Paola Pellegrini Lex Rock – Lady To Rock

Paola Pellegrini ci regala mezz’ora abbondante di sano rock’n’roll, dieci schiaffi in pieno volto energici e con quell’urgenza punk che ne ha sempre contraddistinto il sound, confermando le sue capacità nel saper trovare la giusta formula per convincere con quei semplici quattro accordi che hanno fatto storia.

Torna la Suzi Quatro o, se preferite, la Joan Jett del rock tricolore, con un nuovo lavoro licenziato questa volta dalla Red Cat ed intitolato Lady To Rock.

Paola Pellegrini, cantante, chitarrista, avvocato e scrittrice, con il monicker Paola Pellegrini Lex Rock torna sul luogo del delitto, imbraccia la sua chitarra e con l’aiuto di Franco Licausi al basso e Simone Morettin alla batteria smuove montagne con il suo terremotante rock’n’roll.
La musicista toscana ci regala mezz’ora abbondante di sano rock’n’roll, dieci schiaffi in pieno volto energici e con quell’urgenza punk che ne ha sempre contraddistinto il sound, confermando le sue capacità nel saper trovare la giusta formula per convincere con quei semplici quattro accordi che hanno fatto storia.
Divertente, ma allo stesso tempo maturo, Lady To Rock non fa prigionieri, ci rivolta come calzini, travolti dall’energia sprigionata da brani d’impatto immediato e dai refrain facilmente memorizzabili, come l’opener No Half Way e Lovely Man, coppia di canzoni che apre l’album all’insegna dell’energia.
Avuta Mai è l’unica traccia cantata in italiano, segnata da un mid tempo e da un’atmosfera ombrosa, mentre il seguito di Lady To Rock alterna song dirette e dal piglio punk rock ai ritmi cadenzati di Cut The Chains e Wild Shot.
Paola è una tigre, morde, graffia, gioca con noi, prede da confondere prima di azzannarle con il suo rock d’assalto che tanto sa delle eroine accennate ad inizio articolo, ma che vive di una personalità spiccata e di una sound travolgente.
Con il suo ottimo ritorno, Paola Pellegrini si conferma come una delle più credibili interpreti del rock’n’roll made in Italy: assolutamente da non perdere se capita dalle vostre parti in versione live, perché se tanto mi da tanto c’è da divertirsi.

Tracklist
1.No Half Way
2.Lovely Man
3.Avuta Mai
4.Cut The Chains
5.Endless Begin
6.Wild Shot
7.Making Love Forever
8.What I Like
9.You Better Believe
10.All My Love Has Gone

Line-up
Paola Pellegrini – Voice, Guitars
Franco Licausi – Bass
Simone Morettin – Drums

PAOLA PELLEGRINI LEX ROCK – Facebook

Last Resistance – A World Painted Grey

Un EP all’insegna del decadentismo, che crea sensazioni angoscianti senza mancare di potenza.

Secondo lavoro per i Last Resistance, il gruppo di Brindisi fondato nel 2013 che si presenta al pubblico come una band Metalcore e che porta alla luce questo A World Painted Grey, un EP composto da 4 tracce che di certo non delude le aspettative dell’ascoltatore. La potenza non manca, la sostanza nemmeno.

A differenza di Last Resistance (l’EP pubblicato alla fine del 2014), la band si lascia trasportare verso un metalcore probabilmente più adatto ai temi trattati nei testi. Nonostante siano molto chiari i riferimenti a gruppi come Drowning Pool e Killswitch Engage, il sound porta con sé anche moltissimi elementi del ben più cupo melodic death metal: in svariati momenti si possono sentire melodie decadenti, che richiamano le sonorità tipiche di gruppi come Solution 45 e In Mourning e non mancano i momenti oscuri, che creano ansia e senso di distruzione nell’ascoltatore.
Un EP carico di anguste emozioni decadentiste che richiamano inesorabilmente i poeti maledetti della Belle Époque francese, quando la società portava alla ricerca dell’individualismo, dell’egoismo e dell’alibi per non affrontare una realtà grigia e senza stimoli.
D’altronde la tematica dell’album è proprio la distruzione della società, causata dagli stupidi comportamenti umani che l’hanno portata alla deriva e con cui ci si deve trovare a fare i conti. Tutto l’EP è curato nei minimi dettagli, persino la copertina rappresenta la situazione che viene poi espressa nei testi: il fronte rappresenta una città grigia ed anonima mentre il retro ne rappresenta la sua vera faccia, in rovina ed ormai irrecuperabile.
I Last Resistance insomma convincono e lasciano poco spazio a commenti negativi. Ci auguriamo che possano tornare presto sulla scena con un album completo che ci racconti il nefasto futuro che la società odierna ci riserva.

Tracklist
1. Karma Violence
2. Misfortune
3. Point of No Return
4. Enslaved

Line-up
Vito Mingolla – Voce
Lorenzo Valentino – Chitarra
Luca Greco – Chitarra
Andrea Caiulo – Basso
Mino Mingolla – Batteria

LAST RESISTANCE – Facebook

Fallen – ást

Fallen veicola sentimenti che, valutati con i parametri della modernità, appartengono a tempi in cui la semplicità era una virtù e non sinonimo di banalità o di sciatteria: anche per questo ást è un’opera preziosa, da cullare e coltivare con la stessa cura ed attenzione che il musicista ha riversato nel comporla, rendendola una testimonianza musicale fulgida e a suo modo rara.

Torna nuovamente a farsi sentire Fallen, ovvero il musicista toscano Lorenzo Bracaloni, con la sua musica ambient di limpida qualità.

