Organic – Carved In Flesh

Prodotto benissimo, tanto che i dettagli compositivi sono perfettamente leggibili, ed accompagnato da una copertina dal fascino old school commovente, Carved In Flesh è un album che entusiasma, una vera sorpresa assolutamente imperdibile se siete amanti di queste immortali sonorità.

Certo che nel far suonare questo album sulle montagne dolomitiche che fanno da sfondo a Brunico si rischiano,  ad ogni nota, valanghe dovute alla potenza emanata da questa bomba death metal dal titolo Carved In Flesh.

La band che ha creato questo tsunami di metal estremo di matrice old school si chiama Organic, arriva all’esordio su lunga distanza dopo un ep licenziato quattro anni fa (Death Battalion) ed ora si appresta a conquistare i cuori dei deathsters dai gusti tradizionali con questo ottimo lavoro composto da nove brani, più le due tracce presenti nell’ep quali bonus track nella versione in vinile.
Il death metal degli altoatesini si ispira a quello svedese dei primi anni novanta, quando erano in piena azione creature musicali mostruose come Grave, Dismember ed Unleashed, con chitarre come motoseghe che abbattono alberi millenari, ritmiche scatenate che si stemperano in atmosferici momenti doom/death che ricordano gli Asphyx, e poi growl cavernoso, riff taglienti e melodie scaturite da death metal infernale.
Prodotto benissimo, tanto che i dettagli compositivi sono perfettamente leggibili, ed accompagnato da una copertina dal fascino old school commovente, Carved In Flesh è un album che entusiasma, una vera ed imperdibile se siete amanti di queste immortali sonorità.
Gli Organic offrono quasi quaranta minuti, che vorremmo non finissero mai, di immersione in quel sound che ha fatto la storia del metal estremo.

Tracklist
1. Suffocate In Blood
2. Shrouded In Darkness
3. Frozen Meat Medal
4. Macabre Rites
5. Der Fotzenknecht
6. I, Soulless
7. Carved In Flesh
8. Carnal Absolution (Behind The Altar)
9. From Beyond
10. Death Battalion (Vinyl Bonustrack)
11. The Result Is To Collapse (Vinyl Bonustrack)
Line-up

Maxi Careri – Vocals
Benni Leiter – Guitar
Markus Walder – Bass
Lukas Hofer – Drums

ORGANIC – Facebook

Absolva – Defiance

Ristampa in vinile di Definace ultimo lavoro dei Metallers Absolva uscito lo scorso anno e che vede all’opera tre membri della band di Blaze Bayley ed uno degli Iced Earth.

Per gli amanti del vinile, tornato a riempire gli scaffali dei negozi di musica, la Rocksector Records stampa il quarto album dei britannici Absolva, uscito lo scorso anno ed intitolato Defiance.

La band di Manchester, attiva dal 2012, è composta da tre membri del gruppo di Blaze Bayley e uno degli Iced Earth, quindi se non possiamo parlare di super gruppo poco ci manca.
La band ha nei due fratelli Appleton (Luke e Chris) il carburante necessario per far viaggiare spedito il suo heavy metal che se si rispecchia nella tradizione anglosassone, lasciando oscuri spiragli al classico sound statunitense.
Defiance risulta il classico lavoro old school, molto curato in fase di produzione e arrangiamenti, quindi perfettamente calato in questo nuovo secolo, composto da una dozzina di brani potenti e dotati di refrain impeccabili, solos tonanti e vari nell’alternare veloci brani heavy/power e mid tempo oscuri e dal piglio epico.
Ovviamente l’appartenenza a due band importanti come Iced Earth e quella dell’ex Iron Maiden, portano inevitabilmente il sound di Defiance verso queste due direzioni, con l’aggiunta di sfumature derivanti da Iron Maiden e Saxon.
Con tali premesse l’album gira che è una meraviglia, con Chris Appleton che si rivela un buon vocalist di genere e tutta la band che, compatta, ci riserva una prestazione gagliarda.
Ma la cosa più importante è di certo il songwriting e l’album non delude, tenendo botta per tutta la sua durata con un paio di picchi assoluti come Rise Again e Midnight Screams, potenti, veloci e melodiche heavy metal songs che rispecchiano in tutto e per tutto quanto scritto.
L’uscita in vinile rende ancora più appetibile questo ultimo lavoro degli Absolva, una piacevole sorpresa per gli amanti dell’heavy metal classico che si erano persi l’uscita lo scorso anno.

