian Stilpeanu – guitars

SINCARNATE – Facebook

Rebirth of Nefast – Tabernaculum

Un opus magnum di arte nera intricato, aggressivo ma carico di antiche e sinistre suggestioni.

Una oscura perla fuoriesce, senza alcun preavviso, dalla infinita scena black metal underground: i Rebirth of Nefast, in realtà one man band di Stephen Lockart, in arte Wann, esistono dal 2006 ma fino ad ora avevano prodotto solo un demo (Only Death 2006) e uno split con Slidhr nel 2008, poi il nulla.

Wann ha continuato a suonare insieme a musicisti di altre splendide realtà musicali islandesi, vedi Sinmara e Wormlust, e irlandesi come Myrkr senza però riesumare la sua principale creatura; da una terra, l’Islanda, che sta proponendo molti tra i migliori artisti del genere, tipo Svartidaudi, Almirkvi, Myspyrming, solo per citarne alcuni, appare questo opus magnum di majestic and magnificent black metal.
Registrato agli studio Emissary di Reykjavik di proprietà dello stesso Wann e prodotto dalla Norma Evangelium Diavoli, l’opera nella sua lunga durata, un’ora abbondante, presenta sei brani in cui sono elaborati con grande cura black metal, doom, ambient, prog a formare una esperienza uditiva atmosferica monumentale ed eclettica: Wann ha una forza compositiva unica, è abile a variare all’interno di ogni brano le varie componenti creando dei portali che si dischiudono su arcaiche dimensioni.
Tempeste sferzanti si alternano a presenze oscure, culminanti in magnifiche atmosfere sorrette da suoni di tastiera e violini (il suggestivo ultimo brano) che racchiudono misteri esoterici ed occulti; fin dal primo brano The lifting of the veil tutte queste coordinate sono presenti, un inizio lento, maestoso, inquietante evolve lentamente verso una sfuriata black incompromissoria per poi sfumare in dolenti note di maestose tastiere. Tutti i rimanenti cinque brani propongono variazioni e sfumature riconducibili a un suono dark, intricato, aggressivo, inquietante.
Da ascoltare nel giusto mood e necessariamente da centellinare perché, come tutte le grandi opere, si apre lentamente lasciando sensazioni che ogni adoratore delle nere arti non può non apprezzare: insieme all’esordio dei Digir Gidim, una delle rivelazioni di questo inizio anno!

TRACKLIST
1. The Lifting of the Veil
2. The First Born of the Dead
3. Alignment Divine
4. Carrion Is a Golden Throne
5. Magna – Mater – Menses
6. Dead the Age of Hollow Vessels

LINE-UP
Wann – All instruments, Vocals

REBIRTH OF NEFAST – Facebook

Nott – Disfacimento

L’album si mostra in più passaggi affascinante nella sua ossessività e nella sua reiterazione di schemi, comunque vincenti, quando il tutto viene espresso con questa forza espressiva.

Terzo full length per Nott, progetto solista del musicista italiano Mortifero, già attivo nei primi anni delle scorso decennio e messo in stand by a lungo prima di riaffacciarsi nel 2013 con una terna di uscite a cadenza biennale.

Disfacimento è un lavoro che si colloca perfettamente in linea con le uscite di black atmosferico cantato in italiano (il primo nella nostra lingua per quanto riguarda Nott): quindi troviamo testi piuttosto profondi che tratteggiano una realtà dai toni cupi e priva di barlumi di speranza, mentre musicalmente il genere viene offerto nella sua forma più essenziale e complessivamente fedele ai dettami caratteristici.
Messa così potrebbe sembrare che Disfacimento sia un’opera trascurabile ma, in effetti, le cose non stanno affatto così: quelli che possono apparire difetti si rivelano, in realtà, i veri punti di forza su cui Mortifero puntella la propria concezione musicale che vuole, soprattutto, trasmettere un senso di malcelato disgusto avvolto in una forma musicale claustrofobica.
L’album si mostra in più passaggi affascinante nella sua ossessività e nella sua reiterazione di schemi, comunque vincenti, quando il tutto viene espresso con la stessa forza espressiva e la convinzione immessa dal musicista bresciano.
Se non sempre l’intelligibilità delle liriche è massimale, è sicuramente d’aiuto il booklet piuttosto curato contenente i testi sia in italiano che in inglese, il tutto contornato da immagini tratti da quell’inesauribile scrigno di arte funeraria che è il cimitero monumentale di Staglieno (Genova).
Disfacimento è un album da ascoltare nel suo insieme per apprezzare al meglio l’operato di Mortifero; tra i brani, comunque, merita un menzione Consunto, episodio molto lungo ed avvolgente nel suo snodarsi su tempi più rallentati.
Per Nott un lavoro dalla grande integrità stilistica, meritevole del giusto livello di attenzione da parte di chi apprezza il black metal nella sua forma più pura, tanto più se cantato nella nostra lingua.

