Bison – Earthbound

Ci sono dischi che, pur non essendo epocali, sono molto validi e rappresentano un’importante pietra miliare per un certo tipo di suono: questo è il caso dell’ep di debutto Earthbound dei canadesi Bison.

Ci sono dischi che, pur non essendo epocali, sono molto validi e rappresentano un’importante pietra miliare per un certo tipo di suono: questo è il caso dell’ep di debutto Earthbound dei canadesi Bison.

Il loro debutto del 2007 è ora ristampato dalla No List Records, ed è il viatico al prossimo tour europeo dei Bison, che però non passeranno per lo stivale. Il disco colpisce ora come ieri per la sua potenza, per le ardite soluzioni sonore che non rendono mai il suo svolgimento ovvio o scontato. In certi passaggi il combo canadese ricorda i Mastodon, ma il tutto è sempre molto originale. I Bison sono uno dei pochi gruppi che coinvolgono l’ascoltatore e rendono naturale muovere la testa su è giù. Il loro suono è molto compatto e corposo come un buon vino rosso, sia quando vanno più veloci che quando parti più lente. In un genere come il loro sarebbe facile essere scontati ma questo è un gruppo unico e molto al di sopra degli altri. Qui l’intensità si coniuga ad una capacità compositiva che riesce a cogliere differenti sfumature di musica pesante. Le canzoni dei Bison sono stanze da esplorare sia perché gli elementi sono molti, sia perché ci si diverte molto nel farlo. Earthbound è del 2007 ma suona come un qualcosa di molto attuale, e lo sarà ancora per molto tempo. Un debutto come questo ep non è fattibile per molte band mentre loro sono riusciti a migliorare ancora, progredendo ad ogni album. Un ascolto che non farà epoca ma che fa molto rumore, ed l’importante è questo.

Tracklist
1 Stokasaurus
2 Wartime
3 Dark Skies Above
4 The Curse
5 Cancer Rat
6 Earthbound

Line-up
JAAMES
DAAN
SHAANE
MAATT

BISON – Facebook

Beneath Oblivion – The Wayward and the Lost

Un’ora abbondante di musica dolente, che si trascina senza alcuna parvenza di accelerazione, regalando a tratti aperture melodiche che non sollevano l’animo ma contribuiscono ad affliggerlo ulteriormente.

“Questa è la litania lacerante e mortifera che si viene a creare se si uniscono due reagenti sonori come lo sludge più torbido e il funeral doom. Colonna sonora ideale per un Western post apocalittico.Un impasto sonoro con brevetto a stelle e strisce, che solo dei dannati bifolchi dell’Ohio potevano partorire.”

Rubo questo brillante commento al mio amico Alberto “Morpheus”, anima della pagina facebook Doom Heart, che ha fotografato come meglio non si sarebbe potuto fare il contenuto di The Wayward and the Lost, terzo full length dei Beneath OBlivion, band di Cincinnati che ormai da oltre un decennio affligge gli appassionati di doom con le proprie sonorità plumbee e limacciose.
Ci sono voluti ben sette anni per dare un seguito al precedente From Man To Dust, ma come spesso accade l’attesa non è stata vana, perché Scotty T. Simpson e soci hanno partorito un devastante monolite che, come già detto, appare l’ideale punto d’incontro tra lo sludge ed il funeral doom.
L’equilibrio permane lungo quest’ora abbondante di musica dolente, che si trascina senza alcuna parvenza di accelerazione, regalando a tratti aperture melodiche che non sollevano l’animo ma contribuiscono ad affliggerlo ulteriormente, come accade con gli stupendi passaggi chitarristici di Liar’s Cross, dove i nostri si spingono dalle parti dei Mournful Congregation d’annata (quindi non quelli relativamente più ariosi dell’ultimo The Incubus Of Karma).
Ma nel suo complesso The Wayward and the Lost non lascia molto spazio a barlumi di luce, con un sound che si snoda con la lentezza di una colata lavica prossima alla solidificazione: cupo, sofferto e sovrastato spesso dalle aspre vocals del chitarrista e fondatore delle band, l’album raccoglie il meglio delle sfumature del doom di matrice estrema per convogliarle un un’unica lunga marcia verso a lidi nebulosi ed indefiniti, un approdo nel quale vanno a convergere le varie pulsioni che animano i migliori dischi doom, come lo è quello offerto dai Beneath Oblivion.

