Legacy Of Silence – Our Forests Sing

In virtù di un buon songwriting la band offre agli ascoltatori un lavoro vario, incentrato sul magico suono del flauto, ma dalle atmosfere che passano agevolmente dal fiabesco all’epico, fino a più robuste e combattive impennate death metal.

La Volcano Records ci sorprende ancora una volta, licenziando il debutto dei Legacy Of Silence, band folk/death metal di Torino.

Il gruppo, attivo dal 2014, dopo vari cambi nella line up, un ep ed una manciata di singoli pubblicati arriva all’esordio su lunga distanza, un’opera curata nei minimi dettagli intitolata Our Forests Sing.
Ispirato dai luoghi montani della loro terra, il concept dell’album ruota intorno alla natura, alla sua forza e all’influenza che ha su chi ancora riesce a viverci in simbiosi, ed il sound non può che essere un death metal melodico, di matrice nord europea e dalla forte componente folk.
Ormai il genere non fa più notizia, ma in virtù di un buon songwriting la band offre agli ascoltatori un lavoro vario, incentrato sul magico suono del flauto, ma dalle atmosfere che passano agevolmente dal fiabesco all’epico, fino a più robuste e combattive impennate death metal.
Our Forests Sing, le foreste cantano, intonando note d’altri tempi e con Witchwood si entra nel mondo dei Legacy Of Silence, fatto di rispettoso silenzio davanti alla maestosità dei luoghi dove le varie Bloodhunt o Misfortune ci accompagnano, mentre le ritmiche salgono, il growl si inspessisce e l’atmosfera si contorna di un’aura austera ed epica nello spartito di Heresy e Nightfall.
Le band di riferimento sono quelle ormai classiche del genere, con la componente estrema di matrice Amon Amarth ad irrobustire il suono dell’epico silenzio di cui si fanno portavoce i Legacy of Silence.

Tracklist
1.Witchwood
2.Bloodhunt
3.Misfortune
4.Torment
5.Heresy
6.Inquisition
7.J.A.W.S.
8.Nightfall
9.Rebirth

Line-up
Alberto Ferreri – Batteria
Luca Capurso – Flauto
Gianluca Mondo – Chitarra Main e Voce
Mark Greyowl – Voce Leader
Simone Macchia – Chitarra Leader
Alberto Ferrero – Basso

LEGACY OF SILENCE – Facebook

Dauþuz – Monvmentvm

Al grido “Gluck Auf!”il duo teutonico ci assale con un black metal veemente, passionale e dal forte afflato epico, un terzo disco in quattro anni che non perde in furia ed emozioni.

Connubio felice quello tra la Naturmacht e il duo tedesco Dauþuz che, attivo solo dal 2016, ha già fatto uscire tre full length e un ep tutti votati alla creazione di un personale sound, figlio del Black Metal più raw, viscerale, passionale ma capace di impulsi epici da pelle d’oca.

Ispirazione bruciante per Aragonyth (tutti gli strumenti) e Syderyth (vocals e liriche), che non va a scapito della qualità costante nelle opere e assolutamente non mancante nell’ ultimo nato Monvmentvm, dove nell’arco di cinquanta minuti si palesa arte nera di prima qualità. Caratteristica principale che li distingue da molti altri act, è il trattare nelle liriche, tutte purtroppo in tedesco, storie di minatori e miniere nella Germania e nell’Europa lungo i secoli, alcune storie sono fittizie ma molte altre sono squarci di vita vissuta. A loro non interessano i “soliti” temi satanisti tipici del genere, ma preferiscono occuparsi di argomenti di sicuro non comuni, ma dal fascino genuino. Al grido di “Gluck Auf! “(augurio di buona sorte scambiato tra i minatori e scritto all’ingresso di molte miniere) il duo ci scaglia direttamente sul volto un black metal veemente, torrenziale, inarrestabile dotato di una carica a cui è difficile resistere, accompagnato da uno scream lacerante e disperato, mentre le chitarre in tremolo picking creano atmosfere epiche e antiche che profumano di folk e nostalgia. Nei rari momenti, i tre strumentali, in cui la veemenza si attenua, la band si dedica alla creazione di oasi madrigalesche con un cuore di cristallina bellezza, dal sapore medievale ricordando gli Ulver di Kveldssanger.Quando la furia riprende il sopravvento, si è letteralmente trascinati su alte vette emozionali fino dall’ opener Schwarzes Wasser che tramortisce con i suoi cambi di tempo e l’atmosfera fortemente epica, del resto sempre presente in ogni nota. Si è catapultati in un’ atmosfera fuori dal tempo durante l’ascolto di tutti i brani, si è piacevolmente immersi in un mondo dove valori come la forza, la dignità e la lealtà hanno ancora un alto e reale valore. Per chi già li conosce sarà un grande conferma e, per chi volesse accostarsi alla loro arte, l’ascolto della lunga title track sarà un buon viatico per innalzare il proprio cuore nero verso orizzonti di adamantina bellezza; le melodie chitarristiche e il finale su note pianistiche struggono ogni senso.

Tracklist
1. Schwarzes Wasser
2. Der Bergschmied
3. Hornstein
4. Knochengrube
5. Kupferglanz
6. Mæna Dauþuz
7. Himmelseisen
8. Monvmentvm

Line-up
Aragonyth S. – All instruments
Syderyth G. – Vocals, Lyrics, Guitars (acoustic)

Dauþuz – Facebook

Lord Vicar – The Black Powder

I Lord Vicar non inventano nulla, suonando un genere circoscritto, ma lo fanno con una forza espressiva ed una qualità sopra la media che li rendono una delle massime espressioni del classic doom attuale.

Nati dalle ceneri dei Reverend Bizarre, i Lord Vicar proseguono il loro viaggio nel doom metal più classico con il il quarto lavoro su lunga distanza, questo nuovissimo e monolitico The Black Powder.

Registrato ai Noise for Fiction Studio di Turku in Finlandia, con il produttore Joona Lukala, ed accompagnato come tradizione da uno splendido artwork, l’album, partendo proprio dalla copertina si rivela un’opera d’arte, un bellissimo esempio di musica del destino dai rimandi classici, ma dotato di una forza ed un’eleganza straordinarie.
La band finlandese torna dunque con più di un’ora di sound pesante, monolitico, pregno di melanconiche melodie e dalla forza prorompente, alternate ad atmosfere in cui il metal lascia spazio a momenti musicali di stampo progressivo, accennati tra un dark sound che improvvisamente esplode in parti grondanti watt.
I nove brani partono dai diciassette minuti di Sulphur, Charcoal and Saltpetre, brano posto in apertura che non lascia spazio a dubbi su quello che si troverà tra le note delle varie Descent (brano che ricorda non poco gli statunitensi Revelation), la più vigorosa The Temple in the Bedrock e la conclusiva e travolgente A Second Chance, top song di questo ottimo lavoro.
I Lord Vicar non inventano nulla, suonando un genere circoscritto, ma lo fanno con una forza espressiva ed una qualità sopra la media che li rendono una delle massime espressioni del classic doom attuale.

