Doomcult – Life Must End

I Doomcult non finiranno sui rari libri dedicati al doom (e in quei pochi non vengono citate neppure band che meriterebbero interi capitoli …) ma sono un’alternativa tutto sommato stimolante e a suo modo abbastanza originale ai soliti nomi.

Eccoci alle prese con un nuovo lavoro dei Doomcult, progetto solista dell’olandese J.G. Arts.

Life Must End contiene anche i tre brani inseriti nell ep Ashes (del quale abbiamo parlato alcuni mesi fa), il che ovviamente è un indicatore della continuità stilistica dell’operato di questo musicista.
Anche in questo caso, quindi, troviamo pertanto un doom essenziale ma non privo di spunti interessanti, ai quali viene meno il supporto di una voce più incisiva o comunque più adatta al genere rispetto al ringhio messo in campo da Arts.
Va detto che, comunque, è sicuramente preferibile questa opzione piuttosto che una voce pulita incerta e priva di nerbo perché, quanto meno, questa scelta pur non essendo ottimale garantisce un impatto adeguato alla bisogna.
In generale Life Must End è un opera che conferma in toto le impressioni fornite con i tre brani di Ashes, dei quali Black Fire si riconferma il picco con i suoi toni più evocativi: Arts propone la musica che più ama senza troppi fronzoli né particolari contraffazioni e questo già non e poco. Poi, evidentemente, ciò non può bastare per rendere quello dei Doomcult un nome che verrà ricordato tra qualche decina d’anni ma è abbastanza per ottenere l’apprezzamento degli appassionati del genere.
In generale i brani hanno il pregio di possedere il giusto groove per mantenere un buon livello di attrattività, sia quando i ritmi divengono un po’ più incalzanti, sia quando rallentano in ossequio alo spirito del doom più autentico (notevole la conclusiva Deathwish , ideale manifesto del progetto di Arts a giudicare anche dall’autocitazione).
Insomma, i Doomcult non finiranno sui rari libri dedicati al doom (e in quei pochi non vengono citate neppure band che meriterebbero interi capitoli …) ma sono un’alternativa tutto sommato stimolante e a suo modo abbastanza originale ai soliti nomi, sia per gli appassionati del genere nella sua veste più classica sia per quelli più orientati al suo versante estremo.

Tracklist:
1. Suffering
2. Sulphur
3. Black Fire
4. King of Bones
5. Ashes
6. Inferno
7. Deathwish

Line-up:
J.G. Arts – Everything

DOOMCULT – Facebook

Skelethal/Cadaveric Fumes – Heirs Of Hideous Secrecies

Due proposte dalla ancora poco considerata (se non dai cultori del metal estremo underground) scena transalpina che, invece, ha in serbo vere e proprie sorprese sia in campo death che nell’ancora più oscuro e maligno black metal.

La Hells Headbangers records licenzia questo split che vede protagonisti due gruppi francesi alle prese con un putrescente death metal old school.

Un paio di brani ciascuno per Cadaveric Fumes e Skelethal, band molto seguite nel panorama underground estremo del loro paese, tutte due assolutamente devote al genere suonato all’alba degli anni novanta, nella sua versione più malefica e catacombale.
I primi a scendere in campo sono i Cadaveric Fumes, band di Rennes attiva dal 2011 ma ancora senza un full length in bella mostra nella propria discografia composta da un paio di ep, altrettanti demo e da uno split con i Demonic Oath.
The Spectral Parade e Necromancy Sublime ci presentano un gruppo che rispecchia in toto il genere nella versione più marcia e morbosa, con il suono che esce come se provenisse da una cripta, alternando stacchi e mid tempo a veloci ripartenze e restando fedele al più oscuro e fetido death metal vecchia scuola.
Il discorso non cambia con Emerging From The Ethereal Threshold e Torrents Of Putrefying Viscosity, le due tracce firmate Skelethal, gruppo di Lille che invece il suo full length lo ha pubblicato lo scorso anno (Of The Depths….) dopo una manciata di lavori minori, per arrivare assolutamente in forma a questa release che li fotografa come band di death metal vecchia scuola di matrice scandinava.
Rispetto ai Cadaveric Fumes, gli Skelethal possiedono un impatto più potente e atmosfere meno catacombali, ma il risultato tutto sommato rimane confinato nel genere.
Due proposte dalla ancora poco considerata (se non dai cultori del metal estremo underground) scena transalpina che, invece, ha in serbo vere e proprie sorprese sia in campo death che nell’ancora più oscuro e maligno black metal.

Tracklist
1.Cadaveric Fumes – The Spectral Parade
2.Cadaveric Fumes – Necromancy Sublime
3.Skelethal – Emerging From The Ethereal Threshold
4.Skelethal – Torrents Of Putrefying Viscosity

Line-up
Skelethal:
Jon Whiplash – Drums, Bass
Gui Haunting – Vocals, Guitars

Cadaveric Fumes :
Lèo Brard – Drums
Wenceslas Carrieu – Guitars, Vocals
Romain Gibet – Vocals
Reuben Muntrand – Bass

SKELETHAL – Facebook

CADAVERIC FUMES – Facebook

Musmahhu – Reign of the Odious

La poliedricità di Swartadaupuz è infinita e ci regala un’opera feroce e malvagia dedita a un death compatto, claustrofobico e corrosivo.

Entriamo nell’underground svedese diabolico, oscuro e malvagio oltre ogni aspettativa; il debutto dei Musmahhu contiene tutte queste amene caratteristiche e di questo dobbiamo ringraziare la teutonica Iron Bonehead, da sempre immersa in queste sonorità catramose e sotterranee.

