Swallow the Sun – When a Shadow Is Forced into the Light

Un’opera da ascoltare con il cuore, lasciandosi trasportare dalle note di canzoni malinconiche, colme di dolcezza e nostalgia: “love is stronger than death”.

Difficile approcciarsi e spiegare a parole un’opera cosi pregna di significati per l’autore, Juha Raivio, da sempre leader dei finlandesi Swallow the Sun, giunti con When a Shadow Is Forced into the Light al loro settimo full length, a quattro anni di distanza dal monumentale Songs from the North.

Gli ultimi tre anni sono stati molto difficili per Juha, colpito negli affetti più profondi, con la morte della compagna Aleah: per un artista di tale sensibilità è impossibile non cercare di elaborare questa tragedia attraverso la musica, da sempre capace di veicolare sentimenti profondi come vita e morte. Nel 2016 il testamento sonoro dei Trees of Eternity fu incantevole con il suo atmosferico doom e le sue melodie soavemente cantate da Aleah, mentre le laceranti tensioni nel 2017 di Hallatar, con il growl di Tomi Joutsen a incendiare l’animo, hanno rappresentato il tributo per Aleah e il grido di dolore di Juha. Dopo aver pubblicato a fine 2018 l’EP Lumina Aurea, atmosferico e rarefatto funeral/drone doom che, come afferma Raivio, rappresenta qualcosa (a black bleeding wound) che non avrebbe mai pensato di scrivere, il nuovo anno ci porta l’ultimo viaggio sonoro della band madre con il quale l’artista vuole dimostrare che l’amore è sempre più forte della morte. Il lavoro non rappresenta un’evoluzione compositiva nella storia della band, ma piuttosto un amalgama tra le sonorità presenti nei primi due dischi di Songs from the North, l’anima melodica di Gloom e la dolcezza acustica di Beauty, per un risultato che deve essere ascoltato con il cuore, tralasciando valutazioni cerebrali o ricerche evolutive che forse ora all’artista non interessano particolarmente. Otto brani meditativi, quasi intimisti, con melodie cristalline nell’incipit di ogni brano, che si increspano e si inaspriscono durante lo svolgimento; atmosfere estremamente malinconiche, ombrose, profondamente nostalgiche, impregnano ogni nota, mantenendo sempre un grande gusto e un perfetto equilibrio, laddove clean vocals tenere ed espressive sono il veicolo ideale per esprimere i malinconici testi mantenendo il growl sullo sfondo. La title track ha una toccante maestosità e il violino lacera l’anima, Kotamaki dal canto suo canta con toni caldi e appassionati prima di esplodere in un growl violento e doloroso; la forte presenza di archi dona calore atmosferico, portandoci in un mondo desolato e dolente. When a Shadow Is Forced into the Light è un’ opera molto sentita ed emotivamente profonda: l’amore muove le corde dell’artista e prestando ad ogni passaggio la giusta attenzione, senza fretta, si è inebriati di sensazioni estremamente nostalgiche e malinconiche. E’ necessario infatti ascoltare l’album nella sua interezza, trovando il giusto tempo per lasciarsi trascinare in un viaggio che nessuno vorrebbe mai intraprendere, ma che ci intrappola in un abisso di dolore. Difficile dare una valutazione con un semplice ed arido voto ad un’opera cosi intensa, e neppure sarà importante ricordarla a fine anno tra i migliori dischi: è significativo, invece, viverla come un grande atto di amore verso la compagna di un’artista che nel brano finale ci ricorda che “it’s too late to dream again of tomorrow without the dark that will remain within me“.

Tracklist
1. When a Shadow Is Forced into the Light
2. The Crimson Crown
3. Firelights
4. Upon the Water
5. Stone Wings
6. Clouds on Your Side
7. Here on the Black Earth
8. Never Left

Line-up
Juha Raivio – Guitars, Keyboards, Songwriting, Lyrics
Matti Honkonen- Bass
Mikko Kotamäki – Vocals, Songwriting, Lyrics (track 6)
Juuso Raatikainen – Drums
Juho Räihä – Guitars
Jaani Peuhu – Keyboards, Vocals (backing)

SWALLOW THE SUN – Facebook

Cloud Taste Satanic – In Search Of Heavy

Ogni riff è rilevante e va a comporre insieme agli altri elementi un quadro pesante e pensante: le composizioni ad ampio respiro sono da ascoltare e riascoltare, dato che contengono tantissime cose notevoli e che si scoprono mano a mano che si procede nell’ascolto.

Un lento incedere, distorte maledizioni che provengono da eoni lontani, pensieri che si palesano nel fumo pesante e legnoso di droghe che bruciano su carni umane …benvenuti in un disco dei newyorchesi Cloud Taste Satanic.

L’opera completa di questo fondamentale gruppo di musica pesante per la prima volta insieme in un cofanetto di quattro cd intitolato In Search Of Heavy è uscito a dicembre in edizione super limitata di cinquanta copie, e contiene tutti loro quattro bellissimi dischi To Sleep Beyond The Earth, Your Doom Has Come, Dawn of The Satanic Age e The Glitter of Infinite Hell. Tutto ciò per preparare il terreno alle loro due nuove uscite del 2019, la prima sarà fuori la notte di Valpurga e la seconda ad Halloween, per un anno che si preannuncia molto pesante in casa Cloud Taste Satanic. Per chi non li avesse mai ascoltati si può dire che essi suonano come dei Karma To Burn più acidi e metallosi, più psichedelici ma al contempo più pesanti, come una valanga di neve che si muove sinuosamente ma che poi a terra rompe ogni cosa. Il suono è molto piacevole e ha la forma di lunghissime jam, quasi tutte sopra il quarto d’ora, nelle quali i riff montano come hashish sotto la fiamma, e il groove è continuo, una rotazione che non si ferma mai, un continuo andare avanti, bianche spirali che salgono in cielo. Nati nel 2013 a Brooklyn questi signori disco dopo disco stanno portando la commistione doom stoner sludge ad un altro livello, alzando e di molto l’asticella. La loro musica ed il loro immaginario sono descritti molto bene dai quadri di Hieronymus Bosch che spesso compaiono in loro presenza, o anche le incisioni dantesche di Gustavo Doré, perché la loro musica è una dolcissima dannazione. Pochissimi gruppi possiedono un groove equivalente a questi americani, e ancora meno un talento simile nel riuscire ad esprimere miliardi di cose con una bellissima musica strumentale. Che non è noiosa, ma è molto difficile da fare in una maniera credibile e strutturata. Ogni riff è rilevante e va a comporre insieme agli altri elementi un quadro pesante e pensante: le composizioni ad ampio respiro sono da ascoltare e riascoltare, dato che contengono tantissime cose notevoli e che si scoprono mano a mano che si procede nell’ascolto. The Glitter Of Infinite Hell del 2017 è forse la loro opera più compiuta, ma bisogna dire che tutta la discografia contenuta in questa uscita è degna di nota, mostrando molto bene la loro crescita. Un’uscita eccezionale per un gruppo assolutamente fuori dal comune.