Tracklist
1.Sulphur, Charcoal and Saltpetre
2.Descent
3.World Encircled
4.Levitation
5.The Temple in the Bedrock
6.Black Lines
7.Impact
8.Nightmare
9.A Second Chance

Line-up
Gareth Millsted – Drums
Kimi Kärki – Guitars
Chritus – Vocals
Rich Jones – Bass

LORD VICAR – Facebook

Ontborg – Within The Depths Of Oblivion

Within The Depths Of Oblivion non ha nulla di originale, ma a forza di spallate potentissime sfonda le nostre resistenze, ci travolge con un quel sound diventato leggenda e ci regala cinquanta minuti di melodie incastonate tra devastanti ripartenze e mid tempo, atmosfere oscure e una raccolta di tracce praticamente perfette.

Difficile non essere d’accordo con le note biografiche presenti nel promo kit riguardante il debutto degli Ontborg, band nata nel 2017 dalle ceneri dei Voices Of Decay, ed ora pronta ad entrare con Within The Depths Of Oblivion nei cuori degli amanti del death metal old school di scuola scandinava.

Con base a Merano, trasformata in una piccola Göteborg dal quartetto, gli Ontborg si incuneano nell’ underground estremo tricolore con un lavoro decisamente riuscito, un tributo al genere con le carte in regola per accasarsi nei lettori cd di chi, ancora oggi, ad ogni uscita che riguarda il death metal nord europeo festeggia come fosse Natale.
Within The Depths Of Oblivion non ha nulla di originale, ma a forza di spallate potentissime sfonda le nostre resistenze, ci travolge con un quel sound diventato leggenda e ci regala cinquanta minuti di melodie incastonate tra devastanti ripartenze e mid tempo, atmosfere oscure e una raccolta di tracce praticamente perfette.
Dall’opener Living Is A Torture, passando per la title track, è un susseguirsi di brani di altissimo livello che, come scritto non muovono un passo fuori dal periodo 90′-95 ma che stendono al primo colpo, grazie a spettacolari mid tempo come Entwined In Darkness o alla clamorosa This Time, per poi accelerare i tempi fino al confine con il black metal e sfornare autentici gioielli come Die To Be Alive, facendo infine confluire il tutto in Snow Of Lethe.
L’artwork di Juanjo Castellano, artista conosciutissimo nella scena death metal, in linea con le leggendarie copertine di quel periodo, e con Dismember, Necrophobic, Entombed e primi Edge Of Sanity a fornire l’imprimatur al tutto, Within The Depths Of Oblivion si candida come una delle più belle sorprese dell’ultimo periodo per quanto riguarda lo swedish death.

Tracklist
1. Living Is A Torture
2. Within The Depths Of Oblivion
3. Entwined In Darkness
4. A Storm Breaks The Silence
5. This Time
6. Die To Be Alive
7. Snow Of Lethe
8. No Memories Beyond
9. The Long Awaited Winter
10. Black Garden

Line-up
Lukas Flarer – vocals, guitars
Florian Reiner – guitars
Harald Klenk – bass
Christoph Flarer – drums

ONTBORG – Facebook

Old Night – A Fracture in the Human Soul

Siamo al cospetto di un gruppo che riesce a fondere mirabilmente, con il proprio sound, il dolente incedere del doom con l’impatto melodico vibrante del migliore hard’n’heavy ossequiando al meglio la tradizione, da qualsiasi punto di vista lo si voglia guardare, senza che il tutto faccia mai sorgere dubbi sia sulla freschezza compositiva, sia sulla personalità esibita.

A Fracture in the Human Soul è il secondo full length  per gli Old Night, band croata che si era rivelata agli appassionati di doom con lo splendido esordio Pale Cold Irrelevance di due anni fa.

Questo nuovo lavoro offre la necessaria continuità a quanto fatto in precedenza e se da un lato viene meno quell’effetto sorpresa derivante dalla scoperta di un nuovo gruppo di tale spessore, dall’altra non si può fare a meno di constatare quanto il livello continui ad essere ben al di sopra della media.
I cinque lunghi brani offerti sono un altro magnifico esempio dell’ideale incontro tra il doom evocativo dei Procession e le soluzioni vocali e melodiche degli Alice In Chains e, sinceramente, non ci può essere notizia migliore per chi, come il sottoscritto, adora sia la band cilena che i giganti di Seattle .
Il viaggio degli Old Night nel lato nascosto della mente umane non avviene evocando il dolore e la disperazione del doom più estremo, ma si snoda in maniera malinconica e ugualmente dolente, pur sotto le sembianze di canzoni ben memorizzabili e canoniche nel loro sviluppo, nonostante la lunghezza.
Il gruppo istriano, guidato da Luka Petrovic, componente anche di una band storica delle scena doom croata come gli Ashes You Leave, offre una soluzione compositiva che dovrebbe essere apprezzata da un ampio bacino di ascoltatori perché, anche chi non adora il doom nella sua accezione più classica, può comunque trovare grande soddisfazione in questo lavoro, che vede come in quello precedente la magnifica interpretazione vocale di Matej Hanžek stagliarsi sul sound a tratti roccioso ma più spesso avvolgente costruito dai propri compagni, con passaggi di chitarra solista ben posizionato ed efficaci ad impreziosire ogni traccia.
La bellezza rara quanto abbagliante di una canzone come Hearken and Remember è forse il picco, negato a molti, raggiunto dagli Old Night nel corso di un lavoro che grazie ad altre quattro gemme come Entwined, Elder, Glacial e The Reaping of Hearts, li rende decisamente molto più di una band in forte ascesa come era accaduto in occasione del primo full length; qui siamo al cospetto di un gruppo che riesce a fondere mirabilmente, con il proprio sound, il dolente incedere del doom con l’impatto melodico vibrante del migliore hard’n’heavy ossequiando al meglio la tradizione, da qualsiasi punto di vista lo si voglia guardare, senza che il tutto faccia mai sorgere dubbi sia sulla freschezza compositiva, sia sulla personalità esibita. Gli Old Night sono oggi, semplicemente, una delle migliori band europee, non solo in ambito doom.

Tracklist:
1. Entwined
2. Hearken and Remember
3. Elder
4. Glacial
5. The Reaping of Hearts

Line-up:
Luka Petrović – Bass, Vocals, Songwriting, Lyrics
Nikola Jovanovic – Drums
Bojan Frlan – Guitars (lead)
Ivan Hanžek – Guitars (lead), Vocals
Matej Hanžek – Vocals (lead), Guitars

OLD NIGHT – Facebook

Belzebubs – Pantheon Of The Nightside Gods

Una ventata di aria malefica, un disco black death dalle tante sfumature che regala molte emozioni e lascia stupiti.

I Belzebubs sono dei cartoni animati che suonano un ottimo black metal dai forti legami con il death e arrivano fino al numero uno della classifica dei dischi fisici in Finlandia.