Debutto davvero interessante ma dietro le quinte tira le fila Swartadaupuz, un personaggio storico dell’estremo in terra scandinava, immerso in molteplici progetti prettamente black, tutti di ottima qualità, dal raw all’atmosferico con taglio personale. Chi segue la scena si sarà sicuramente imbattuto in acts come Svartit, Helgedom e Azelissasath solo per citarne alcuni; sono molto numerosi i suoi progetti ma la poliedricità e la forte personalità rendono ogni uscita meritevole di attenzione. Non pago di questa iperattività e arso dal sacro fuoco interiore, Swartadaupuz si lancia in una nuova avventura dedicandosi all’esplorazione del versante black death della sua ispirazione creando un concentrato di potenza e costruendo un muro impenetrabile di suoni, claustrofobico e intossicante e accompagnato da Likpredikaren alle vocals, dal growl depravato e gorgogliante; noi incauti ascoltatori siamo intrappolati in un abisso di ferocia e odio da parte di una creatura mitologia mesopotamica multiforme, il Musmahhu, che ci attorciglia la gola con forza portandoci all’asfissia sensoriale. Sette brani, tutti del medesimo alto valore, che attaccano con un suono vibrante, denso e che raramente rallentano, sfiorando conturbanti lidi doom. Il polistrumentista conosce perfettamente la materia estrema, ha grandi capacità compositive ed è in grado di atterrarci senza pietà; il lento dipanarsi nell’inizio della title track, riempie l’aria di una malvagità sconfinata; è vero che di death ne esce parecchio, ma la capacità di coinvolgimento di questa band è molto alta, per di più aiutata da un’ottima produzione, sempre underground, ma di livello. La capacità di creare melodie che ricordano l’old school svedese dei bei tempi e la attitudine feroce e malevola, fanno salire l’adrenalina durante l’ascolto. Ottima opera prima da parte di un’ artista che oltre a essere impegnato in molteplici progetti gestisce anche la Ancient Records, scrigno di meravigliose entità black.

Tracklist
1. Apocalyptic Brigade of Forbidden
2. Musmahhu, Rise!
3. Slaughter of the Seraphim
4. Burning Winds of Purgatory
5. Reign of the Odious
6. Spectral Congregation of Anguish
7. Thirsting for Life’s Terminus

Line-up
Likpredikaren – Vocals
Swartadauþuz – Guitars, Bass, Keyboards

Mountain Eye – Roads Uncharted

La band olandese ci scaraventa per mezzora nel bel mezzo della scena nu metal che fu, e lo fa con una raccolta di brani assolutamente riusciti: se il genere è ancora nelle vostre corde l’ascolto dell’album è consigliato anche se può sembrare sorpassato rispetto alle mode del momento.

Un sound alternativo ispirato alla scena nu metal di qualche anno fa è la musica suonata dai Mountain Eye, band olandese formata nel 2017 ed arrivata al debutto con questi otto brani racchiusi in Roads Uncharted.

La band segue le linee tracciate dai gruppi statunitensi a cavallo dei due secoli, quindi in questa raccolta di brani non troverete una nota riconducibile ai suoni modaioli degli ultimi tempi, ma solo nu metal ispirato dai vari Mudvayne, Korn, Sevendust, American Head Charge: gli otto brani risultano delle mazzate niente male, ricamate da linee melodiche perfette, tanto che brani come Take Control o Verge avrebbero fatto la fortuna del gruppo una ventina d’anni fa.
I Mountain Eye ci provano, anche se fuori tempo massimo, grazie ad un buon songwriting (i brani sono tutti potenziali singoli), un cantante che nel genere si rivela un vero talento sfoggiando growl, scream e clean vocals eccellenti ed assecondato da un gruppo compatto che crea muri sonori possenti (vedi brani come Black Flood, Verge, Singularity), tellurici ed inespugnabili.
La band olandese ci scaraventa per mezzora nel bel mezzo della scena nu metal che fu, e lo fa con una raccolta di brani assolutamente riusciti: se il genere è ancora nelle vostre corde l’ascolto dell’album è consigliato anche se può sembrare sorpassato rispetto alle mode del momento.

Tracklist
1.Misery
2.Take Control
3.Diamonds On Your Tongue
4.Black Flood
5.Verge
6.Singularity
7.Hidasher
8.Y(our) Masquerade

Line-up
Arthur – Vocals
Omar – Guitar
Tim – Guitar
Kieft – Bass
Matthijs – Drums

MOUNTAIN EYE – Facebook

Dawn Of Winter – Pray For Doom

Pray For Doom è un buon lavoro, il sound dei Dawn of Winter segue le coordinate delle leggende del genere come Candlemass, Solitude Aeturnus e Pentagram, con un Mutz evocativo come non mai, ed un lotto di brani che si trascinano come mastodontici moloch, lenti ed inesorabili nella loro pesante marcia.

I Dawn Of Winter rappresentano il doom metal nella sua forma più pura e una lunga litania epico metallica divisa in otto capitoli è dunque quello che troverete tra i solchi di questo nuovo lavoro, il terzo a scadenza decennale dal primo album intitolato In The Valley Of Tears (1998) ed il suo successore, The Peaceful Dead (2008).

Tre opere sulla lunga distanza intervallati da una manciata di lavori minori è quindi quanto offerto in un ventennio dalla band tedesca che tra le sue fila vede Gerrit P. Mutz, singer dei power metallers Sacred Steel.
Pray For Doom è un buon lavoro, il sound dei Dawn of Winter segue le coordinate delle leggende del genere come Candlemass, Solitude Aeturnus e Pentagram, con un Mutz evocativo come non mai, ed un lotto di brani che si trascinano come mastodontici moloch, lenti ed inesorabili nella loro pesante marcia.
E’ sostanzialmente un album per appassionati questo Pray For Doom, avaro di soprese nel corso del suo viaggio nel mondo del doom metal classico, partendo da A Dream Within A Dream per arrivare tramite lunghi passaggi dal lento incedere alla title track, sicuramente il brano più rappresentativo di tutto l’album, valorizzato da armonie semi acustiche e da una eccellente prova del vocalist, al massimo dell’espressività.
Il resto si muove lento nei meandri più classici del genere, leggermente prolisso in alcuni passaggi, ma anche capace di far tremare le pareti con l’altro picco, la più movimentata e rocciosa The Orchestra Bizarre.
Ci congediamo dai Dawn Of Winter consigliando l’album agli amanti delle sonorità classiche e dei gruppi citati: il gruppo tedesco rimane comunque nel genere un’alternativa valida ai soliti nomi che del doom classico hanno fatto la storia.

