Bölthorn – Across The Human Path

Buttarsi nell’agone viking death metal non è cosa affatto facile, in questo caso lo si fa con molta qualità e bravura, riuscendo sempre a cogliere il punto. Across The Human Path è una delle migliori cose uscite in Italia in questo genere, e non solo.

In questo gran revival vichingo degli ultimi anni, fra serie tv e gruppi metal che si rifanno a questa epopea, arrivano da Parma come un colpo di Mjölnir i Bölthorn, semplicemente il miglior gruppo italiano di viking melodic death metal in circolazione.

Le influenze sono chiare e ci portano dalle parti degli asgardiani Amon Amarth, con quella mistura particolare di death metal melodico con influenze viking. La bellezza di Across The Human Path sta proprio nel groove incessante, nella capacità di creare una certa atmosfera, che non è solo derivativa, ma che porta in sé qualcosa di innovativo e di antico al tempo stesso. Il suono di questi parmensi non è inedito, ma lo fanno ad un livello molto superiore rispetto alla maggior parte dei gruppi del genere o sottogenere. Si parte con un’ottima produzione che fa risaltare la loro preparazione tecnica e la sapienza compositiva: i Bölthorn creano un pathos particolare, un sentire che ricorda i migliori dischi del genere, quel ritrovarsi fianco a fianco nella neve con i guerrieri durante una battaglia, o guardare il mare dagli scogli di un fiordo immaginando cosa ci possa essere al di là delle onde. In alcuni momenti l’assalto melodic death metal diventa struggente, compenetrando quella malinconia che ha contraddistinto i vichinghi, quella profonda conoscenza della vita che porta ad affrontarla a viso aperto, difficoltà per difficoltà, giorno per giorno. Il cantato è in growl, ma è molto chiaro e rende molto bene, il gruppo è preparato , preciso e con un’impronta personale e ben definita. Le canzoni sono quasi tutte di ampio respiro per sviluppare al meglio le profonde trame sonore. I Bölthorn nascono dalla volontà di Ivan (già nei Dust, Dream’s Echo ed Ironcross Project) di creare un progetto inizialmente da studio: Rob degli Angerfish e Drake dei Ny Mind si trovano subito in sintonia con lui e quindi il tutto avanza fino alla registrazione del disco presso l’Audicore Studio di Fontevivo in provincia di Parma. Il risultato è un lavoro mai scontato, ben suonato e ottimamente composto, che emoziona e che piacerà molto a chi ama queste sonorità e questo immaginario, ma anche molto fruibile per chi non le conoscesse ancora. Buttarsi nell’agone viking death metal non è cosa affatto facile, in questo caso lo si fa con molta qualità e bravura, riuscendo sempre a cogliere il punto. Across The Human Path è una delle migliori cose uscite in Italia in questo genere, e non solo.

Tracklist
1. Intro
2. Sentinel
3. For Honor
4. Thor
5. Curse of Time
6. Warriors
7. Midgaard
8. The Lair of the Beast
9. The Kaleidoscope

Line-up
Ironcross – Composer, Guitar, Bass and Drum
Drake – Vocals
Röb – Composer, Guitar

BOLTHORN – Facebook

Idle Hands – Don’t Waste Your Time

Tutto sommato una buona partenza per la band di Portland, con un album consigliato alle anime oscure amanti tanto del dark rock dei Sisters Of Mercy che del metal classico di scuola statunitense alla Metal Church.

Gli Idle Hands sono una metal band proveniente da Portland formata da ex membri degli Spellcaster, band della scena metallica dell’Oregon con tre full length all’attivo prima dello scioglimento avvenuto lo scorso anno.

Gabriel Franco (voce e chitarra), Sebastian Silva (chitarra) e Colin Vranizan (batteria), raggiunti da David Kimbro (basso), tornano dopo pochi mesi con l’ep di debutto per questa nuova realtà.
Gli Idle Hands suonano un metal dalle tinte gotiche, che alterna alle atmosfere dark un sound che prende ispirazione dal metal tradizionale di scuola statunitense.
Ne escono cinque brani racchiusi in questo ep intitolato Don’t Waste Your Time, che si apre con l’arpeggio melodico di Blade And The Will, seguita da By Way Of Kingdom e l’ottima Can You Hear The Rain, il brano sicuramente più riuscito nonchè orientato verso il dark rock ottantiano.
Ed infatti il meglio gli Idle Hands lo tirano fuori quando la musica lascia territori marcatamente metal per un rock robusto, ma figlio del dark/gothic classico, come appunto avviene in Can You Hear  The Rain e nella conclusiva I Feel Nothing.
Tutto sommato una buona partenza per la band di Portland, con un album consigliato alle anime oscure amanti tanto del dark rock dei Sisters Of Mercy che del metal classico di scuola statunitense alla Metal Church.

Tracklist
1. Blade And The Will
2. By Way Of Kingdom
3. Can You Hear The Rain
4. Time Crushes All
5. I Feel Nothing

Line-up
Gabriel Franco – Vocals/Guitar
Sebastian Silva – Guitar
David Kimbro – Bass
Colin Vranizan – Drums

IDLE HANDS – Facebook

Nemus – See-Mensch

See-Mensch è un lavoro valido ma non raggiunge certi picchi di intensità ai quali cui siamo abituati ascoltando le produzioni della Naturmacht Records: questo accade soprattutto perché non viene data la necessaria continuità alle valide intuizioni che emergono in ciascun brano .

Nemus è uno dei due progetti solisti (l’altro è Dreamshift) del tedesco Frank Riegler e See-Mensch è il secondo lavoro che segue l’esordio intitolato Wald-Mensch.