Se ciò doveva accadere, sarebbe stato per forza in Finlandia, il paese dove c’è un incredibile e genuino amore per il metal tutto, meglio se estremo. Dopo l’esordio su Century Media con il sette pollici Blackened Call, i nostri arrivano al loro debutto su lunga distanza, ed è un gran bel sentire. Il disco è potente e ben calibrato, è black metal nella sua essenza, ma ci sono tanti altri elementi che concorrono alla sua creazione per farne un disco di metal totale, un vero e proprio atto d’amore verso questa musica. Ad esempio non pochi sono i momenti sinfonici, che vanno ad accrescere il pathos dell’opera. I Belzebubs sono un gruppo vero, i loro membri rilasciano interviste e sono molto presenti, anzi sono molto meglio di certi gruppi in carne ed ossa. Non si sa chi ci sia veramente dietro ai personaggi disegnati dall’ottimo cartoonist finlandese Jp Ahonen, che ha avuto questa idea montata, poi, fino a diventare un grande successo e un grandissimo spot per il metal. Pensate infatti se, fin da bambini o da adolescenti, aveste auto la possibilità di vedere dei cartoni animati di black e death metal, fatti con passione e competenza. Il disco è davvero buono, c’è anche tanto humour ma non si scherza, i Belzebubs sono un vero gruppo e lo si sente soprattutto quando fanno canzoni di oltre otto minuti dalla grande struttura. Basta vedere il video di Cathedrals Of Mourning per capire le immense potenzialità di questo progetto: una ventata di aria malefica, un disco black death dalle tante sfumature che regala molte emozioni e lascia stupiti. Solo gioie dalla Finlandia.

Tracklist
1. Cathedrals Of Mourning
2. The Faustian Alchemist
3. Blackened Call
4. Acheron
5. Nam Gloria Lucifer
6. The Crowned Daughters
7. Dark Mother
8. The Werewolf Bride
9. Pantheon Of The Nightside Gods

Line-up
Samaël – drums
Hubbath – vocals, bass
Sløth – guitars, vocals
Obesyx – lead guitars

BELZEBUBS – Facebook

Dethonator – Race Against The Sun (Part One)

Quasi un’ora di metallo ispirato ai sempre eterni Iron Maiden e Judas Priest è quello che si trova tra le trame di brani come Burial Ground o Ghost Of The Rolling Horizon, con le chitarre a macinare riff scolpiti nel tempo e quelle cavalcate in crescendo che hanno fatto la fortuna di Harris e soci.

La fiamma del metal classico di scuola britannica viene alimentata da band come i Dethonator, monicker da thrash metal band, ma dal sound forgiato alla scuola della New Wave Of British Heavy Metal.

Il quartetto, nato nelle East Midlands ma stabilitosi sul suolo londinese, dà alle stampe il suo terzo full length dopo il debutto omonimo del 2010 (ristampato nel 2016 dalla Killer Metal records) il secondo album del 2013, Return To Damnation e l’ep del 2014, Monuments to Dead Gods.
Il nuovo lavoro, intitolato Race Against The Sun (Part One), viene licenziato dalla Pavement Entertainment in versione digitale, accompagnato da una copertina bruttina che non rende onore alla musica suonata dai nostri, un robusto heavy metal old school.
Quasi un’ora di metallo ispirato ai sempre eterni Iron Maiden e Judas Priest è quello che si trova tra le trame di brani come Burial Ground o Ghost Of The Rolling Horizon, con le chitarre a macinare riff scolpiti nel tempo e quelle cavalcate in crescendo che hanno fatto la fortuna di Harris e soci.
Lavorano bene i quattro musicisti inglesi, lasciando trasparire qualche eco estremo qua e là, tanto per ribadire che siamo nel 2019 e che di musica metal dal 1981 ne è stata scritta tanta, e azzeccano brani trascinanti come Pyroclastic e tellurici come Terror By Night, facendo dell’album un buon ascolto per chi ama queste sonorità.
Race Against The Sun (Part One) non cambierà certo la storia della nostra musica preferita, ma si fa valere tra le tante uscite che affollano la scena metal classica underground.

Tracklist
1. When Lucifer Fell
2. Nightmare City
3. Burial Ground
4. Ulflag
5. Ghost of the Rolling Horizon
6. Pyroclastic
7. The Hangman
8. Narcisside
9. Terror By Night
10. Sharp’s Cairn

Line-up
Tris Lineker – Vocals, Guitars
Henry Brooks – Guitars, Keyboards, Backing Vocals
Adz Lineker – Bass, Growls Johnny
Mo Armstrong – Drums

DETHONATOR – Facebook

Circle Of Witches – Natural Born Sinners

Quasi cinquanta minuti di metal diretto, epico e roccioso grazie ad una serie di tracce che hanno nel songwriting e nell’impatto il loro punto di forza.

Nuovo full length per i campani Circle Of Witches, quartetto attivo dal 2004 e con un paio di album alle spalle, di cui l’ultimo (Rock The Evil) uscito cinque anni fa.

Natural Born Sinners, mixato agli Alpha Omega Studios da Alex Azzali e prodotto assieme a Nicholas Barker (Cradle of Filth, Brujeria, Testament) è un buon lavoro di heavy metal dalle ispirazioni stoner/doom, molto vicino a quanto proposto dai Grand Magus, leggermente meno evocativo ma possente ed epico quanto basta per non lasciare indifferenti chi ama questi suoni.
Riff e mid tempo potenti fanno da struttura a brani di buona fattura, la voce del cantante Mario “HELL” Bove si alza fiera verso montagne su cui dimorano gli dei del metal classico, qui lasciato nelle mani di quattro musicisti che nei loro ascolti non si sono fatti mancare la discografia dei Candlemass.
Il sound degli undici brani facenti parte della tracklist del disco si potrebbero semplicemente riferire alle due citate band svedesi, ma è pur vero che i nostri eroi ci mettono del proprio, confezionando un’opera assolutamente convincente.
Il genere è questo dunque, un heavy metal potenziato da ritmiche possenti e groove, squarciato da lampi chitarristici di matrice ottantiana e valorizzato da una serie di brani che esaltano l’anima guerriera che è in ognuno di noi, come in Spartacus (Prophecy Of Riot), una delle tracce più riuscite di questo monumentale lavoro.
Quasi cinquanta minuti di metal diretto, epico e roccioso grazie ad una serie di tracce che hanno nel songwriting e nell’impatto il loro punto di forza.

Tracklist
01. Tongue Of Misery
02. The Black House
03. Giordano Bruno
04. The Oracle
05. First Born Sinner
06. Spartacus (Prophecy of Riot)
07. Your Predator
08. Deus Vult
09. Death To The Inquisitor
10. You Belong To Witches
11. Cult Of Baphomet

Line-up
Mario “HELL” Bove – Vocals, Guitars
Joe “WISE MAN” Dardano – Guitars
Tony “FARAWAY” Farabella – Bass
Joey “HELMET” Coppola – Drums

CIRCLE OF WITCHES – Facebook

Kull – Exile

Questo primo passo targato Kull appare tutt’altro che una minestra riscaldata, anche se il potenziale epico ed evocativo dei primi lavori dei Bal-Sagoth resta difficilmente riproducibile; resta sicuramente la soddisfazione di rivedere in pista questi musicisti che sembrano avere ancora voglia di regalare al pubblico il loro epico e sinfonico black metal ispirato alle opere di Howard.