Tracklist
1. A Dream Within A Dream
2. The Thirteenth Of November
3. Woodstock Child
4. The Sweet Taste Of Ruin
5. Pray For Doom
6. The Orchestra Bizarre
7. Paralysed By Sleep
8. Father Winter

Line-up
Jorg M. Knittel – Guitars
Dennis Schediwy – Drums
Joachim Schmalzried – Bass
Gerrit P. Mutz – Vocals

DAWN OF WINTER – Facebook

Woest – Le Gouffre

Le Gouffre esibisce un pizzico di fruibilità ed organicità in più rispetto al precedente album, ma la proposta di questi francesi resta rivolta ad un’audience piuttosto selezionata; ciò non toglie che chi abbia pazienza e voglia di confrontarsi con sonorità a loro modo ostiche potrebbe trarne decisamente soddisfazione.

I francesi Woest giungono al loro secondo full length in soli due anni, continuando a proporre la loro personalissima forma di industrial black metal.

La fin de l’ère sauvage, uscito nel 2017, era un lavoro interessante e ricco di spunti pregevoli, leggermente penalizzato da una produzione non proprio scintillante e da una frammentarietà che è comunque insita in chi si approccia in maniera obliqua alla materia estrema.
In Le Gouffre non vengono certo meno l’incedere inquieto ed una certa imprevedibilità della proposta, anche se, rispetto al predecessore, il tutto appare offerto in maniera più organica e anche più convincente a livello di registrazione; per il resto Malemort e Torve, con la collaborazione di altri musicisti che vanno a completare l’organico donando ai Woest sembianze più vicine a quelle di una band tradizionale, fermo restando il confermato ricorso alla drum machine programmata dall’effettista Dæmonicreator, proseguono sulla impervia strada di un black metal intersecato da rumorismi e sfuriate industrial che poco concede all’orecchiabilità.
In tal senso, però, abbiamo una piacevole eccezione come Ô vide éternel, traccia in cui un’anima elettronica entra prepotentemente sul proscenio donando al tutto un certo groove, sebbene disturbato e deviato come da copione, mentre per il resto il sound si abbatte feroce con una punta di drammaticità conferita anche da un’idea lirica fortemente nichilista; in tutto questo, il manifesto del modus operandi dei Woest è un brano complesso ma davvero notevole come Tout restera carbone, dissonante, cangiante e interpretato in maniera molto intensa da Torve.
Le Gouffre esibisce un pizzico di fruibilità ed organicità in più rispetto al precedente album, ma la proposta di questi francesi resta rivolta ad un’audience piuttosto selezionata; ciò non toglie che chi abbia pazienza e voglia di confrontarsi con sonorità a loro modo ostiche potrebbe trarne decisamente soddisfazione.

Tracklist:
1. Éveil
2. Le gouffre
3. Ô vide éternel
4. À la gloire de l’immonde
5. Spasme de haine
6. Tout restera carbone
7. Vagues du Styx

Line-up:
Torve – vocal
Malemort – guitar
Deckard – guitar
Irotted – bass
Dæmonicreator – drum machine and sound effect

WOEST – Facebook

Shockin’ Head – Xxmiles

Unione di intenti e tanta attitudine per questo quartetto che risulterà una gradita sorpresa per gli amanti del metal, siano essi più legati alla tradizione che a suoni moderni e dall’impatto di un carro armato.

Nuova uscita targata Volcano Records, che licenzia il debutto di questa heavy/thrash band chiamata Shocking’Head, formata da vecchie conoscenze dell’underground metal del ponente ligure.

Chupacabras, R.A.V.E.D. ed Estremo Ponente sono i gruppi da cui provengono i musicisti che compongono la line up di questa nuova band che ci investe con tutta la sua carica metallica, attraverso otto brani (di cui uno cantato in dialetto sardo) aggressivi, graffianti, melodici e con puntate estreme che deflagrano in un sound esplosivo.
Unione di intenti e tanta attitudine per questo quartetto che risulterà una gradita sorpresa per gli amanti del metal, siano essi più legati alla tradizione che a suoni moderni e dall’impatto di un carro armato.
Orgoglio metallico nell’affrontare i problemi della vita di tutti i giorni, guerrieri che a denti stretti affrontano le dure prove che la vita ci impone, aiutati dalla forza che si trova dentro ognuno di noi, queste sono le tematiche delle fucilate heavy/thrash che compongono l’album.
Xxmiles contiene splendidi passaggi melodici, così come una notevole forza d’urto sprigionata in brani come All In, Falling In Reverse e la micidiale Soul Destruction, perfetta alchimia tra heavy metal, thrash e groove: un album prettamente metal che non risulta affatto old school e appare invece ben inserito per sonorità ed impatto in questo inizio millennio, oltre che suonato e cantato con mestiere e grinta da vendere.

Tracklist
1. All In
2. Falling in Reverse
3. Ejaaa!!!
4. Winners in the Desert
5. Soul Destruction
6. Trip in the Hell
7. Xxmiles
8. Blame Game

Line-up
Daniele Sedda – Vocals
Black Ale – Bass
Zac Vanders – Guitars
Frederic Volante – Drums

SHOCKIN’ HEAD – Facebook

The Black – Reliquarium / Infernus, Paradisus et Purgatorium

I due dischi, raccolti insieme da Black Widow, che rilanciarono il doom nel nostro paese. Un pezzo di storia.

Mario Di Donato. Un uomo ed un musicista che sono storia dell’heavy, del doom metal e del dark sound (non solo nostrani).