Quindi dopo l'”uomo-foresta” questa volta tocca all'”uomo-lago” in questa sequenza di strane creature che costituiscono l’immaginario lirico del musicista bavarese: il tutto confluisce in una forma musicale le cui basi black metal vengono sovente scompigliate da passaggi folk, post metal e in generale sempre piuttosto atmosferici.
In quasi una quarantina di minuti l’album si snoda così con un incedere sempre piuttosto melodico al quale viene conferita un’aura drammatica soprattutto dallo screaming di Riegler, che in buona sostanza è una sorta di urlo straziante, magari non il massimo da un punto di vista prettamente tecnico, ma utile alla causa.
Diciamo subito che See-Mensch è un lavoro valido ma non raggiunge certi picchi di intensità ai quali cui siamo abituati ascoltando le produzioni della Naturmacht Records: questo accade soprattutto perché non viene data la necessaria continuità alle valide intuizioni che emergono in ciascun brano .
Infatti Riegler utilizza uno schema che probabilmente sarà funzionale alla narrazione ma che spezza irrimediabilmente il pathos creato inizialmente piazzando puntualmente a metà di ogni traccia dei passaggi interlocutori che preludono poi ad una nuova progressione ma la cosa ha un po’ l’effetto di essere interrotti mentre si sta mangiando una succulenta portata per poi riprendere dopo averla riscaldata: per quanto sia buona il piacere non potrà che risultare attenuato.
Una canzone notevole come Das Ungetüm è emblematica in tal senso: i ritmi parossistici e trascinanti imposti nella fase iniziale vengono sospesi per quasi un minuto a favore di cinguetti e sciabordii vari prima che il tutto riprenda con il manifestarsi di un growl minaccioso (soluzione vocale che a mio avviso Riegler dovrebbe utilizzare di più, peraltro) che prelude ad una nuova notevole progressione chitarristica e lo stesso si può dire per la successiva Blut Und Schuppen, più rallentata ed evocativa nel suo incedere.
Questo è a grandi linee il modus operandi che viene replicato nel corso dell’album, con un’intensità altalenante ma con uno standard qualitativo sempre di discreto livello; nel complesso questo seconda uscita targata Nemus si rivela soddisfacente ma ci sono ancora ampi margini per rendere il tutto ancor più coinvolgente e ben focalizzato.

Tracklist:
1. In Die Tiefe
2. Das Ungetüm
3. Blut Und Schuppen
4. Schwimme Ewig
5. Tiefengesang
6. Nachts Im Teich

Line-up:
Frank Riegler – Everything

NEMUS – Facebook

Serrabulho – Porntugal (Portuguese Vagitarian Gastronomy)

Divertente, dissacratore, caotico, mai ovvio e con uno dei migliori titoli possibili, impossibile pretendere di più dai Serrabulho

La teoria del caos, che sembra governare molte più cose di quello che crediamo, si incontra con la musica e ne viene fuori il terzo disco dei portoghesi Serrabulho, Porntugal (Portuguese Vagitarian Gastronomy), un qualcosa dalle parti del grind e portoghese fino al midollo.

I Serrabulho sono all’apparenza un gruppo grind, in realtà sono dei propugnatori del caos e dei sovvertitori dei valori della cultura portoghese, e sono ossessionati dal culo e dai suoi prodotti. La struttura del disco è un grind abbastanza classico e ben suonato in linea con la tradizione lusitana che è simile a quella italiana. Detto ciò i Serrabulho sono la cosa più lontana che possiate immaginare dal gruppo grind triste e depresso, perché hanno un’ironia ed un’autoironia immensi. Nel disco ci sono inoltre una moltitudine di elementi del loro paese, che è come fosse un membro del gruppo, nel senso letterale della parola membro. Ci sono attacchi con le cornamuse e momenti suonati con strumenti tipici lusitani, il tutto al servizio del caos e della merda che vola spinta da un ventilatore potentissimo. Il gruppo portoghese utilizza anche frammenti di registrazione dell’etnomusicologo portoghese Tiago Pereira in collaborazione con A Música Portuguesa a Gostar Dela Própria, un interessantissimo progetto di registrazione audio e video della musica popolare portoghese. Porntugal è anche un invito ad imparare la lingua portoghese in modo da capire fino in fondo cosa dicono i Serrabulho perché ne vale assolutamente la pena. Il disco è un unicum nel panorama grindcore e va oltre la musica per investire molti ambiti che sembrano separati ma non lo sono. Divertente, dissacratore, caotico, mai ovvio e con uno dei migliori titoli possibili, impossibile pretendere di più dai Serrabulho.

Tracklist
01. She Drinks Milk
02. Ela Fez-me um Grão de Bico
03. Fecal Torpedo
04. Pito Sem Penas
05. Os Tintins do Tintin
06. BBC Wild Life
07. Cagalhão Com Ovo a Cavalo
08. Gelado de Caganetas
09. Dingleberry Ice Cream
10. Tofu au Cu
11. Tomate Pelado

Line-up
Carlos Guerra – vocals, sampling
Paulo Ventura – guitar, vocals
Guilhermino Martins – bass, caixa, sampling, vocals
Ivan Saraiva – drums

SERRABULHO – Facebook

Tourniquet – Gazing At Medusa

Un suono drammatico ed ispirato, dalle trame progressive ma dall’impatto estremamente potente, rende questo ultimo lavoro dei Tourniquet un enorme pezzo di granitico metallo, supportato dal potenziale dei musicisti coinvolti.

Quando si parla di metal cristiano non ci si può certo dimenticare dei Tourniquet, il gruppo che vede i due capitani Ted Kirkpatrick e Aaron Guerra. oggi affiancati da Chris Poland (Megadeth) e Tip “Ripper” Owens alle prese con un metal progressivo e vario, ma tipicamente statunitense.

Progetto iniziato nel lontano 1990, i Tourniquet vanno in doppia cifra riguardo ai full length con Gazing At Medusa, album composto da nove brani molto vari, una raccolta di molte delle sfumature che riguardano il metal classico, dal thrash, al doom (bellissima Memento Mori), passando per l’hard & heavy, il tutto condito da una vena progressiva che nobilita il sound.
Ospite importante di questo lavoro è Deen Castronovo (Steve Vai, Journey), voce sulla conclusiva title track di un lavoro imperdibile per gli amanti del metal statunitense.
Un suono drammatico ed ispirato, dalle trame progressive ma dall’impatto estremamente potente, rende questo ultimo lavoro dei Tourniquet un enorme pezzo di granitico metallo, supportato dal potenziale dei musicisti coinvolti.
All Good Things Died Here, il crescendo progressivo di The Peaceful Beauty of Brutal Justice e la title track non deluderanno gli amanti dell’U.S. metal, qui portato alla massima potenza tra bordate di metallo classico e scudisciate thrash.
I Tourniquet, fino ad oggi band di culto del panorama metallico, potrebbero trovare una grossa spinta da questo nuovo album, imperdibile per gli amanti del metal classico a stelle e strisce grazie soprattutto alla vena dei musicisti coinvolti.

Tracklist
1. Sinister Scherzo
2. Longing for Gondwanaland
3. Memento Mori
4. All Good Things Died Here
5. The Crushing Weight of Eternity
6. The Peaceful Beauty of Brutal Justice
7. Can’t Make Me Hate You
8. One Foot in Forever
9. Gazing at Medusa

Line-up
Ted Kirkpatrick – Drums, Bass
Aaron Guerra – Guitars, Vocals
Tim “Ripper” Owens – Vocals (guest musician)
Chris Poland – Guitars (guest musician)
Deen Castronovo – Vocals on “Gazing at Medusa” (guest musician)

TOURNIQUET – Facebook

Comatose Vigil A.K. – Evangelium Nihil

Evangelium Nihil è esattamente ciò che speravamo ci venisse nuovamente regalato prima o poi dai Comatose Vigil, indipendentemente dalla loro configurazione: questo è il funeral doom, strumento d’elezione per il raggiungimento della catarsi attraverso l’evocazione quasi fisica di un dolore che sembra impossibile poter circoscrivere.