Come già scritto in occasione dell’ultima opera intitolata No Love Is Sorrow, il flusso musicale continua a trarre linfa dagli insegnamenti settantiani del caposcuola Brian Eno e di tutti i numerosi discepoli di uno dei maggiori compositori contemporanei.
L’ambient, nelle mani di Lorenzo, riprende la sua forma originaria, ovvero quella di musica che trovava la sua naturale collocazione nell’accompagnamento di installazioni visive, quindi ben lontana dalle forme droniche e disturbanti che, pur validissime, si rivelano alla fine più impattanti e meno neutre, andando un po’ in contrasto con le finalità iniziali immaginate dal maestro britannico.
ást non è però solo carezzevole e la sua bellezza risiede in una ricerca di suoni non sempre convenzionali, capaci di increspare splendidamente il placido moto ondoso, come avviene in ást III, o con un impatto melodico più definito ed accentuato, come nella magnifica ást V.
E’ anche vero che, in presenza di una continuità compositiva, la proposta di Bracaloni si fa sempre più ricca e composita, colma di sfumature che si possono cogliere, sotto forma di voci e rumori opportunamente processati che non appaiono mai fuori luogo, in quanto facenti parte di una quotidianità dalla quale Fallen non vuole farci evadere ma, semmai, spingerci ad apprezzarne gli aspetti più puri; anche le più piccole cose, persino quelle apparentemente insignificanti, grazie all’ást (amore in islandese) divengono tasselli utili a completare un quadro esistenziale.
Fallen veicola sentimenti che, valutati con i parametri della modernità, appartengono a tempi in cui la semplicità era una virtù e non sinonimo di banalità o di sciatteria: anche per questo ást è un’opera preziosa, da cullare e coltivare con la stessa cura ed attenzione che il musicista ha riversato nel comporla, rendendola una testimonianza musicale fulgida e a suo modo rara.

Tracklist:
1. ást I
2. ást II
3. ást III
4. ást IV
5. ást V
6. ást VI
7. ást VII
8. ást VIII

Line-up:
Fallen

FALLEN – Facebook

Dying Awkward Angel – Absence Of Light

Il death metal del quintetto, di ispirazione old school, amalgama e alterna con sagacia le ispirazioni provenienti dalle due scuole estreme, usando a proprio piacimento le melodie classiche del death scandinavo su una struttura che in molti casi si ispira alla scena della Bay Area.

La Rockshots pubblica il secondo full length dei torinesi Dying Awkward Angel, gruppo attivo da vent’anni ma falcidiato da problemi legati soprattutto alla line up che ne hanno frenato la carriera nel mondo del metal estremo.

Un paio di demo un ep, l’album Waiting for Punishment licenziato nel 2013 e ora il nuovo lavoro intitolato Absence Of Light, che arriva a far circolare ancora una volta il nome del gruppo nella scena estrema tricolore, grazie ad un sound che, se pesca come da tradizione della band dal death metal scandinavo, non rinuncia ad ispirazioni che giungono dagli States.
Absence Of Light risulta quindi un buon lavoro, nel quale il quintetto amalgama e alterna con sagacia le ispirazioni provenienti dalle due scuole estreme, usando a proprio piacimento le melodie classiche del death scandinavo su una struttura che in molti casi si ispira alla scena della Bay Area.
Dying Awkward Angel si distinguono per un songwriting efficace, i brani convincono non cedendo in quanto ad impatto e regalando armonie e melodie perfettamente inserite in un contesto estremo che ricorda At The Gates e Morbid Angel, In Flames e Slayer, in un susseguirsi di cambi di tempo ed atmosfere.
L’opener Blood Of Your Blood, Dolls, Sancta Sanctorum, la conclusiva Killing Floor, formano insieme alle altre tracce un lavoro personale, suggestivo e saggiamente bilanciato tra aggressività e melodie, facendo di Absence Of Light un album consigliato e dei Dying Awkward Angel un gruppo da seguire con molta attenzione.

Tracklist
01. Blood of Your Blood
02. Death Coach
03. Isaiah
04. Shade
05. Dolls
06. Sancta Sanctorum
07. Absence of Light
08. Maldita Seas
09. The Dust Devil
10. T.U.S.K.
11. The Killing Floor

Line-up
Edoardo Demuro – Guitars
Luca Pellegrino – Drums
Lorenzo Asselli – Guitars
Davide Onida – Bass
Michele Spallieri – Vocals

DYING AWKWARD ANGEL – Facebook

Di’aul – Nobody’s Heaven

Una possente marcescenza è il marchio di questi ragazzi che, nella maggior parte delle loro canzoni, fanno un suono non molto veloce ma che corrode in maniera molto piacevole le nostre orecchie, dandoci una sensazione di blues metal, una via maledetta da seguire, ma che è anche l’unica possibile per dannarsi.

I Di’aul da Milano sono un gruppo dal groove unico, tra Crowbar, blues e vari riferimenti agli anni novanta e duemila.

Attivi dal 2010, questi ragazzi hanno un’identità musicale molto ben definita ed in grado di farli spiccare ben al di sopra della media della maggior parte degli altri gruppi. I Di’aul hanno un suono abrasivo che prende le mosse dal suono tipico della città di New Orleans in Lousiana, dove gruppi come i Crowbar, Pantera ed Eyehategod sono andati a sporcare i loro panni nelle paludi, per tornare molto diversi da prima. Una possente marcescenza è il marchio di questi ragazzi che, nella maggior parte delle loro canzoni, fanno un suono non molto veloce ma che corrode in maniera molto piacevole le nostre orecchie, dandoci una sensazione di blues metal, una via maledetta da seguire, ma che è anche l’unica possibile per dannarsi. I Di’aul con la loro musica avanzano come un veleno tossico nel nostro sangue, fino ad arrivare a sentirli come una droga. Nobody’s Heaven è un disco che crea addizione, lo si sente e si vorrebbe sentirlo ancora. Le soluzioni sonore cambiano di canzone in canzone e sono tutte notevoli, il canovaccio rimane più o meno fisso ma non ci si annoia mai, e questa è un’altra delle peculiarità importanti di questo gruppo. Un’altra cosa notevole è la voce di MoMo che graffia alla perfezione su tutti i pezzi, coadiuvato da un gruppo perfettamente oliato e con grande confidenza. Visti dal vivo al recente Argonauta Fest a Vercelli confermano l’ottima impressione data dal disco, e anzi vanno oltre. Album come questo sono da ascoltare, perché solo sentendoli ognuno può capirli e farsi catturare da un suono davvero speciale.

Tracklist
1. Nobody’s Heaven
2. Black Death
3. Garden of Exile
4. Low Est
5. Mother Witch

Line-up
Voice – MoMo
Guitar – LeLe
Bass – Jeremy Toma
Drums – Diego Bertoni

DI’AUL – Facebook

Lou Quinse – Lo Sabbat

Un bellissimo canto di ribellione, un non sottomettersi alla Chiesa, ai padroni e all’autorità, un cantico di povertà e di tendini sanguinanti, la storia dei perdenti che per la durata di un sabba sono liberati dal demonio: musicalmente è un tesoro unico, una gioia, bellissimo, perfino difficile da esprimere a parole, ascoltatelo.