Tracklist
1.To Sleep Beyond The Earth (Parts I & II)
2.To Sleep Beyond The Earth (Parts III & IV)

1.Ten Kings
2.One Third of The Sun
3.Beast From The Sea
4.Out of The Abyss
5.Dark Army
6.Sudden…Fallen

1.Enthroned
2.We Die We Live
3.Retribution
4.The Brocken
5.Just Another Animal
6.Demon Among The Stars

1.Greed
2.Treachery
3.Violence
4.Wrath

Line-up
Steve Scavuzzo – Guitar
Sean Bay – Bass
Greg Acampora – Drums
Brian Bauhs – Guitar

CLOUDS TASTE SATANIC – Facebook

Ghost Ship Octavius – Delirium

Tutto è semplicemente al posto giusto in questo lavoro che non ha sbavature ed alterna le varie atmosfere in un clima emozionante, tra riferimenti che vanno dai già citati Nevermore, ai Pain Of Salvation, dai Kamelot ai nuovi sovrani del genere, i Witherfall, anche se con suoni più progressivi e meno melanconici.

Uscito originariamente qualche mese fa in regime di autoproduzione, torna tramite la Mighty Music questo bellissimo album intitolato Delirium, il secondo degli statunitensi Ghost Ship Octavius.

Il trio proveniente da Seattle è formato dall’ex batterista dei Nevermore Van Williams, dal chitarrista Matthew Wicklund, già nei God Forbid e HIMSA, e dal cantante e chitarrista Adon Fanion.
Attivi dal 2012 il loro primo lavoro omonimo uscì quattro anni fa, seguito da quest’opera progressivamente metallica sulla scia dei nomi più altisonanti del metal statunitense degli ultimi anni e non solo.
I Nevermore sono ovviamente il primo gruppo a cui si pensa all’ascolto di questa ora abbondante di ottima musica, ma fortunatamente i trio non si ferma alla sola band del compianto Warrel Dane, offrendo tra le sue tracce un panorama di ispirazioni variegato condito da una personalità data dall’esperienza dei musicisti coinvolti.
Voce evocativa, trame progressive oscure e melodiche, sfuriate power/thrash dalle atmosfere drammatiche in stile U.S. Metal ed eleganza prog metal fanno di Delirium un album austero, metallico ma allo stesso tempo raffinato.
Tutto è semplicemente al posto giusto in questo lavoro che non ha sbavature ed alterna le varie atmosfere in un clima emozionante, tra riferimenti che vanno dai già citati Nevermore, ai Pain Of Salvation, dai Kamelot ai nuovi sovrani del genere, i Witherfall, anche se con suoni più progressivi e meno melanconici.
Delirium è formato da una raccolta di brani che vede The Maze, Edge Of Time, Far Below e il grandioso e drammatico finale lasciato a Burn This Ladder, le tracce più significative del sound dei Ghost Ship Octavius che mantiene un’ottima qualità e la giusta tensione dall’inizio alla fine.

Tracklist
1.Turned to Ice
2.Ocean Of Memories
3. “Saturnine
4.Delirium
5.Ghost In The Well
6.Chosen
7.Edge Of Time
8. “Far Belween
9.The Maze
10.Bleeding On The Horns
11.Burn The Ladder

Line-up
Matthew Wicklund – Guitars
Van Williams – Drums
Adon Fanion – Guitars/Vocals

GHOST SHIP OCTAVIUS – Facebook

Not Yet Fallen – Homebound ep

Non è affatto facile mettere assieme il metalcore e il meglio hardcore in maniera credibile e godibile, e i Not Yet Fallen lo fanno alla perfezione, perché non hanno pose ma voglia di fondersi con il loro pubblico.

Energia positiva, passione e melodia per la nuova fatica in formato ep dei padovani Not Yet Fallen.

I ragazzi hanno distillato il meglio dai loro ascolti e hanno tratto il meglio dal metalcore e dall’hardcore per farne una miscela originale e che funziona bene. I Not Yet Fallen sono in giro dal 2008 e sono uno dei gruppi migliori che abbiamo in Italia. Nel mare magnum del metalcore con inclinazioni hardcore ci sono miriadi di dischi anche piacevoli, alcuni notevoli, ma se volete risparmiarvi ascolti inutili puntate dritto su Homebound ep perché vi lascerà di sicuro soddisfatti. La produzione è molto accurata e fa rendere il tutto al meglio, poi il gruppo ci mette del suo con questo suono molto caldo, melodico al punto giusto che fa sembrare che i Not Yet Fallen siano proprio quello che volevate ascoltare. Melodie, cori da dito puntato in alto, voli giù dal palco, musica suonata da appassionati per altri appassionati, perché da questo non si ricava la sussistenza ma tante emozioni, voglia di sudare sotto il peso dei decibel, e quella solidarietà ed amicizia che i n altri generi se la sognano di notte. Per esempio la canzone Survivalist è una manifestazione di ciò che sanno fare questi ragazzi, ma Homebound è alla fine una canzone unica, un corpus musicale da ascoltare tutto assieme, perché è uno sguardo composto da tanti battiti di ciglia. Spesso si ha bisogno di essere avvolti da un certo tipo di musica che provochi in noi determinate emozioni, e questo è proprio il posto giusto. Non è affatto facile mettere assieme il metalcore e il meglio hardcore in maniera credibile e godibile, e i Not Yet Fallen lo fanno alla perfezione, perché non hanno pose ma voglia di fondersi con il loro pubblico. Il formato ep è sicuramente giusto, però il giramento di coglioni quando termina il disco è elevato, un po’ come lo svegliarsi da un bel sogno. Bel disco, senza se e senza ma, uno di quei rari momenti di allineamento totale fra il metalcore, te stesso e l’universo circostante.

Tracklist
1.Lone Walker (Foreword)
2.The Lesser Evil (With Regard To Anxiety)
3.Survivalist (About A Wreck)
4.Countless Steps (Concerning Change)
5.A Catharsis pt. I (Detachment)
6.A Catharsis pt. II (The Comeback Chronicles)

Line-up
Francesco – vocals
Luigi – guitar
Emmanuel – guitar
Andrea – bass
Davide – drums

NOT YET FALLEN – Facebook

Insonus – The Will to Nothingness

Gli Insonus esibiscono una vena fondamentalmente atmosferica, racchiusa in un sound cupo e al contempo melodico, nel quale il disperato abbandono del depressive lascia spazio ad una rabbia che diviene l’altra faccia di una stessa medaglia nel modo di elaborare il male di vivere.