Tracklist
1. Life on the Edge
2. Defiance
3. Rise Again
4. Fistful of Hate
5. Never Be the Same
6. Alarms
7. Connections
8. Midnight Screams
9. Life and Death
10. Eclipse
11. Who Dares Wins
12. Reflection

Line-up
Chris Appleton – Lead vocals and lead guitar
Luke Appleton – Rhythm guitar and backing vocals
Martin McNee – Drums
Karl Schramm – Bass and backing vocals

ABSOLVA – Facebook

SJUKDOM – Stridshymner Og Dodssalmer

Decisamente senza infamia e con qualche lode, Stridshymner Og Dodssalmer è destinato suo malgrado ad un tiepido apprezzamento destinato, poi, a trasformarsi un inevitabile oblio: un peccato, perché i Sjukdom parrebbero avere nelle corde qualcosa di più ficcante e personale anche se è molto probabile che, alla fin fine, la cosa non interessi loro neppure troppo.

I Sjukdom sono una band norvegese che suona un black metal devoto alla vecchia scuola nata nella loro nazione circa trent’anni fa.

Messa già così resterebbe ben poco da dire ed in effetti, nel bene e nel male, cosa si può raccontare di un album decisamente gradevole, ben suonato e ben prodotto, tagliente ed abrasivo come da copione ma irrimediabilmente privo di elementi che possano renderlo un ascolto imprescindibile?
Ciò che resta, e non è poco, è sicuramente l’impegno profuso da musicisti competenti nell’offrire un genere che è saldamente intrecciato nel loro dna; pensando poi che Stridshymner Og Dodssalmer si apre con un bellissimo brano come Dødssalmer viene da pensare che in fondo l’essere perfettamente aderenti a certi schemi compositivi non sia certo un male per i Sjukdolm, e lo stesso si può dire riguardo anche alla più furiosa traccia conclusiva Skudd for skudd; tutto quanto sta in mezzo lo si ascolta con piacere, ma il rischio concreto è che, riposto nel suo virtuale spazio sullo scaffale, difficilmente un lavoro di questo tipo verrà ripescato per essere oggetto di nuovi ascolti.
Decisamente senza infamia e con qualche lode, Stridshymner Og Dodssalmer è destinato suo malgrado ad un tiepido apprezzamento destinato, poi, a trasformarsi un inevitabile oblio: un peccato, perché i Sjukdom parrebbero avere nelle corde qualcosa di più ficcante e personale anche se è molto probabile che, alla fin fine, la cosa non interessi loro neppure troppo.

Tracklist:
1. Dødssalmer
2. Nærvær
3. Lykantropi
4. Med en fot i graven
5. Terra Nihil
6. I en storm av stål
7. Skudd for skudd

Line-up:
Hul – guitars
Avsky – vocals
Natt – drums
Nekrosis – bass

Sacral Rage – Beyond Celestial Echoes

Dimenticate gli assalti all’arma bianca tipici dello speed metal. in Beyond Celestial Echoes l’attitudine progressiva la fa da padrona regalando ai vari brani un’anima nobile in un sound che, di solito, si arma di ignoranza per correre veloce ed attaccare senza pietà.

Troppo superficialmente considerati una speed metal band, i Sacral Rage danno alle stampe, tramite la Cruz Der Sur Music, il loro nuovo lavoro, Beyond Celestial Echoes.