Chiunque abbia un minimo di conoscenza della storia del metal degli ultimi 25 anni, ascoltando questo album d’esordio dei Kull si troverà a pensare d’essersi imbattuto in una band clone dei Bal-Sagoth.

L’impressione sarebbe più che giustificata, se non fosse che questo gruppo ha tutti i diritti di riprendere in maniera fedele quelle sonorità epiche e magniloquenti trattandosi, di fatto, degli stessi Bal-Sagoth con un diverso vocalist al posto del declamatorio fondatore Byron Roberts.
Il perché i fratelli Maudling (accompagnati dall’altro membro storico Alistair MacLatchy e da Paul Jackson, entrato nella band dopo l’uscita dell’ultimo full length) non abbiano utilizzato il monicker originale non è dato saperlo, ma è probabile che possa avere a che fare con diritti sul suo utilizzo: fatto sta che questo Exile lo si può considerare lecitamente sia l”esordio dei Kull sia il settimo album dei Bal-Sagoth.
Fatta questa lunga ma doverosa premessa, si può dire che il lavoro mantiene in pieno le caratteristiche ben conosciute da chi ama e da chi odia la storica band, per cui l’effetto divisivo resta tale e quale; quel che cambia è che Tarkan Alp è vocalist più tradizionale di Byron, nel senso che interpreta i brani con un più canonico e vario approccio da cantante black metal, optando per l’evocativo recitato utilizzato continuativamente dal predecessore solo a tratti.
Se vogliamo, questo fa pendere l’ago della bilancia a favore di quel minimo di discontinuità che conferisce ai Kull lo status di band a sé stante, anche se è è innegabile che a cavalcate come Vow of the Exiled, A Summoning to War o Aeolian Supremacy, per non parlare dell’intro strumentale Imperial Dawn, bastano poche note per svelare agli ascoltatori chi si nasconda dietro ai Kull.
Exile nel complesso appare più ruvido (persino troppo, sentendo un brano come Of Stone and Tears) rispetto alle uscite dei Bal-Sagoth del nuovo millennio, complice anche il trademark vocale di Alp e una minore predominanza della tastiere di Jonny Maudling, nonostante questo resti lo strumento che fa e disfa all’interno dell’opera; nel complesso questo rende il tutto più vicino per impatto a Starfire Burning upon the Ice-Veiled Throne of Ultima Thule che non a The Power Cosmic, cosa che a un fan della prima ora dei Bal-Sagoth come il sottoscritto non può che far piacere.
In definitiva, questo primo passo targato Kull appare tutt’altro che una minestra riscaldata, anche se il potenziale epico ed evocativo dei primi lavori dei Bal-Sagoth resta difficilmente riproducibile; resta sicuramente la soddisfazione di rivedere in pista questi musicisti che sembrano avere ancora voglia di regalare al pubblico il loro epico e sinfonico black metal ispirato alle opere di Howard.

Tracklist:
01. Imperial Dawn
02. Set-Nakt-Heh
03. Vow of the Exiled
04. A Summoning to War (Dea Bellorum Invicta)
05. Horde’s Ride
06. An Ensign Consigned
07. Pax Imperialis
08. By Lucifer’s Crown (Lapis Exillis)
09. Of Stone and Tears
10. Aeolian Supremacy: Wrath of the Anemoi
11. Of Setting Suns and Rising Moons

Line-up:
Tarkan Alp – Vocals
Chris Maudling – Guitars
Jonny Maudling – Keyboards/synths
Alistair MacLatchy – Bass
Paul “Wak” Jackosn – Drums

KULL – Facebook

Necrofili – Immaculate Preconception

Immaculate Preconception si rivela un ep davvero suggestivo, tra i più riusciti ultimamente nel suo ambito: i Necrofili con sagacia sanno manipolare la materia creando un sound che, anche se a tratti può ricordare i Necrodeath, risulta ugualmente personale e molto coinvolgente.

Tornano con un nuovo ep i laziali Necrofili, attivi dal 2005 e con alle spalle due lavori su lunga distanza, il debutto omonimo uscito proprio nell’anno di inizio attività e The End Of Everything licenziato nel 2017, dodici anni dopo il precedente lavoro.

Il gruppo capitanato da Carlo Pelliccia (voce e chitarra) e Marco Dalmasso (batteria), dopo vari cambi di line up oggi si completa oggi con Alessandro Fusacchia (chitarra) e Gianluca Marchionni (basso).
Immaculate Preconception presenta cinque brani di notevole death/thrash, devastante ma dalle aperture melodiche che ne accentuano atmosfere e sfumature, con un intro suggestiva che riporta le parole di Giordano Bruno, frate francescano, filosofo e scrittore del XVI secolo, condannato dalla chiesa per eresia.
Infaithcted esplode in una serie di accelerazioni death/thrash, con lo scream che ne potenzia l’indole estrema, cambi di tempo e cavalcate metalliche mettono in evidenza l’ottima tecnica di cui si può fregiare il quartetto.
Campo de’ Fiori è un crescendo thrash progressivo, dai rallentamenti possenti che ne accentuano l’atmosfera drammatica e le tematiche che riguardano la morte sul rogo dello stesso Giordano Bruno; The Shapeless Thing è invece un brano thrash/black ad un primo ascolto più lineare ma anch’esso pervaso da una serie di cambi di tempo micidiali, mentre Army Of The Ripper risulta un brano dalle ispirazioni heavy metal, meno abrasivo ed estremo dei brani precedenti e valorizzato da una serie di aperture melodiche accentuate dalla comparsa della voce pulita.
In conclusione Immaculate Preconception si rivela un ep davvero suggestivo, tra i più riusciti ultimamente nel suo ambito: i Necrofili con sagacia sanno manipolare la materia creando un sound che, anche se a tratti può ricordare i Necrodeath, risulta ugualmente personale e molto coinvolgente.

Tracklist
1. A Lullaby for Reason
2. Infaithcted
3. Campo de’Fiori
4. The Shapeless Thing
5. Army of the Reaper

Line-up
Carlo Pelliccia – Vocals & Guitars
Alessandro Fusacchia – Guitars
Gianluca Marchionni – Bass
Marco Dalmasso – Drums

NECROFILI – Facebook

Ship of Theseus – The Paradox

Un gioiello di splendore metallico, realizzato da musicisti tanto preparati quanto colti, autori di un lavoro variegato ed intrigante.

Per certi gruppi la definizione di power prog metal è quanto mai banale e riduttiva. Sicuramente, lo è per i nostrani Ship of Theseus, formati da ex componenti di Extrema e Temperance tra gli altri.