Gli Insonus sono una nuova realtà black metal italiana, nata per volere di due musicisti abruzzesi, R. e A., quest’ultimo nome che chi frequenta il genere conoscerà quanto meno per il suo progetto L.A..C.K., uno dei migliori esempi nazionali di depressive.

Il duo, che si fa aiutare da altri due corregionali come HK (Eyelessight – drums editing) e Fulguriator (Selvans – chitarra acustica) esibisce una vena fondamentalmente atmosferica, come già fatto molto bene due anni fa con l’ep Nemo Optavit Vivere, racchiusa in un sound cupo e al contempo melodico, nel quale il disperato abbandono del depressive lascia spazio ad una rabbia che diviene l’altra faccia di una stessa medaglia nel modo di elaborare il male di vivere.
L’ovvio riferimento alla scena scandinava (nell’ambito della quale continuo a trovare in più di un caso gli Arckanum quale accostamento più attendibile, non fosse altro che per la comune capacità di esibire marcati tratti melodici senza perdere nulla in ruvidità e robustezza del sound) non rende affatto The Will to Nothingness un lavoro impersonale, perché i brani sono tutti molto solidi e dal potente impatto, contribuendo così a rendere la proposta sicuramente ben focalizzata ed avvincente.
Se le tracce I e II sono senz’altro due ottimi esempi di interpretazione del genere nell’ambito della tradizione, III si propone quale manifesto dell’album, con la sua ripresa della confessione di Antonius Block (dal capolavoro bergmaniano Il Settimo Sigillo) culminante nel momento in cui la Morte offre la logica soluzione ai tormenti del protagonista pronunciando la glaciale frase “non credi che sarebbe meglio morire “? Il tappeto sonoro che ne consegue e quello dal più elevato contenuto drammatico del lavoro, in grado di avvincere pur nella sua inusuale lunghezza di quasi dieci minuti.
Il resto di The Will to Nothingness continua a regalare un black metal di grande qualità e tensione (splendida e relativamente orecchiabile la traccia IV e molto varia e dal notevole crescendo la lunga e conclusiva VI) che si lega alla perfezione con testi che, ovviamente, non seguono l’abusato filone lirico satanista o antireligioso per dare spazio invece all’esplicito e doloroso disagio derivante dall’incapacità di trovare un senso logico e compiuto all’esistenza.
L’unione di una struttura musicale piuttosto legata alla tradizione, ma pervasa da un senso melodico spiccato, ad un comparto lirico di classica matrice depressive conduce ad un risultato davvero ottimo, confermando quello degli Insonus come uno dei nomi più interessanti in ambito nazionale.

Tracklist:
1.The Will To Nothingness I
2.The Will To Nothingness II
3.The Will To Nothingness III
4.The Will To Nothingness IV
5.The Will To Nothingness V
6.The Will To Nothingness VI

Line-up:
R. (Raven) – Lead and Rythm Guitars
A. (Acheron) – Vocals,Guitars,Bass,Programming,Mixing

Drums editing by HK
Acoustic guitars by Fulguriator

INSONUS – Facebook

Rhapsody Of Fire – The Eight Mountain

L’album è bellissimo, esaltante ed epico, del resto Staropoli questo tipo di sonorità le ha portate alla fama oltre vent’anni fa e si sente, con il sound 100% Rhapsody Of Fire che si sviluppa in un’ora di fughe velocissime, magniloquenti sinfonie epiche, atmosfere cinematografiche e cori che arrivano fino al cielo.

Una delle più importanti band italiane di sempre, e sicuramente la più conosciuta all’estero (se si parla di symphonic power metal), torna con un nuovo album a dare lustro a questo inizio anno, almeno per quanto riguarda il genere.

La storica band, accantonati i due assi Alex Turilli e Fabio Lione, si ripresenta con un Giacomo Voli in più, vero mattatore di questo ultimo lavoro, ed un songwriting che mantiene una buona qualità, anche se la formula è più che collaudata e il gruppo ne esce comunque alla grande, aiutato dal talento e dal mestiere dei protagonisti.
The Eight Mountain per i fans del gruppo nostrano risulta ancora una volta un’opera imperdibile: i Rhapsody Of Fire non deludono e chi li aspettava al varco si metta tranquillamente l’anima in pace perché Staropoli ed i suoi fidi scudieri sono ancora ben stabili sul trono del symphonic power metal.
La Bulgarian National Symphony Orchestra di Sofia, un coro con più di venti cantanti, l’uso di strumenti medievali, la produzione di Staropoli, più il mix e mastering lasciato a Sebastian “Seeb” Levermann (Orden Ogan) sono i dettagli che fanno di questo lavoro un nuovo importante tassello, nonché primo capitolo di una nuova saga (Nephilim’s Empire Saga) e sorta quindi di un nuovo inizio per la storica band tricolore.
Non riconoscere ai Rhapsody Of Fire l’importanza avuta sulla scena metal italiana e lo status di gruppo internazionale (alla pari con i Lacuna Coil) sarebbe ingiusto; la popolarità e, quindi, l’aspettativa creata da una nuova uscita della band è pari alla sua reputazione e la formula, anche se rimane pressoché inalterata, è assolutamente marchio di fabbrica del gruppo.
L’album è bellissimo, esaltante ed epico, del resto Staropoli questo tipo di sonorità le ha portate alla fama oltre vent’anni fa e si sente, con il sound 100% Rhapsody Of Fire che si sviluppa in un’ora di fughe velocissime, magniloquenti sinfonie epiche, atmosfere cinematografiche e cori che arrivano fino al cielo.
Voli fa il bello e cattivo tempo, risultando il perfetto cantore della nuova saga targata Rhapsody Of Fire, ed il consiglio è di lasciarvi conquistare da una tracklist che non trova ostacoli e che ha in Seven Heroic Deeds, nella folk ballad Warrior Heart, in March Against The Tyrant e nella conclusiva Tales Of A Hero’s Fate i brani più significativi.

Tracklist
01 – Abyss Of Pain
02 – Seven Heroic Deeds
03 – Master Of Peace
04 – Rain Of Fury
05 – White Wizard
06 – Warrior Heart
07 – The Courage To Forgive
08 – March Against The Tyrant
09 – Clash Of Times
10 – The Legend Goes On
11 -The Wind, The Rain And The Moon
12 – Tales Of A Hero’s Fate

Line-up
Giacomo Voli – Vocals
Alex Staropoli – Keyboards
Roby De Micheli – Guitars
Alessandro Sala – Bass
Manu Lottner – Drums

RHAPSODY OF FIRE – Facebook

Breathe Atlantis – Soulmade

I Breathe Atlantis giocano in un campionato che solo fino a qualche anno fa non esisteva, questo tipo di alternative è un’invenzione recente e merita di essere ascoltata ed analizzata.