Quando arriva Lou Quinse il Sabbat può cominciare. Questo gruppo ha una potenza, una poetica talmente debordante che in un attimo vi troverete a muovervi come ossessi sulle montagne occitane, mentre l’inquisitore Eymerich vi sta cercando più a valle.

I Lou Quinse sono la nostra radice medioevale, dove Cristo non era ancora così radicato, e in certe valli e montagne non lo è ancora adesso. Questi misteriosi musicisti torinesi hanno fondato il gruppo nel 2006 sulle montagne di Balme in val D’Ala, in piena regione occitana, e ci portano dentro le nostre tradizioni più vere e demoniache. Le storie che raccontano i Lou Quinse sono le vite di coloro che la Storia ha definito perdenti, ma che hanno continuato a vivere i loro luoghi e a pregare il nero signore, perché quando si ha fame e si è poveri Dio è molto lontano. I Lou Quinse sono un gruppo unico, hanno uno stile ed una potenza inarrivabile, mischiano perfettamente folk e black o death metal, e fanno un genere unico, da loro stessi definito alpine extreme metal folkcore. Il diavolo è qui il protagonista di questo sabba in tra atti di quattro canzoni ciascuno, dove i Lou Quinse reinterpretano a loro maniera un repertorio tradizionale. Il disco è bellissimo come il primo omonimo, anzi di più. Qui c’è una corrente che scorre impetuosa da migliaia di anni e non muore mai, perché viene dalla terra stessa, ed è legata ai veri ritmi dell’uomo della natura, una carnalità luciferina nel vero senso della parola, totalmente umana. Musicalmente è un disco impressionante, gli strumenti antichi e quelli nuovi si fondono perfettamente in una combinazione magica da sabba vero. Alla produzione c’è Tino Paratore, del quale basterebbe anche solo il nome, e poi il disco è stato ulteriormente perfezionato da Tom Kvalsvoll ad Oslo. Un bellissimo canto di ribellione, un non sottomettersi alla Chiesa, ai padroni e all’autorità, un cantico di povertà e di tendini sanguinanti, la storia dei perdenti che per la durata di un sabba sono liberati dal demonio, sia sempre lode a lui.
Musicalmente è un tesoro unico, una gioia, bellissimo, perfino difficile da esprimere a parole, quindi ascoltatelo. Inoltre il libretto è una piccola opera d’arte a se stante, in stile liberty.
Parliamo tranquillamente di capolavoro demoniaco.

Tracklist
1.Sus la Lana
2.Chanter, Boire et Rire Rire
3.Diu Fa’ ma Maire Plora
4.La Dançarem Pus
5.Lo Cuer dal Diaul
6.Dessus la Grava de Bordeu
7.Giga Vitona
8.Purvari e Palli
9.Lo Boier
10.La Martina
11.La Marmota
12.Sem Montanhols

Line-up
IX.L’ERMITE – voice and growls
I.LO BAGAT – diatonic accordeon
VII.LO CARRETON – flutes and pipes
XIX.LO SOLELH – guitars and Irish bouzouki
XVIII.LA LUNA – bass guitar
.LO MAT – drums and percussions

LOU QUINSE – Facebook

Hogs – Fingerprints

Fingerprints rappresenta tre quarti d’ora di puro divertimento, suonato a meraviglia e con la sorpresa dietro al microfono del giovane cantante Simone Cei, un mostro di bravura ed emozioni al servizio del rock di questo supergruppo nostrano.

Difficile rimanere indifferenti al ritmo imposto da questa raccolta di brani creati dagli Hogs, band che tra le sue fila accoglie musicisti di un certo spessore come Francesco Bottai (turnista per Irene Grandi, Articolo 31), Pino Gulli (Dharma, Anhima e C.S.I) e Luca Cantasano, dal 2010 nei Diaframma, a cui si aggiunge il cantante Simone Cei.

Fingerprints è il loro secondo album licenziato da Red Cat, come il primo Hogs In Fishnets (uscito nel 2015), ed è caratterizzato da un sound che si muove tra gli anni settanta e novanta, caldo come il funky ed il blues, generi che vivono tra le note di brani irresistibili così come il miglior rock’n’roll.
Fingerprints rappresenta tre quarti d’ora di puro divertimento, suonato a meraviglia e con la sorpresa dietro al microfono del giovane cantante Simone Cei, un mostro di bravura ed emozioni al servizio del rock di questo supergruppo nostrano.
L’anima funky del sound è l’asso nella manica degli Hogs che, senza tregua, ci regalano undici splendide tracce tra Led Zeppelin, Glenn Hughes e Primus, con l’opener Man Size che dà fuoco alle polveri che esplodono in fuochi d’artificio hard rock.
La band il suo mestiere lo sa fare alla grande, ci costringe a muovere il corpo, a battere piedi, a cantare ritornelli che entrano in testa al primo passaggio, a seguire le linee di un basso che comanda le operazioni e ordina alla sei corde di esaltarci con riff di scuola settantiana, mentre le pelli tremano sotto il ritmo funky/rock di Stinking Like A Dog o il reggae della splendida Down To The River.
Another Down ricorda il miglior Lenny Kravitz, l’album scivola via tra il rock duro di Can’t Find My Home e le ballate blues Jewish Vagabond, Just For One Day, finale emozionante di questo gioiellino fuori dal tempo.
Grandi musicisti, bellissime canzoni ed atmosfere che ricordano il più puro spirito rock’n’roll: Fingerprints diverte, incanta e sorprende.

Tracklist
1.Man Size
2.Stinking Like A Dog
3.Mr.Hide
4.Australia Summerland
5.Down To The River
6.Another Down
7.Man Of The Scores
8.Can’t Find My Home
9.Jewish Vagabond
10.Don’t Stop Moving
11.Just For One Day

Line-up
Simone Cei – Vocals
Francesco Bottai – Guitars
Luca cantasano – Bass
Pino Gulli – Drums

HOGS – Facebook

Rebirth Of Enora – Revelation 8

Revelation 8 è composto da dieci brani, tutti sopra la media, ognuno con la propria anima e con il proprio carico di sofferenza e drammaticità, con la band che riesce a non fossilizzarsi su una sola formula e regala ottimo rock moderno e suggestivo.