Tracklist:
1. The City, A Mausoleum (My Tomb)
2. Liar’s Cross
3. The Wayward and the Lost
4. Savior-Nemesis-Redeemer
5. Satyr

Line-up:
Scotty T. Simpson – Guitars, Vocals
James Rose – Drums
Allen L. Scott II – Guitars, Samples
Keith Messerle – Bass

BENEATH OBLIVION – Facebook

Hell Obelisco – Swamp Wizard Rises

Il disco degli Hell Obelisco è il frutto della collaborazione fra musicisti maturi e di esperienza che si divertono a fare musica e a spandere bordate musicali a destra e manca.

Il disco degli Hell Obelisco è il frutto della collaborazione fra musicisti maturi e di esperienza che si divertono a fare musica e a spandere bordate musicali a destra e manca.

I ragazzi vengono da Bologna e sono tutti dei veterani delle scene musicali pesanti, che hanno pensato di mettersi insieme e di fare quello che preferiscono. Il loro debutto è un concentrato di potenza e di pesantezza, con una forte influenza southern e una grande visione musicale d’insieme. I componenti degli Hell Obelisco provengono da gruppi come Addiction, Monumentum, Schizo, Tying Tiffany, Evilgroove e The Dallaz, per cui di esperienza musicale se ne trova in abbondanza. Ascoltando Swamp Wizard Rises si riassapora quel gusto per la musica pesante che si trova sempre più raramente, a partire dalla cure nel confezionare il suono, grazie anche alle sapienti mani di Para del Boat Studio e Paso dello Studio 73. Il disco funziona molto bene, ogni canzone è di alto livello e ciò che colpisce di più è la  completa padronanza della materia. I riferimenti musicali sono molti e svariati, dai Pantera allo sludge più southern, ma l’impronta degli Hell Obelisco è molto forte. Tutto è bello in questo album di debutto a partire dalla fantastica copertina ad opera di Roberto Toderico, che ha collaborato a stretto contatto con i componenti del gruppo, facendo portare le loro personali visioni del mago della palude. Un grande contributo è dato dall’affiatamento fra i vari membri della band, dato che si conoscono da venticinque anni. Un disco che diverte e che rende un gran servigio alle tenebre che ci portiamo dentro, noi che amiamo la musica pesante ed oscura.

Tracklist
1.Voodoo Alligator Blood
2.Teenage Mammoth Club
3.Escaping Devil Bullets
4.Earth Rage Apocalypse
5.Biting Killing Machine
6.Death Moloch Rising
7.Dead Dawn Duel
8.High Speed Demon
9.Black Desert Doom

Line-up
Andrew – Front Row Mammoth
Doc – Six Sludge Strings
Fraz – Seven Doomed and Lowered Strings
Alex – Behind The Skins

HELL OBELISCO – Facebook

Tarasque – Innen Aussen

Per una mezzora veniamo travolti dalla forza dello sludge, mentre tramortiti e confusi arranchiamo aiutati da un lento incedere doom metal oscuro ed intimista, e da scudisciate violentissime che lasciano abrasioni sulla nostra pelle e sulla nostra anima.

Per una mezzora veniamo travolti dalla forza dello sludge, mentre tramortiti e confusi arranchiamo aiutati da un lento incedere doom metal oscuro ed intimista, e da scudisciate violentissime che lasciano abrasioni sulla nostra pelle e sulla nostra anima.