Lavoro di metal moderno super melodico per i Breathe Atlantis, uno dei gruppi di punta del nuovo alternative metal molto contiguo al rock.

Il suono di questi tedeschi di Essen è la summa di ciò che ha più successo nelle frange più giovani degli ascoltatori, non fra quelli italiani. Fuori dai nostri confini i giovani sanno andare oltre la trap ed il rap, e soprattutto nel nordeuropa stanno venendo fuori gruppi che sanno coniugare molto bene la modernità con la melodia. I Breathe Atlantis hanno davvero poco o nulla di metal, il loro suono è qualcosa di vicino all’alternative rock post hardcore, con una forte spruzzata di rock. Molte canzoni sono scritte come se scorressero nell’alveo metalcore, ma in realtà sono molto più morbide. Nel loro ambito i Breathe Atlantis sono molto bravi e colgono sicuramente nel segno, dato che hanno un bel tiro e sanno dove andare. Infatti una delle cose più encomiabili della band è che è concentrata su un suono ben preciso, senza disperdere energie in mille rivoli. Il gruppo conosce bene le proprie possibilità, sa ciò che può dare e prova a migliorarsi in quella direzione, raggiungendo buoni risultati. Infatti il pubblico ha dato loro ragione, dato che hanno molti seguaci appassionati e in costante aumento. Agli ascoltatori più maturi non potrà sfuggire la ricerca musicale molto vicina ad alcune delle cose hard rock fine anni novanta, anche se qui tutto è molto moderno. Questa musica può essere fraintesa da chi ha più di venti primavere sulle spalle, e non si può davvero parlare di purezza o di imitazione, perché qui come altrove il codice musicale è qualcosa di nuovo per i quarantenni. I Breathe Atlantis giocano in un campionato che solo fino a qualche anno fa non esisteva, questo tipo di alternative è un’invenzione recente e merita di essere ascoltata ed analizzata. Può piacere come no, ma è un qualcosa di ben presente e vivo, ha molti elementi positivi e non può essere giudicato tramite vecchi e superati parametri. Nel loro campo i Breathe Atlantis sono fra i migliori e puntano apertamente a provarlo.

Tracklist
1. My Supernova
2. Cold
3. Don’t Need You Now
4. Fall
5. Spirit
6. I Think It Isn’t Fair
7. Soulmade
8. Savage
9. At Night
10. Addiction To The Worst
11. Everyone Else

Line-up
Nico Schiesewitz – Vocals
Joschka Basteck – Guitars
Jan Euler – Bass
Markus Harazim – Drums

BREATHE ATLANTIS – Facebook

Dictator – Dysangelist

Dysangelist, album uscito nel 2008 e riedito oggi dalla Aestethic Death, è una dimostrazione di di musica minimale e a tratti inaccessibile nel suo intento di scarificare lentamente la coscienza dell’ascoltatore.

Ed eccoci arrivare anche dalla soleggiata isola di Cipro un esempio di cupo metal estremo degno di una provenienza da lande ben piu desolate e meno vivibili.

Del resto abbiamo ormai imparato che la necessità di esimere un certo disgusto esistenziale è indipendente dal punto del pianeta in cui il fato ha deciso di farci nascere, anche se non c’è dubbio che almeno statisticamente chi vive in luoghi freddi è in qualche modo più portato a sviluppare una certa indole depressiva o misantropica (il fatto che sia il black che il funeral doom abbiano avuto la loro genesi nell’estremo nord europeo qualcosa vorrà pur dire).
Il nostro Dictator, nonostante non viva per gran parte dell’anno tra neve e ghiaccio e neppure sia costretto a provare l’alienazione chi risiede nelle grandi metropoli, ci investe con un’ora e un quarto di musica di difficile assimilazione che, se ha il funeral doom quale base di appoggio, conserva molto del depressive black a livello di approccio: questo letale mix va a formare Dysangelist, album uscito nel 2008 e riedito oggi dalla Aestethic Death, una dimostrazione di di musica minimale e a tratti inaccessibile nel suo intento di scarificare lentamente la coscienza dell’ascoltatore.
Dissonanze urla, cori gregoriani si susseguono all’interno di una ritmica sempre uguale ed incessante, andando a creare un quadro di inascoltabilità per gran parte di chi si dovesse incautamente avvicinare all’opera senza essere in possesso dei necessari anticorpi; chi, invece, è aduso alla frequentazione di queste desolate lande psichiche, troverà in questa opportuna riedizione di quello che è rimasto l’unico full length marchiato Dictator il fascino irresistibile che può rivestire una così cruda e devastante rappresentazione di disagio esistenziale.

Tracklist:
1. Dysangelist
2. Sanctus
3. Monolithos
4. Phantom Cenotaphium

Line-up:
Dictator – Everything

Mind’s Doors – The Edge Of The World

The Edge Of The World risulta un lavoro molto ispirato, il quintetto mostra le varie anime e personalità che compongono la propria visione di musica progressiva, in un caleidoscopio di note che portano l’ascoltatore in un affascinante viaggio musicale di oltre un’ora tra splendide parti rock, superbe porzioni di metal strumentale e moderne partiture di quel progressive che nel nuovo millennio sta trovando una buona fetta di ammiratori.

Le nuove leve del progressive rock stanno regalando grosse soddisfazioni agli amanti del genere, specialmente a chi ha tagliato il cordone ombelicale che lo teneva legato alla mentalità conservatrice che attanaglia molti fans del genere e ha liberato la voglia di nuova musica, senza dimenticare ovviamente chi di queste sonorità ha fatto la storia.

Dalla Scandinavia, passando per l’Europa ed attraversando oceani e catene montuose per arrivare in tutto il mondo, la musica progressiva ha trovato nuova linfa in quelle band che stanno contribuendo con la loro freschezza e talento a riportare all’attenzione degli ascoltatori il genere, amalgamando con sagacia il progressive tradizionale con la sua anima metallica e quella più moderna.
Esempio di questa riuscita commistione di atmosfere è il bellissimo lavoro intitolato The Edge Of The World, il secondo per i Mind’s Doors, band spagnola proveniente da Alicante e fresca di firma con la Wormholedeath.
L’album é stato registrato e mixato da Wahoomi Corvi and Cristian Coruzzi al Realsound Studios di Parma, mentre il master é stato completato da Mika Jussila agli storici Finnvox di Helsinki, tanto per chiarire che siamo al cospetto di un’opera con tutte le carte in regola per far innamorare i progsters di tutto il mondo.
The Edge Of The World risulta infatti un lavoro molto ispirato: il quintetto mostra le varie anime e personalità che ne compongono la visione di musica progressiva, con un caleidoscopio di note che portano l’ascoltatore in un affascinante viaggio musicale di oltre un’ora tra splendide parti rock, superbe porzioni di metal strumentale e moderne partiture progressive.
Tra gli otto brani medio-lunghi le due suite che aprono e chiudono l’album (A Warm Nest e la title track) rappresentano i momenti più intensi di una tracklist di altissima qualità, fatta di piccoli gioielli compositivi in cui la parte strumentale la fa da padrone e che hanno nei Dream Theater, così come negli Haken, nei Rush e nei Leprous, una parte delle tante anime musicali che compongono questo bellissimo ed imperdibile The Edge Of The World.