Ormai il metal moderno parla quasi esclusivamente la lingua del metal core, eppure c’è ancora chi suona alternative metal, genere salito agli onori della cronaca negli anni a cavallo del nuovo millennio, oggi messo in ombra dalle più rabbiose e più cool sferzate modern metal, ma sicuramente più vario e aperto a sperimentazioni, più o meno riuscite.

Un esempio perfetto risulta questo ottimo lavoro, il primo sulla lunga distanza dei ferraresi Rebirth Of Enora, quartetto alternative metal attivo dal 2011 che bene aveva fatto scrivere gli addetti ai lavori, specialmente all’indomani dell’uscita di Downgrading, ep uscito nel 2015.
La band torna dunque con Revelation 8, ispirato dalla Bibbia e al libro dell’Apocalisse di San Giovanni, trasportato al giorno d’oggi e alle paure intrinseche dell’uomo: un concept importante, affrontato dal gruppo con un sound maturo, un metal/rock che si nutre di input orchestrali, tracce di quel nu metal ormai scomparso dalle radio, e di un rock dal piglio drammatico e dark.
Revelation 8 ha momenti davvero intensi sotto l’aspetto emotivo, non così scontati nel genere, con i Rebirth Of Enora che si tengono lontani dai mid tempo pesanti ma freddi del metal core, restando più legati ad un concetto di rock che passa agevolmente tra i generi elencati, mantenendo alta una tensione tangibile come quella dell’uomo in preda alle sue paure.
Ottimo è l’uso della voce, d’impatto gli arrangiamenti elettro/orchestrali che spesso fanno da tappeto alle scorribande elettriche degli strumenti tradizionali: Revelation 8 è composto da dieci brani, tutti sopra la media, ognuno con la propria anima e con il proprio carico di sofferenza e drammaticità, con la band che riesce a non fossilizzarsi su una sola formula e regala ottimo rock moderno e suggestivo.

Tracklist
1.Inside My Brain
2.The Phantom of Myself
3.World on Fire
4.I Would Never
5.When, Where, Why
6.See You
7.Uniforms
8.Take Me On
9.These Words We Say
10.The End Is Getting Closer

Line-up
Daniele Finardi – Lead Vocals, Guitars
Nicola Franciosi – Backing Vocals, Guitars
Francesco Gessi – Backing Vocals, Drums
Enrico Dolcetto – Backing Vocals, Bass, Orchestrations and Programming

REBIRTH OF ENORA – Facebook

One Day In Fukushima – Ozymandias

Ozymandias è un album che non conosce tregua, uno tsunami di metal estremo che fagocita grind, death, crust, hardcore, lo fa crescere al suo interno e lo espelle trasformato in un mostro musicale violentissimo e senza compromessi.

La scena estrema tricolore ci regala l’ennesima bomba sonora, questa volta di matrice death/grind.

Ozymandias è il primo album dei campani One Day In Fukushima, band attiva da una manciata d’anni e altrettanti split e demo pubblicati, prima che la Ecleptic Productions licenziasse questo massacro sonoro composto da diciassette bombe atomiche lanciate una dietro l’altra in ventidue minuti sulle nostre teste.
Ozymandias è un lavoro che non conosce tregua, uno tsunami di metal estremo che fagocita grind, death, crust, hardcore, lo fa crescere al suo interno e lo espelle trasformato in un mostro musicale violentissimo e senza compromessi.
Valorizzato dall’apparizione di una manciata di musicisti della scena come Armin dei Distaste, Campiños dei Convulsions Grindcore, Mariano degli Ape Unit, ed Angelo & Renato dei Neid, Ozymandias, oltre che prodotto magnificamente, si bea di una raccolta di candelotti dinamitardi che vi esploderanno in faccia, spettacolari nella loro violenza nichilista ma perfettamente leggibili, tanto da gustare le ritmiche forsennate, il gran lavoro delle sei corde e i molti dettagli che fanno dell’album una vera sorpresa.
Non manca nulla a Ozymandias per diventare uno dei lavori più riusciti dell’anno per quanto riguarda il genere, quindi se Napalm Death, Misery Index, Repulsion, Cripple Bastards e Terrorizer (lo scorso anno gli One Day In Fukushima sono apparsi su una compilation dedicata al gruppo) sono stati e continuano ad essere i vostri ascolti abituali, non perdetelo per nessun motivo.

Tracklist
1.Bhopal inc.
2.Desomorfina
3.D.E.M. (Deus Ex Machina)
4.Exoskeleton
5.Automi
6.Toxikissione
7.Sawney’s Eyes
8.Giu’ La Testa
9.Stench Of Rotten
10.Ipnosi Dell’Assente
11.Priypiat Syndrome
12.Waterboarding
13.Ridursi Al Niente
14.La Giustizia Degli Spaventapasseri
15.Il Regime Dei Maiali
16.Gabbia Toracica
17.Jiu Ming

Line-up
Valerio – Vocals, Lyrics
Fabrizio – Lead Guitar
Vincenzo – Bass Guitar
Cosimo – Drums

ONE DAY IN FUKUSHIMA – Facebook

Carmelo Caltagirone – F*ck*d Alien

Questa raccolta racchiude i tre album fin qui incisi dal chitarrista Carmelo Caltagirone, partendo dai brani scarni e rudimentali inclusi in Iron Man, per passare al sound più elaborato di Gemini Man ed in particolare dell’ultimo Cosa Loro, Please.

Carmelo Caltagirone è un chitarrista che si trova nel mondo della musica dall’alba del nuovo millennio, fin da quando ha imbracciato la sei corde e ha cominciato a suonare coverizzando Litfiba e Deep Purple.