Si vociferava da tempo di uh possibile ritorno dei Comatose Vigil, i maestri del funeral doom russo dei quali si aspettava un seguito al capolavoro Fuimus, Non Sumus…, risalente al 2011.

In effettim nel 2014 c’era stata una reunion che aveva portato la band ad esibirsi in qualche data dal vivo ma lo scioglimento , apparentemente definitivo, era stato annunciato inesorabile dopo qualche tempo.
Anche senza conoscere a fondo le dinamiche all’interno della band il motivo di tutto questo lo si è intuito allorché sono letteralmente, iniziati a volare gli stracci sui social tra Alexander “ViG’iLL” Orlov e Andrey “A.K. iEzor” Karpukhin; nulla di inedito in ambito musicale, fondamentalmente, e anche se la torta da spartire è molto più esigua il doom non è certo esente da questi eventi: certo è che ritrovarci ora con due entità aventi lo stesso nome, la prima appannaggio di Orlov e la seconda, con il suffisso A.K. , di Karpukhin, in tale ambito fa pur sempre uno strano effetto.
Ma tant’è, noi che amiamo questo tip di musica e quindi una band come quella moscovita, non possiamo che esultare di fronte a questo nuovo Evangelium Nihil, album d’esordio dei Comatose Vigil con l’estensione A.K., che vedono il vocalist avvalersi dell’aiuto del talentuoso musicista georgiano David Unsaved dei magnifici Ennui, il quale si occupa magistralmente di tutta la strumentazione esclusa la batteria, affidata allo statunitense John Devos degli emergenti Mesmur.
Va detto subito che il sound offerto non tradisce in alcun modo lo spirito originario del monicker: il sound si muove drammatico e maestoso, incentrato su un tappeto di tastiere sul quale si abbatte una ritmica bradicardica e il growl impietoso di A.K. iEzor.
C’è quindi una spiccata continuità rispetto a quanto avvenne con Fuimus, non Sumus…, anche se quell’opera era forse ancor più minimale e meno avvolgente: per quasi un’ora e un quarto i quattro lunghi brani si rovesciano sulla psiche dell’ascoltatore, costringendolo in una vischiosa bolla all’interno del quale la vacuità dell’esistenza è dipinta in maniera così ipnotica e diluita da rendere impossibile qualsiasi reazione, allorché la realtà si manifesta in tutto il suo orrore dinanzi agli occhi
Evangelium Nihil si snoda ossessivo, senza lasciare tregua pur trascinandosi penosamente per oltre tre quarti d’ora di funeral sublime, prima di infliggere il colpo definitivo con i meravigliosi venti minuti finali di The Day Heaven Fell, vera e propria quintessenza del genere nella sua veste più atmosferica.
Se qualcuno si dovesse lamentare dell’eccessiva uniformità stilistica è bene invitarlo a dedicarsi a generi a lui più consoni: qui il passo è esattamente lo stesso dal primo al settanduesimo minuto e quando arriva l’unico elemento di discontinuità, sotto forma di una sorta di interferenza radio piazzata a metà della title track, si rivela fondamentalmente solo un elemento di disturbo.
Evangelium Nihil è esattamente ciò che speravamo ci venisse nuovamente regalato prima o poi dai Comatose Vigil, indipendentemente dalla loro configurazione: questo è il funeral doom, strumento d’elezione per il raggiungimento della catarsi attraverso l’evocazione quasi fisica di un dolore che sembra impossibile poter circoscrivere.

Tracklist:
1. Evangelium Nihil
2. Comatose Vigil
3. Deus Sterilis
4. The Day Heaven Fell

Line-up:
David Unsaved – Bass, Keyboards, Guitars
John Devos – Drums
A.K. iEzor – Vocals

COMATOSE VIGIL A.K. – Facebook

Forlorn Seas – Exodus

Exodus è un buon inizio per i Forlorn Seas, con sette tracce ispirate che troveranno sicuramente il supporto degli amanti del metal moderno di matrice progressiva.

L’underground rock/metal riesce sempre a regalare ottime sorprese, magari in un momento di stanca come il periodo di fine anno quando di solito si tirano le somme dei dodici mesi trascorsi e si perde l’attenzione necessaria per assaporare nuove proposte.

I padovani Forlorn Seas sono una di queste, alla caccia di estimatori tra gli ascoltatori del metal progressivo di stampo moderno, un genere in cui il baratro della tecnica fine a sé stessa a danno di un sound più emotivo e fruibile diventa sempre più profondo; la giovane band se ne esce con questo lavoro maturo e passionale, nel quale la tecnica è al servizio di un metal dalle tinte dark e atmosferiche senza perdere quel tanto di carica estrema che basta per allontanare ogni dubbio sulla loro forza espressiva, bravi come si dimostrano nell’alternare metal estremo e post rock mantenendo la giusta tensione.
Non perdono il filo del discorso i musicisti veneti, rimanendo dentro i confini di un genere che trova nuova energia in brani come Lost Oracles, la seguente Oniricon o la più melodica Children Of Aton.
L’alternanza tra potenza elettrica ed armonie acustiche è quasi perfetta e permette all’ascoltatore di godere della musica del gruppo senza perdere la giusta attenzione, anche grazie al minutaggio non troppo elevato dei sette brani in programma.
Exodus è un buon inizio per i Forlorn Seas, con sette tracce ispirate che troveranno sicuramente il supporto degli amanti del metal moderno di matrice progressiva.

Tracklist
1.Lost Oracles
2.Oniricon
3.Children Of Atom
4.Crestfallen
5.Thirst
6.The Kingdom Below
7.Blossom

Line-up
Alberto Rondin – Vocals
Giovanni Lazzari – Guitar / Back vocals
Alessandro Casagrande – Guitar
Marco Michelotti – Drums
Nicola Guarino – Bass, Back vocals

FORLORN SEAS – Facebook

Noiskin – Hold Sway Over

Il suono dei Noiskin è un distillato del metal moderno, contiene la giusta dose di aggressività con la melodia che gioca un ruolo molto importante.

Debutto con un disco di metal moderno per questo quartetto bergamasco, con musicisti provenienti da realtà differenti, una particolarità non da poco.