Tracklist
1. A Warm Nest
2. Hollow Days
3. Koma
4. Sweet Dreams
5. The Light
6. Endless Nights
7. Victoria
8. The Edge of the World

Line-up
César Alcaraz Argüeso
Eloy Romero Esteve
Alberto Abeledo Sánchez
Marcos Beviá Cantó
Jose Francisco Bernabeu Briones

MIND’S DOORS – Facebook

Onset – Unstructured Dissemination

Unstructured Dissemination è una prova davvero convincente e la sensazione è quella che gli Onset siano tranquillamente in grado di reggere un lavoro su più lunga distanza, nonostante la loro natura di progetto esclusivamente strumentale.

Gli Onset sono un duo proveniente da Singapore autore di un doom metal strumentale di buonissima fattura.

L’estrazione esotica della band non deve trarre in inganno perché qui abbiano a che fare con musicisti esperti come Shamtos e Calvin, con quest’ultimo che è anche il proprietario della notevole etichetta Pulverised Records.
A chiudere questo cerchio di matrice asiatica, va detto che questo ep d’esordio degli Onset esce per Weird Truth, label a sua volta gestita da una figura storica del doom giapponese come Makoto Fujishima.
I due lunghi brani offerti dal duo si snodano lungo coordinate oscillanti tra il funeral ed il post metal, un qualcosa che a tratti può anche rimandare ai primi Monolithe, scremato però di buona parte della loro aura cosmica a favore di un maggiore impatto melodico.
La chitarra di Calvin tesse sovente buone linee melodiche e bisogna dire che quando si arriva alla fine del lavoro, dopo circa venticinque minuti, il fatto di non aver mai ascoltato l’intervento di una voce è una constatazione del tutto marginale, visto che il sound si regge ampiamente da solo anche grazie ad una lunghezza complessiva non eccessiva.
Le due tracce, ovviamente, seguono coordinate comuni anche se Permeation: The Ordeal ha un incedere più canonicamente funeral rimarcato da dolenti linee di chitarra solista, mette Pestis: The Suppressing & Recurrence mostra caratteristiche più robuste ed ossessive.
Il giudizio finale rappresenta la media del valore di queste due tracce, con la prima davvero splendida e coinvolgente in ogni suo momento e la seconda decisamente buona ma, in qualche modo, più ordinaria e comunque meno ricca delle brillanti intuizioni e dell’impatto emotivo esibito in Permeation.
Unstructured Dissemination è una prova davvero convincente e la sensazione è quella che gli Onset siano tranquillamente in grado di reggere un lavoro su più lunga distanza, nonostante la loro natura di progetto esclusivamente strumentale.

Tracklist:
1.Permeation: The Ordeal
2.Pestis: The Suppressing & Recurrence

Line-up:
Shamtos – Drums / Bass
Calvin – Guitars

ONSET – Facebook

New Mecanica – Vehement

Vehement, terzo album dei portoghesi New Mecanica, si rivela una bella e potente mazzata alternative, di quelle che al rock aggiungono irruenza metal lasciando che si allei con la melodia per quarantacinque minuti di metal statunitense moderno suonato ottimamente.

L’arrabbiatissimo “kong” che campeggia in copertina rende bene l’idea di cosa andrete ad ascoltare quando premerete il tasto play del vostro lettore.

Vehement, terzo album dei portoghesi New Mecanica, risulta infatti una bella e potente mazzata alternative, di quelle che al rock aggiungono irruenza metal lasciando che si allei con la melodia per quarantacinque minuti di metal statunitense moderno suonato ottimamente.
Lo zampino della Wormholedath, con cui la band di Barreiro ha firmato un contratto per la distribuzione dell’album, è la classica ciliegina sulla torta preparata dal quintetto e composta da dieci brani potenzialmente inarrestabili, per potenza ritmica, grande uso delle voci (una più ruvida e metal, l’altra invece dall’appeal alternative rock) ed un songwriting che permette ai New Mecanica di contare su un lotto di canzoni che formano un album da cui difficilmente si riesce a staccarsi.
Dall’opener A Second, infatti, il gruppo sfoga irruenza metal ed attitudine rock, come se il nostro amico in copertina si fosse liberato dalle catene e, salito sul grattacielo più alto della città, sfogasse tutta la sua voglia di libertà al suono delle varie Chronophobia, Lost Paradise e Reflect.
Metal di ispirazione thrash (i Metallica del Black Album) e l’alternative rock (Alter Bridge) si uniscono al sound di Soil e Black Label Society (Written) ed esplodono in tutta la loro potenza in questo ottimo lavoro, da non perdere se siete amanti di queste sonorità.

Tracklist
1. A Second
2. Chronophobia
3. Lost Paradise
4. Two Worlds
5. Reflect
6. Written
7. Clouded
8. Vehement
9. Never Fade
10. Journey

Line-up
Dinho – vocals
André – Guitar
Pepe – Guitar
PH – Bass
Bunny – Drums

NEW MECANICA – Facebook

Usurper – Lords Of The Permafrost

Lords Of The Permafrost è dunque avaro di sorprese e da una band come gli Usurper non ci si aspettano sicuramente drastici cambiamenti, ma il solito massacro old school che fin dal primo brano viene assolutamente assicurato.

E’ dal lontano 1993 che gli Usurper danno libero sfogo alla loro attitudine estrema, ferma dal quattordici anni ma protagonista nel decennio tra il 1995 ed il 2005, periodo che ha visto il gruppo di Chicago licenziare un considerevole numero di lavori tra full length, split ep e compilation.