In questi ultimi anni ha inciso tre album: Iron man uscito nel 2014, Gemini Man dell’anno seguente e Cosa Loro, Please, nel 2016
Oggi è la volta di pubblicare una raccolta intitolata F*ck*d Alien, che racchiude tutti e tre i lavori pubblicati più una manciata di tracce live.
F*ck*d Alien è sicuramente una raccolta esaustiva del credo compositivo del chitarrista, partendo dai brani scarni e rudimentali inclusi in Iron Man, per passare al sound più elaborato di Gemini Man ed in particolare dell’ultimo Cosa Loro, Please.
Il sound proposto dal musicista varia molto, ma prevalgono la sperimentazione e la voglia di strafare, perdendo qualcosa per strada sul versante prettamente compositivo.
Più di un’ora di trame chitarristiche ispirate dal metal/rock a cavallo dei due millenni e da vari generi come l’alternative dei R.A.T.M., il progressive metal dei Dream Theater o quello più estremo di Nevermore o Lamb Of God, lasciano all’ascoltatore la sensazione di essere al cospetto di un’artista che ha assorbito con passione ed attenzione il meglio che la musica ha proposto in questo secolo, ma d’altra parte una più attenta selezione dei brani avrebbe reso questa collezione più fluida e di più agevole ascolto.

Tracklist
1.God’s Wrath (Alternative Version)
2.Indie Shred
3.Virtual Icon
4.Bass Solo
5.Density
6.Macigno (Alternative Version)
7.Skate Rock
8.The Iron man
9.Sunday Mornong
10.Snob Breack
11.Ipnotic Trauma
12.Rmelo The Boss
13.Prank (Alternative Version)
14.Triskelle
15.her Conversion
16.Cosa loro, please
17.Surf’n’Skate (live)
18.Dark Funk (live)
19.Sunday Morning (live)
20.Winter (live)
21.Density (live)

Line-up
Carmelo Caltagirone – Everything

CARMELO CALTAGIRONE – Facebook

https://youtu.be/AYW3y6q5r9M

Sepolcro – Undead Abyss

La brevità dell’opera impedisce di trarre conclusioni definitive, rimandandole per forza di cose ad una prova di maggior durata, ma la strada che dal sepolcro conduce alle orecchie degli appassionati di death sembra già piuttosto ben delineata.

Interessante demo, per quanto breve, per i veronesi Sepolcro, trio dedito ad un feroce e ed essenziale death metal di impronta statunitense.

La band, nata all’inizio del decennio e poi scioltasi dopo qualche anno, è stata rimessa in piedi nel 2018 dal drummer e membro fondatore Hannes e il frutto di questa ripartenza, che ha coinvolto anche il chitarrsta Simone e la bassista Nor, è appunto Undead Abyss.
Un monicker simile (stranamente molto meno inflazionato di quanto si potrebbe pensare) evoca necessariamente sonorità catacombali ed effettivamente, complice la produzione, i suoni arrivano un po’ ovattati come se, appunto, il tutto si stesse scatenando sei piedi sotto terra. Sicuramente la cosa appare del tutto calzante anche alle tematiche trattate,  le quali hanno a che fare con la letteratura lovecraftiana, come sempre fonte primaria di ispirazione per molte band estreme, soprattutto in ambito death.
I tre brani (Bone Totem, The Edge Of Infinity e la title track Undead Abyss) filano via lisci ma corrosivi come da copione, i riff non sono certi innovativi ma tale formula la si riascolta sempre molto volentieri e il growl, offerto sia dal chitarrista Simone che dal batterista Hannes, non concede alcuna tregua di sorta, andando a comporre un quadro stilistico che rimanda a campioni indiscussi del genere come gli Incantation e band affini, pur con tutte le distinzioni del caso.
La brevità dell’opera impedisce di trarre conclusioni definitive, rimandandole per forza di cose ad una prova di maggior durata, ma la strada che dal sepolcro conduce alle orecchie degli appassionati di death sembra già piuttosto ben delineata.

Tracklist:
1. Bone Totem
2. The Edge Of Infinity
3. Undead Abyss

Line-up:
Simone – Guitars, Vocals
Nor – Bass
Hannes – Drums, Vocals

Exalt Cycle – Vindicta

L’amalgama funziona molto bene, e il risultato è un suono che ha parti di Deftones, un po’ di groove metal, una forte impronta grunge e tanta melodia che si sposa benissimo con un’oscura durezza.

Violenza, melodia e una grossa ispirazione dagli anni novanta e duemila.

Tutte cose positive se si vuole fare un disco di metal moderno come questo Vindicta degli Exalt Cycle da Milano. Il disco arriva quattro anni dopo il precedente Revelations ed è un passo molto importante per il gruppo, il cui zoccolo duro è formato dal duo Zack e Andy, rispettivamente cantante e bassista, ai quali si sono aggiunti Aimer alla chitarra e Marco alla batteria. L’amalgama funziona molto bene, e il risultato è un suono che ha parti di Deftones, un po’ di groove metal, una forte impronta grunge e tanta melodia che si sposa benissimo con un’oscura durezza. La dolcezza c’è ma bisogna trovarla in questo ciclo di vendette che chiamiamo vita. L’incedere del disco è molto piacevole, e la terra d’elezione è sicuramente l’America, ma il progetto è originale e pressoché unico almeno alle nostre latitudini. I ragazzi sanno come si va veloci, ma sanno anche mettere su molta melodia ed un grande impianto sonoro. In certi momenti ci si avvicina al metalcore, ma poi si torna sempre su posizioni originali, di ricerca musicale. Le varie stratificazioni sonore sono frutto di un grande lavoro in fase di composizione e di produzione. Ci sono ancora alcuni punti da rivedere, come la durata eccessiva di certe canzoni, ma il risultato è notevole e di qualità. Gli Exalt Cycle ci mostrano come la melodia possa sposare un’oculata durezza ed essere assolutamente non commerciali o peggio, piacioni. Questo disco sarebbe andato fortissimo su Rock Fm, perché il suono di gruppi come questo è ancora importante, ma a quell’epoca era praticamente quotidiano.

Tracklist
1. Welcome To The Circus Of Hell
2. Vindicta
3. Black Butterfly
4. Lions
5. Sickened
6. Resistence
7.VS
8.Gravity
9. Predator
10. My Last Day
11.The War Of Nowhere
12.Babylon

Line-up
Zack : Voice
Keine : Bass
Marco : Drum
Aimer : Guitar

EXALT CYCLE – Facebook

La Bottega Del Tempo A Vapore – Viaggi Inversi

Composto da sette tracce che hanno nella lunga suite Dama Di Spade il cuore di questo secondo capitolo nonché il sunto compositivo del gruppo, Viaggi Inversi è un viaggio che l’ascoltatore intraprende in compagnia del misterioso guerriero, tra splendide parti progressivamente melodiche, aperture tastieristiche dal mood epico e digressioni metalliche.