Loro sono un trio tedesco, formato da ex componenti di Unrest, Forced to Decay e Horseman, uniti sotto il monicker Tarasque con cui licenziano questo inno sludge metal intitolato Innen Aussen, con i suoi cinque brani nei quali un sound ossessivo e rabbioso si alterna ad atmosferiche parti doom/stoner, per un approccio estremo notevole.
Un muro sonoro su cui passeggiano le nostre paranoie, mentre le chitarre urlano dolore alternandosi ai disperati vocalizzi e si respira aria di soffocante dramma, in un’atmosfera sempre in bilico tra rabbia e sconforto.
E’ bellissima Karoshi, a mio avviso il brano più riuscito di Innen Aussen, un crescendo estremo coinvolgente dove gli strumenti all’unisono creano un’atmosfera malsana e putrida, ma è tutto l’album che galleggia in una palude dove resti umani toccano le nostre membra stanche ed ormai pronte a lasciarsi andare alla morte, risucchiati nel fango letale di un sound oppressivo come in Trümmerfeld o nella conclusiva Staub und Zeit.
Lavoro difficile da apprezzare in poche battute, Innen Aussen riserva gradite sorprese agli amanti del genere che gli riserveranno un po’ del loro tempo.

Tracklist
1.Pluveophil
2.Trümmerfeld
3.AllesNichts
4.Karoshi
5.Staub und Zeit

Line-up
Gerrit – Vocals, Guitars
Martin – Bass
Hanno – Drums

TARASQUE – Facebook

Black Royal – Lightbringer

Non esiste un momento di pace o di luce, i Black Royal sono stati creati per far male, trattandosi di una creatura estrema che prende forza dagli Entombed e dai Black Sabbath e dopo averli accoppiati li tramuta in un mostruoso e pesantissimo esempio di death/sludge.

Una bomba sonora che esploderà sulle vostre teste, devastante e pesantissima, un masso che dal punto più alto del monte dove sono state scritte le tavole della legge del metal estremo rotolerà fino alle pianure, distrutte dal passaggio dell’enorme sasso che prende forza ad ogni metro.

Lightbringer è il debutto sulla lunga distanza dei finlandesi Black Royal, gruppo di Tampere in cui mi ero imbattuto in occasione dell’ uscita dell’ep The Summoning PT 2, seconda parte appunto di un concept iniziato nel 2015.
La Finlandia che non si legge sui giornali, quella votata alla violenza, al suicidio ed all’alcolismo, veniva raccontata dai Black Royal tramite un death/stoner metal al limite dello sludge e sconquassato da accelerazioni di stampo death che chiamare devastanti è un’eufemismo.
Anche sulla lunga distanza il combo finlandese non delude e ci investe con tutta la sua immane potenza e pesantezza, Cryo-Volcanic ci travolge con cascate laviche di death metal, rallentato, morboso e drogato di stoner/sludge, Salvation ci spinge verso l’abisso, mentre Pentagram Doctrine è una traccia malatissima e disturbante, così come la title track.
Non esiste un momento di pace o di luce, i Black Royal sono stati creati per far male, trattandosi di una creatura estrema che prende forza dagli Entombed e dai Black Sabbath e dopo averli accoppiati li tramuta in un mostruoso e pesantissimo esempio di death/sludge.
Ancora Dying Star e New World Order, che lascia ad un coro femminile pinkfloydiano il compito di avvicinarvi alla fine con lo strumentale Ou[t]roboros, sono le bombe sonore fatte esplodere da questi quattro pericolosissimi musicisti, prima che l’album si chiuda e la calma torni a regnare nel vostro mondo che non vi parra più così sicuro.
Lightbringer è un mostro, un disturbato e pericoloso esempio di metal estremo da consumare con la giusta cautela, gli effetti collaterali sono devastanti e non dite che non vi avevo avvertito.

Tracklist
1. Cryo-Volcanic
2. Self-Worship
3. Salvation
4. Denial
5. Pentagram Doctrine
6. Lightbringer
7. The Chosen
8. Dying Star
9. New World Order
10. Ou[t]roboros

Line-up
Jukka – Drums, percussion
Pete – Bass, backing vocals, acoustic guitar
Riku – vocals
Toni – Guitars, backing vocals

BLACK ROYAL – Facebook

ILSA – Corpse Fortress

Esordio su Relapse per ILSA, malevola creatura che racchiude un animo doom, sludge, crust e punk.

Gli ingredienti sono sempre i medesimi, doom impregnato di sludge e cosparso di scorie crust e punk,ma gli statunitensi ILSA li sanno maneggiare con perversa maestria.