La libertà da vincoli espressivi pare realmente essere la prola d’ordine di questo super-gruppo, creativo come pochi, responsabile di un approccio stilistico al metal quanto mai vario e composito, in grado, ogni volta, di abbinare potenza ed eleganza. Gli Ship of Theseus sono cupi e possenti, introspettivi e melodici, romantici e devastanti a seconda dei frangenti sonori dei vari brani. Le composizioni sono elaboratissime e possono, a seconda dei momenti, richiamare alla mente i Threshold più oscuri, certe trame fra progressive e techno-thrash dei primi Sieges Even e Nevermore, quando non addirittura il genio elettronico-sperimentale di Devin Townsend. I passaggi più sinfonici deliziano invece coloro che amano l’intelligente pomposità di Magellan, Vanden Plas e Shadow Gallery. Esplosivi, teatrali, virtuosistici, delicati o deflagranti a seconda del contesto, a volte onirici ed eterei; e tutto questo – si badi bene – senza soluzione di continuità: gli Ship of Theseus si rivelano epici e cerebrali al pari dei migliori Alter Bridge. Quando il metal è durezza evocativa, e senza scomodare i Dream Theater. Tra gli ospiti, inoltre, brilla il grande Gregg Bissonette.

Tracklist
1- The Paradox
2- Reborn
3- Time Has Come
4- Hear Me Out
5- Blue
6- Suspended
7- Like a Butterfly
8- The Promise
9- Reflections in the Mirror
10- The Cage
11- Wounded
12- Ending

Line up
Giorgio Terenziani – Bass
Paolo Crimi – Drums
Michele Guaitoli – Vocals
Marco Cardona – Guitars
Alessandro Galliera – Guitars

SHIP OF THESEUS – Facebook

Doombringer – Walpurgis Fires

I misteriosi Doombringer potenziano con mid tempo sepolcrali il loro death metal dal piglio black, lente litanie estreme dalle atmosfere che a tratti sfiorano il doom, anche se l’approccio rimane quello di un gruppo più estremo.

Le origini dei Doombringer sono in Polonia, la patria del death/black metal che i Behemoth hanno contribuito a plasmare diventando negli anni uno dei generi che più hanno influenzato le nuove generazioni di musicisti estremi.

La svolta gothic che la band di Nergal ha preso con l’ultimo, bellissimo lavoro lascia un vuoto sul trono di questo tipo di sound che la band di Kielce contribuisce a tenere vivo con il nuovo album, intitolato Walpurgis Fires.
Il gruppo polacco mantiene un’attitudine old school anche in questo lavoro, in arrivo tramite la Nuclear War Now! Productions cinque anni dopo il debutto sul lunga distanza The Grand Sabbath, dato alle stampe successivamente ad una manciata di demo ed ep.
I misteriosi Doombringer potenziano con mid tempo sepolcrali il loro death metal dal piglio black, lente litanie estreme dalle atmosfere che a tratti sfiorano il doom, anche se l’approccio rimane quello di un gruppo più estremo.
Walpurgis Fires risulta quindi un lavoro discretamente congeniato, ben caratterizzato da atmosfere e sfumature maligne e morbose, pregno di male e terrore racchiusi in brani come Into The Woodlands, Samhain Melancholia e Walpurgis.
Un prodotto estremo che nulla toglie e nulla aggiunge al tipo di sound che i Doombringer suonano, ma che merita un ascolto specialmente se si è fans accaniti del genere.

Tracklist
1.Into The Woodlands
2.Agenda Del Aquellare
3.Sworn To Malice
4.Samhain Melancholia
5.Stupor Infernal
6.Briceia Chants The Spells
7.Unnatural Acts Of Flying
8.Walpurgis

Line-up
Old Coffin Spirit – Bass, Vocals
Sepelchral Ghoul – Drums
Tribes Of The Moon – Guitars
Medium Mortem – Vocals

DOOMBRINGER – Facebook

Handful of Hate – Adversus

La Code666 Records ha di nuovo fatto centro. Adversus è un album completo, perfetto ed armonioso, nella sua aggressiva e rabbiosa struttura musicale. Nulla viene lasciato al caso: un album studiato nei minimi dettagli, che dovrebbe essere riposto nelle collezioni di ogni blackster, tra un Immortal ed un Marduk.

Dalla lontana Scandinavia… pardon, dalla vicina Toscana, ci giunge tra le mani questo Adversus, settimo full length degli Handful Of Hate, quartetto di stanza in quel tratto di terra, che dalle colline lucchesi giunge sino al mar Tirreno, e più precisamente a Livorno. Toscana, terra di sole, di campagne sterminate, di campi in fiore e di dorati terreni coltivati, ove i vivaci colori della primavera quasi bruciano il cuore e le torride estati infiammano l’anima.

Sole? Cuore? Colore? Mai tali termini sono stati utilizzati così impropriamente, per identificare questo combo, che pare provenire più che dalla terra del Chianti, dal gelido Finnmark norvegese. La Scandinavia a casa nostra, potrebbe essere il corretto termine per disegnare il percorso musicale di Nicola Bianchi e soci. Freddo, rigido, quasi polare, il suono degli Handful Of Hate. Vero, puro, genuino, il Black Metal dei Nostri. L’album dipanato su 10 tracce, ci proietta alla velocità della luce in un mondo di occulti vizi e perverse maligne attitudini sessuali, tematiche che costituiscono un po’ una costante, nei testi dei ragazzi toscani.
Un Black suonato alla perfezione, che denota una padronanza degli strumenti fin troppo rara, oggigiorno, nel guazzabuglio musicale di band che nascono, suonano (si fa per dire) e muoiono, in sordina, come mosche effimere, senza lasciare alcuna traccia per i vivi e per i posteri. Qui, il discorso è (per fortuna) completamente differente. Grazie anche ad una produzione veramente all’altezza (la Code666 Records di Imola, non è proprio un’etichetta nata ieri. E’ dal 1999 che ci delizia, producendo band del calibro di Negura Bunget, Aborym, Manes e Konkhra), canzoni come la marziale An Eagle Upon My Shield (Veteris Vestigia Flammae), la norvegese Severed and Reversed (Feudal Attitude) o l’atmosferica Down Lower (Men and Ruins) divengono gioielli, quasi inattesi, incastonati alla perfezione nel collier di oro nero, che potrebbe adornare maleficamente il candido collo di perfide principesse o regine come Fredegonda, la spietata regina dei Franchi, Maria Tudor, detta “la sanguinaria”, o la nostra cara Elizabeth Bathory (cosa vi aspettavate? Cenerentola forse?). Potenza, velocità (sempre sotto controllo), cattiveria che spurga da ogni singola nota, un crudele scream (complimenti a Mr. Bianchi), sottile, venefico, maligno, costituiscono i petali della corolla, di un nero fiore, che non appassirà mai, dove la grande creatività dei Nostri rappresenta il gambo, su cui si sorregge stabilmente , ben radicato, in un terreno di capacità tecniche e padronanze musicali non comuni. L’imperversare di scale Death, ordite su una trama di vero genuino Black, mai banale, rendono tracce come Celebrate Consume… Burn! o Thorns to Redemption (Gemendo Germinat), vere gemme musicali che indurrebbero un ascoltatore poco attento e svogliato, con cartina politica dell’Europa sotto mano, a cimentarsi nell’ardua (e sicuramente inutile) ricerca della città di provenienza degli Handful Of Hate, errando tra le fredde Terre del Nord, colpevolmente inconsapevole che dovrebbe volgere lo sguardo più in basso, e col dito tracciare una linea immaginaria, quasi perpendicolare, che da Oslo giunge quasi magicamente in Toscana.
Complimenti quindi a questi scandinavi toscani, che nulla hanno da imparare dai soci vichinghi ma che, forse, qualcosa hanno da insegnare.