La Bottega Del Tempo A Vapore è il monicker con il quale agisce un sestetto di musicisti provenienti da Benevento: il gruppo è attivo dal 2014 ed è entrato a far a parte della grande famiglia Revalve che si occupa della distribuzione e comunicazione.

Viaggi Inversi è il secondo capitolo di una storia ispirata da un racconto di Alfredo Martinelli, e segue di un paio d’anni Il Guerriero Errante, lavoro che aveva di fatto dato il via alla carriera della band.
L’album, prodotto da Simone Mularoni ai Domination Studio, racconta le gesta leggendarie di un guerriero sannita/longobardo, mentre la musica è un ottimo esempio di rock/metal progressivo diviso tra la tradizione settantiana ed il più moderno metallo progressivo.
Un lavoro affascinante, cantato in italiano così da riportare alla mente gli storici lavori dei maestri che hanno fatto la storia del progressive nazionale (PFM, Banco del Mutuo Soccorso), ma supportati da arrangiamenti potenti ed epici, avvicinando l’opera a quelle dei migliori act prog metal (Dream Theater).
Composto da sette tracce che hanno nella lunga suite Dama Di Spade il cuore di questo secondo capitolo nonché il sunto compositivo del gruppo, Viaggi Inversi è un viaggio che l’ascoltatore intraprende in compagnia del misterioso guerriero, tra splendide parti progressivamente melodiche, aperture tastieristiche dal mood epico e digressioni metalliche.
E’ ottima la voce di Angelo Santo, supportato dal recitato di Alfredo Martinelli, mentre sono molti i cambi di atmosfera che consentono all’ascoltatore di non perdere l’attenzione, venendo catturato dagli eventi musicali che si susseguono senza soluzione di continuità.
Un’opera che non deve spaventare per il cantato in lingua madre, perché il lavoro nel suo insieme mantiene un taglio internazionale espresso da un suono cristallino ed una meticolosa cura in tutti i dettagli.
Oltre ai venticinque minuti di Dama Di Spade, una menzione particolare va  a Urla e Perdonami, bellissimo brano metal/prog con i tasti d’avorio che creano un’atmosfera settantiana a metà del pezzo.
Viaggi Inversi è comunque un album da gustarsi nella sua interezza per apprezzare ancora di più le atmosfere con cui viene descritta la storia, ed è consigliato agli amanti del progressive tradizionale così come ai consumatori di quello animato dalla componente metal.

Tracklist
1. Flashback
2. Goccia di Tenebra
3. Urla e Perdonami
4. Tempo Inverso PT1- Il Viaggio
5. Tempo Inverso PT2- La Lettera
6. Dama di Spade
7. Mestieri

Line-up
Alessandro Zeoli – Guitar
Alfredo Martinelli – Story Writer
Angelo Santo – Voice
Gabriele Beatrice – Drums
Giuseppe Sarno – Keyboard
Luca Iorio – Bass

LA BOTTEGA DEL TEMPO A VAPORE – Facebook

Assumption – Absconditus

Un biglietto di sola andata verso i meandri dell’esistenza con Absconditus, per un funeral doom che non lascia nulla al caso e si colloca in uno stile fortemente innovativo.

Grande forza e motivazione per questa band italiana di recente formazione, ovvero gli Assumption, un duo direttamente da Palermo con il loro primo effettivo full-length, dopo un demo ed un EP nel quale avevano già sperimentato diversi orizzonti di un genere mai facile da approcciare, ovvero il funeral death doom, tanto di nicchia quanto musicalmente vasto.

Questa volta gli Assumption sembrano davvero aver trovato una loro dimensione, tirando fuori dal cilindro un album variegato, deciso ma mai pretenzioso. Il ridotto numero di brani, solo tre, è una scelta di grande coraggio in un mercato in cui si abbonda per accontentare un pubblico sempre affamato, perdendone in qualità. Ma non si tratta nemmeno di “brevis”, perché la durata totale dell’album è di quasi 40 minuti, fedelmente alla tradizione funeral.
I tre brani si intrecciano come se avessero una storia comune che trova la sua sintesi, culmine e conclusione naturale con l’ultimo evocativo brano Beholder of the Asteroid Oceans Part I & II.
Il percorso della band palermitana ha portato a sonorità raramente udibili nel doom, e sta contemporaneamente nel mezzo ma anche fuori da band come Disembowelment, Evoken e non solo, dalle quali sicuramente i due musicisti hanno tratto grandissima ispirazione.
Un biglietto di sola andata verso i meandri dell’esistenza con Absconditus, per un funeral death doom che non lascia nulla al caso e si colloca in uno stile fortemente innovativo. L’album è quindi fortemente consigliato per tutti i fan di un genere che mantiene pur sempre quella sacra classicità che lo contraddistingue, ma che possiede anche la curiosità di esplorare.

Tracklist
1. Liberation
2. Resurgence
3. Beholder of the Asteroid Oceans (Part I & II)

Line-up
D. – Drums
G. – Guitars, Bass, Vocals, Keyboards, Flute

ASSUMPTION – Facebook

Valgrind – Blackest Horizon

Blackest Horizon si sviluppa su dieci brani suonati e prodotti in maniera impeccabile: la devastante atmosfera dei brani si poggia su un sound che mette in evidenza il gran lavoro dei musicisti sia nelle ritmiche che negli splendidi intrecci chitarristici, a tratti urlanti sofferenza estrema.

Vi avevamo parlato dei Valgrind in modo entusiastico lo scorso anno in occasione dell’uscita di Seal Of Phobos, ep che confermava il talento estremo dell’ex Raw Power Gianmarco Agosti e dei suoi compagni.