Infatti, la composizione dei pezzi riflette le varie estrazioni e contribuisce ad arricchire il tutto. Il suono dei Noiskin è un distillato del metal moderno, contiene la giusta dose di aggressività e la melodia gioca un ruolo molto importante. Il gruppo lombardo ha scritto l’album vertendo sulla tematica delle scelte, che sono una delle cose più importanti dell’essere umano. Siamo composti da cellule che scelgono e le conseguenze le portiamo dentro e fuori di noi. I testi sono interessanti e maturi e si sposano bene con la musica che è narrazione essa stessa. Le scelte (musicali) che compiono invece i Noiskin sono sempre improntate a supportare la narrazione e coerenti al contesto e, anche se non sono molto originali, funzionano ugualmente bene ed è ciò che conta. Durante l’ascolto si comprende in maniera chiara che la band ha molte potenzialità e le usa per cercare di imporsi all’interno di una scena affollata come quella modern metal e metalcore, con la difficoltà aggiuntiva di non essere anglosassoni. Bisogna dire che sono gli interessanti passaggi più vicini all’hard rock come Bound To MY Skin che potrebbero aprire nuove prospettive al gruppo. Anche l’uso delle tastiere fa rendere al meglio la poetica musicale dei Noiskin così come alcuni inserti elettronici, ma una delle cose migliori di Hold Sway Over è la voce che si sposa molto bene agli strumenti, creando anche atmosfere che potrebbero ricordare i Queensryche, come nel brano Twilight Sleep, anche se molto meno prog metal. Un debutto interessante di un gruppo che mette diverse carte sul tavolo.

Tracklist
01 NOISE
02 HOLD S WAY O VER
03 HAZE
04 BEYOND T EMPTATION
05 CHAPTER III
06 BOUND T O M Y S KIN
07 TWILIGHT S LEEP
08 ENTROPY
09 AS I L AY D YING
10 THE F AREWELL

Line-up
Luca Taverna – Voce e Chitarra Ritmica
Marco Depriori – Chitarra solista e Cori
Simone Tarenghi – Basso
Federico Bombardieri – Batteria

NOISKIN – Facebook

Barbarossastraße – Waiting In The Wings

Waiting In The Wings è un album piacevole ed intenso, maturo e divertente quanto basta per risultare un ascolto obbligato per gli amanti dell’hard & heavy classico.

Sembra facile suonare hard & heavy nel nuovo millennio quando, per quanto riguarda il rock, si è già detto tutto o quasi e le nuove tendenze portano ad una spettacolarizzazione della musica a discapito di impatto, attitudine e molte volte talento.

Nel genere in cui si muovono questi quattro rockers senesi, al secolo Barbarossastraße, l’impressione è quella di un ritorno prepotente allo spirito che regnava negli anni ottanta, specialmente nell’underground nel quale si muovono realtà che devono vedersela con i problemi di tutti i giorni, muovendosi forti di una passione mai doma tra serate in piccoli locali di provincia, un lavoro che reclama una sveglia che suona senza pietà all’alba e tanti sacrifici.
Waitings In The Wings è il loro secondo lavoro, licenziato dalla Volcano Records, un ottimo esempio di quello che è stata per una manciata d’anni la massima espressione del life style rock’n’roll e che vedeva come ombelico del mondo Los Angeles ed il suo Sunset Boulevard.
La copertina che ricorda non poco quella di Theatre Of Pain dei Motley Crue ci mette subito in guardia su quello che ascolteremo sul nuovo lavoro targato Barbarossastraße, ed infatti il sound ricorda nei brani più tirati lo storico gruppo statunitense che con gli Skid Row rappresenta la fonte d’ispirazione primaria per questi dieci brani.
La band si fa preferire quando preme sull’acceleratore dello sleazy metal e se ne esce con piccoli ma letali candelotti di dinamite come Backdraft, Nowhere Train, la trascinante ed irriverente On The Loose e I’ll Do It Again, ma è palese che tutto Waiting In The Wings funziona, tra veloci trame rock ‘n’ roll, mid tempo dal piglio heavy e ballad che placano l’elettricità sprigionata nell’aria dai Barbarossastraße.
Un album piacevole ed intenso, maturo e divertente quanto basta per risultare un ascolto obbligato per gli amanti dell’hard & heavy classico.

Tracklist
1.Here to Stay
2.Backdraft
3.Waiting in the Wings
4.Nowhere Train
5.Hereafter
6.On the Loose
7.Praise the Storm
8.Mexican Standoff
9.I’ll Do It Again
10.It Will Take Some Time

Line-up
Dario “TanzarHell” Tanzarella – Vocals
Riccardo “Richie” Ciabatti – Guitars
Alessandro “Pozze” Pozzebon – Bass
Marco “Lookdown” Guardabasso – Drums

BARBAROSSASTRASSE . Facebook

Slot – 15 (The Best Of)

Una buona raccolta per conoscere una realtà importante del metal/rock russo, una scena ancora parzialmente da scoprire e ricca di band e musicisti di grande valore.

Gli Slot sono una delle band russe più famose, essendo attivi dal 2002 e con sette full length pubblicati, oltre alla partecipazione a festival importanti dividendo il palco con le icone occidentali a cui la loro musica si ispira come Korn, Limp Bizkit e Guano Apes.

Nookie ne è la cantante, famosa in patria per aver partecipato con successo alla versione russa di The Voice, nonché leader della band che porta il suo nome e qui impegnata al microfono accanto all’alter ego maschile Cache.
Il sound si ispira all’alternative/nu metal statunitense, tra parti rap, scream, doppia voce e raffiche metalliche colme di groove che si alternano a campionamenti e spunti elettronici.
15 (The Best Of) celebra appunto i quindici anni del quintetto con una compilation dei brani più famosi, un inedito e quattro versioni alternative.
Rispetto ai Nookie, gli Slot sono più crossover, perché il metal qui è manipolato ad uso e consumo dell’anima rap, con i duetti tra i due cantanti che sono fondamentali per la riuscita di brani che, per il fan della scena statunitense di inizio secolo, potrebbero risultare abbastanza scontati.
E’ Nookie a fare la differenza, trattandosi di un’interprete che, nonostante la sua piccola stazza, esprime una forza ed una grinta da leonessa nel corso di diciannove brani dal buon appeal interpretati in maniera ispirata e convincente in ogni passaggio; grazie a lei la band non sfigura affatto al confronto con i colleghi a stelle e strisce, anche in virtù di brani che se non brillano per originalità originalità non mancano in impatto e attitudine crossover.
Una buona raccolta per conoscere una realtà importante del metal/rock russo, una scena ancora parzialmente da scoprire e ricca di band e musicisti di grande valore.