Tracklist:
1 – Cold
2 – Wither
3- Suffer

Line up:
Mortifero

Dimmu Borgir & The Norwegian Radio Orchestra & Choir – Forces Of The Northern Night

Una testimonianza assai riuscita di un amore reciproco tra i Dimmu Borgir e la musica sinfonica, ma anche l’occasione di ascoltare la potenza compositiva del metal esaltata dal più grande degli amplificatori che esista: un’orchestra sinfonica.

Escono in dvd Blu Ray, cd, vinile e digitale due grandi performances dei Dimmu Borgir, insieme a due magnifiche orchestre.

Il primo concerto è con la Norwegian Radio Orchestra, ed è un trionfo di quello che hanno sempre avuto in nuce i Dimmu Borgir, ovvero l’andare oltre il black metal, verso un qualcosa che non è nemmeno symphonic, ma una narrazione altra, mentre il secondo dvd racchiude l’intero concerto al Wacken Open Air del 2012.
Molti li potranno considerare persone di poco gusto, o commerciali, altri pensano addirittura che siano tra i colpevoli della degenerazione del black metal e forse è tutto vero, ma qui abbiamo una doppia testimonianza di grande valore di ciò che può essere un certo tipo di metal, se si ha voglia di ascoltarlo.
La parte sinfonica del gruppo norvegese esce prepotentemente allo scoperto, anche perché è un elemento che è sempre stato portante nell’architettura sonora del gruppo. L’operazione non era esente da rischi, infatti alcuni gruppi sono usciti scottati dall’incontro con un’orchestra, perché quest’ultima è un’entità mastodontica e musicalmente assai superiore a qualsiasi band e deve essere usata con sagacia. Ad esempio l’analoga operazione fatta dai Metallica è un’occasione sprecata, poiché l’orchestra fa praticamente una parte a sé stante, quasi di accompagnamento e così non ne vale assolutamente la pena. Invece qui l’orchestra si compenetra con il gruppo ed entrambe le entità ne traggono fuori il meglio.
La musica dei Dimmu Borgir è sempre stata fortemente sinfonica e scenica, ed infatti a livello di composizione il gruppo fortifica questo aspetto esaltandolo all’ennesima potenza. I due concerti rendono l’idea della portata di quello che ha fatto e continuerà a fare il gruppo norvegese, ovvero andare avanti per la propria strada e suonare una musica che potrebbe essere la colonna sonora degli orchi di Sauron.
I due concerti sono magniloquenti e molto potenti, con quello norvegese maggiormente intimo e molto tipico del fare musica in quella nazione, perché i Dimmu Borgir in Norvegia contano molto più della nazionale di calcio: uno spettacolo molto bello, con una scenografia che riporta ai segreti runici e alla mitologia nordica, che ricorre in tutta la discografia del gruppo.
Il concerto del 2012 al Wacken Open Air è esattamente ciò che si può aspettare invece da un’esibizione in un mega festival, ma la qualità è molto buona, anche grazie al lavoro dell’orchestra nazionale sinfonica ceca, che come quella norvegese si diverte molto insieme ai Dimmu Borgir. Chi si diverte di più è il pubblico che viene investito da una forza oscura notevole, che spande la sua massa nera in ogni direzione, e la musica dei Dimmu Borgir assume una nuova veste che ci trasporta verso nuovi lidi.
Una testimonianza assai riuscita di un amore reciproco tra i Dimmu Borgir e la musica sinfonica, ma anche l’occasione di ascoltare la potenza compositiva del metal esaltata dal più grande degli amplificatori che esista: un’orchestra sinfonica.

TRACKLIST
01. Xibir (orchestra)
02. Born Treacherous
03. Gateways
04. Dimmu Borgir (orchestra)
05. Dimmu Borgir
06. Chess With The Abyss
07. Ritualist
08. A Jewel Traced Through Coal
09. Eradication Instincts Defined (orchestra)
10. Vredesbyrd
11. Progenies Of The Great Apocalypse
12. The Serpentine Offering
13. Fear And Wonder (orchestra)
14. Kings Of The Carnival Creation
15. Puritania
16. Mourning Palace
17. Perfection Or Vanity (orchestra)

LINE-UP
Shagrath – vocals
Silenoz – guitar
Galder – guitar

DIMMU BORGIR – Facebook

Krowos – Verbum Luciferi

Con il loro splendido black metal classico, anche se più lento e diabolico rispetto ai normali canoni attualmente in voga nel genere, i Krowos pubblicano un album incisivo e godibilissimo, in parte disturbante e al contempo estremamente appagante.

Tornano i black metallers Krowos, e l’oscurità ci avvolge ancora.