La band emiliana, attiva addirittura dal 1993 con annesso un lungo periodo di silenzio tra il 2002 ed il 2012, torna con un lavoro sulla lunga distanza, dando un seguito ai due precedenti full length Morning Will Come No More e Speech Of The Flame.
Poco tempo è passato tra Blackest Horizon ed il suo predecessore, eppure la band continua a vivere in uno stato di grazia compositivo assolutamente vincente, così che il nuovo album è da considerare come l’ennesima conferma della bontà della scena death metal tricolore.
Quello dei Valgrind è un death metal old school, ispirato alla scena americana dei primissimi anni novanta, un nido di demoni che devastava la Bay Area prima e poi il resto del mondo, dividendosi gli onori dei fans con la scuola scandinava.
Morbid Angel, Deicide, Monstrosity, le ispirazioni sono quelle che hanno forgiato il quartetto fin dagli esordi, quindi niente di nuovo, ma perfetto nel ricalcare il death metal old school.
Blackest Horizon si sviluppa su dieci brani suonati e prodotti in maniera impeccabile: la devastante atmosfera dei brani si poggia su un sound che mette in evidenza il gran lavoro dei musicisti sia nelle ritmiche che negli splendidi intrecci chitarristici, a tratti urlanti sofferenza estrema.
Dall’opener Victorius veniamo travolti da questo combo nostrano, la musica forma una montagna che si sposta sospinta dalla forza estrema: i solos risultano uno più bello dell’altro, l’atmosfera creata favorisce l’ascolto, incollandoci alle cuffie prima che Third And Last, The Empire Burns e le tre parti di Last Angel ci spazzino via, veri tornado estremi di straordinario impatto valorizzati da un bagaglio tecnico impressionante.
I Valgrind confermano la loro ottima forma con un album riuscito e a tratti entusiasmante e i deathsters sono pregati di non lasciarselo sfuggire.

Tracklist
1.Victorius
2.Sunken Temple Of Initiated
3.Third And last
4.The Blackest Horizon
5.Sacrificial Journey
6.The Empire Burns
7.The Fist
8.Last Angel (Into The Unknown)
9.Last Angel (The Psychonaut)
10.Last Angel (Hades Horseman)

Line-up
Daniele Lupidi – Vocals/bass
Massimiliano Elia – Lead and rhythm guitars/keyboards
Umberto Poncina – Rhythm and lead guitars/keyboards
Gianmarco Agosti – Drums

VALGRIND – Facebook

Hybridized – Mental Connections

Mental Connections è un ep che coniuga il thrash metal al più moderno groove, la cui poca durata non consente un giudizio definitivo sul sound del gruppo romano, anche se i tre brani presentati lasciano presagire ulteriori margini di miglioramento.

Dalla capitale arrivano gli Hybridized, band nata un paio di anni fa da un’idea del batterista Fabio Mancinelli e del chitarrista Fabrizio Valenti, amici di vecchia data e compagni in passati progetti, a cui si aggiungono il cantante Marco Patarca, il chitarrista Andrea Scarinci ed il bassista Emanuele Gazzellini.

Mental Connections è un ep di tre brani che coniuga thrash metal al più moderno groove, la cui poca durata ed una produzione appena sufficiente per gli standard odierni, non consentono un giudizio definitivo sul sound del gruppo romano, anche se i tre brani presentati lasciano presagire buoni margini di miglioramento.
La tradizione estrema di ispirazione statunitense, con Slayer e Pantera in testa, si unisce alle più moderna attitudine ed impatto del metal odierno e ne scaturiscono tre mazzate potenti, valorizzate da un gran lavoro delle chitarre, ottime sia in fase ritmica che nei assoli.
Il growl dona una certa dosa di cattiveria death ai brani che hanno nell’opener Live In Lie un mid tempo che accelera a tratti per poi tornare nel classico andamento alla Pantera era Far Beyond Driven.
Subliminal Messages risulta la traccia più moderna del lotto, mentre House Of Nightmares è un brano slayerano con un altro  ottimo assolo nella parte centrale.
Mental Connections finisce qui, tra ottime idee e qualche difetto da limare, ma gli Hybridized, puntando sull’impatto e sulle proprie potenzialità, potrebbero regalare soddisfazioni in futuro.

Tracklist
1.Live In Lie
2.Subliminal Message
3.House Of Nightmares

Line-up
Marco Patarca – Vocals
Fabio Mancinelli – Drums
Andrea Scarinci – Lead Guitar
Emanuele Gazzellini – Bass Guitar
Fabrizio Valenti – Rhythm Guitar, Artistic Direction

HYBRIDIZED – Facebook

Fallen Angels – Even Priest Knows

I Fallen Angels vogliono rappresentare, in tutto e per tutto, il decennio ottantiano e ci riescono pure bene, perché con Even Priest Knows si rivive il clima delle notti di Los Angeles.

I Fallen Angels firmano per Sliptrick e danno alle stampe Even Priest Knows, più che un album una magica macchina del tempo che ci riporta agli anni ottanta e alle scorribande sul Sunset Boulevard.

I quattro rockers dal look alla Motley Crue e dal sound che rispecchia in toto (anche a livello di produzione) il rock nato negli States, tra fumosi locali, valanghe di mascara e capelli cotonati, ci consegnano un lavoro onesto, vintage nell’approccio, ma assolutamente in grado di risvegliare i sensi sopiti degli appassionati del genere.
I Fallen Angels vogliono rappresentare, in tutto e per tutto, il decennio ottantiano e ci riescono pure bene, perché con Even Priest Knows si rivive il clima delle notti di Los Angeles, tra un concerto al Troubadour, uno al Viper Room e poi a far mattina al Whisky A Go Go.
Motley Crue (Pink High Hills sembra uscita dalle sessions del mitico Shout At The Devil), ma anche Ratt, Poison e i sempre eterni Kiss e Twisted Sister, vi danno il benvenuto a questa serata in compagnia del mondo street glam delle sue molte contraddizioni, dei suoi eccessi e dei suoi personaggi, molti dei quali persi e perdenti prima ancora di arrivare al successo.
E in effetti Fallen Angels è un monicker che rispecchia molto bene la storia del glam rock, e di tutto quello che girava intorno alla città degli angeli, descritta dal sound di brani come Captain In The Dark, Millionaire Man, la ballad Jennifer Drugs e la conclusiva ed esplosiva For A Piece Of Bread.
Even Priest Knows è un album che troverebbe il suo perfetto formato nello storico vinile, ora che sta tornando il supporto più amato dai fans, testimone di un’era in cui la puntina del giradischi era la chiave per entrare nel dorato e sporco mondo del rock’n’roll.