La band nata nell’underground statunitense, giunge al quinto album e all’esordio sulla lunga distanza per Relapse (da ricordare nel 2016 anche uno split con i Coffins, altri maestri del genere, sempre sulla stessa etichetta) e lo fa miscelando, come al solito, ossessione per storie orrorifiche con partiture melmose, diaboliche, colme di soffocante feedback. Nove brani, quarantotto minuti laceranti, disturbanti fino dall’opener Hikikomori aperto da un classico riff doom, sommerso da un potente feedback e da una voce in growl straziata che crea un’atmosfera da incubo; le chitarre, oltre a generare riff si lasciano andare a parti soliste sinistre che mantengono alta la tensione, con la sezione ritmica sempre molto presente che prende il sopravvento i brani come Nasty, Brutish e Ruckenfigur, davvero due cingolati impazziti che travolgono tutto senza lasciare prigionieri. Il sound rimane sempre molto minaccioso, carico, non concede requie e trova le sue radici in act come Hooded Menace, Eyehategod, dove però la miscela appare meglio centrata; la band sa creare brani convincenti, soprattutto nella final track Drums of Dark Gods (magnifico titolo) dove il basso e la batteria trasportano l’ascoltatore verso profondi e innominabili abissi e la voce gorgoglia invocando … from the jaws of Leviathan the drums of Dark Gods. Un buon ascolto in definitiva, che purtroppo si perderà nella marea di uscite underground e verrà ricordato solo dai die-hard fans.

Tracklist
1. Hikikomori
2. Nasty, Brutish
3. Cosmos Antinomos
4. Prosector
5. Old Maid
6. Long Lost Friend
7. Rückenfigur
8. Polly Vaughn
9. Drums of Dark Gods

Line-up
Sharad – Bass
Joshy – Drums
Brendan – Guitars
Orion – Vocals
Tim – Guitars

ILSA – Facebook

Bible Black Tyrant – Regret Beyond Death

Il filo conduttore è un groove incessante, una vibrazione nemmeno tanto di sottofondo che ci conduce in un mondo alieno e bellissimo, che dà assuefazione come se fosse un oppiaceo, perché qui dove tanti vedono solo pesantezza, chi ama questo suono trova carica e pace.

Disco di musica estrema fatto da musicisti che sanno maneggiare molto bene l’argomento.

Infatti il gruppo è formato da Tyler Smith, Aaron D.C. Edge e David S. Fylstra membri di Eagle Twin, Lumbar, KVØID., band che in ambito estremo hanno molto da dire. La loro unione produce un ottimo risultato e questo Regret Beyond Death è una mazzata che regalerà molte gioie a chi ama un suono sporco, pesante, ma non privo di una certa psichedelia. Gli ingredienti nel calderone sono molti, dallo sludge al post metal, passando per il noise. Le chitarre sono super distorte e ribassate, la voce è un grido che graffia, la velocità non è eccessiva, è piuttosto una lenta corrosione delle vostre resistenze sonore, per arrivare ad una totale sottomissione, almeno musicale. I nostri trovano soluzioni sonore assi difficili da trovare anche nella musica pesante, che ha da tempo imboccato la strada della standardizzazione, ma grazie a dischi come questo c’è ancora speranza. In Regret Beyond Death si può apprezzare la varietà e il talento musicale dei musicisti coinvolti la grande intensità del suono, che pur essendo massiccio e coriaceo non viene mai a noia, anzi. Il filo conduttore è un groove incessante, una vibrazione nemmeno tanto di sottofondo che ci conduce in un mondo alieno e bellissimo, che dà assuefazione come se fosse un oppiaceo, perché qui dove tanti vedono solo pesantezza, chi ama questo suono trova carica e pace. In certi momenti i Bible BlacK Tyrant sembra abbiano musicato lo spostamento di ghiacciai e montagne in epoche remotamente lontane, scontro di titani naturali. Un disco che fa star bene, viva la musica pesante.