I Krowos sono nel giro dal 2011 e con questo disco hanno forse toccato la loro massima espressione musicale. Come lupi tra le pecore, i Krowos fanno black classico e rituale, con tutti gli ingredienti al posto giusto. Parti più veloci e parti più cadenzate, con l’ortodossia ben presente, ma anche con una notevole dose di melodia che solo le band mediterranee sanno mettere nel genere. I Krowos fanno benissimo quello che altri riescono ad accennare con mille sforzi. Qui il black metal raggiunge se non lo scopo supremo, almeno uno degli scopi che ha sempre avuto, ovvero quello di essere una musica rituale satanista, o quantomeno oscura. Verbum Luciferi è appunto un rituale occulto e ha un significato profondo che forse noi moderni non riusciamo a cogliere, anche perché duemila anni di depistaggio hanno sicuramente avuto il loro peso. Con il loro splendido black metal classico, anche se più lento e diabolico rispetto ai normali canoni attualmente in voga nel genere, i Krowos pubblicano un album incisivo e godibilissimo, in parte disturbante e al contempo estremamente appagante. Come nel cristianesimo, così nel basso nel satanismo c’è il suo contrario. L’uomo, e qui potremmo discuterne per millenni, è più satanico che angelico, e i Krowos ce lo ricordano. Tutto ciò a partire dal loro nome, che significa Corvo in antico irlandese, e il corvo era ed è considerato un emissario del nero signore, proprio come questo gruppo, che compiendo una nerissima messa ci regala un disco di black metal che riemette le cose dove dovrebbero stare. Un’onoratissima carriera che continua ottimamente.

TRACKLIST
1. Verbum Luciferi
2. Infamia in Excelsis
3. Vangelo
4. Malignus
5. Credo
6. Offertorio

LINE-UP
Tsade – Voice
Imbris – Guitars
Bheltregus – Guitars
Frozen – Drums

KROWOS – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Lucifera – Preludio Del Mal

Le canzoni che compongono questa lunga discesa nell’abisso dei Lucifera sono ricche di un’attitudine old school sia per quanto riguarda la parte black, sia quando il gruppo nobilita la propria musica con cavalcate heavy/thrash.

Ecco il classico album che cresce con gli ascolti e mostra, per la gioia dei blacksters dai gusti morbosi ed invasati per occultismo e testi macabri, una band convincente.

Loro sono i Lucifera, provengono dalla Colombia, e sono attivi da una decina d’anni con una discografia piuttosto prolifica: non sono pochi infatti, di questi tempi, sette uscite discografiche tra full length, ep, split, demo e live.
La proposta del gruppo è un black metal d’impatto sorretto da ritmiche thrash e chitarre che, a tratti, si possono tranquillamente definire maideniane per un connubio vincente.
L’album è cantato in lingua madre, ma è sulla musica che va concentrata l’attenzione: il gruppo ha davvero una marcia in più ed un songwriting che ne valorizza le energie, riuscendo nell’impresa di rendere piacevole un lavoro estremo che supera i sessanta minuti.
Bastano un paio di ascolti o magari i primi tre brani di questo Preludio Del Mal per entrare nel mondo oscuro dei Lucifera, dove la strega Alejandra Blasfemia ci accompagna con il suo scream maligno e posseduto in questa realtà fatta di occultismo, diaboliche possessioni e male.
Come accennato, le canzoni che compongono questa lunga discesa nell’abisso dei Lucifera sono pregne di un’attitudine old school sia per quanto riguarda la parte black, sia quando il gruppo nobilita la propria musica con cavalcate heavy/thrash che, a tratti, entusiasmano.
L’opener Esclavos de Dios, Tormentas de Sangre e la conclusiva Blasfemias (undici minuti di raggelante black doom) sono i brani che più colpiscono, ma questo lavoro merita la giusta attenzione nel suo insieme e i Lucifera un applauso per il lavoro svolto.
Se vogliamo trovare un difetto a Preludio Del Mal è forse nella produzione, un dettaglio per un’opera da non perdere assolutamente da parte di un altro gruppo che MetalEyes è felice di proporre ai suoi lettori.

TRACKLIST
1.Esclavos de Dios
2.Los Demonios de Loudun
3.Tiempos Siniestros
4.Alianzas de Acero y Metal
5.Tormentas de Sangre
6.Culto Ancestral
7.A Través de la Muerte
8.Preludio del Mal
9.Leyendas Mortuorias
10.El Señor de las Moscas
11.Letanías Infernales
12.Blasfemias

LINE-UP
David HellRazor – Owner, Guitarist, All Music & Compositions)
Alejandra Blasfemia – Manager, Bass, All Lyrics & Vocals
Acid Witch – Guitar
C. Commander – Drums

LUCIFERA – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=pQZc1psXa5w

Afar – Selfless

Selfless e un’opera più che valida, certamente non così peculiare o dirompente per risultare imprescindibile, ma altrettanto meritevole di attenzione ed approvazione da parte degli appassionati più attenti.