Con i Requiem e poi attraverso la sua lunga e coerentemente integerrima carriera da solista, come The Black, Di Donato ha scritto pagine importantissime, imprescindibili da più punti di vista. Ci riferiamo qui, infatti, non solo alla sua musica, ma anche ai suoi testi e alla sua attività pittorica. La Black Widow di Genova ristampa, ora, i primi due lavori in assoluto dell’artista di Pescara: Reliquarium (un mini-LP pubblicato nel 1989) e l’esordio-trilogia Infernus, Paradisus et Purgatorium (uscito nel 1990). L’alba di un mito, veramente. Questi due lavori riportavano in auge il doom primevo e incorruttibile, lento ed ossianico, cadenzato e gotico, nero e sepolcrale, di scuola Black Sabbath, attualizzandone il messaggio con tocchi prog e liriche di matrice esoterica, evidenti nel richiamo alla teologia scolastica ed al cristianesimo dantesco. Il ricorso al latino in Reliquarium, già di per sé, la dice lunga al riguardo. L’identica scelta si trova confermata dal disco successivo, al suo interno suddiviso in tre capitoli che ne fanno, a tutti gli effetti, un vero e proprio libro in musica, intenso ed evocativo. I primi passi di una leggenda. Ed il verbo dark-doom secondo The Black. Due pagine di storia, rituale e liturgica.

Tracklist
1 Post Fata Resurgo
2 Anguis
3 Mea Culpa
4 Mors
5 Ab Aeterno
6 MTMM
7 VII Orbis
8 IX Orbis
9 VIII Orbis
10 I Orbis
11 II Orbis
12 IV Orbis
13 IV Caelum
14 VIII Caelum

Line up
Mario Di Donato – Vocals / Guitars / Harmonium
Belfino De Leonardis – Bass
Giuseppe Miccoli – Drums
Gianni Bernardi – Keyboards / Organ

THE BLACK – Facebook

In Twilight’s Embrace – Lawa

Solo mezzora scarsa, ma di qualità questo nuovo parto targato In Twilight’s Embrace, gruppo da seguire nel vasto panorama del metal estremo europeo.

Non è la prima volta che ci imbattiamo nei death/blacksters polacchi In Twilight’s Embrace, attivi da ormai quindici anni e con una più che discreta discografia alle spalle, vantando quattro full length di cui almeno un paio molto belli: The Grim Muse licenziato tre anni fa ed il precedente Vanitas uscito lo scorso anno.

La band di Poznań torna con il quinto lavoro, un’opera incentrata su un sound che, da tradizione, al death/black metal classico suonato da quelle parti aggiunge atmosfere e melodie oscure per un risultato alquanto affascinante.
Il death metal melodico dei primi lavori è ormai un ricordo, gli In Twilight’s Embrace si crollano di dosso le rimanenti sfumature scandinave che ancora apparivano nel precedente album per lasciarsi conquistare dalla parte più oscura del loro sound.
Con ben in evidenza l’idioma polacco nei titoli, Lawa risulta ancora più misantropo ed oscuro, sei brani di metal estremo oscuro, dalle melodie che tornano a tratti ad impreziosire brani come il gioiellino Ile trwa czas (How long does time last).
Solo mezzora scarsa, ma di qualità questo nuovo parto targato In Twilight’s Embrace, gruppo da seguire nel vasto panorama del metal estremo europeo.

Tracklist
1. Zaklęcie (The Spell)
2. Dziś wzywają mnie podziemia (The netherworlds beckon me today)
3. Krew (Blood)
4. Pełen czerni (Blackfilled)
5. Ile trwa czas (How long does time last)
6. Żywi nieumarli (Alive undead)

Line-up
Cyprian Łakomy – vocals
Leszek Szlenk – guitars, accordion
Marcin Rybicki – guitars
Jacek Stróżyński – bass, additional guitars
Dawid Bytnar – drums

IN TWILIGHT’S EMBRACE – Facebook

Phlebotomized – Deformation Of Humanity .

Non sappiamo quale sia stata la molla che ha spinto Tom Palms a tornare sul mercato con questo leggendario monicker, resta il fatto che ascoltare musica di questo livello è sempre un piacere, quindi mai come in questo caso deve essere accolto un rientro sulla scena dopo oltre vent’anni come quello dei geniali Phlebotomized.

Nessuno avrebbe scommesso in un ritorno dei seminali Phlebotomized, band che dalla notevole scena olandese di primi anni novanta arrivò alle orecchie di chi allora, come oggi, non si accontentava dei soliti ascolti, ma si inoltrava in un underground metallico in grado anche in quegli anni di regalare gruppi e opere sopra la media.

I Phlebotomized, con il primo album intitolato Immense Intense Suspence, andarono oltre quello che si suonava allora con un sound geniale, di difficile catalogazione e sorprendentemente avanti rispetto a quello che si aveva modo di ascoltare nel metal estremo.
Doom, progressive, brutal, melodic, symphonic death: Immense Intense Suspence era tutto questo e anche di più, difficile da capire, ma tremendamente affascinante così come Skycontact, secondo ed ultimo lavoro targato 1997 che sterzava leggermente verso un’atmosfera psichedelica risultando comunque un’altra gemma musicale di valore inestimabile.
Il chitarrista Tom Palms, unico superstite della formazione originale, torna con altri musicisti a rinverdire i fasti di quei due storici album con Deformation Of Humanity, nuovo lavoro licenziato dalla Hammerheart Records che rompe un silenzio durato ben ventuno anni,.
Di musica sotto i ponti ne è passata tanta, il death metal progressivo non fa più notizia, così come le band che al metal estremo abbinano altri suoni e sfumature, ma la qualità di questo nuovo lavoro è talmente alta che cancella in un sol colpo non solo gli anni trascorsi ma un gran numero di colleghi dediti al genere, lontani dal geniale songwriting del nuovo Phlebotomized.
Tra le splendide note di capolavori come Chambre Ardente, Descende To Deviance, Proclamation of a Terrified “Breed” e la title track si trovano in perfetto equilibrio tutti i generi estremi, dal più melodico, al più brutale, in perfetta armonia tra cambi repentini di sound ed atmosfere ancora oggi difficilmente eguagliabili.
Non sappiamo quale sia stata la molla che ha spinto Tom Palms a tornare sul mercato con questo leggendario monicker, resta il fatto che ascoltare musica di questo livello è sempre un piacere, quindi mai come in questo caso deve essere accolto un rientro sulla scena dopo oltre vent’anni come quello dei geniali Phlebotomized.