Tracklist
1 Instead of…
2 The Irony
3 New Verse Inferno
4 Regret Beyond Death
5 Wilderness of Steel and Stone
6 The Standard
7 A Terror to the Adversary.

Line-up
Aaron D.C. Edge: Guitar, Bass, Vocals
Tyler Smith: Percussion
David S. Fylstra: Additional Guitar, Vocals, Soundscapes

BLACK BIBLE TYRANT – Facebook

Escape is Not Freedom / dusk Village – Split

Stringato ma interessante split album che vede impegnate due band statunitensi, Escape is Not Freedom e dusK Village.

Stringato ma interessante questo split album che vede impegnate due band statunitensi, Escape is Not Freedom e dusK Village.

Il territorio entro il quale entrambe si muovono è un luogo trasversale che sta fa qualche parte tra noise, sludge e grunge, anche se in effetti le differenze tra le due band appaiono abbastanza marcate, almeno in base a quanto ci è dato ascoltare in questo frangente.
Gli Escape is Not Freedom mostrano due volti piuttosto diversi nella copia di brani a loro disposizione: Boiling Nails è qualcosa di molto vicino ad un noise/sludge dalla buona intensità e con un tiro davvero notevole, mentre We’re Wrecked cambia decisamente le carte in tavola rivelandosi un brano di proto-grunge con voce femminile, bello ma che non aiuta molto a capire quale sia il vero volto della band.
In tal senso appaiono un po’ più leggibili i dusk Village, in virtù di una propensione più ruvida e diretta anche se le differenze tra i due brani offerti sono evidenti anche in questo caso: infatti, se Exolife Civilization Leak si muove su coordinate più rallentate e fangose, rivelandosi il mio brano preferito tra quelli offerti nello split, mentre A Self Fan parte sparato con venature punk hardcore e così si spinge sino al termine.
In sostanza, l’uscita offre più di un motivo di interesse soprattutto perché, inconsciamente o meno, nella proposta di entrambe le band assume un ruolo determinante un’anima grunge sporca e distorta che dimostra ai posteri, qualora ce ne fosse ancora bisogno, quanto quel movimento abbia marchiato non solo gli anni novanta, lasciando un’impronta anche nei decenni a venire e trovando spazio anche in uscite dalle disparate matrici musicali.

Tracklist:
1.Boiling Nails – Escape Is Not Freedom
2.We’re Wrecked – Escape Is Not Freedom
3.Exolife Civilization Leak – dusK Village
4.A Self Fan – dusK Village

Line-up:
Escape Is Not Freedom:
Mike – guitar, vocals
Darrin – drums
Josh – bass

Guest Vocals on “We’re Wrecked” by Emily Jancetic

dusK Village:
SLAV
GIL
FUKS

ESCAPE IS NOT FREEDOM – Facebook

DUSK VILLAGE – Facebook

Pale Horseman – The Fourth Seal

I Pale Horseman sono autori di uno sludge che, rispetto al solito, appare molto più orientato verso un sound classico piuttosto che spinto da propensioni estreme.

Gli statunitensi Pale Horseman sono una band che in poco più di cinque anni di attività ha già pubblicato quattro full length.

Il gruppo di Chicago è autore di uno sludge che, rispetto al solito, appare molto più orientato verso un sound classico piuttosto che spinto da propensioni estreme e, alla fine, a connotare nel genere nei Pale Horseman troviamo le ruvidezze vocali ed il ricorso a riff piuttosto cupi e ribassati, senza che ciò impedisca di tessere un sound più monolitico che ostico.
Infatti, quello che resta dall’ascolto di The Fourth Seal è uno sludge doom intenso, compatto e dal buon groove, il che ci riporta essenzialmente in zona Crowbar e dintorni.
Per quanto riguarda il gradimento, come sempre il tutto viene ricondotto al gusto dei singoli: personalmente quella offerta dai Pale Horseman è la forma di doom che meno mi coinvolge solitamente, ma pur non essendo un grande fan di questa tipo di sonorità non posso fare a meno di apprezzare l’impatto e la convinzione che la band immette nei propri brani, tra i quali non ne spicca uno in particolare all’interno di un album lungo ma tutto sommato privo di particolari cali di tensione.
In definitiva, quella dei Pale Horseman è una prova che dovrebbe soddisfare senz’altro chi apprezza band come i già citati Crowbar o i Bongtripper, il cui chitarrista Dennis Pleckham peraltro si è occupato in studio della resa sonora di The Fourth Seal, così come Noah Landis dei Neurosis e di Justin Broadrick dei Godflesh, tanto per chiudere il cerchio…