Afar e una delle molteplici one man band statunitensi votate al black metal più atmosferico ed introspettivo.

Itay Keren fa parte dei discretamente noti Windfaerer e, per questo suo progetto solista, lascia da parte l’anima folk della sua attuale band per focalizzarsi del tutto su un’interpretazione del genere che corrisponde perfettamente a quanto ci si sarebbe attesi: abbiamo così tempi sempre piuttosto ragionati che spesso appaiono più accelerati di quanto non siano effettivamente, a causa dello screaming per lo più esasperato; in effetti, non di rado invece il sound si spinge verso lidi black doom e tutto sommato si rivela apprezzabile proprio questo suo oscillare tra passaggi ariosi ed umori oppressivi.
Se da chi suona black metal in Nord America è lecito attendersi digressioni verso le sempre gradite sonorità di matrice cascadiana (e ciò si verifica in maniera eloquente in Cascading Shadows), I.K. lo fa in maniera piuttosto misurata, anche se la bellissima traccia di chiusura, Twelve, si rivela eloquente rispetto ad un certo modo di trattare la materia.
Selfless e un’opera più che valida, certamente non così peculiare o dirompente per risultare imprescindibile, ma altrettanto meritevole di attenzione ed approvazione da parte degli appassionati più attenti.

Tracklist:
1.Healing
2.Cascading Shadows
3.Tsalmaveth
4.Endless Path
5.Aerial Discord
6.Beckoned Into Fog
7.Twelve

Line up:
I.K.

None – None

Al di là del ridotto potenziale innovativo, un album di questo tipo lo si ascolta sempre volentieri, specialmente quando viene suonato e composto con tutti i crismi e con la dovuta intensità, e senza che ci si perda in troppi passaggi interlocutori.

Interessante lavoro da parte di questa band americana dedita ad un black metal atmosferico e dalle forti sfumature depressive.

Tre brani per circa una mezz’ora di buona musica sono il fatturato di quest’album autointitolato, pubblicato dalla Hypnotic Dirge: anche se il monicker None non è certo di quelli che si ricordano in maniera imperitura ed il genere suonato è discretamente inflazionato, il lavoro regala con buona continuità quelle sonorità oscillanti tra malinconia e disperazione, pescando con un certo equilibrio tra le due anime che confluiscono nelle composizioni.
Il depressive black prende campo specialmente quando è lo screaming straziante ad occupare la scena, mentre la componente atmosferica prevale nei momenti prettamente strumentali; peraltro, la copertina è piuttosto indicativa di quanto ci si possa attendere dalla musica della misteriosa band di Portland, per cui gli scenari esibiti corrispondono al senso di freddo e desolazione che prima o poi ognuno percepisce provando a scavare in profondità dentro sé stesso.
Al di là del ridotto potenziale innovativo, un album di questo tipo lo si ascolta sempre volentieri, specialmente quando viene suonato e composto con tutti i crismi e con la dovuta intensità, e senza che ci si perda in troppi passaggi interlocutori.
None non rappresenta nulla che possa stravolgere le gerarchie del metal underground ma è sicuramente un ascolto che non deluderà chi ama questo tipo di sonorità.

Tracklist:
1 – Cold
2 – Wither
3- Suffer

AlNamrood – Enkar

Enkar si mantiene sulla linea dei lavori precedenti degli AlNamrood, lasciando pressoché immutate le coordinate e, conseguentemente, le buone impressioni che ne derivano.

A chi è convinto (un gran numero di persone, purtroppo) che tutti gli arabi, indistintamente, siano dei fanatici devoti ad Allah e pronti a farsi saltare per aria accecati dalla fede per il proprio dio, consiglierei, se non di ascoltare questo disco, quanto meno di prendere atto che esiste chi alla tirannia religiosa prova a ribellarsi anche nei paesi più strettamente connessi con la jihad islamica, quale è appunto l’Arabia Saudita.