Tracklist
1. Premonition (Impending Doom)
2. Chambre Ardente
3. Descend To Deviance
4. Eyes On The Prize
5. Desideratum
6. My Dear …
7. Proclamation Of A Terrified “Breed”
8. Until The End
9. Deformation Of Humanity
10. Until The End Reprise
11. Ataraxia II

Line-up
Rob Op `t Veld – Synths
Dennis Bolderman – Guitar
Tom Palms – Lead Guitar
Ben de Graaff – Vocals
Alex Schollema – Drums
André de Heus – Bass guitar

PHLEBOTOMIZED – Facebook

Lucifer’s Child – The Order

Dopo un ottimo lavoro come The Wiccan del 2015, la chitarra dei Rotting Christ (George Emmanuel) e il basso dei Nightfall (Stathis Ridis) escono con questo The Order, attento seguace delle sonorità delle due cult band ateniesi, splendido accolito di tutta la loro produzione, ma altrettanto fedele ammiratore delle sonorità industrial.

Una rapida scorsa alle origini dei greci Lucifer’s Child e ci si rende immediatamente conto che si è difronte ad un super combo.

Formatisi nel 2013 dall’idea di George Emmanuel (chitarra) dei Rotting Christ e Stathis Ridis (basso) dei Nightfall, i nostri sono fautori di un Black Metal, molto articolato, complesso, a tratti prog, spesso industrial.
The Order – uscito per la più che prolifica polacca Agonia Records – è un album davvero interessante. Ci troviamo di fronte ad un prodotto multiforme, dalle molteplici sfaccettature e non facilmente etichettabile. Di sicuro il Black ne costituisce la scenografia, il fondale di un opera frastagliata, eclettica nella struttura, composita sì, ma dall’elevatissima qualità nella sua amalgamazione.
Solide basi industrial, costituiscono il leitmotiv Wagneriano, che tessono trame complesse sulle quali si dipana un Black Metal dall’impronta molto gotica ed a tratti, di una maestosità che annichilisce l’ascoltatore. Brani come Viva Morte e la Title-Track non nascondono volutamente l’imprinting di Emmanuel e di Ridis, proiettandoci all’interno di un Maelstrom ellenico di suoni imponenti, di smisurata imperiosità, a tratti sublimemente pomposi, quasi si volesse ostentare burbanzosa autorità. Anche nella successiva Fall of the Rebel Angels si ha l’impressione che i nostri avessero proprio l’intenzione di ridurre a totale prostrazione l’ascoltatore, tale è la magnificenza del corredo musicale, ordito attorno al momento Black. Nel brano, come anche in El Dragón, il sound, marcatamente industrializzato, però non ci rimanda al più classico degli Industrial Black Metal come si potrebbe ragionevolmente pensare (tipo Mysticum, per intenderci), bensì ai macchinosi, pesantissimi soffocanti martellamenti di band quali Ministry, Fear Factory e Rammstein, strizzando l’occhio anche a gruppi come i Pain, denotando forti ammiccamenti alle commistioni elettroniche della band di Tägtgren.
Intendiamoci, non siamo di fronte ad un minimalista copia ed incolla, o ad un’accozzaglia di stili ed influenze messe lì a caso. Tutto è fluido, nella sua complessità, e le digressioni musicali accompagnano sempre un Black Metal suonato perfettamente, infarcito, come nella goticissima Through Fire We Burn, o in Black Heart (che pare brutalmente prelevata da Khronos o da Macabre Sunsets) da cupe eteree atmosfere, avvolgenti la ritmata ossessività tipica del Black, ma altresì musicanti la pomposità della marcia, quando non sfocia nel Blast più violento.
Haraya , la penultima traccia, va a braccetto con le canzoni precedenti, costruita su un’attenta intelaiatura Gothic Black (è la song che maggiormente rispecchia le radici dei Lucifer’s Child, ossia le due cult band ateniesi che ne hanno prestato chitarra e basso) che, abilmente ritmata da Ridis e Vell (batteria), non si addormenta mai, avviluppandosi su se stessa su troppo rigide diatoniche atmosfere da Canto Gallicano o Gregoriano, ma sostiene egregiamente i suoi quasi cinque minuti, senza mai far assopire l’ascoltatore con passaggi ben programmati, tra mid e up tempo.
Al contrario, ed in direzione diametralmente opposta, Siste Farvel. Qui il Funeral Black la fa da padrone. Non più industrial ed elettronica, ma una magnificente malinconica marcia funebre, che ci congeda con l’ultimo addio (appunto Siste Farvel, dal danese) che tragicamente ci deprime, generando lo sconforto di chi sa che l’album è oramai terminato, e che l’ultima nota, ci proietterà ben presto nel vuoto assoluto del silenzio delle nostre cuffie.

Tracklist
1. Viva Morte
2. The Order
3. Fall of the Rebel Angels
4. Through Fire We Burn
5. El dragón
6. Black Heart
7. Haraya
8. Siste farvel

Line-up
Stathis Ridis – Bass
George Emmanuel – Guitars
Marios Dupont – Vocals
Nick Vell – Drums

LUCIFER’S CHILD – Facebook

Desecravity – Anathema

Un lavoro notevole ed una band tecnicamente sopra le righe che non mancheranno di portare ad una sorprendente esaltazione gli amanti del genere.

La tecnica al servizio di un metal estremo di matrice death devastante: dal Sol Levante, terra di grandi musicisti attivi nella scena metal classica e power, arrivano i Desecravity, band nata a Tokio nel 2007 ed arrivata al terzo lavoro sulla lunga distanza.

Si tratta di un gruppo molto rispettato nella scena estrema mondiale, con live in compagnia di gruppi leggendari come Exodus, Dying Fetus e Aborted ed il primo lavoro lasciato per il mixaggio e la masterizzazione nelle mani di Erik Rutan.
Tre album all’attivo per i Desecravity, con il debutto Implicit Obedience licenziato nel 2010, il successore Orphic Signs uscito un paio di anni dopo e questo nuovo Anathema, mandato a distruggere padiglioni auricolari in questo inizio 2019.
Technical death metal di qualità con la forza di mille tempeste si abbatte senza soluzione di continuità, possente, dalla velocità inumana e con un songwriting che comunque mantiene una sua linea, ben saldo nel marasma di note estreme che il gruppo giapponese scaraventa senza pietà sull’ascoltatore.
Ma non aspettatevi trame progressive o cali di tensione, in Anathema si viaggia al limite del consentito senza mai frenare, una corsa all’impazzata su scale musicali e spartiti che trova in brani pazzeschi come Ominous Harbinger e Devoured The Psyche la sua massima espressione.
Un lavoro notevole ed una band tecnicamente sopra le righe che non mancheranno di portare ad una sorprendente esaltazione gli amanti del genere.