Il ritorno dopo il lungo silenzio si chiama Lords Of The Permafrost, album che rinverdisce i fasti dei lavori storici del quartetto (Skeletal Season e Necronemesis su tutti) e non deluderà i fans che da tanto tempo aspettavano buone nuove dagli Usurper, coì come non riuscirà a trovarne di nuovi, questo va detto, visto il clima old school che regna in questa raccolta di brani che uniscono thrash metal, death primordiale ed attitudine heavy.
Il batterista Joe Warlord ed il chitarrista e cantante Rick Scythe sono accompagnati in questo nuovo inizio dal cantante Dan Tyrantor e dal bassista Scott Maelstrom: l’album è stato registrato e prodotto presso l’Electrical Audio di Chicago dalla band con l’aiuto di Taylor Hales, mentre l’artwork è stato realizzato da Juha Vuorma.
Lords Of The Permafrost è dunque avaro di sorprese e da una band come gli Usurper non ci si aspettano sicuramente drastici cambiamenti, ma il solito massacro old school che fin dall’opener Skull Splitter è assolutamente assicurato.
Una quarantina di minuti scarsi per dar battaglia come ai bei tempi, questo è il tempo a disposizione della band di Chicago che non cambia di una virgola il suo impatto tra rasoiate thrash, potenza death e cavalcate heavy metal.
Brani come Cemetery Wolf e Gargoyle testimoniano l’ancora intatta voglia di far male degli Usurper, tornati in uno stato di forma convincente, almeno per i loro fans, che non rimarranno certo delusi dal nuovo agognato lavoro.

Tracklist
1.Skull Splitter
2.Beyond The Walls Of Ice
3.Lords Of The Permafrost
4.Cemetery Wolf
5.Warlock Moon
6.Gargoyle
7.Black Tide Rising
8.Mutants Of The Iron Age

Line-up
Joe Warlord – Drums
Rick Scythe – Guitars, B.Vocals
Dan Tyrantor – Vocals
Scott Maelstrom – Bass

USURPER – Facebokk

Instorm – Taming The Chaos

L’album non mostra lacune e spinge forte sull’appeal melodico del genere, risultando magari derivativo in certe parti, ma pervaso in generale da una certa personalità e per questo assolutamente consigliato.

Quando ci si imbatte in una band proveniente dalla madre Russia, terra di grande rispetto per l’arte delle sette note e ancora da esplorare a fondo nel suo sempre più ricco underground metallico, le sorprese sono sempre dietro l’angolo

Gli Instorm con il loro secondo lavoro non tradiscono questa piacevole abitudine: il terzetto composto da Roman Nemtsev (voce e chitarra), Marina Nemsteva (chitarra) e Alexander Petrov (chitarra) è attivo dal 2011, con il debutto datato 2013 (Madness Inside) che fa da preludio a questo nuovo lavoro intitolato Taming The Chaos.
Il sound è un melodic death metal di scuola scandinava reso a suo modo originale da molti interventi chitarristici di stampo neoclassico ed atmosfere power/epic folk che collocano la band moscovita nel calderone dei gruppi che seguono pedissequamente il sound degli storici gruppi svedesi e finlandesi, ma con una marcia in più.
Infatti, è davvero bello questo lavoro in diversi frangenti , ricco com’è di cavalcate chitarristiche tecnicamente lodevoli, di melodie accattivanti e dai rimandi epici che creano un alone fantasy molto suggestivo.
Ascoltare per credere le spettacolari Another Reflection, Quest For Light e Lifeless, brani che uniscono in un sol colpo Children Of Bodom, Omnium Gatherum, Norther, Wintersun e sua maestà Yngwie Malmsteen.
L’album non mostra lacune e spinge forte sull’appeal melodico del genere, risultando magari derivativo in certe parti, ma pervaso in generale da una certa personalità e per questo assolutamente consigliato.

Tracklist
1. The Origin of Chaos
2. Day`Night
3. Another Reflection
4. Lethal Winter
5. Quest for the Light
6. Reach for the Sky
7. Serenity
8. Wisdom of Insanity
9. Lifeless
10. Faith Path
11. The Light

Line-up
Roman Nemstev – Guitars, Vocals
Marina Nemsteva – Guitars
Alexander Petrov – Bass

INSTORM – Facebook

Majestic Downfall – Waters Of Fate

Waters Of Fate è un’opera densa, rocciosa e al contempo piuttosto ricca di aperture melodiche che si alternano senza soluzione di continuità a robusti riff e al growl di Jacobo che, talvolta, assume sembianze più disperate e strazianti.

Giusto dieci anni fa l’album Temple Of Guilt mise in luce il nome di Jacobo Córdova, al passo d’esordio su lunga distanza con il suo progetto Majestic Downfall.

In questo lasso di tempo il musicista messicano ha consolidato la propria fama all’interno della scena doom d’oltreoceano e oggi giunge, con Waters Of Fate, al proprio quinto full length, un traguardo che normalmente viene raggiunto da chi ha realmente il talento e la continuità necessaria per mantenere viva la fiamma della passione musicale.
Il nuovo album non delude le giuste aspettative di chi ha imparato a conoscere questo interessante progetto nel corso degli anni, e l’opener Veins è il miglior viatico possibile in quanto ci mostra subito il volto più efficace dei Majestic Downfall, quello capace di unire con grande disinvoltura passaggi di grande robustezza ad ampie aperture melodiche, mantenendo il tutto nell’alveo dei death doom melodico più tradizionale.
Nonostante una traccia come questa offra diversi e stimolanti cambi di scenario nel corso dei propri tredici minuti, ci sarà sempre qualcuno che non perderà l’occasione di ricordarci come in tali occasioni il tutto appaia già sentito: un parere lecito e spesso fondato, ma al riguardo il mio consiglio è di farsi un’idea propria, perché chi considera il doom estremo alla stregua di altri generi continuando a battere su questo tasto (a meno che, ovviamente, non ci si trovi di fronte ad un vero e proprio plagio) significa che non ne ha colto né l’essenza né la sua vera natura.
Waters Of Fate è in realtà un’opera densa, rocciosa e al contempo piuttosto ricca di aperture melodiche che si alternano senza soluzione di continuità a robusti riff e al growl di Jacobo che, talvolta, assume sembianze più disperate e strazianti: i quattro lunghi brani portanti sono esemplari per quanto riguarda l’interpretazione ottimale del genere e, come sempre, per poterne assimilare al meglio i contenuti sono necessari diversi ascolti; d’altra parte qui il dolore non viene esibito in maniera esplicita tramite passaggi dall’irresistibile potenziale evocativo, bensì va ricercato all’interno delle pieghe di un sound che, forse mai come in quest’occasione, trae linfa dai maestri Evoken, rielaborandone la lezione in maniera meno ottundente ed asfissiante e dando maggiore spazio a soluzioni acustiche e soliste, sia di chitarra che di basso.
Forse nei brani contenuti nello split con i The Slow Death del 21014 l’impatto emozionale era apparso ai massimi livelli, ma quest’ultimo lavoro esibisce una struttura solida e priva di cedimenti, frutto evidente di un lavoro compositivo ed esecutivo di grande maturità.