Uno strumento di dissenso magari non consueto, e forse anche per questo più efficace, può essere suonare musica metal, un genere che sappiamo non essere visto di buon occhio neppure in paesi teoricamente a minore rischio di integralismo; se poi il tutto si trasforma in un black death dai testi chiaramente antireligiosi, si può ben capire come mai degli AlNamrood si conoscano solo gli pseudonimi, vista la necessità di mantenere l’anonimato per salvare essenzialmente la pelle (pur avendo base i nostri, probabilmente, nel ben più accogliente Canada).
Non si creda peraltro che questo sia un problema esclusivamente islamico: in India, per esempio, gli Heathen Beast, con la loro feroce critica nei confronti della tirannia di matrice induista, corrono esattamente gli stessi rischi. Alla fine il messaggio di tutti questi musicisti coraggiosi è finalizzato a far capire, anche a chi segue culti oggi un po’ più “annacquati” e di convenienza, quanto la religione sia in assoluto il vero cancro del pianeta, il male capace di obnubilare le menti costituendo una delle leve principali manovrate dai dai potenti per controllare le masse.
Venendo all’aspetto prettamente musicale, degli AlNamrood avevamo già parlato in occasione del loro precedente lavoro, apprezzandone il tentativo di fondere le sonorità estreme con quelle tradizionali della propria terra; Enkar si mantiene su questa linea lasciando pressoché immutate le coordinate e, conseguentemente, le impressioni derivanti dall’ascolto: la musica degli AlNamrood gode di una notevole intensità, è suonata e prodotta in maniera soddisfacente e risulta coinvolgente il giusto, anche se proprio per come è strutturata non sempre scorre in maniera fluida come dovrebbe.
In effetti, il black proposto dal trio arabo ha un andamento piuttosto simile per tutta la durata del lavoro, con rade accelerazioni rispetto alle quali viene privilegiato un mid tempo la cui ritmica si adegua, necessariamente alla particolare metrica della lingua araba: in definitiva, la condizione essenziale per apprezzare Enkar e tutta la precedente produzione degli AlNamrood è quella d’essere appassionati non solo di metal estremo ma anche di sonorità etniche, e mediorientali in particolare.
Non so quante persone rispondano effettivamente a tali requisiti, per cui l’album potrebbe essere anche un buon pretesto, da parte di chi predilige uno dei due aspetti, per fare un full immersion nell’altro. Per quanto mi riguarda, ascolto sempre con piacere soluzioni sonore di questo genere, provando a non farmi influenzare dalla naturale empatia nei confronti di questi ragazzi, anche se mi rendo conto di quanto questi quaranta minuti possano rivelarsi di complessa digestione per molti.
A tutti consiglio di ascoltare una traccia come Ensaf, quella in cui la commistione tra gli strumenti tradizionali ed il metal estremo funziona decisamente meglio: fatto questo passo e presa familiarità con il sound degli AlNamrood, Enkar  potrebbe rivelarsi molto più di una semplice anomalia geo-musicale.

Tracklist:
1. Nabth
2. Halak
3. Xenophobia
4. Estibdad
5. Efsad
6. Estinzaf
7. Ensaf
8. Egwaa
9. Ezdraa
10. Entiqam

Line-up:
Mephisto: Guitars/Bass
Ostron: Middle Eastern Instruments
Humbaba: Vocal

ALNAMROOD – Facebook

Diĝir Gidim – I Thought There Was the Sun Awaiting My Awakening

Da un luogo “sconosciuto” notevole esordio di incompromissorio e magmatico black metal.

Entità aliene provenienti da lontani mondi, demoni sputati fuori da innominabili profondità, questo il quesito che mi sono posto ascoltando i Diĝir Gidim, duo proveniente da un luogo ignoto, che esordisce dal nulla con un opus misterioso, affascinante, per nulla di facile ascolto.

L’unica notizia è che uno dei due musicisti, Lalartu, ha esordito nel 2016 con il suo progetto black ambient Titaan, mentre Utanapistim Ziusudra, che suona tutti gli strumenti, è del tutto sconosciuto. La label italiana ATMF, sempre attenta nella ricerca di nuove emozioni black metal, li fa esordire con un full di quattro lunghe composizioni all’insegna di un black metal intenso, magmatico, cangiante, ritualistico, devoto al fascino di antichi mondi, in questo caso la Mesopotamia; il Diĝir è un simbolo cuneiforme che rappresenta la suprema divinità Anu deus otiosus, mentre Gidim rappresenta l’ombra o lo spirito della persone morte; già altre band hanno subito il fascino delle Civiltà Egizie, vedi Nile e Melechesch, ma con i Diĝir Gidim il tutto, sia a livello concettuale che a livello musicale, si spinge maggiormente in profondità scavando a fondo e generando gelide emozioni in chi si vorrà far trasportare in questo flusso infinito di note e vocals straziate.
I quattro lunghi brani costituiscono un flusso costante e continuo in cui ritualistici cori, scream feroci e incompromissori, note dissonanti di chitarre si inseguono, si confondono per creare un massa incandescente dove alcune linee melodiche sono talmente oscure da atterrire l’ascoltatore; il termine estremo in questo caso assume, per chi vi si avventura, un effetto assolutamente catartico. Le spire gelide di vortici impazziti nell’oscurità infernale del primo magnifico brano si collegano, si amalgamano con cori di dei ancestrali, adorati ma non capiti, in un continuum senza luce né speranza, in abissi infiniti dove non vi è alcun filtro ma solo nichilismo assoluto: la presenza di un dio autoritario e vendicativo nega a menti schiave qualunque forma di ribellione e affrancamento. Il sound, che trova la sua genesi nei Deathspell Omega, nei Blut Aus Nord, è ribollente, non conosce pause liberatorie, tutto si stratifica, si attorciglia, si fonde e lascia alla fine dell’ascolto una sensazione di spossante purificazione. Da assimilare a piccole dosi, ma assolutamente da sentire!