Tracklist:
1. Final War
2. Witches Will Gather
3. Aokigahara
4. Bereavement
5. Gnashing Of Teeth
6. Forlorn Extinction
7. Pale Rider
8. Tyrant
9. Phantasmal Voice

Line-up:
Eric Ondo – guitars & vocals
Andre Almaraz – guitars & vocals
Rich Cygan – bass
Jason Schryver – drums

PALE HORSEMAN – Facebook

Coughdust – Worldwrench

Chi è alla ricerca di musica che sia la più pesante ed oppressiva possibile dovrebbe buttare un orecchio a questo secondo full length dei finnici Coughdust.

Worldwrench offre infatti una quarantina di minuti di sonorità distorte, dal peso specifico insostenibile anche per le strutture di una centrale nucleare, con le corde degli strumenti talmente ribassate da andare creare una sorta di rombo sul quale si stagliano le urla belluine del vocalist Murtonen.
La cosa bizzarra è che, nelle note di accompagnamento, si parla anche di stoner rock ma, francamente, qui siamo di fronte ad un death sludge doom nel quali si annidano comunque decisive particelle di groove, elemento fondamentale per rendere ascoltabile quello che sarebbe altrimenti un’impietosa mannaia calata sulle teste degli ascoltatori.
Prendendo quale termine di paragone una band dall’approccio per certi versi simile come i Primituive Man, infatti, notiamo come i Coughdust riescano a sfuggire alla ferocia monolitica esibita dagli statunitensi proprio grazie ad un idea melodica che resta molto sullo sfondo ma è ugualmente presente, quasi fosse un carattere ereditario recessivo.
Parlare dei singoli brani serve a poco, tanto dall’incipit di Serpents of the Earth fino all’ultima nota di Blind, Worldwrench esibisce l’impatto di un meteorite in grado di spostare di qualche grado l’asse di rotazione del pianeta. Basta e avanza se ci si vuole fare molto male …

Tracklist:
1. Serpents of the Earth
2. The Second Principle
3. Gripless
4. Worldwrench
5. Dead Calm
6. Blind

Line-up:
Peltokangas – Bass
Latva – Drums
Murtonen – Vocals
Hartikainen – Drums

COUGHDUST – Facebook

NONSUN – Black Snow Desert

Ben dosato ed equilibrato in tutte le sue componenti ed ottimamente eseguito, Black Snow Desert è frutto di un talento compositivo che scongiura il ricorso a soluzioni sonore infinite e prive di alcuno sbocco.

Dopo circa due anni dalla sua prima uscita in autoproduzione, l’album d’esordio dei Nonsun viene pubblicato in formato cd e digitale dalla Cimmerian Shade Recordings ed in vinile dalla Dunk!Records. Per l’occasione riproponiamo la recensione scritta a suo tempo per In Your Eyes, anche perché vale la pena di riportare questo buonissimo lavoro all’attenzione di chi non lo avesse intercettato all’epoca.