Tracklist:
1. Veins
2. Waters of Fate
3. Contagious Symmetry
4. Spore
5. Collapse Pitch Black

Line-up:
Jacobo Córdova – Vocals, Guitars, Bass, Keyboards, Drums
Alfonso Sánchez – Drums

MAJESTIC DOWNFALL – Facebook

A Vintage Death – Acrid Death Fragrance

Trattandosi di un demo, ovviamente, non siamo in presenza di suoni ottimali, ma tale aspetto passa in secondo piano rispetto a questa ventina di minuti abbondanti ricchi di spunti pregevoli che necessitano appunto solo di una rifinitura a livello formale per essere al 100% competitivi.

Acrid Death Fragrance è il demo che porta a conoscenza degli appassionati di metal estremo il nome A Vintage Death, one man band creata dal musicista abruzzese Carmine D’Annibale.

Carmine è stato in passato batterista in diversi gruppi, tra i quali i Rising Moon sono stati i più rilevanti, ma qui si occupa dell’intera strumentazione svincolandosi dal death melodico di quella band per approdare ad un’intrigante forma di metal che ingloba elementi black, death e doom.
Trattandosi di un demo, ovviamente, non siamo in presenza di suoni ottimali, ma tale aspetto passa in secondo piano rispetto a questa ventina di minuti abbondanti ricchi di spunti pregevoli che necessitano appunto solo di una rifinitura a livello formale per essere al 100% competitivi.
Se un brano come When the Spirit Smell His Corpse, posto in apertura del lavoro, si dimostra già abbastanza esaustivo riguardo la bontà della proposta, con il suo incedere dolente e allo stesso tempo melodico, in Gloomy Tombs è invece una componente black metal non distante da quella dei Forgotten Tomb a prendere il sopravvento, mentre Ominous Dream possiede diversi cambi di ritmo e di scenario passando da repentine sfuriate a momenti più evocativi; la title track esibisce un’indole più sognante e melodica, con la chitarra a tessere linee dal buon impatto emotivo, e infine Lume chiude il demo con sonorità piuttosto rarefatte nella sua prima parte ed un’indole complessivamente più atmosferica e sperimentale.
Fatte le debite tarature, il passo d’esordio targato A Vintage Death è senz’altro positivo, in quanto il sound esibito appare decisamente affascinante ancorché piacevolmente naif e genuino: mi piace pensare che Carmine abbia tentato di far proprio l’approccio diretto e privo di orpelli del suo illustre conterraneo Mario Di Donato, rivestendolo di una struttura decisamente più robusta e metallica.
In prospettiva di una possibile uscita di più lunga durata da immettere con tutti i crismi sul mercato discografico, ritengo che l’aspetto sul quale il musicista di Ortona debba lavorare maggiormente sia il comparto vocale, in quanto sia il growl sia le clean vocals sono decisamente perfettibili, all’interno di una struttura compositiva che di suo appare già abbastanza rilevante.

Tracklist:
1. When the Spirit Smell His Corpse
2. Gloomy Tombs
3. Ominous Dream
4. Acrid Death Fragrance
5. Lume

Line-up:
Carmine – Everything

A VINTAGE DEATH – Facebook

Ancestor – Lords Of Destiny

La sacra triade del thrash metal teutonico approva ed applaude questi musicisti cinesi, protagonisti di una buona prova, in cui attitudine ed impatto sono le armi per non fare prigionieri tra gli amanti del thrash metal old school.

Interessante lavoro che ci giunge dalla Cina, terra inusuale almeno fino ad oggi parlando di metal, con il primo full length dei thrashers Ancestor.

Nato addirittura nel 2007, il quartetto ha esordito solo lo scorso anno con l’ep Age Of Overload, seguito appunto da Lords Of Destiny, album che riprende le sonorità old school di matrice teutonica e, senza allontanarsi troppo da quello suonato dalle band storiche del genere, ha creato una raccolta di brani duri come la roccia, veloci e senza compromessi.
Meng Li (voce e chitarra), Fuwen Yang (chitarra), Han Li (basso), Yang He (batteria) provengono sì da Pechino, ma il loro sound risulta un buon esempio di thrash metal teutonico in cui le chitarre si lanciano in cavalcate dirette, a tratti al limite dello speed, le ritmiche tengono il passo e la voce cartavetrata ci investe in tutta la sua rabbiosa potenza.
Lords Of Destiny risulta un lavoro convincente, ovviamente senza mostrare particolari novità, ma l’impatto è di quelli che lasciano il segno e riesce a coinvolgere, specialmente se si è amanti di queste storiche ed immortali sonorità.
Rise By Sin dà via ad una corsa che non si ferma davanti a nulla, colpendo con mitragliate metalliche come Bloody Repression, Pain And Hate e Tormentor, inno thrash metal per eccellenza.
La sacra triade del thrash metal teutonico approva ed applaude questi musicisti cinesi, protagonisti di una buona prova, in cui attitudine ed impatto sono le armi per non fare prigionieri tra gli amanti del thrash metal old school.
Gli Ancestor risultano una porta aperta sul mondo metallico del loro paese ancora tutto da scoprire, attraversatela senza timore, non ve ne pentirete.

Tracklist
1.Rise By Sin
2.Deathlike Silence
3.Bloody Repression
4.The Final Worship
5.Black Future
6.Tormentor
7.Pain And Hate
8.Savage Action
9.Inner Struggle

Line-up
Meng Li – Vocals, Guitars
Fuwen Yang – Guitars
Han Li – Bass
Yang He – Drums

ANCESTOR – Facebook

Unclouded Perception – District

Bravi quando scelgono le strade del metal estremo melodico, i cinque tedeschi mettono sul piatto una melodia vincente ed un grande impatto, all’interno di un mix di generi ed influenze che crea un sound personale ed estremamente convincente.

Nati nel 2009, arrivano all’esordio su lunga distanza grazie alla Wormholedeath i tedeschi Unclouded Perception, band portata nel nostro paese e lasciata nelle sapienti mani di Wahoomi Corvi che, insieme a Cristian Coruzzi, ha registrato e mixato l’album ai Realsound Studio di Parma.

Scordatevi il solito gruppo modern metal, anche se il look della band potrebbe ingannarvi, perché come da tradizione della label anche gli Unclouded Perception hanno qualcosa che li distingue nel vasto panorama del metal odierno.
Infatti, ad un approccio melodico attuale la band unisce elementi classici e di stampo thrash, e ne esce così un lavoro vario e a suo modo originale, sempre in bilico tra tradizione e modernità.
Schegge impazzite di melodic death metal, ritmiche che passano dalle classiche ripartenze thrash a più moderni mid tempo, voce graffiante di matrice thrash old school e solos heavy compongono un sound prepotente, a tratti selvaggio, al quale il gran lavoro in consolle dona sfumature moderna, note cristalline ed un appeal sufficiente per spingere all’ascolto degli undici brani che compongono District.
Bravi quando scelgono le strade del metal estremo melodico, i cinque tedeschi mettono sul piatto una melodia vincente ed un grande impatto, all’interno di un mix di generi ed influenze che crea un sound personale ed estremamente convincente.
Tra le note di queste undici adrenaliniche tracce troverete di che sfamare la vostra voglia di metal, perché di questo alla fine si tratta.