TRACKLIST
1. The Revelation of the Wandering
2. Conversing with the Ethereal
3. The Glow Inside the Shell
4. The Eye Looks Through the Veils of Unconsciousness

LINE-UP
Utanapištim Ziusudra – All instruments and Music
Lalartu – Vocals and lyrics

DIGIR GIDIM – Facebook

src=”https://bandcamp.com/EmbeddedPlayer/album=2322564852/size=small/bgcol=ffffff/linkcol=0687f5/transparent=true/” seamless>I Thought There Was the Sun Awaiting My Awakening by DIGIR GIDIM

Naga – Inanimate

I Naga si stabilizzano tra gli esponenti di punta di un genere che. nel nostro paese. sta producendo frutti sempre più prelibati.

Inanimate è un ep dei Naga risalente alla scorsa estate, quando è stato pubblicato solo in vinile in edizione limitata in 100 copie per Lay Bare Recordings; da poco è stata immessa sul mercato da parte della Everlasting Spew Records la versione in cd, contenente anche un brano esclusivo per tale edizione.

Pur avendo affrontato ai tempi di IYE l’ottimo Hēn, unico full length finora rilasciato dalla band napoletana, non abbiamo intercettato Inanimate all’atto della sua prima uscita per cui cerchiamo di rimediare ora, tenendo conto del fatto che i suoi contenuti sono già stati ampiamente sviscerati da più parti lo scorso anno.
Quello che si può aggiungere a quanto già si sa è che i Naga, pur con una produzione ancora di dimensioni ridotte, hanno già acquisito una caratura importante che ha consentito loro, per esempio, di aprire ai Candlemass nella recente data bresciana.
L’ascolto di Inanimate conferma che tale status si rivela tutt’altro che usurpato: l’interpretazione del doom da parte del trio partenopeo non è ovviamente tradizionale come quella dei “padri” svedesi, ma si avvale di una pesante componente sludge senza tralasciare qualche puntata di matrice black/hardcore.
Thrives, traccia d’apertura del lavoro, si rivela sufficientemente emblematica dello stile musicale dei Naga, con il suo sound denso, colmo una tensione che pare sempre sul punto di esplodere nel suo fragore ma resta, invece, pericolosamente compressa all’interno del suo caliginoso involucro.
Hyele segue uno schema non dissimile ma è intrisa di una più canonica componente doom, con riff pesanti come incudini nella sua parte discendente, mentre le accelerazioni blak hardcore di Loner sono propedeutiche all’allucinata cover dei Fang, The Money Will Roll Right In.
Il brano inedito, Worm, riporta invece alle radici dello sludge e conferma la bontà del percorso stilistico intrapreso dai Naga, stabilizzandoli tra gli esponenti di punta di un genere che. nel nostro paese. sta producendo frutti sempre più prelibati.

Tracklist:
1. Thrives
2. Hyele
3. Loner
4. The Money Will Roll Right In (Fang cover)
5. Worm

Line-up:
Lorenzo: Vocals and Guitar
Emanuele: Bass
Dario: Drums

NAGA – Facebook

Somnium Nox – Terra Inanis

I Somnium Nox non si limitano a proporre un black tradizionale ma lo arricchiscono di parti più rarefatte e dal buon carico melodico, funzionali nel preparare il terreno ad accelerazioni che sono comunque piuttosto ragionate.

I Somnium Nox sono una band australiana che, con Terra Inanis, fa il primo passo su lunga distanza (almeno dichiarata, in quanto in realtà il lavoro non supera la mezz’ora di durata.

Trattandosi di una band alle prime uscite, visto che all’attivo fino ad oggi aveva solo il singolo Apocrypha dello scorso anno, non c’è molto su cui parametrarne l’operato, per cui Terra Inanis va valutato per quello che è ovvero un buon esempio di black metal atmosferico e dagli spunti pregevoli.
Infatti, pur non potendolo considerare innovativo nel senso letterale del termine, l’album offre tre tacce di circa dieci minuti ciascuna in gradi di farsi apprezzare dagli amanti delle sonorità oscure ma non asfissianti: i Somnium Nox non si limitano a proporre un black tradizionale ma lo arricchiscono di parti più rarefatte e dal buon carico melodico, funzionali nel preparare il terreno ad accelerazioni che sono comunque piuttosto ragionate.
I tre brani esibiscono comunque sfumature differenti: Soliloquy of Lament è black nella sua accezione più classica e beneficia di un bel crescendo conclusivo, The Alnwick Apotheosis è la traccia migliore ed anche la più anomala, visto che per una metà si snoda su velocità consistenti per poi sfumare in liquide sonorità ambient, mentre la conclusiva Transcendental Dysphoria è un black doom cupo e dai toni inquietanti e drammatici.
Indubbiamente l’uso di uno strumento tradizionale come il didgeridoo fornisce al lavoro una propria peculiarità, fornendo al sound talvolta un tocco solenne ed ancestrale, proprio quello che serve per provare ad emergere e mettere la testa fuori dal gruppone.
In Australia, negli ultimi anni, è emersa senz’altro una scena capace di interpretare la materia estrema in maniera efficace e i Somniun Nox ne sono un nuovo e fulgido esempio.