Tracklist
1.Aeon and Ashes
2.Impure Confrontation
3.Ominous Harbinger
4.Deprivation of Liberty
5.Bloodthirsty Brutes
6.Secret Disloyalty
7.Devoured the Psyche
8.Beheaded White Queen

Line-up
Yujiro Suzuki – Vocals, Guitars
Yuichi Kudo – Drums
Daisuke Ichiboshi – Bass
Yuya Takeda – Guitars

DESECRAVITY – Facebook

Quercus – Verferum

Questo quarto full length dei Quercus conferma quanto di buono già offerto in passato dal gruppo ceco, rafforzandone lo status di band di valore collocabile alle spalle dei mostri sacri del funeral.

Quello con i cechi Quercus è un appuntamento che si ripete ormai da qualche anno, almeno fin dal 2014 quando ci trovammo a parlare del loro secondo full length Sfumato.

Quell’album metteva in mostra una vis sperimentale apprezzabile ma non sempre perfettamente a fuoco (indipendentemente dal titolo), mentre nel successivo Heart with Bread la band, divenuta un trio con il decisivo ingresso del tastierista Marek Pišl, spostava la barra verso un sound molto più evocativo nonché piuttosto debitore di tutte le realtà funeral dal sound improntato sui suoni di organo (quindi Skepticism, in primis).
Come già affermato all’epoca, l’utilizzo dello strumento da parte dei Quercus assume sembianze sostanzialmente liturgiche, acquisendo un tocco classico che lo differenzia in parte dal più algido tocco dei maestri finnici.
Grazie a tale fondamentale contributo, Ondřej Klášterka e Lukáš Kudrna possono sviluppare il songwriting in maniera più lineare, cercando di portare il tutto ad un livello di solennità che tocca picchi notevoli sia in Ceremony of the Night sia in Passacaglia D minor, White and Black Darkness, nella quale viene omaggiato J.S. Bach.
Le due tracce centrali, Journey of the Eyes e The Pu-erh Exhumed, appaiono leggermente più inquiete e ricche di divagazioni: nella prima anche lo stesso uso dell’organo si rivela a suo modo molto più dinamico e nell’arco di questi tredici minuti non mancano cambi di ritmo e vocalizzi disturbati che convivono con repentine aperture melodiche, mentre nella seconda le clean vocals dell’ospite Don Zaros (tastierista degli Evoken) donano al tutto un’aura pinkfloidiana all’interno di un episodio decisamente più rarefatto e, forse anche per questo meno, incisivo rispetto agli altri.
Questo quarto full length dei Quercus conferma quanto di buono già offerto in passato dal gruppo ceco, rafforzandone lo status di band di valore collocabile alle spalle dei mostri sacri del funeral: probabilmente, per scalare l’ultimo gradino, bisognerebbe che i nostri fossero in grado di esprimersi senza pause per un intero lavoro con l’intensità ed il livello di tensione di un brano come Ceremony of the Night, sorta di stato dell’arte di come va interpretato il genere quando lo strumento guida non è la chitarra bensì il sempre affascinante organo.

Tracklist:
1. Ceremony of the Night
2. Journey of the Eyes
3. The Pu-erh Exhumed
4. Passacaglia D minor, White and Black Darkness

Line-up:
Marek “Markko” Pišl – Keyboards, Pipe organ, Lyrics (tracks 1, 4)
Ondřej Klášterka – Vocals, Guitars, Drums
Lukáš Kudrna – Vocals, Bass, Additional instruments, Lyrics (tracks 2, 3)

Disciples Of The Void – Disciples Of The Void

Un folle assalto alla civiltà nel quale siamo immersi, un escapismo di marca satanica e puramente black metal senza requie, che lascia stupiti e vogliosi di ricominciare per un debutto come non se ne sentivano da tempo.

L’offerta attuale in campo black metal è molto ampia e variegata, questo per parlare della quantità, mentre invece se esaminiamo il lato qualitativo ci si accorge che è non è altissima.

Molti gruppi fanno black metal, nato nella selvaggia Scandinavia degli anni novanta ed arrivato fino a noi e che andrà oltre le nostre esistenze, essendo un genere molto soggettivo ma fino ad un certo punto, perché la nera grandiosità si riconosce subito. Il debutto omonimo del duo finlandese Disciples Of The Void è un gran bel disco potente, maestoso grazie a venture sympho importanti. L’incedere di Disciples Of The Void è quello del grande gruppo black metal, il passo sicuro che rivolta l’ascoltatore, quella voglia di spaccare le ossa a chi si avvicina a questo suono, l’impetuosità e il talento assoluto nel cambiare tempo in men che non si dica, andando ad occupare il gradino superiore dell’aggressione. Il misterioso duo si rifà apertamente alla seconda ondata del genere e certamente quello è il punto di partenza, ma i Disciples Of The Void vanno oltre, confezionando un assalto black e sympho a tutto tondo. Non c’è un momento di tregua o di pace e, come in una caccia infernale, il tutto si svolge in maniera veloce eppure indelebile: il muro sonoro delle chitarre, della batteria, la voce ed il resto si fondono assieme come un assalto di una cavalleria pesante maledettamente diabolica. Per quanto riguarda la musica non ci sono grosse novità od innovazioni, e non sarebbe nemmeno il posto giusto per cercarli, mentre sarebbe auspicabile che ci fosse un maggior numero di album come questo in giro. Mettere assieme impeto, tecnica e forza bruta è cosa da molti gruppi, ma aggiungere a tutto ciò una dose di ottima melodia e un’impronta totalmente personale, questa non è affatto cosa da tutti e i Disciples Of The Void ci riescono benissimo.
Un folle assalto alla civiltà nel quale siamo immersi, un escapismo di marca satanica e puramente black metal senza requie, che lascia stupiti e vogliosi di ricominciare per un debutto come non se ne sentivano da tempo.