Tracklist
01.Khaos (Demo 2002)
02.Odni
03.2 voyny
04.7 zvonkov
05.Myortvye zvyozdy
06.Oni ubili Kenni
07.Sloy pepla
08.Doska (Live 2008)
09.Kukla Vudu
10.Alfa Romeo Beta Dzhulyetta
11.Zerkala (Live 2011)
12.Sumerki
13.Odinokie lyudi
14.Esli | 15. Prostochelovek
16.Boy! (Remaster 2015)
17.Mochit, kak hochet!
18.Strakh i agressiya
19. Krugi na vode (Radio Version)

Line-up
Nookie – Female Vocal
Cache – Male Vocals, Programming
ID – Guitar
Vasiliy GHOST Gorshkov – Drums
Nikita Muravyov – Bass

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BERGRIZEN – EINSAMKEIT IM WINTERSTURM

Live album per la one-man bad di Kiev. L’ottima produzione ed un sound al limite della perfezione – per essere un live – fanno di Einsamkeit im Wintersturm, il miglior best of per conoscere il Black Metal di Mr Myrd’raal.

L’Holy Death Over Kyiv Festival V del 2018, ha visto sul palcoscenico alcune band Black ucraine tra le più conosciute (Kroda e Bergrizen principalmente), alcune emergenti (Burshtyn e Grave Circles), i bielorussi Pestilentia e – come altra eccezione territoriale – gli stratosferici Acherontas dalla Grecia.

A Kiev la scena Black e davvero molto attiva (come anche in parte, nel resto del paese) e questo festival – giunto oramai alla quinta edizione – ne è la dimostrazione.
Da questo show, ne è scaturito un live album – Einsamkeit im Wintersturm – per gli ucraini Bergrizen che, forti del fatto di giocare in casa, hanno deciso di portare su vinile (non è prevista una versione in cd, al momento) il meglio della loro produzione che, ad oggi, dopo 11 anni di attività, vanta 5 full-length all’attivo, oltre a un demo, uno split (autoprodotto, con i connazionali Hexenmeister) e alcune raccolte. Pur non essendo un amante dei live (e ancor meno dei live Black Metal), mi sono approssimato a questo album con curiosità; inizialmente dubbioso soprattutto per la produzione, ma ne sono stato immediatamente rapito. Il sound è pressoché perfetto e mostra un sapiente lavoro in fase di registrazione e mixaggio da parte della prolifica label tedesca Purity Through Fire (Azelisassath, Antimateria, Kalmankantaja, Kroda, Sarkrista e decine di altre produzioni).
Ovviamente oggi – nell’era del digitale – tutto è più semplice. La stessa masterizzazione non avviene quasi più in analogico (OTB); se ciò (seppur raramente) accadesse, il processamento vedrebbe comunque come risultato finale il formato digitale: attraverso un processo lungo e difficile, fatto di conversioni da analogico/digitale/potenziale elettrico/nuovamente analogico (tramite un AD Converter – cioè Analog to Digital Converter) e quindi successive riconversioni in dati binari e acquisizioni all’interno della DAW (Digital Audio Workstation).
Invece nel Mastering Digitale (ITB, ossia in the box, che altro non è, che il caro Personal Computer), il processo è molto più semplice, diretto, ed i risultati di gran lunga superiori a quelli dell’analogico.
Ed è per questo che un live di una band come i Bergrizen (quindi non proprio i Dream Theater), risulti essere molto piacevole all’ascolto, grazie a suoni puliti, chiari, nitidi, e netto risalto di tutti gli strumenti che non finiscono mai per perdersi nel calderone sonoro del live. Il mio, un giudizio non solamente personale, ma totalmente ovvio, del tutto evidente, quasi apodittico, se confutato da chiunque acquistasse ed ascoltasse ora l’album.
Chiaro, serve anche tanta bravura della band, in realtà una one-man band, visto che Myrd’raal suona – in studio – tutti gli strumenti e ne è anche il vocalist. Di notizie su chi abbia coadiuvato il lavoro live del frontman ucraino ne abbiamo poche; molto probabilmente qualche session live member misconosciuto e quasi sicuramente Olgerd dei Kroda per le tastiere (con cui Myrd’raal aveva già collaborato nell’album del 2017 “Der Unsterbliche Geist”).
L’album non aggiunge – ovviamente – nulla su quanto già scritto a proposito del genere proposto dai Bergrizen; un ottimo Melodic Black Metal, ricco di atmosfera e di pathos. Certo non siamo di fronte ai connazionali Drudkh, vera icona del Black ucraino; ma Mr.Myrd’raal sa il fatto suo. Strazianti, ossessivi, melodici tremolii Black, avvolti da nebbie a fosche tinte autunnali, cullati da soventi (drammaticamente) melodiosi arpeggi, avviluppano uno scream tragico, lancinante, disperato. Sinceramente a me questi ucraini piacciono davvero, e questo album – che raccoglie il best of – potrebbe essere un’ occasione per tutti, di conoscere una band di cui si sa oggi forse troppo poco, rispetto all’attenzione che meriterebbe.

Tracklist
1. Der unsterbliche Geist
2. Lied der Rache
3. Ankunft der Winterdämmerung II
4. Das alte Herzeleid
5. Entsagen
6. Der Wanderer II – Die Nacht des Raben
7. Der Wanderer
8. Einsamkeit im Wintersturm

Line-up
Myrd’raal – All instruments, Vocals

BERGRIZEN – Facebook

Sarah Longfield – Disparity

Sarah dimostra di non essere solo una virtuosa dello strumento, ma anche una musicista, una cantante e una compositrice molto completa e versatile.

Debutto solista per Sarah Longfield, una delle migliori virtuose mondiali della chitarra a sette corde.