L’album prosegue nel racconto delle avventure la storia di UL, un androide alieno proveniente da un’antica razza che detiene la conoscenza dell’alta tecnologia e viaggia attraverso lo spazio e il tempo per trovare le giuste quantità di energia necessarie al raggiungimento della vita eterna.
La band di Atene, formatasi nel 2011, giunge così al secondo lavoro sulla lunga distanza, dopo aver dato alle stampe un paio di demo ed un ep, prima del fortunato Illusions in Infinite Void, esordio licenziato tre anni fa e che ha fruttato una valanga di giudizi positivi dalla stampa musicale europea.
Con un concept alla Voivod, in un clima thrash/speed/heavy progressivo, il sound dei quattro eroi spaziali riflette in primis l’ottima tecnica in loro possesso ed un approccio al genere assolutamente maturo.
Va da sé che l’album si avvale di un’anima progressiva che fuoriesce da brani comunque dal grande impatto metallico, con ritmiche intricate e mai banali, chitarre dal suono che rimanda alla band canadese ed il cantato che si esprime per la maggior parte in un falsetto di matrice King Diamond.
Dimenticate dunque gli assalti all’arma bianca tipici dello speed metal. in Beyond Celestial Echoes l’attitudine progressiva la fa da padrona regalando ai vari brani un’anima nobile in un sound che, di solito, si arma di ignoranza per correre veloce ed attaccare senza pietà.
I quattordici minuti della conclusiva The Glass ben riassumono il sound di questo bravissimo gruppo proveniente dalla capitale ellenica, un saliscendi di emozionante heavy metal valorizzato dalle varianti creative descritte.
Immaginate una jam tra Mercyful Fate, Voivod e Coroner ed avrete un quadro abbastanza esauriente delle potenzialità espresse dai Sacral Rage.

Tracklist
1. Progenitor
2. Eternal Solstice
3. Vaguely Decoded
4. Suspended Privileges
5. Samsara (L.C.E.)
6. Necropia
7. Onwards to Nucleus
8. The Glass

Line-up
Dimitris K – Vocals
Vagelis F – Drums
Spyros S – Bass
Marios P – Guitars

SACRAL RAGE – Facebook

Madvice – Everything Comes To An End

Il sound non ha nulla a che vedere con quello dei Nameless Crime, ma rimane una sagacia compositiva che si respira nello spartito di queste devastanti nove esplosioni metalliche che racchiudono un impatto tradizionale, con un approccio moderno e progressivo e assolutamente diretto.

Quattro anni fa affrontavamo lo straordinario, ultimo lavoro dei Nameless Crime (il bellissimo Stone The Fool), un album metal che inglobava nel proprio sound una marea di intuizioni provenienti dai generi più disparati risultando un lavoro originale e sopra le righe.

Maddalena Bellini e Raffaele Lanzuise, rispettivamente chitarrista e bassista di quella band, tornano oggi con il nome Madvice: con Asator al microfono e Marco Moretti alla batteria, il gruppo debutta con Everything Comes To An End, licenziato dalla Time To Kill Records.
Nove brani, compresa la cover di Everybody Wants to Rule the World dei Tears For Fears, compongono questo notevole esempio di metal estremo, dai rimandi death/thrash.
Il sound non ha nulla a che vedere con quello dei Nameless Crime, ma rimane una sagacia compositiva che si respira nello spartito di queste devastanti nove esplosioni metalliche che racchiudono un impatto tradizionale, con un approccio moderno e progressivo e assolutamente diretto.
Tra le note di brani pesantissimi come Vengeance, il potente mid tempo di A Day To Fight, A Day To Suffer o Master Of Doom si trova la chiave per entrare nel mood di questo lavoro che vive di sonorità estreme, ma che non rinuncia a qualche geniale digressione progressiva in una perfetta simbiosi tra At the Gates, Soilwork e il Devin Townsend più diretto.
Un ottimo lavoro che da il via alla carriera dei Madvice, band da seguire con molta attenzione, anche perché i musicisti coinvolti lo meritano.

Tracklist
1. Vengeance
2. Everything Comes To An End
3. A Day To Fight, A Day To Suffer
4. The Gate
5. Nothingness
6. Master Of Doom
7. Everybody Wants to Rule the World
8. Rebirth
9. Hopeless

Line-up
Asator – Vocals
Maddalena Bellini – Guitars
Raffaele Lanzuise – Bass
Marco Moretti – Drums

MADVICE – Facebook

Inira – Gray Painted Garden

Il quartetto nostrano si rivolge con la sua musica agli amanti del metal moderno, ed i capisaldi del genere sono tutti ben sistemati all’interno di questa raccolta fatta di undici tracce di metallo moderno e melodico che formano un’opera esplosiva e benedetta da un songwriting che ne alza non poco l’interesse.