Tracklist
1.Apocalypse
2.Kingdom of Blood
3.Rain
4.Sweet Maiden
5.Live 6.Rise
7.Never Ending Race
8.Circus
9.The Punisher
10.Turn the Tables
11.The Warming Cold

Line-up
Bernhard Huber – Vocals
Andreas Eder – Guitars
Martin Stadlmaier – Guitras
Josef Brettmeister – Bass
Martin Klose – Drums

UNCLOUDED PERCEPTION – Facebook

Sinoath – Anamnesis

Quello del quartetto catanese è un dark metal personale e ben suonato che prende le mosse, come è ovvio che sia, da un retaggio sabbathiano per arricchirlo con soluzioni ingegnose ed interessanti.

Se la nosografia è nelle scienze naturali ed anche in medicina catalogazione dei dati racconti, con la anamnesi si giunge ad interpretarli. Un passo ulteriore.

Ed il passo compiuto dai siciliani Sinoath è, realmente, ottimo. Quello del quartetto catanese, attivo fin dai primi anni novanta, è un dark metal personale e ben suonato, Si parte, come è ovvio che sia, da un retaggio sabbathiano (diversi frangenti musicali del disco sono omaggi, quasi, alla creatura di Tony Iommi) per arricchirlo con soluzioni ingegnose ed interessanti. La title-track ci introduce a Saturnalia, pezzo di indubbio spessore che si diffonde in ambientazioni oscure e sonorità spettrali. Piace nella fattispecie l’impiego dell’organo. Le atmosfere sono quasi magiche, gli arpeggi medievaleggianti. Il tocco della band è spesso ipnotico e conturbante, tetro e misterioso, naturalmente con la giusta dose di dinamismo. Join Us appare maggiormente legata ai canoni dell’hard rock più classico, sia pure in un contesto che resta saldamente ancorato al doom tradizionale. Dopo la funerea Brainstorming, è la volta dello strumentale Hyperuranius e degli oltre dieci minuti di The Absolute Nowhere, varia ed a tratti piacevolmente acustica. Chiude la soave elegia di Arcadia, degno suggello dell’album.

Track list
1 Anamnesis
2 Saturnalia
3 A Journey Unknown
4 Join Us
5 Brainstorming
6 Hyperuranius
7 The Absolute Nowhere
8 Arcadia

Line up
Fabio Lipera – Guitars
Alessio Zappalà – Bass
Salvatore Fichera – Drums
Francesco Cucinotta – Guitars / Vocals

SINOATH – Facebook

Def Leppard – The Story So Far-The Best Of

The Story So Far- The Best Of è la classica raccolta che ripercorre gli anni di una band che ha fatto la storia del genere, per cui è ovvio che qui si trovino i maggiori successi, così come qualche brano degli ultimi lavori, magari sfuggito ai fans della prima ora.

I Def Leppard sono un’istituzione per gli amanti dell’hard & heavy, perché anche se inserita con non poca fatica nel carrozzone della new wave of british heavy metal, la band di Joe Elliot si è sempre espressa su coordinate melodiche dall’appeal irresistibile, trovando il successo anche tra chi non ascolta metal abitualmente.

Rock, pop, hard rock da arena, super ballad che hanno conquistato migliaia di fans in giro per il mondo, lungo una carriera arrivata oltre i quarant’anni costellata da successi planetari e tragedie umane che hanno segnato in modo indelebile la storia del gruppo britannico.
The Story So Far- The Best Of è la classica raccolta che ripercorre gli anni di una band che ha fatto la storia del genere, per cui è ovvio che qui si trovino i maggiori successi, così come qualche brano degli ultimi lavori, magari sfuggito ai fans della prima ora.
I Def Leppard arriveranno nel nostro paese all’inizio dell’estate insieme agli Whitesnake, formando una coppia d’assi imperdibile per i rockers con qualche capello bianco sulla chioma ormai rada, e The Story So Far è l’occasione per una retrospettiva sul meglio che il gruppo ha offerto nella sua lunga carriera.
La raccolta esce in vari e formati e per tutti i gusti: 2 CD /1 CD/ 2 LP + bonus 7” con appunto una raccolta di singoli, “The Hysteria Singles”, box in edizione limitata con 10 singoli 7” in vinile, ma ci sono anche note dolenti: a parte il singolo natalizio We All Need Christmas e la cover di Personal Jesus dei Depeche Mode, non ci sono tracce inedite e vengono completamente ignorati i brani dai primi due lavori (On Through the Night e High ‘n’ Dry), scelta che lascia con l’amaro in bocca per l’importanza storica dei due lavori in questione.
Per il resto The Story So Far è un tuffo nella musica dei Def Leppard tra classici immortali e brani splendidi ma meno conosciuti, in un lungo abbraccio con questi signori dell’hard & heavy, con cui più o meno tutti siamo cresciuti e che hanno segnato qualche stagione della nostra vita con le loro hit.
Non siamo molto in sintonia con questo tipo di operazioni, ma per i Def Leppard facciamo volentieri un’eccezione, anche per l’immensa discografia dei nostri e l’importanza che hanno avuto nel portare al successo la nostra musica preferita.

Tracklist
Disc 1
01. Animal
02. Photograp
03. Pour Some Sugar On Me
04. Love Bites
05. Let’s Get Rocked
06. Armaggedon It
07. Foolin’
08. Two Steps Behind
09. Heaven Is
10. Rocket
11. Hysteria
12. Have You Ever Needed Someone So Bad
13. Make Love Like A Man
14. Action
15. When Love & Hate Collide
16. Rock of Ages
17. Personal Jesus

Disc 2
01. Let’s Go
02. Promises
03. Slang
04. Bringin’ On The Heartbreak
05. Rock On (Radio Remix)
06. Nine Lives” (feat. Tim McGraw)
07. Work It Out
08. Stand Up
09. Dangerous
10. Now
11. Undefeated
12. Tonight
13. C’Mon C’Mon
14. Man Enough
15. No Matter What
16. All I Want Is Everything
17. It’s All About Believing
18. Kings Of The World

Line-up
Joe Elliott – Vocals
Phil Collen – Guitar & Vocals
Vivian Campbell – Guitars & Vocals
Rick “Sav” Savage – Bass & Vocals
Rick Allen – Drums & Vocals

DEF LEPPARD – Facebook