Sarah ha formato nel 2012 il gruppo The Fine Constant che, con due dischi come Myriad e Woven In Light, si è fatto una certa reputazione fra chi ama il prog, per poi arrivare a pubblicare molti video in rete che dimostrano la sua straordinaria bravura chitarristica. In questo disco Sarah ci dimostra che le sue capacità sono molteplici e che possiede anche un grande talento compositivo. Disparity è un album che vive su diversi livelli, che fa viaggiare su molti mondi rivelandosi un incontro tra generi. Sicuramente di fondo c’è un grande amore per il prog metal e per il djent, ed è anche molto forte l’importanza dell’elettronica, che costituisce una parte importante della struttura. Inoltre la Longfield propone una rilettura personale dei lavori della tradizione chitarristica, rielaborando a modo proprio cose che Steve Vai e Joe Satriani hanno proposto per la prima volta anni fa. Di suo Sarah ci mette molto mostrando che non c’è solo una virtuosa dello strumento, ma che è una musicista, una cantante e una compositrice molto completa e versatile. L’obiettivo di Disparity è di creare una certa imago mentis nell’ascoltatore, come uno spazio che vive di leggi molto diverse da quelle del mondo reale, perché è composto dal sogno. In alcuni passaggi del disco c’è una struttura quasi free jazz, un rompere tutti gli schemi, concatenando diversi passaggi sonori per poi ottenere quasi uno straniamento sonoro uscendo in forma completamente diversa da quella precedente. Le canzoni sono della giusta durata e sono tutte concatenate fra loro. Come si vede in copertina, anche nel disco Sarah indossa molti colori e riesce a padroneggiarli tutti molto bene, creando un lavoro che fa vedere molto di un talento talmente grande che ci riserverà ancora qualche sorpresa.

Tracklist
1. Intro
2. Embracing Solace
3. Departure
4. Cataclysm
5. Sun
6. Citrine
7. Miro
8. Stay Here
9. The Fall

SARAH LONGFIELD – Facebook

Heir Apparent – The View from Below

Uno dei ritorni più riusciti degli ultimi anni con una band che, dopo tre decenni, regala un album magnifico.

Diciamolo francamente: le tante reunion, o ritorni più o meno importanti delle vecchie glorie del metal classico, molte volte lasciano l’amaro in bocca, essendo frutto di poca convinzione o di un’esaurita vena creativa che attanaglia i protagonisti, da anni fuori dalla scena e tornati nel posto sbagliato al momento sbagliato.

I rockers d’annata aspettano così queste operazioni con la speranza di un ritorno ai vecchi fasti che puntualmente delude, a meno che non si abbia a che fare con gli Heir Apparent ed il loro nuovo lavoro, The View from Below.
La band di Seattle si ripresenta con un nuovo album dopo ventinove anni, essendo nata nella prima metà degli anni ottanta e resasi protagonista della scena metal progressiva con due capolavori come Graceful Inheritance, debutto sulla lunga distanza uscito nel 1986, e One Small Voice, licenziato dal gruppo nel 1989 un attimo prima che Seattle diventasse famosa per la scena grunge.
Quasi trent’anni quindi, prima di tornare a parlare del gruppo di Terry Gorle e di una sua nuova opera, licenziata dalla No Remorse Records, che risulta la classica eccezione che conferma la regola vista l’altissima qualità di queste otto nuove composizioni di alta classe.
Partendo da due dei gruppi protagonisti per decenni della scena heavy metal progressiva statunitense, come i Queensryche ed i Fates Warning, ci si inoltra verso un viaggio nel metal progressivo di alta scuola, prodotto benissimo, zeppo di raffinate melodie e composto appunto da otto perle che offrono il meglio del metal classico e melodico d’oltreoceano.
Con The View from Below vi scorderete di essere al cospetto di una band datata, lasciandovi trasportare dalle sinuose note progressive che fin dall’opener man In The Sky vi rapiranno, presi per mano dal nuovo cantante Will Shaw, protagonista assoluto di questo lavoro al pari con un songwriting che ha nelle trame epico/progressive di The Road To Palestine il suo punto più alto.
Non sono da meno gli altri brani, tra i quali ricordo la splendida Synthetic Lies, la potente Savior e il mid tempo progressivo dal titolo Insomnia, che conclude uno dei ritorni più riusciti degli ultimi anni con una band che, dopo tre decenni regala un album magnifico, e chiedere di più è impossibile.

Tracklist
1. Man in the Sky
2. The Door
3. Here We Aren’t
4. Synthetic Lies
5. Savior
6. Further and Farther
7. The Road to Palestine
8. Insomnia

Line-up
Will Shaw – Vocals
Terry Gorle – Guitar
Derek Peace – Bass
Ray Schwartz – Drums
Op Sakiya – Keyboards

HEIR APPARENT – Facebook

Embryonic Cells – Horizon

Horizon fino alla title track vive di una sua pregevole coerenza per poi vedere inficiato in qualche modo l’esito finale dai due poco convincenti brani conclusivi.

I francesi Embryonic Cells risultano attivi fin dalla fine del secolo scorso, anche se il loro fatturato ammonta a quattro full length pubblicati pressapoco nell’arco dell’ultimo decennio.

Quanto offerto dalla band di Troyes è un buon black metal dai sentori sinfonici, nel senso che le tastiere sono sì presenti ma non finiscono per saturare la scena, restando invece opportunamente sullo sfondo e riuscendo a riempire efficacemente il sound (né è autore Pierre Le Pape, oggi nei Melted Space e già anche negli ottimi Wormfood).
Con queste premesse è lecito attendersi un qualcosa di gradevole ma, probabilmente, non fondamentale e tutto sommato tali previsioni si rivelano fin troppo facilmente azzeccate: Horizon è un disco che si lascia ascoltare con un certo agio, perché non ha davvero nulla che non vada essendo costituito per lo più da brani pervasi da ritmiche ora atmosfericamente incalzanti (Don’t Serve Your King, Never Let You Fall, Horizon), ora più ragionate e cadenzate (Carved In My Skin, Across The Mountains); in un contesto per certi versi prevedibile spiazzano così due episodi difficilmente inquadrabili come To Horizon e No Boundaries, e il fatto stesso che entrambi siano stati collocati al termine dalla scaletta li fa apparire quasi fuori contesto.
Preso come un punto fermo e consolidato il fatto che in materia non c’è più un bel niente da inventare, perché non limitarsi a fare (bene) quanto ci si è prefissi senza sentirsi in obbligo di deviare dalla via maestra con il concreto rischio di finire parzialmente fuori dalla carreggiata? Questo è ciò che accade ad un album come Horizon, che fino alla title track vive di una sua pregevole coerenza per poi vedere inficiato in qualche modo l’esito finale da due brani poco convincenti che appaiono una sorta di appendice posticcia e non richiesta.
Un peccato, questo, che sarebbe stato maggiormente perdonabile ad una band al passo d esordio, un po’ meno se chi ne è autore è in circolazione già da parecchio tempo come nel caso degli Embryonic Cells.