Un sound dal taglio internazionale, così come la dimensione di questa ottima band nostrana che, partendo dal Friuli, ha prima conquistato i paesi dell’est, firmando con una delle label metal più importanti a livello underground, la Another Side/Metal Scrap, ed ora ci prova con i paesi occidentali ed il Giappone.

Gli Inira, con Gray Painted Garden licenziano il loro secondo album sulla lunga distanza, dando un seguito al debutto Revolution Has Begun, uscito otto anni fa e seguito solo dall’ep Antartide del 2013.
Per questo nuovo lavoro sono state fatte le cose in grande, non trascurando nessun dettaglio ed affidando Gray Painted Garden alle sapienti mani di Henrik Udd (Bring Me The Horizon, Architects, At The Gates, Powerwolf, I Killed The Prom Queen, Hammerfall) ai suoi Recording Studio per la masterizzazione, i suoni di batteria a Riccardo Pasini (Extrema, The Secret, Blindead, Nero Di Marte), mentre praticamente l’intero album è stato registrato dal cantante Efis Canu.
Il quartetto nostrano si rivolge con la sua musica agli amanti del metal moderno, ed i capisaldi del genere sono tutti ben sistemati all’interno di questa raccolta fatta di undici tracce di metallo moderno e melodico che formano un’opera esplosiva e benedetta da un songwriting che ne alza non poco l’interesse.
Gli Inira sono la tipica band dai molti spunti melodici, dalle ritmiche moderne, con uso della doppia voce e con molte affinità con i “nuovi” In Flames, certo, ma presentano un lotto di canzoni riuscite e dall’appeal debordante se si è amanti del genere.
Appunto la band svedese è la fonte principale a cui gli Inira si ispirano, lo si sente dai solos melodici che tra i tanti input moderni lasciano trasparire note di un passato classico, di tradizione scandinava, in cui non mancano accelerate thrash ed atmosfere impregnate di sana violenza.
Fila come un treno questo lavoro, non lasciando indietro neanche un brano tra quelli presenti tra i quali vanno citati il singolo Discarded, This Is War, The Falling Man e la devastante Oculus Ex Inferi.
Ne sentiremo ancora parlare degli Inira, almeno per quanto riguarda queste sonorità, tutt’altro che facili da suonare risultando convincenti e pesanti come accade a questa band friulana dalle grandi ambizioni.

Tracklist
1. Gray Painted Garden
2. Discarded
3. This Is War
4. Sorrow Makes for Sincerity
5. Venezia
6. Zero
7. The Falling Man
8. The Path
9. Universal Sentence of Death
10. Oculus Ex Inferi
11. Home

Line-up
Efis Canu – Vocals
Marco Bernardon – Bass
Daniele Bressa – Guitars
Gabriele Boz – Drums

INIRA – Facebook

Aethereus – Absentia

Un debutto più che positivo per una band davvero eccellente sotto l’aspetto tecnico e che riesce a superare in modo soddisfacente anche l’ostacolo del songwriting in un genere nel quale scadere nel mero tecnicismo è piuttosto facile.

Il lato progressivo del death metal continua a mietere vittime, in questo periodo costellato da uscite molto interessanti sia per quanto riguarda le band più affermate che le giovani leve, sempre più agguerrite e preparate a livello tecnico.

Progressive death o technical death, fate voi, l’importante è strabiliare con capacità tecniche, brutalizzare il sound accelerando come una Formula 1 sul rettilineo prima del traguardo, ed aggiungere bellissime parti atmosferiche a fungere da quiete prima della tempesta.
In arrivo da Tacoma, cittadina dello stato di Washington, si affacciano sulla scena estrema grazie all’etichetta The Artisan Era gli Aethereus, quintetto attivo da quattro anni con un ep (Ego Futurus) alle spalle, ora affiancato da Absentia, primo lavoro sulla lunga distanza.
La band statunitense risulta perfettamente calata nel genere grazie ad un sound in linea con quanto descritto in precedenza, mancando forse di personalità, ma ritagliandosi un suo spazio in quanto a potenza e bravura esecutiva.
Absentia elargisce ottima tecnica in abbondanza, gli stacchi atmosferici sono oscuri e pesanti ma frenano l’ondata brutale del sound, mentre varianti ritmiche e scale vorticose dettano le regole su cui sono strutturati brani convincenti come in Fluorescent Halls of Decay e The Pale Beast.
Un debutto più che positivo per una band davvero eccellente sotto l’aspetto tecnico (Kyle Chapman e Ben Gassman risultano chitarristi dall’accentuato talento melodico), e che riesce a superare in modo soddisfacente anche l’ostacolo del songwriting in un genere nel quale scadere nel mero tecnicismo è piuttosto facile.