Tracklist
01. Ad Gloriam Invictus Satana
02. Dominion
03. The Apocalypse Reign
04. Enter The Void
05. Per Aspera Ad Noctum
06. The Harvest
07. The Heirs Of Wormwood
08. Choronzon
09. Home Of The Once Brave ( Bathory Cover )

DISCIPLES OF THE VOID – Facebook

Malevolent Creation – The 13th Beast

Il massacro compiuto dalla tredicesima bestia si fa largo, senza che si faccia sentire il peso degli anni nella scena estrema, a colpi di furioso death metal nel quale le velocissime sfuriate thrash sono presenti per rendere l’atmosfera ancora più violenta.

Una costanza ed un’attitudine invidiabili così come il talento del suo leader nel proporre death metal ai massimi livelli, sono le doti principali dei Malevolent Creation, una delle band storiche del metal estremo made in Florida.

Phil Fasciana non si ferma e somatizzata la scomparsa dello storico singer Brett Hoffmann ritorna con una formazione completamente rinnovata rispetto all’ultimo lavoro (Dead Man’s Path uscito nel 2015) che vede all’opera il batterista Philip Cancilla, il bassista Josh Gibbs e il chitarrista/cantante Lee Wollenschlaeger, protagonista di una prova molto convincente in questo mastodontico nuovo lavoro intitolato The 13th Beast.
Lasciato nelle sapienti mani del guru del metal estremo Dan Swanö, che si è occupato di mixaggio e mastering, The 13th Beast è forse un nuovo inizio per i Malevolent Creation, da trent’anni un porto sicuro per i fans del genere.
Il massacro compiuto dalla tredicesima bestia si fa largo, senza che si faccia sentire il peso degli anni nella scena estrema, a colpi di furioso death metal nel quale le velocissime sfuriate thrash sono presenti per rendere l’atmosfera ancora più violenta, con i mid tempo che diventano moloch inesorabilmente travolgenti.
L’album offre un turbinio di musica estrema costituito da brani d’impatto, decisi ed inarrestabili anche quando i Malevolent Creation rallentano trasformando i brani in impietosi pachidermi musicali (Born Of Pain), spezzando solo per poco lo tsunami death/thrash di End Of Torture, Mandatory Butchery o Bleed Us Free.
Le ottime prestazioni dei nuovi arrivati, il gran lavoro di Dan Swanö in consolle, tanta esperienza e mestiere fanno di The 13th Beast un lavoro imperdibile per i fans del death metal classico.

Tracklist
1.End The Torture
2.Mandatory Butchery
3.Agony For The Chosen
4.Canvas Of Flesh
5.Born Of Pain
6.The Beast Awakened
7.Decimated
8.Bleed Us Free
9.Knife At End
10.Trapped Inside
11.Release The Soul

Line-up
Phil Fasciana – Guitars
Josh Gibbs – Bass
Philip Cancilla – Drums
Lee Wollenschlaeger – Vocals, Guitars

MALEVOLENT CREATION – Facebook

Deserted Fear – Drowned by Humanity

Drowned by Humanity è un album molto più melodico rispetto al suo brutale predecessore, anche se la forza immane del gruppo rimane l’alternarsi di ritmiche marziali ad una furia estrema, che si avvale questa volta di un ottimo lavoro delle chitarre alle prese in assoli in cui le melodie sono più importanti che in passato.

Tornano a distanza di un anno i tedeschi Deserted Fear con un nuovo album, il quarto, sempre per il colosso Century Media.

Attivo ormai da una dozzina d’anni, il trio proveniente dalla Turingia dopo i primi due lavori ha visto crescere le proprie aspettative, dopo essere stato preso sotto l’ala della storica label tedesca già dal precedente Dead Shores Rising, album che aveva confermato le buone impressioni suscitate dal gruppo con il suo metal estremo che voltava le spalle alla Scandinavia guardando, sempre in un’ottica old school, al death metal epico e guerresco dei Bolt Thrower.
Il nuovo lavoro continua a percorrere la strada intrapresa da Fabian Hildebrandt, Manuel Glatter e Simon Mengs e vi troviamo ben nascoste mine che al passaggio esplodono in un sound potente, marziale e melodico.
Drowned by Humanity è un album molto più melodico rispetto al suo brutale predecessore, anche se la forza immane del gruppo rimane l’alternarsi di ritmiche marziali ad una furia estrema, che si avvale questa volta di un ottimo lavoro delle chitarre alle prese in assoli in cui le melodie sono più importanti che in passato.
Prodotto da Henrik Udd (At the Gates, Miasmal) nei Friedman Studios, l’album mantiene quell’atmosfera epico/guerresca che ha fatto la fortuna del gruppo in passato, unendola ad una consistente vena melodica; i brani di cui si compone il nuovo album sono sicuramente forieri di giudizi positivi, ma ovviamente si trovano tracce che più sottolineano l’ispirazione del momento del gruppo tedesco, come An Everlasting Dawn, Welcome To Reality e Sins From The Past.
Non mancano possenti monoliti di death metal guerresco e brutale, come Scars Of Wisdom, che rendono Drowned by Humanity un lavoro riuscito ed assolutamente in grado di competere ad alti livelli con le uscite di questa prima metà dell’anno, almeno per quanto riguarda il caro vecchio death metal.

Tracklist
1. Intro
2. All Will Fall
3. An Everlasting Dawn
4. The Final Chapter
5. Reflect The Storm
6. Across The Open Sea
7. Welcome To Reality
8. Stench Of Misery
9. A Breathing Soul
10. Sins From The Past
11. Scars Of Wisdom
12. Die In Vain
13. Tear Of My Throne

Line-up
Fabian Hildebrandt – Guitars
Manuel Glatter – Guitars/ Vocals
Simon Mengs – Drums

DESERTED FEAR – Facebook

Malamorte – Hell For All

Hell For All è un album affascinante che non può mancare tra gli ascolti di chi ama le band citate e l’heavy metal più oscuro, mistico e dalle tinte horror.