Gli ucraini Nonsun di sicuro non si sono posti dei problemi legati alla commercializzazione del loro prodotto, nel momento di comporre l’album: se già il proporre un genere come uno sludge/drone/doom dai tratti sperimentali riduce all’osso il bacino dei potenziali ascoltatori, farlo con un doppio cd per una durata di circa un’ora e mezza equivale all’atto di piantare i chiodi su una bara in cui è stata rinchiusa ogni forma di possibile ammiccamento.
Il bello di tutto questo, però, è che il duo di Lviv riesce a mettere sul piatto un lavoro sicuramente mastodontico ma non pesante, nel senso che, fatta salva la sua natura, si rivela un ascolto impegnativo senza risultare noioso.
Del resto, uno stile musicale di questo tipo, se interpretato senza un minimo di variazioni sul tema, rischia di rimanere troppo indigesto a chiunque: Black Snow Desert non si riduce, quindi, ad una sequela interminabile di sequenze droniche ma offre anche abbondanti porzioni di sludge doom, disturbate e disturbanti quanto basta per attrarre fatalmente l’attenzione. Per assurdo, una lunghezza che potrebbe apparire quasi una forma di autolesionismo,  consente invece ai Nonsun di sviluppare ed esprimere in maniera più congrua quanto hanno da offrire.
Ben dosato ed equilibrato in tutte le sue componenti ed ottimamente eseguito dal polistrumentista Goatooth e dal batterista Alpha, Black Snow Desert è frutto di un talento compositivo che scongiura il ricorso a soluzioni sonore infinite e prive di alcuno sbocco.
Bravi pertanto i Nonsun nell’aggirare questo ostacolo, proponendosi con questo loro esordio su lunga (anzi, lunghissima …) distanza, come qualcosa in più di un semplice surrogato a Sunn O))), Earth e compagnia di sperimentatori.

Tracklist:
1.No Pity for the Beast, No Shelter for the Innocent
2.Ashes of Light, Demons of Justice
3.Peace of Decay, Joy of Collapse
4.Heart’s Heavy Burden
5.Observing the Absurd
6.Rest of Tragedy

Line-up:
Goatooth – guitars
Alpha – drums

NONSUN – Facebook

Zom – Nebulos

Nebulos è un disco di incontro e di sintesi di diverse maniere di intendere la musica pesante e non solo, ed è un tentativo molto riuscito.

Gli Zom sono una macchina di riff chitarristici potenti e contenenti un elevato tasso di groove dal gusto forte.

I tre americani provenienti da Pittsburgh non sono certamente un gruppo giovanile e lo si sente molto forte nel disco, hanno una grande esperienza e la usano tutta ed in maniera adeguata. In buona sostanza siamo dalle parti dello stoner fortemente imparentato con il grunge, e non tutti sanno fare questo ibrido, che è tale solo a parole, perché poi viene tutto molto naturale, siamo noi che dobbiamo sempre delimitare il territorio. Il trio è composto da Gero Von Dehn, anche nei Monolith Wielder, gruppo che abbiamo già potuto apprezzare sempre su Argonauta Records, Andrew D’Cagna dei Brimstone Coven e da Ben Zerbe, anche lui gravitante intorno ai Monolith Wielder. Gli Zom sono attivi dal 2014, questo è il loro debutto e sono molto chiari su cosa vogliono essere. Il loro suono è composto da un’importante base chitarristica, con la voce che va ad incastonarsi perfettamente con il lavoro del resto del gruppo, creando un groove molto coinvolgente, che seppur non rappresentando nulla di nuovo riesce ad essere molto incisivo e godibile. Nebulos si rivolge ad una platea ampia di amanti della musica pesante ma non solo, perché anche la componente grunge è ben presente e forma il dna di questo disco. Tutto il disco è pervaso da una consapevole malinconia di fondo, messa mirabilmente in musica e ogni passaggio ha un filo logico. Nebulos è un disco di incontro e di sintesi di diverse maniere di intendere la musica pesante e non solo, ed è un tentativo molto riuscito.

Tracklist
1. Nebulos/Alien
2. Burning
3. Gifters
4. Solitary
5. The Greedy Few
6. There’s Only Me
7. Bird On a Wire
8. Final Breath
9. New Trip

Line-up
Gero von Dehn
Andrew D’Cagna
Ben Zerbe

ZOM – Facebook

Greyfell – Horsepower

Qui si degustano i fiori del male, come diceva un connazionale dei Greyfell, e il tutto è pervaso da un dolce incantesimo malvagio, che vive di groove pesante e voli nelle varie sfere grazie alle tastiere e synth.

Un’avanguardia, per sua definizione, è un qualcosa che va avanti, marca il sentiero per chi da dietro la vuol seguire, fa nascere cose che ancora non c’erano.