Tracklist
1. Cascades of Light
2. Writhe
3. Mortal Abrogation
4. Fluorescent Halls of Decay (Ft. Brody Uttley of Rivers of Nihil)
5. Absentia
6. That Which is Left Behind
7. The Black Circle
8. With You, I Walk
9. The Pale Beast

Line-up
Vance Bratcher – Vocals
Kyle Chapman – Guitar/Vocals
Ben Gassman – Guitar
Scott Hermans – Bass
Matthew Behner – Drums

AETHEREUS – Facebook

L’Ira Del Baccano – Si Non Sedes Is – Live MMVII

Torna in doppio vinile e in cd digipack una delle pietre miliari della psichedelia pesante italiana, un autentico capolavoro di suggestioni e stimoli neuronali.

Torna in doppio vinile e in cd digipack una delle pietre miliari della psichedelia pesante italiana, un autentico capolavoro di suggestioni e stimoli neuronali.

Il disco uscì in origine nel 2007 ed era finora disponibile esclusivamente in download digitale o in copie pirata in rete. Ora è il momento del suo ritorno in uno splendore maggiore rispetto all’originale, dato che il Pisi Mastering Studio ha compiuto un ottimo lavoro sullo spettro sonoro e sul bilanciamento dello stesso. In questa ristampa della Subsound Records si po’ quindi godere maggiormente della bellezza sonora di questo gruppo che è ciò che si avvicina di più in Italia alla mentalità dei Grateful Dead, ovvero suonare in libertà, bellissime jam che fluttuano libere nell’atmosfera. Ciò che è ancora più bello e che è L’Ira del Baccano fa psichedelia pesante. Questo esordio ha inoltre una storia particolare, perché è l’atto di nascita del nome L’Ira Del Baccano (tra l’altro un nome fantastico che avrebbe fatto la felicità degli esoteristi junghiani), dato che il disco fu registrato in due concerti nei quali il gruppo si chiamava ancora Loosin’o’Frequencies che ebbe un mini cd prodotto da Paul Chain come unica uscita. Oltre a sancire il cambio di nome, il disco dal vivo fu anche il decisivo momento di svolta per il gruppo, che divenne da quel momento totalmente strumentale. Inoltre il cambio di ragione sociale fu deciso quando il mix era già pronto. Questa è la storia per i posteri, ma la cosa più importante è che ci hanno dato questo disco che è un autentico capolavoro di libertà musicale, di psichedelia che si congiunge carnalmente con il metal, riuscendo a rimanere eterea e a far sognare l’ascoltatore. Infatti il disco all’epoca dell’uscita e negli anni successivi si fece una solida e molto meritata fama nel sottobosco musicale, e molti lo indicano come uno dei dischi fondamentali dell’ambito. Ascoltandolo ci si perde catturati dalla bellezza di queste note libere, suonate con uno spirito che si rifà agli anni settanta, ma che è anche proiettato anche nel futuro, perché infatti nei due ottimi dischi successivi, Terra 41 del 2014 e Paradox Hourglass del 2017, il discorso cominciato nel 2007 continua ulteriormente. Questo disco è bellissimo da ascoltare senza mai staccare le cuffie dalla testa, in un continuum spazio temporale appartenente ad una dimensione diversa dalla nostra.
Un’importante ristampa di un disco fondamentale per la musica pesante italiana e non solo.

Tracklist
1.Doomdance
2.Sussurri Di Nascita Celeste/Grateful to Jerry
3.875
4.Don Bastiano
5.Tempus Inane Flago Requiem Spatiumque Furori
6.Live Jam on Sussurri Theme (INEDIT VINYL ONLY bonus track)
7.Doomdance Apocalypse ’80 mix(VINYL ONLY bonus track;from ” Split 2010 ” digital ep)

Line-up
Alessandro “Drughito” Santori – guitar/direction and architecture of Baccano
Roberto Malerba – guitar/synth
Sandro “fred” Salvi – drums
Ivan Contini Bacchisio – bass

L’IRA DEL BACCANO – Facebook

Tragacanth – The Journey Of A Man

Death metal feroce e tecnico, a tratti assolutamente progressivo ed attraversato da mood atmosferici, mentre un’anima black è foriera di cavalcate sferzate da gelidi venti nordici.