Tracklist:
1. An Eagle Upon My Shield (Veteris Vestigia Flammae)
2. Before Me (The Womb of Spite)
3. Carved in Disharmony (Void and Essence)
4. Severed and Reversed (Feudal Attitude)
5. Down Lower (Men and Ruins)
6. Celebrate Consume… Burn!
7. Toward the Fallen Ones (Psalms to Discontinuity)
8. Thorns to Redemption (Gemendo Germinat)
9. Idols to Hung
10. Icons with Devoured Faces

Line-up:
Nicola Bianchi – Guitars, Vocals
Aeternus – Drums
Andrea Toto – Guitars, Bass

HANDFUL OF HATE – Facebook

Possessed – Revelations Of Oblivion

La personale visione di violenza e ferocia in musica messa ancora una volta in campo dai Possessed è impressionante e Revelations Of Oblivion, aldilà del monicker in calce sulla copertina, è a tutti gli effetti un album capolavoro.

E’ fuor di dubbio che il ritorno dei leggendari Possessed dopo più di trent’anni sia per i fans del death metal l’evento dell’anno.

La band statunitense è appunto una vera leggenda per chi in tutti questi anni ha seguito l’evoluzione del re dei generi estremi, nato nell’ormai lontano 1985 tra i solchi di Seven Churches, il loro primo importantissimo lavoro.
Purtroppo la storia del gruppo di Jeff Becerra, bassista e singer nonché unico superstite della formazione che registrò quello che di fatto col tempo è diventato un documento storico, si fermò, per i motivi che più o meno conosciamo tutti, dopo solo due anni, all’indomani dell’uscita dell’ep The Eyes Of Horror, successore del secondo full length, Beyond The Gates licenziato dalla band nel 1986.
Il ritorno di chi è stato progenitore di un genere che in tanti anni ha regalato artisti, gruppi ed opere che sono ben presenti nella storia della musica moderna, si intitola Revelations Of Oblivion, è stato registrato ai NRG Studios e Titan Studios con Jeff Becerra come produttore esecutivo, mentre Daniel Gonzalez l’ha co-prodotto.
Sua maestà Peter Tägtgren ha masterizzato e mixato il tutto nei suoi Abyss Studios in Svezia, mentre l’artwork è opera dell’artista polacco Zbigniew Bielak già al lavoro per Paradise Lost, Absu, Deicide e Ghost, tra gli altri.
Licenziato dalla Nuclear Blast l’album vede Jeff Becerra affiancato da una band che vede Daniel Gonzalez e Claudeous Creamer alle chitarre, Emilio Marquez alla batteria e Robert Cardenas al basso, una band compatta che dà vita ad una serie di brani feroci, estremi, spettacolari nel certosino lavoro in studio, ed assolutamente luciferini.
Questo è death/thrash metal suonato nel nuovo millennio, seguendo e perfezionando le linee tracciate tanti anni fa, ma senza risultare stantio o semplicemente nostalgico, e risultando tecnicamente perfetto sia nelle ritmiche sia nelle parti indiavolate di chitarra, in un’atmosfera di lugubre e maligna magniloquenza musicale.
Si viene così travolti da un armageddon di suoni metallici, una micidiale arma di distruzione che prende avvio da No More Room In Hell passando per un lotto di brani perfetti in ogni dettaglio.
La personale visione di violenza e ferocia in musica messa ancora una volta in campo dai Possessed è impressionante e Revelations Of Oblivion, aldilà del monicker in calce sulla copertina, è a tutti gli effetti un album capolavoro.

Tracklist
1. Chant Of Oblivion
2. No More Room In Hell
3. Dominion
4. Damned
5. Demon
6. Abandoned
7. Shadowcult
8. Omen
9. Ritual
10. The Word
11. Graven
12. Temple of Samael

Line-up
Jeff Becerra – Vocals
Daniel Gonzalez – Guitars
Emilio Marquez – Drums
Robert Cardenas – Bass
Claudeous Creamer – Guitars

POSSESSED – FAcebook

Helligators – Hell III

Hell III conferma gli Helligators come una delle migliori realtà in un genere che è rock’n’roll duro e puro, magari potenziato da tonnellate di riff dal groove fenomenale ed attraversato da un’attitudine southern/blues metal da far impallidire una buona fetta di realtà d’oltreoceano.

Quattro anni dopo lo spesso e potente Road Roller Machine, tornano i rockers romani Helligators con il loro terzo album intitolato Hell III, sempre sotto l’ala della Sliptrick Records, un altro muro sonoro di groove, hard rock, southern metal pesante come un macigno, grasso di watt e devastate come l’impatto di un asteroide sulla terra.

In questi ultimi quattro anni la band non si è certo fermata, tra singoli, video, tributi, ed un ep, licenziato due anni (Back To Life) in cui venivano presentati due brani inediti (Nomad e Servant No More), ed intanto si andavano a formare i nuovi brani che compongono la tracklist di questo nuovo assalto sonoro marchiato Helligators.
Hell III conferma il gruppo come una delle migliori realtà in un genere che, come affermano i protagonisti, è rock’n’roll duro e puro, magari potenziato solo un poco da tonnellate di riff dal groove fenomenale ed attraversato da un’attitudine southern/blues metal da far impallidire una buona fetta di realtà d’oltreoceano.
Con queste premesse Hell III non può che entrare tra gli ascolti abituali come un treno impazzito in una stazione ferroviaria nel periodo vacanziero, una valanga di rock’n’roll che dall’opener Rebellion non lascia tracce di resti al suo passaggio.
Le prime tre tracce, la già citata Rebellion, Here To Stay e Bleeding rappresentano un inizio formidabile per impatto e appeal; la semi ballad Where I Belong, che tanto sa di Black Label Society, concede pochi minuti per riprendere le forze prima che l’album riparta ancora più deciso e possente con le due parti di Confession, Until I Feel No More e la conclusiva Pedal To The Metal.
Con l’ingresso nel raggio d’azione di Black Label Society, Corrosion Of Conformity, Down e Pantera, le linee guida del sound degli Helligators si sono leggermente spostate, abbandonando quel poco di doom classico che aveva caratterizzato qualche momento del precedente lavoro, ma Hell III rimane decisamente un gran bel sentire.