Le origini black metal dei romani Malamorte influenzano ancora il sound prettamente heavy metal di questo nuovo lavoro, così da assecondare il concept occulto, mistico ed anticristiano che anima il progetto del compositore, chitarrista e cantante L.V.

Hell For All è il terzo full length, licenziato dalla Rockshots Records, con il quale vengono proposti dieci brani di heavy metal old school, ispirato dai Mercyful Fate, dalla scena thrash/black ottantiana e dalla New Wave Of British Heavy Metal.
Ritmiche heavy/thrash, solos classici ed atmosfere oscure è quello che troverete su Hell For All, album dal tocco melodico intrigante che lo rende nobilmente classico.
Alla fine sono più estreme le tematiche che non la musica, che rimane heavy e a tratti teatrale, alternando brani graffianti e veloci a mid tempo su cui L.V. declama storie occulte ricordando non poco il King Diamond in versione Mercyful Fate.
Un album da vivere nella penombra della vostra stanza, entrando nelle atmosfere di brani che passano dall’heavy/thrash di Antichrist a quelle dark della splendida Mother; la maideniana title track apre la seconda parte dell’album dove torna prepotentemente l’influenza di King Diamond in Satan’s Slave, brano horror metal che lascia al suo passaggio odore di incenso e di Death SS.
Hell For All è un album affascinante che non può mancare tra gli ascolti di chi ama le band citate e l’heavy metal più oscuro, mistico e dalle tinte horror.

Tracklist
1.Advent
2.Antichrist
3.Warriors of Hell
4.Holy or Unholy
5.Mother
6.Hell for All
7.Son
8.The Worshipers of Evil
9.Satan’s Slave
10.God Is Nothing

Line-up
L.V. – Vocals/Guitars, music, lyrics, production, arrangements

Sk – additional guitars, Bass, Programming

MALAMORTE – Facebook

Crying Steel – Steel Alive

Un’uscita imperdibile targata Jolly Roger: in doppio cd il primo ep omonimo dei Crying Steel e l’album On The Prowl, entrambi rimasterizzati, con l’aggiunta delle rispettive versioni live.

Un’altra uscita da non perdere per tutti gli amanti dell’heavy metal classico battente bandiera tricolore da parte della instancabile Jolly Roger, sempre attenta a proporre succulente ristampe di quei gruppi che hanno fatto la storia della nostra musica preferita su e giù per lo stivale.

Tocca a i Crying Steel, tornati in forma smagliante lo scorso anno con l’album Stay Steel ed ora tributati dalla label nostrana con questo doppio cd che prevede sul primo le versioni rimasterizzate dell’ep omonimo, uscito originariamente nel 1985, e del primo full length On The Prowl, licenziato dalla band due anni dopo, mentre sul secondo si trovano le versioni live dei due lavori.
Siamo al cospetto di uno dei migliori esempi di heavy metal tradizionale che la nostra scena abbia regalato negli anni d’oro, anche se all’epoca fare metal in Italia era un’impresa ardua anche per gruppi del valore del quintetto bolognese.
I Crying Steel alternavano graffianti brani alla Judas Priest ad altri più melodici, presentando una scaletta vari e perfetta per quegli anni, con gli acuti del singer Luca Bonzagni a non far rimpiangere gli illustri colleghi stranieri ed una formazione compatta che oltre ai due membri fondatori Alberto Simonini (chitarra) e Angelo Franchini (basso) era completata da Luca Ferri (batteria) e Franco Nipoti (chitarra).
Grande heavy metal dunque, nel quale non mancano, oltre ai Priest, echi dei Motorhead e di quelle band che allora facevano la fortuna di quella New Wave Of British Heavy Metal che trovava nei Crying Steel un’appendice tricolore di tutto rispetto.
Erano ovviamente più acerbi i brani tratti dall’ep, mentre On The Prowl vedeva il gruppo fare passi da gigante, sfornando un album gagliardo e melodico composto da una tracklist impeccabile.
No One’s Crying, le melodie di Changing The Direction, l’irresistibile cavalcata The Song of the Evening e la tellurica Thunderdogs sono le tracce simbolo di questo pezzo di metallo forgiato dai Crying Steel.
Il secondo cd ci mostra le capacità del gruppo in sede live, un’ulteriore prova dell’importanza e della grandezza di questa leggendaria band nostrana ed un motivo in più per non perdere questa apprezzabile ristampa.

Tracklist
Cd 1
1.Ivory Stages (Ep)
2.You Have Changed (Ep)
3.Hero (Ep)
4.Where the Rainbow Dies (Ep)
5.Runnin’ Like a Wolf (Ep)
6.No One’s Crying (On the Prowl)
7.Changing the Direction (On the Prowl)
8.Struggling Along (On the Prowl)
9.Fly Away (On the Prowl)
10.Upright Smile (On the Prowl)
11.The Song of Evening (On the Prowl)
12.Alone Again (On the Prowl)
13.Thundergods (On the Prowl)
14.Shining (On the Prowl)

Cd 2
15.Ivory Stages (Live)
16.Hero (Live)
17.Where the Rainbow Dies (Live)
18.You Have Changed (Live)
19.Running Like a Wolf (Live)
20.No One’s Crying (Live)
21.Changing the Direction (Live)
22.Struggling Along (Live)
23.Fly Away (Live)
24.Upright Smile (Live)
25.Alone Again (Live)
26.The Song of Evening (Live)
27.Shining (Live)
28.Thundergods (Live)

Line-up
Luca Bonzagni – Vocals
Franco Nipoti – Guitars
Alberto Simonini – Guitars
Angelo Franchini – Bass
Luca Ferri – Drums

Formazione attuale
Angelo Franchini – Bass
Luca Ferri – Drums
Franco Nipoti – Guitars
JJ Frati – Guitars
Mirko Bacchilega – Vocals

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