Tracklist:
1. Soliloquy of Lament
2. The Alnwick Apotheosis
3. Transcendental Dysphoria

Line-up:
Nocturnal – Guitars, Bass, Didgeridoo
Ashahalasin – Vocals
Forge – Drums
Olkoth – Keys
J.A.H – Guitars

SOMNIUM NOX – Facebook

Conjonctive – In The Mouth Of The Devil

Una sorpresa questi ragazzi svizzeri, il loro album è davvero una bordata estrema come pochi nel genere e vale la pena dargli un ascolto.

Tra le montagne di una Svizzera cupa e grigia, fuori dalle stagioni turistiche, vi è una casa che il demonio ha ordinato alle sue truppe di conquistare, attraverso l’anima di chi la abita.

In un giorno uggioso e deprimente il vecchio sacerdote si avvicina all’uscio di quella che ormai è la dimora di Satana, armato della sua borsa e di una fede messa continuamente alla prova da un mondo dove gli eserciti del maligno dominano sulle forze del bene.
Nel momento in cui la vecchia nonna, segnata dagli ultimi terribili avvenimenti, lo accoglie nella casa, quello che succede è descritto in musica dal death/black core dei Conjonctive e del loro devastante secondo lavoro, In The Mouth Of The Devil.
Un esorcismo, una battaglia contro il demonio a colpi di un metal estremo terribilmente coinvolgente, al limite del brutal death, dall’attitudine black e dalle mazzate core di una potenza fuori controllo.
In The Mouth Of The Devil segue di quattro anni il primo album e per chi immagina un disco core, pregno di quei cliché commercialmente utili, ma qualitativamente sterili, ha sbagliato gruppo e disco.
Qui siamo al cospetto del maligno, dunque non c’è la minima apertura melodica, solo un’aggressione senza limiti, una barbarie in musica che si evince dal devastante uso della doppia voce di Sonia e Randy, demoni possessori della giovane donzella abitante nella vecchia casa, che sollecitati dai riti dell’esorcista, sputano blasfemie e rabbia, in un’orgia di violenza che si fa soffocante e pressante ed ogni istante.
Non è detto sapere chi la spunterà, sappiate solo che lo scontro è violentissimo e le forze del male non mollano di un centimetro sotto le benedizioni del prete, ormai allo stremo, attaccato senza tregua da belligeranti e potentissime bordate come Falling In The Mouth Of The Devil, The Cult Of The Shining Planet e Hills Of Abomination.
Una sorpresa questi ragazzi svizzeri, il loro album è davvero una bordata estrema come pochi nel genere e vale la pena dargli un ascolto.

TRACKLIST
01. Purgatory
02. You’re Next
03. Falling in the Mouth of the Devil
04. Down into the Abyss
05. Let Blow the Grim Wind
06. The Cult of the Shining Planet
07. Burn Your Eyes
08. Hills of Abomination
09. Defeat the Red Sun
10. Constellations & Black Holes

LINE-UP
Sonia – Vocals
Randy – Vocals
Raph – Guitars
Yannick – Guitars
Erwin – Bass
Manu – Drums

CONJONCTIVE – Facebook

Svart Crown – Abreaction

Un uso molto originale delle ritmiche per una band death/black (tra groove e percussioni tribali), la pesantezza sonora che si spinge fino a toccare lidi doom ed un songwriting vario e per nulla ripetitivo, spostano sicuramente la ragione dalla parte del gruppo nizzardo

Gli Svart Crown arrivano con Abreaction a quello che, di fatto, è l’album più importante della loro carriera e se la missione era quella di confermare il fiuto della Century Media, l’obiettivo è stato raggiunto.