Tracklist:
1.Crossing
2.Don’t Serve Your King
3.Carved In My Skin
4.Never Let You Fall
5.Across The Mountains
6.Horizon…
7.To Horizon
8.No Boundaries

Line-up:
Maxime Beaulieu : vocals / guitars
Pierre Touzanne : bass
Jonathan Lemay : drums
Pierre Le Pape : synths

EMBRYONIC CELLS – Facebook

 

Hammerfall – Legacy Of Kings – 20 Year Anniversary Edition

Esaltante, melodico, spettacolare nelle ritmiche che sanno di heavy metal, ma che, con la forza del power, sbaragliano la concorrenza, Legacy Of Kings è un album magnifico, ovvero il metal nella sua espressione più semplice, diretta, epica e dall’appeal irresistibile.

Il tempo vola e, ultimamente, a scandire gli anni che passano ci pensa la Nuclear Blast, almeno per chi di metal vive da un po’, con le sue preziose ristampe e versioni deluxe per festeggiare anniversari di uscite importanti.

Tocca agli ormai storici Hammerfall ed al loro secondo splendido lavoro, Legacy Of Kings, ritornare in bella mostra nelle vetrine dei negozi specializzati, con questa nuova versione che celebra il ventesimo anno dall’uscita.
Era il 1998 e la band svedese capitanata dal vocalist Joacim Cans e dal chitarrista Oscar Dronjak doveva confermare la qualità espressa nel clamoroso Glory To The Brave, debutto con il botto e prima battaglia per il guerriero Hammerfall.
Legacy Of Kings forma, con il primo lavoro, una coppia stratosferica unita dalla stessa forza, potenza e melodia che contraddistinguerà il sound del gruppo anche se, a mio avviso, non più a questi livelli.
Ho sempre paragonato i primi due album degli Hammerfall alla stregua dei primi due Iron Maiden, tanto per ribadire il grande impatto con il quale il gruppo si affacciò sulla scena metal classica in anni in cui il nord Europa si riprendeva il trono del genere.
Esaltante, melodico, spettacolare nelle ritmiche che sanno di heavy metal, ma che, con la forza del power, sbaragliano la concorrenza, Legacy Of Kings è un album magnifico, ovvero il metal nella sua espressione più semplice, diretta, epica e dall’appeal irresistibile.
Non ci eravamo sbagliati vent’anni fa e il fatto che oggi siamo qui a parlare degli Hammerfall e di Legacy Of Kings lo dimostra, quindi per i collezionisti e per le nuove leve non rimane che consigliare questa ristampa sotto forma di due cd e di un dvd che comprendono la versione rimasterizzata dell’album, varie versioni demo e live …Let The Hammerfall!

Tracklist
1. Heeding The Call
2. Legacy Of Kings
3. Let The Hammer Fall
4. Dreamland
5. Remember Yesterday
6. At The End Of The Rainbow
7. Back To Back
8. Stronger Than All
9. Warriors Of Faith
10. The Fallen One
11. Eternal Dark
12. I Want Out
13. Man On The Silver Mountain
14. Legacy Of Kings (Live Medley 2018)
15. Heeding The Call (live)
16. Let The Hammer Fall (Live 2017)
17. Legacy Of Kings (live)
18. At The End Of The Rainbow (live)
19. Stronger Than All (live)
20. Heeding The Call (demo)
21. Let The Hammer Fall (demo)
22. Warriors Of Faith (demo)
23. Back To Back (demo)
24. At The End Of The Rainbow (demo)
25. Dreamland (demo)

Line-up
Patrik Räfling – Drums
Joacim Cans – Vocals
Oscar Dronjak – Guitars, Vocals (backing)
Stefan Elmgren – Guitars
Magnus Rosén – Bass

HAMMERFALL – Facebook

Ancient Bards – Origine – The Black Crystal Sword Saga Part 2

Il sound di questo nuova opera targata Ancient Bards è eccellente come ci hanno abituato questi guerrieri nostrani delle sette note, tra esplosioni di metal dal piglio cinematografico, cavalcate heavy power, sublimi canti e growl possenti in uno spettacolo di fuochi d’artificio metallico.

Il 2019 non poteva iniziare meglio, almeno per quanto riguarda il symphonic power metal, ed il merito di questa sfavillante partenza è degli Ancient Bards, probabilmente la migliore band nel genere battente bandiera tricolore ed una delle più convincenti in senso assoluto.

Siamo solo al quarto album ma non è un’eresia parlare del gruppo romagnolo come la punta di diamante di un stile musicale che nel nostro paese ha avuto grandi band ed artisti di spessore.
Sara Squadrani e soci hanno fatto passare cinque anni per dare un successore al bellissimo A New Dawn Ending e, grazie ad una campagna di crowdfunding, il nuovo lavoro, che prosegue nel concept iniziato nel 2010, vine licenziato tramite la Limb Music.
Origine – The Black Crystal Sword Saga Part 2, che presenta il nuovo membro ufficiale, il chitarrista Simone Bertozzi, è composto da dieci brani per quasi un’ora in un mondo magico persi tra le note che formano spettacolari scenari epic fantasy.
Il sound di questo nuova opera targata Ancient Bards è eccellente come ci hanno abituato questi guerrieri nostrani delle sette note, tra esplosioni di metal dal piglio cinematografico, cavalcate heavy power, sublimi canti e growl possenti in uno spettacolo di fuochi d’artificio metallico.
Il singolo Impious Dystophia, le meraviglie sinfoniche di Fantasy’s Wings, le fughe epico orchestrali di Titanism, la potenza sinfonica della seriosa ed oscura Hollow e la splendida chiusura con la suite The Great Divide, quattordici minuti di Ancient Bards al massimo del loro splendore, sono alcuni dei validi motivi per non perdere questo ennesimo bellissimo lavoro.

Tracklist
01. Origine
02. Impious Dystopia
03. Fantasy’s Wings
04. Aureum Legacy
05. Light
06. Oscurità
07. Titanism
08. The Hollow
09. Home Of The Rejects
10. The Great Divide Part 1 – Farewell Father Part 2 – Teardrop Part 3 – Il Grande E Forte Impero
11. Eredità Aurea (CD only Bonus Track)

Line-up
Daniele Mazza – keyboards & orchestrations
Claudio Pietronik – guitars
Sara Squadrani – vocals
Federico Gatti – drums
Martino Garattoni – bass
Simone Bertozzi – guitars & growls

ANCIENT BARDS – Facebook

The Crawling – Wolves and the Hideous White

Wolves and the Hideous White non è affatto un’esibizione del death doom nella sua versione più tetragona o putrescente, ma trae correttamente linfa dalla fondamentale scuola britannica, mettendo da parte tentazioni gotiche per privilegiare un impatto più opprimente ma non scevro di appigli melodici.

Secondo full length per i nordirlandesi The Crawling, validi promulgatori del verbo del death doom più canonico.