Tracklist
01.Intro
02.Captain In The Dark
03.Feast With The Beast
04.Millionaire Man
05.Pink High Hills
06.Jennifer Drugs
07.The Force In The Mind
08.Psycholove
09.But I’ll Live Forever
10.For A Piece Of Bread

Line-up
Matty Mannant – Vocals
Ste Wizard – Guitar
Luke Gyzz – Drums
Matthew Ice – Bass

FALLEN ANGELS – Facebook

https://soundcloud.com/sliptrickrds/fallen-angel-millionaire-man

Nibiru – Netrayoni

Se aveste la fortuna di parlare con i Nibiru, e ne vale la pena perché capireste molto di più della loro musica, vi sentireste dire che Netrayoni è il disco che rappresenta al meglio lo spirito di questo gruppo, che è quasi un medium per portare in mezzo a noi esseri di altri dimensioni, seguendo il flusso che esce quando diventiamo per davvero noi stessi, nel bene e nel male, oppure quando ci buttiamo dentro la musica, in questo caso facendola.

Netrayoni dei torinesi Nibiru è un disco che non è ascrivibile ad una sola dimensione, perché più che musica è un fluido che si espande in diverse direzioni, e l’umano non riesce a cogliere tutto di questo ciò, ora rimasterizzato e riproposto sul mercato da Argonauta Records.

Questo doppio disco ha tantissimi livelli e sottolivelli, è un detonatore che scoppia nel nostro cervello. Dal punto di vista compositivo non esiste una pianificazione, i brani sono stati creati con coscienze alterate per coscienze alterate. Una lunghissima jam, ed il lato musicale è solo uno dei tanti. La via carnale, la vita che sfiamma nei nostri corpi, dei antichi e poco benigni che ci guardando ed aspettano il nostro sangue. Tantissime visioni, in un disco ricco di immagini e di forza vitale, che non è detto che sia positivo, ed è anche un’opera che non rispecchia nessun bene e nessun male, è. Se aveste la fortuna di parlare con i Nibiru, e ne vale la pena perché capireste molto di più della loro musica, vi sentireste dire che Netrayoni è il disco che rappresenta al meglio lo spirito di questo gruppo, che è quasi un medium per portare in mezzo a noi esseri di altri dimensioni, seguendo il flusso che esce quando diventiamo per davvero noi stessi, nel bene e nel male, oppure quando ci buttiamo dentro la musica, in questo caso facendola. Netrayoni è un lunghissimo requiem, che anche quando finisce continua, come una radiazione di fondo, come un antico meccanismo dentro di noi, anche perché questo disco è fortemente contro la modernità e le sue asettiche sensazioni. Qui non c’è anestesia, a volte fa malissimo e disturba, ma questo è quello che c’è sotto la cortina delle buone intenzioni e delle nostre falsità di tutti i giorni. La rimasterizzazione del disco, e la conseguente fedeltà migliorata, ci proietta maggiormente all’interno di un piano astrale che non è per tutti. Parlando personalmente questo disco, e mi permetto di fare un’annotazione personale che ritengo sbagliata in una recensione ma questo è il caso, mi ha fatto conoscere i Nibiru e mi ha aperto tantissime porte, facendomi conoscere persone per me molto importanti, e mi ha fatto capire molto di me stesso. Spero avvenga lo stesso per voi, ma non è indolore, e non lo deve essere.

Tracklist
1.Kshanika mukta
2.Apsara
3.Sekhet aahru
4.Qaa-om sapah
5.Arkashani
6.Kwaw-loon
7.Sekhmet
8.Celeste samsara is broken
9.Viparita karani
10.Sothis
11.Carma geta

Line-up
Ardat : Guitars, Percussions and Vocals
Ri – Bass, Drones and Synthesizers
L.C. Chertan – Drums

NIBIRU – Facebook

Kenos – Pest

Pest è un album distruttivo e senza compromessi, con un sound ispirato a quello americano ma assolutamente personale nella sua natura estrema, cattivissimo e perfetto, anche nella produzione e negli arrangiamenti che risultano al top, e quindi imperdibile per gli amanti del metal estremo.

I Kenos possono ormai essere considerati dei veterani della scena estrema tricolore.

Attivi dal 1996 come Underwise e cambiato il monicker nel 2001 nell’attuale Kenos, il quartetto ha dato alle stampe tre full length e due ep, prima di questo devastante lavoro dal titolo che è tutto un programma, Pest.
Licenziato dalla My Kingdon Music (una delle label nazionali più attive e con un roster di alta qualità), il nuovo album dei Kenos è un massacro brutale e devastante, un virus purulento e letale che porta morte e disperazione.
Composto da otto brani, Pest in trentadue minuti circa distrugge ogni anticorpo presente nell’organismo e ci riempie di pustole purulente, mentre Michele Spallieri vomita growl insanguinato, la chitarra di Domenico Conte tesse tele con solos al limite dell’umano e la sezione ritmica composta dal basso di Marcello Fachin e dalla batteria di Sergio Gasparini è un panzer che butta giù le case infettate dalla morte nera.
Tra ratti che si nutrono dei cadaveri infetti, fuochi che si alzano nel cielo scuro e fetore di resti bruciati, un sound tecnicamente impeccabile e al limite del brutal viene attraversato da attimi di melodia gregoriana, in un delirio estremo senza soluzione di continuità.
I Kenos non scherzano, ci investono con la loro furia distruttrice e ci regalano un autentico gioiellino di death metal estremo, violentissimo, ma venato da un’anima nera melodicamente affascinante, un ombra che attraversa le devastanti trame dell’opener Sons Of Martyrdom, della magnifica e tecnicissima Immortal Breath e delle mitragliate di Shooting At The Moon.
Pest è un album distruttivo e senza compromessi, con un sound ispirato a quello americano ma assolutamente personale nella sua natura estrema, cattivissimo e perfetto, anche nella produzione e negli arrangiamenti che risultano al top, e quindi imperdibile per gli amanti del metal estremo.

Tracklist
1. Sons Of Martyrdom
2. B.D.C. (Black Death Curse)
3. Buried And Forgotten
4. Immortal Breath
5. Leave Me Now
6. My Wooden Frame
7. Shooting At The Moon
8. The Sweeper Of Remains

Line-up
Michele Spallieri – vocals
Domenico Conte – guitar, backing vocals
Marcello Fachin – bass
Sergio Gasparini – drums

KENOS – Facebook