Tracklist
01. Rebellion
02. Here To Stay
03. Bleeding
04. Where I Belong
05. Born Again
06. The Prison (Confession pt.1)
07. Gone (Confession pt.2)
08. Until I Feel No More
09. Bassthard Session III
10. Even From The Grave
11. Pedal To The Metal

Line-up
Simone “Dude” – Lead Vocals
Mik “El Santo” – Guitar & Backing Vocals
Alex – Drums
Kamo – Lead Guitar & Backing Vocals
Pinna “Yeti” – Bas

HELLIGATORS – Facebook

Clouds Taste Satanic – Evil Eye

Evil Eye è molto vicino ad essere una sinfonia di rock pesante, con tanta psichedelia interpretata in maniera differente rispetto alla normale concezione, per un risultato al di fuori del comune.

I Clouds Taste Satanic sono uno dei migliori gruppi stoner psych in giro, non hanno mai sbagliato una canzone e con questo disco sanciscono la loro netta superiorità musicale.

Riff oceanici di sangue infetto travolgono comitive di non morti che partono per una crociata con direzione l’inferno. Questi newyorchesi hanno un suono unico che si sviluppa nei meandri di canzoni lunghe alle quali non si può resistere. Per questo ultimo lavoro, che sarà come annunciato il primo dei due loro dischi che usciranno nel 2019, hanno confezionato due canzoni di venti minuti circa l’una, una per ogni lato del vinile, per una magia nera che non lascerà scampo. Ogni riff ha una vita a sé stante, ed il gruppo trova sempre una soluzione sonora, uno svolgimento di un passaggio altresì difficile con naturalezza e gran classe. Scrivere di musica non è facile, e se si trattano i Clouds Taste Satanic è ancora più difficile, perché su Evil Eye ci si potrebbe scrivere un libro. Questo è un disco che contiene dolore, morte, estasi e tanti viaggi, ha un suo peso corporeo e fisico ma al contempo fa volare lontano, facendo dimenticare tutto ciò che ci sta intorno. Musicalmente è qualcosa vicino ad una sinfonia di rock pesante, con tanta psichedelia interpretata in maniera differente rispetto alla normale concezione per un risultato al di fuori del comune. Non è difficile capire perché i Clouds Taste Satanic godano di una grandissima reputazione underground, sono uno di quei gruppi che compiono un’evoluzione continua e di alta qualità proponendo un qualcosa di unico ed originale. Fare due pezzi di oltre venti minuti con dentro mille mondi, tenendo sempre alta la tensione e l’attenzione dell’ascoltatore può riuscire a pochi, e si tratta di musica pura, senza parole. Già dai primi riff di Evil Eye veniamo portati in una dimensione molto diversa dalla nostra, dove possiamo aspettarci di tutto, cosa che infatti accade. Evil Eye è uscito il 30 aprile, la notte di Valpurga, data di inizio dell’estate esoterica e cara ai satanisti. E non ci potrebbe essere colonna sonora migliore di questa. Il prossimo disco sarà fuori per Halloween 2019.

Tracklist
1.Evil Eye
2.Pagan Worship

Line-up
Steve Scavuzzo
Sean Bay
Greg Acampora
Brian Bauhs

CLOUDS TASTE SATANIC – Facebook

Numenorean – Adore

La matrice depressivo-malinconica dei testi e di certi passaggi finisce per divenire il valore aggiunto in un album che, se non apre una nuova strada compositiva, è comunque abbondantemente ricco di brani e passaggi convincenti, capaci di avvincere anche chi non ha di norma un rapporto molto amichevole con modern metal e dintorni.

Adore è il secondo album per i canadesi Numenorean dopo l’esordio Home, di tre anni fa, che li aveva portati all’attenzione di chi apprezza una commistione tra black e modern metal.

In effetti il gruppo dell’Alberta viene incasellato in ambito post black ma, partendo dal presupposto che tutto ciò che è post alla fine non è un vero e proprio genere, la realtà è che quanto viene offerto è spesso molto più vicino ad un metalcore che racchiude al suo interno diverse variazioni e soprattutto un notevole impatto emotivo.
Proprio la matrice depressivo-malinconica dei testi e di certi passaggi finisce per divenire il valore aggiunto in un album che, se non apre una nuova strada compositiva, è comunque abbondantemente ricco di brani e passaggi convincenti, capaci di avvincere anche chi non ha di norma un rapporto molto amichevole con modern metal e dintorni.
La varietà di Portrait of Pieces e il trascinante incedere di Horizon sono indicatori piuttosto precisi di quanto racchiuso in un lavoro che, complice l’ideale durata di una quarantina di minuti, gode di una buona sintesi e si tiene alla larga da passaggi a vuoto. La stessa Regret, che lì per lì sembra il classico brano metalcore gonfio di rabbia repressa ma privo di sbocchi, si apre improvvisamente a livello melodico tenendosi però ben alla larga da certe stucchevolezze di maniera e lasciando alla fine un piacevole retrogusto.
Detto di altri due brani notevoli per impatto come la title track e Coma, e aggiungendo che le altre cinque tracce (tra le quali spicca Stay, sorta di mini-ballad) sono degli interludi tutt’altro che superflui in virtù della buona tecnica in dote a questi ragazzi, Adore rappresenta un approccio al metal moderno nel quale non viene sacrificata la profondità a favore di quello che, invece, si presenta frequentemente come uno spesso involucro all’interno del quale è racchiuso poco più che il nulla.
Non solo, ma in buona parte anche per questo motivo, i Numenorean potrebbero raccogliere consensi in un contesto di appassionati trasversale ai generi.

Tracklist:
1. Nocebo
2. Portrait of Pieces
3. Horizon
4. And Nothing Was the Same
5. Regret
6. Stay
7. Coma
8. Alone
9. Adore
10. DDHS

Line-up:
Byron Lemley – Guitar/Vox
Brandon Lemley – Vocals
Roger LeBlanc – Guitar/Vocals
Alex Kot – Bass
David Horrocks – Drums

NUMENOREAN – Facebook

Death Worship – End Times

Un prodotto affascinante proveniente da un underground che sa regalare vere gemme di musica estrema e diabolica.

Dall’abisso in cui era stato risucchiato dopo aver licenziato il primo malefico parto (Extermination Mass del 2016), torna il supergruppo canadese Death Worship, malefica e putrida realtà conosciuta nell’underground black/death metal dove nomi come Conqueror e Blasphemy rimembrano devastanti opere nere come la pece.