Wolves and the Hideous White però non è affatto un’esibizione del genere nella sua versione più tetragona o putrescente, ma trae correttamente linfa dalla fondamentale scuola britannica, mettendo da parte tentazioni gotiche per privilegiare un impatto più opprimente ma non scevro di appigli melodici.
Fulcro del lavoro è il brano per certi versi più anomalo, Drowned In Shallow Water, che arriva a spezzare il più robusto incedere dell’iniziale title track e della notevole Still No Sun, traccia in quota primi Paradise Lost; qui affiorano pulsioni post metal che non snaturano affatto un sound sempre ben identificabile, anche quando il lavoro chitarristico esibisce inedite dissonanze.
Superato il breve e non particolarmente incisivo episodio A Time For BrokenThings, con Rancid Harmony il trio di Lisburn ritorna ad infierire con grande efficacia alternando riff micidiali ad aperture melodiche minime ma sempre significative; Promises and Parasites chiude senza sorprese negative questo ottimo lavoro che, come quasi sempre avviene rispetto a ciò che ci giunge dalle lande di oltremanica, gode di una buona produzione atta a valorizzare al meglio il crudo operato del chitarrista cantante Andy Clarke e dei suoi sodali Stuart Rainey (basso) e Gary Beattie (batteria).
Wolves and the Hideous White è una bella conferma per una band relativamente nuova ma già in grado di imporre un sound convincente e, nei limiti di quanto consentito dal genere affrontato, piuttosto personale.

Tracklist:
1. Wolves and the Hideous White
2. Still No Sun
3. Drowned In Shallow Water
4. A Time For Broken Things
5. Rancid Harmony
6. Promises and Parasites

Line-up:
Andy Clarke – Guitar/Vocals
Gary Beattie – Drums
Stuart Rainey – Bass/Backing Vocals

THE CRAWLING – Facebook

Heidra – The Blackening Tide

Gli Heidra non si limitano alla spettacolarizzazione del genere ma offrono una cinquantina di minuti di metal che, alle non poche ispirazioni classiche, aggiunge tutti gli ingredienti necessari per coinvolgere, tra puntate estreme e splendide melodie che evocano guerrieri e dei, altopiani innevati e gelidi venti.

Ottimo lavoro questo The Blackening Tide, secondo capitolo dal taglio viking power metal dei danesi Heidra, che già avevano ben figurato con l’esordio Awaiting Dawn ma che superano le aspettative con questa raccolta di brani pregni di melodie epico guerresche, atmosfere viking ed irruenza power metal.

Al growl, sempre presente nelle parti più cattive del sound, si affianca una voce pulita evocativa e dalle sfumature epiche che, sommata alle caratteristiche principali del sound, completa una proposta assolutamente convincente.
La band danese accontenta e soddisfa gli amanti di questo tipo di sonorità con una serie di tracce molto suggestive e varie, alternando sfuriate power, mid tempo epici e guerreschi e quel tocco folk di matrice scandinava che non dispiace mai.
Gli Heidra non si limitano alla spettacolarizzazione del genere ma offrono una cinquantina di minuti di metal che, alle non poche ispirazioni classiche, aggiunge tutti gli ingredienti necessari per coinvolgere, tra puntate estreme e splendide melodie che evocano guerrieri e dei, altopiani innevati e gelidi venti, che da nord portano influenze melodic death nei momenti più estremi.
The Blackening Tide è un album che si ascolta tutto d’un fiato, uno splendido esempio di metal nordico nobile, glorioso, epico ed avvincente, mai al sotto una qualità che rimane ottima in tutti i brani presenti, trovando in The Price Is Blood, A Crown Of Five Fingers e la title track i propri picchi.

Tracklist
1.Dawn
2.The Price in Blood
3.Rain of Embers
4.Lady of the Shade
5.A Crown of Five Fingers
6.The Blackening Tide
7.Corrupted Shores
8.Hell’s Depths

Line-up
Martin W. Jensen – Guitars (lead), Vocals
Morten Bryld – Vocals
Carlos G.R. – Guitars
Dennis Stockmarr – Drums
James Atkin – Bass

HEIDRA – Facebook

Rise To Fall – Into Zero

Into Zero, nuovo album dei Rise To Fall, riesce ad attirare l’attenzione per l’ottimo suono, debordante e cristallino quanto basta, mentre lascia un leggero gusto amarognolo per quanto riguarda la personalità che su questo lavoro latita.

Partono benissimo i Rise To Fall: The Descendant, brano che apre il nuovo lavoro intitolato Into Zero, ci presenta un buon death metal melodico, derivativo ma convincente, ma già dalla seconda traccia i cinque musicisti spagnoli virano decisamente verso un modern metal melodico, con doppia voce e tutti quei cliché dei quali ormai faremmo tutti a meno.

Ma facciamo un passo indietro per ricordare che il quintetto proveniente da Bilbao è attivo dal 2006 e conta già tre full length all’attivo, quindi si parla di un gruppo con l’esperienza e i mezzi per regalare opere più personali.
Into Zero è stato infatti mixato e masterizzato da Jacob Hansen nei suoi studi danesi, una firma prestigiosa per un lavoro che riesce ad attirare l’attenzione per l’ottimo suono, debordante e cristallino quanto basta, mentre lascia un leggero gusto amarognolo per quanto riguarda la personalità che su questo lavoro latita.
Il modern metal dei Rise To Fall è copiato con la carta carbone da altre decine di lavori del genere, un metal che di estremo ha solo il solito scream reso inoffensivo da clean vocals che trasformano brani di per sé discreti come Acid Drops o The Empress in canzonette da classifica rock, situazione già vissuta con le band storiche del death metal melodico come In Flames e Soilwork.
Il problema dei Rise To Fall è che non hanno la classe dei primi o un artista del calibro di Björn Strid al microfono come i secondi, e tutta la fatica profusa in sala d’incisione viene vanificata da una serie di brani carini ma che passano senza lasciare traccia.
Into Zero potrebbe rappresentare un buon inizio per una band all’esordio, ma qui siamo già al quarto album e il compitino svolto non permette di andare oltre un tiepido apprezzamento.

Tracklist
01. The Descendant
02. In The Wrong Hands
03. Acid Drops
04. House Of Crosses
05. Virgin Land
06. The Empress
07. Temptation Feeds On Our Weaknesses
08. Zero Hour
09. Effects Of The Terrestrial Syndrome
10. Survivor
11. Game Of Appearances
12. White Canvas

Line-up
Dalay Tarda – Vocals
Hugo Markaida – Lead guitars
Dann Hoyos – Lead guitars
Javier Martin – Bass
Xabier del Val – Drums

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