Un uso molto originale delle ritmiche per una band death/black (tra groove e percussioni tribali), la pesantezza sonora che si spinge fino a toccare lidi doom ed un songwriting vario e per nulla ripetitivo, spostano sicuramente la ragione dalla parte del gruppo nizzardo, realtà oscura e perversa, occulta e blasfema, protagonista di un album estremo, maligno ed affascinate.
Non solo furia death/black dunque, ma atmosfere che variano, malatissime e contorte (The Pact: To the Devil His Due) così da non peccare di immobilismo come alcuni gruppi, magari più famosi ma dal compitino eseguito perfettamente da anni, variando l’estremismo tipico del metal estremo alla Behemoth con rallentamenti fusi in lava nera come la pece; il sangue spesso cola dalle fauci del demone, tra liturgie dannate e doom/death d’alta scuola, mentre le varianti tribali di ritmiche infernali conducono alla pazzia e alla danza prima della dannazione eterna.
JB Le Bail e compagni non lesinano sperimentazioni, cori monastici ed atmosfere da chiese sconsacrate, mentre gli episodi migliori sono proprio i più originali ed imprevedibili, nei quali la pesantezza delle atmosfere si scontra con una serie di spunti non così comuni nei gruppi del genere.
Khimba Rites, Transsubstantiation e Nganda sono gli episodi migliori, a cui si aggiunge Tentacion, un dark western alla Fields Of The Nephilim attraversato da un’oscura aura black che lo rende un brano strumentale atipico e da brividi.
In conclusione, un album riuscito ed una band che troverà la giusta attenzione da parte degli amanti dei suoni estremi, ai quali è consigliato l’ascolto di questa opera oscura, sinistra ed atmosferica.

TRACKLIST
1.Golden Sacrament
2.Carcosa
3.The Pact: To the Devil His Due
4.Upon This Intimate Madness
5.Khimba Rites
6.Tentacion
7.Orgasmic Spiritual Ecstasy
8.Transsubstantiation
9.Emphatic Illusion
10.Lwas
11.Nganda

LINE-UP
JB Le Bail – Vocals/Guitar
Ludovic Veyssière – Bass guitar
Kévin Paradis – Drums
Kevin Verlay – Guitar

SVART CROWN – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=hRaSi1IFaaM

Obscure Devotion – Ubi Certa Pax Est

Un lavoro di grande maturità e chiarezza di intenti, per cui la naturale e spontanea espressione del genere si abbina ad una non sempre scontata cura dei particolari.

Gli Obscure Devotion sono una band potentina la cui genesi affonda le radici ancora nel secolo scorso: una storia lunga con una produzione comunque abbastanza scarna quantitativamente, visto che Ubi Certa Pax Est è solo il terzo full length in poco più di un ventennio.

Il passato è importante ma il presente lo è ancora di più, per cui è necessario focalizzarsi su questo notevole album che conferma il livello della scena black lucana, con pochi nomi ma decisamente buoni.
Ubi Certa Pax Est  si rivela un’interpretazione efficace e credibile di un genere nel quale si richiedono essenzialmente queste due doti a chi lo suona, ma l’operato degli Obscure Devotion non di riduce solo a questi aspetti, c’è infatti molti di più tra le note di un album che mette in mostra doti superiori alla media del genere per songwriting ed esecuzione.
Per esempio il lavori chitarristico di Cabal Dark Moon, in diverse occasioni, è ben più composito rispetto al canonico tremolo picking al quale siamo abituati, conferendo all’album quella componente death che viene poi rafforzata dalla sua interpretazione vocale efferata, ed  è piacevole godere al meglio di tutte queste sfumature grazie ad una produzione eccellente.
Tra gli aspetti che emergono dopo diversi ascolti va annotata la tendenza ad una sorta di attenuazione dei ritmi man mano che l’album procede verso la sue conclusione: se la prima metà tutto sommato ricalca con padronanza le sonorità tipicamente nordeuropee, nella seconda parte il tutto diviene ancor più vario e ragionato, elevando ulteriormente il valore complessivo di un lavoro già di suo ottimo.
Gli Obscure Devotion offrono così  un sound che sa essere maligno e corrosivo ma anche evocativo e malinconico: come brano trainante dell’album citerei la magnifica The Sign Of Pain,  anche se il trittico Arrivederci Part I e II e Beyond the Flesh mette in mostra un lato più riflessivo che, come detto, rende la parte conclusiva meno violenta e più meditata, a favore di un maggiore slancio melodico.
Ubi Certa Pax Est è un altro bel tassello piazzato a comporre l’interessante mosaico stilistico e geografico del black metal italiano; nello specifico questo è un lavoro di grande maturità e chiarezza di intenti, per cui la naturale e spontanea espressione del genere si abbina ad una non sempre scontata cura dei particolari.
Alla luce dei risultati ottenuti, resta solo da sperare che gli Obscure Devotion trovino lo slancio per presentare nuovo materiale nel prossimo futuro con una cadenza meno rarefatta.

Tracklist
1. Meet the Sorrow (Intro)
2. Ubi Certa Pax Est
3. Burning Blades of Frozen Tears
4. Dreaming a Dead Home
5. The Sign of Pain
6. On Butterfly Wings
7. Arrivederci Pt. I
8. Arrivederci Pt. II
9. Beyond the Flesh
10. Last Embrace (Outro)

Line-up:
Vox Mortuorum – bass
Abyss 111 – drums
Cabal Dark Moon – guitars, vocals

OBSCURE DEVOTION – Facebook