I francesi Greyfell fanno questo e tanto altro, con un suono composto da elementi conosciuti ed usati ma totalmente rielaborati in una sintesi davvero molto efficace. Prendete per quanto riguarda le chitarre un suono ribassato ma non lentissimo, uno sludge doom tanto per intenderci, aggiungete un cantato molto alla Pentagram a volte basso a volte possente, un basso sgusciante, una batteria psichedelica e tastiere che permeano l’atmosfera che vi circonda, e sarete forse arrivati ad un decimo del suono di questi francesi. Il loro particolare impasto sonoro è una psichedelia profondamente altra, dove tutto non è ciò che sembra, e lo scenario muta in continuazione. Certamente vi sono elementi riconoscibili e tutto l’impianto non è totalmente inedito, ma è il tocco dei Greyfell che lo rende una cavalcata davvero senza freni in mezzo agli dei serpenti generati dal grembo di funghi allucinogeni. Non è tanto la potenza, che è tanta, ma è la saturazione mentale che generano nell’ascoltatore, i Greyfell ti catturano la mente e ti fanno volare lontano, ti scagliano per spiegarla meglio. Il disco che esce per Argonauta Records è totalmente fato in autonomia, e il suono è costruito molto bene, in maniera molto chiara e sequenziale come fosse un film. Qui si degustano i fiori del male, come diceva un connazionale dei Greyfell, e il tutto è pervaso da un dolce incantesimo malvagio, che vive di groove pesante e voli nelle varie sfere grazie alle tastiere e ai synth, aggiunti in questo disco, una scelta che ha pagato moltissimo. Molto intenso, molto etereo, una prova di vera avanguardia.

Tracklist
1. The People’s Temple
2. Horses
3. No Love
4. Spirit of the Bear
5. King of Xenophobia

Line-up
Boubakar – Bass
Thierry – Drums
Clément – Guitars
Hugo – Vocals

GREYFELL – Facebook

Pissboiler – In The Lair Of Lucid Nightmares

I Pissboiler possiedono un’indole irrequieta che li porta ad esplorare territori contigui al funeral con grande proprietà e fluidità.

Gli svedesi Pissboiler sono un’altra delle interessanti novità portati alla luce dalla Third I Rex.

Il trio scandinavo esordisce su lunga distanza con questi In The Lair Of Lucid Nightmares, lavoro la cui base di partenza è un funeral doom che viene ampiamente contaminato da una componente sludge, oltre che da pulsioni droniche che trovano eccellente sfogo nell’ultima traccia.
L’interpretazione dei Pissboiler  è comunque abbastanza ortodossa nell’opener Ruins of the Past, dove il sound si trascina con tutto il suo penoso carico di dolore , senza far venire meno la caratteristica principale del genere che è la reiterazione di accordi dolentemente melodici.
Questi svedesi, però, possiedono un’indole irrequieta che li porta ad esplorare territori contigui al funeral con grande proprietà e fluidità, e il tutto viene evidenziato nei disturbati dieci minuti di Pretend It Will End, nel corso dei quali i suoni si fanno più aspri ma senza che scemi l’atmosfera ottundente che avvolge l’intero lavoro.
La lunga traccia finale Cutters, come detto, è un delirio drone rumoristico che attrae e respinge allo stesso tempo, un aspetto che diviene tratto comune quando la componente claustrofobica finisce per soffocare gli sporadici spunti melodici.
Ma questo è un modo di intendere la materia funeral che non fa sconti, andando a scavare nelle carni esacerbando il dolore invece che lenirlo: i Pissboiler con In The Lair Of Lucid Nightmares dimostrano che non c’è un modo giusto od uno sbagliato di approcciare il genere, perché a fare la differenza è sempre il filo sottile, eppure ugualmente solido come quelli tessuti da un ragno, che riesce indissolubilmente a unire il sentire dei musicisti con quello degli ascoltatori.

Tracklist:
1. Ruins of the Past
2. Stealth
3. Pretend It Will End
4. Cutters
Line-up:
Pontus Ottosson – Guitars
Karl Jonas Wijk – Drums, Guitars
LG – Vocals (lead), Bass

PISSBOILER – Facebook