DeathLörd of Abomination & War Apocalypse (Conqueror, Blasphemy) alla chitarra, al basso e alla prima voce, aiutato ancora una volta da Nocturnal Grave Desecrater and Black Winds (Blasphemy) alla seconda voce e J.Read (Conqueror, Blasphemy) alla batteria, frantumano i nostri padiglioni auricolari cone queste nuove quattro tracce che formano End Times, ep che arriva a sfiorare i quindici minuti ma che, in così poco tempo, ci risucchia in un atmosfera catacombale, dove la morte nell’ombra segue i nostri passi prima di sferrare l’ultimo colpo con la sua micidiale falce.
Un clima soffocante ci accoglie tra le spire di Stand Witness to Atrocity, e le ragnatele che si attaccano al viso sono il preludio all’entrata nel caos che i Death Worship creano; orrende creature si muovono tra le trame death/black/thrash metal di The Poisoned Chalice e Slaughtersiege, offuscate da visioni di morte e perdizione, mentre la forza maligna di Masters And Monolith mette fine alle nostre sofferenze terrene.
Un prodotto affascinante proveniente da un underground che sa regalare vere gemme di musica estrema e diabolica.

Tracklist
1.Stand Witness to Atrocity
2.The Poisoned Chalice
3.Slaughtersiege
4.Masters and Monolith

Line-up
Deathlord of Abomination and War Apocalypse – Guitars, Bass, Vocals, Effects

J. Read – Drums, Effects
Nocturnal Grave Desecrator and Black Winds – Vocals (backing), Effects

DEATH WORSHIP – Facebook

Rustless – Awakening

Awakening non delude le aspettative dei fans del gruppo e degli amanti del genere, rivelandosi un lavoro emozionante, ricco di passaggi strumentali di altissimo livello e di ottime canzoni.

Stefano Tessarin, Lio Mascheroni e Ruggero Zanolini sono tre quinti dei leggendari Vanadium, negli anni ottanta la più popolare ed importante band heavy metal nata sul suolo italico.

A metà degli anni novanta, dopo la pubblicazione dell’album Nel Cuore Del Caos (1995) la storia dei Vanadium si conclude e dopo qualche anno inizia quella dei Rustless, con il debutto licenziato nel 2008 ed intitolato Start From The Past, seguito da altri due lavori (Silent Scream e Guardian Angel) rilasciati rispettivamente nel 2010 e nel 2014.
Oggi la formazione dei Rustless, oltre ai tre storici musicisti, si completa con Roberto Zari alla voce ed il giovane bassista (allievo di Steve Tessarin) Andrea Puttero: Awakening è il titolo del nuovo album, che si colloca perfettamente nell’hard rock suonato negli anni settanta ed arrivato in perfetta forma nel decennio successivo, ricco di ispirazioni progressive e con la carta d’identità anglo/italiana (si sentono nei brani del disco suoni appartenenti tanto alla scena hard prog del Regno Unito che a quella hard & heavy tricolore).
I musicisti di provata esperienza e dieci brani di ottima musica heavy, raffinata e dalle di grandi melodie, che passano agevolmente dai Deep Purple agli Yes, dai Rainbow ai Rush, ed una raccolta di canzoni sopra la media, fanno di Awakening un album imperdibile per chi ama ascoltare chitarre graffianti, grandi melodie e passaggi progressivi in cui ritmiche e tastiere producono brividi a non finire.
La partenza è di quelle che tolgono il fiato, la title track risulta un brano purpleiano, dove il suono dei tasti d’avorio ispirati al Lord di Perfect Strangers segna indelebilmente tutto l’album, che continua la sua corsa verso il cuore dei fans del genere con altre perle come; Message To God, Invisible, il pomp rock di Light To Pain e i due capolavori rilasciati per il gran finale, la più ruvida Ride With The Wind e la progressiva Take The Sun.
Tirando le somme, Awakening non delude le aspettative dei fans del gruppo e degli amanti del genere, rivelandosi un lavoro emozionante, ricco di passaggi strumentali di altissimo livello e di ottime canzoni.

Tracklist
1.Awakening
2.Message to God
3.Heart’s on Fire
4.Invisible
5.Light into Pain
6.I Wanna Rock You
7.What Kind of Love
8.Tell Me
9.Ride with the Wind
10.Take the Sun

Line-up
Stefano Steve Tessarin – guitars & vocals
Ruggero Ruggy Zanolini – keyboards
Lio Mascheroni – drums
Roberto Zari – muscles & vocals
Andrea Puttero – Bass

RUSTLESS – Facebook

Darkened Nocturn Slaughtercult – Mardom

Da ascoltare con devozione il ritorno del gruppo teutonico, indomito nel ricreare la tradizione del Black Metal, con una ispirazione fresca e mai monotona.

Oggi e da sempre il quartetto teutonico rappresenta una garanzia per chi vuole ascoltare Black Metal non contaminato da altri generi, anche con il nuovo “Mardom”, dopo sei anni da “Necrovision” l’arte espressa segue un solco tradizionale, fedele alla “second wave” e al grande spirito scandinavo. Non ci sono variazioni di formazione, i quattro artisti sono profondi conoscitori della materia, hanno un approccio genuino, vero, vitale e il risultato è notevolissimo.

Sesto album, per una carriera che iniziò nel 1999 con il demo “The pest called humanity”, e ancora i musicisti non hanno perso un grammo di ferocia, di attitudine e di violenza; dieci brani costruiti in modo tradizionale ma capaci di esprimere una furia devastatrice che annichilisce fino dal primo brano, dopo un breve intro, “Mardom – echo zmory”… guitar work instancabile, veemente a combattere con la sezione ritmica vitale e tellurica e sopra a tutto lo scream rantolante di Onielar, la strega polacca (Yvonne Wilczynska), da sempre nella band, capace con le sue raggelanti e sinistre vocals di portarci in lande di odio e violenza senza pari. Il booklet interno con i testi e le foto ci confermano che la predisposizione non è cambiata con i testi che trattano temi occulti, satanici e oscuri, mentre la musica ci entra sottopelle, ricordandoci ancora una volta la ragione per cui ascoltiamo e ci nutriamo di Black Metal. Le atmosfere antiche e dannatamente buie di “A beseechment twofold”, con i suoi cambi di tempo raggelanti, dimostrano che il vero verbo non è stato assolutamente dimenticato e scorre fluido nel sangue di veri artisti della nera fiamma. Non saranno tra i nomi di punta della scena europea, ora più rivolta verso altre scene e umori più atmosferici, ma i DNS sono capaci di far vibrare le corde giuste, donandoci momenti di assoluto piacere, solcando si la tradizione ma con ispirazione fresca e mai monotona. Da ascoltare con devozione.

Tracklist
1. Inception of Atemporal Transition
2. Mardom – Echo Zmory
3. A Sweven Most Devout
4. T.O.W.D.A.T.H.A.B.T.E.
5. A Beseechment Twofold
6. Exaudi Domine
7. The Boundless Beast
8. Widma
9. Imperishable Soulless Gown
10. The Sphere

Line-up
Adversarius – Bass
Onielar – Vocals, Guitars
Velnias – Guitars
Horrn – Drums

DARKENED NOCTURN SLAUGHTERCULT – Facebook