I Paesi Bassi sono per tradizione una delle terre più importanti per lo sviluppo delle sonorità estreme, specialmente per quanto riguarda il caro e vecchio death metal, fin dai primi anni novanta.

I Tragacanth fanno parte di quelle nuove leve che provano, anche se con approccio diverso, a tenere alta la bandiera del metal estremo nel paese dei tulipani, riuscendoci con un sound interessante e questo nuovo lavoro intitolato The Journey Of A Man, il secondo dopo Anthology Of The East licenziato tre anni fa.
Death metal feroce e tecnico, a tratti assolutamente progressivo ed attraversato da mood atmosferici, mentre un’anima black è foriera di cavalcate sferzate da gelidi venti nordici: questo è il sound proposto dal gruppo proveniente da Utrecht, imprigionato in nove composizioni per cinquanta minuti di intricate parti tecnico progressive e devastanti ripartenze death/black metal che non lasciano scampo.
La bravura tecnica dei nostri non inficia la scorrevolezza di composizioni dalla durata importante, cangianti nelle atmosfere di cui si compongono e perfette nel presentare al meglio i loro creatori.
Denial: They Are Mistaken, Depression: Waning Light e Acceptance: My Destiny Awaits, basterebbero per fare una carneficina, scorticando e torturando i padiglioni auricolari dei fans per via di un songwriting che alterna death metal, progressive, brutal e black metal in un continuo saliscendi estremo di ottimo valore.
Nella musica dei Tragacanth troverete sicuramente note che vi porteranno al confronto con altre e più famose realtà, ma il tutto rimanendo comunque saldamente all’interno in una proposta a suo modo personale.

Tracklist
1.Survival: Stagnate Reality
2.Denial: They Are Mistaken
3.Anger: Kitrine Chole
4.Depression: Waning Light
5.Bargaining: Will You Answer Me?
6.Nightmare: The Vision
7.Acceptance: My Destiny Awaits
8.Suffering: The Essence Implodes
9.Death: Journey’s End

Line-up
Jasper – Drums
Adrian – Guitars
Erik – Guitars
Terry – Vocals
Mark – Bass

TRAGACANTH – Facebook

Damnatus – Un Niente

Quello di Damnatus è un depressive black cadenzato e melodico, basato soprattutto su un lavoro chitarristico lineare ma efficace nel generare melodie dolenti sulle quali, poi, si poggia lo screaming disperato che declama testi in italiano molto diretti ma non banali.

Un Niente è il primo full length per il progetto solista Damnatus, il cui artefice è il giovane Oikos, musicista dotato di una grande sensibilità che trova sfogo in un depressive black molto esplicito a livello lirico.

L’ep Io odio la vita era già stato piuttosto indicativo del modus operandi di Oikos, il quale opta a livello stilistico per un depressive black cadenzato e melodico, basato soprattutto su un lavoro chitarristico lineare ma efficace nel generare melodie dolenti sulle quali, poi, si poggia lo screaming disperato che declama testi in italiano molto diretti ma non banali.
Il male di vivere nell’ottica Damnatus non ha filtri né edulcorazioni di sorta e l’obiettivo di restituire senza mediazioni il carico di disagio, la frustrazione ed il senso di resa di fronte al peso dell’esistenza riesce piuttosto bene, anche se il tutto potrebbe non soddisfare chi ricerca strutture leggermente più elaborate ed al contempo atmosferiche rinvenibili in altre forme di depressive.
Quella proposta da Oikos è musica sincera, che va apprezzata per quel che è senza stare troppo a vivisezionarne l’operato dal punto di vista sonoro piuttosto che lirico: quello che conta, qui, è il messaggio, che arriva forte, chiaro e brutalmente diretto, offrendo i suoi momenti migliori allorché la forma musicale si avvicina a quella utilizzata dai Katatonia ai tempi dell’accoppiata Discouraged Ones/Tonight’s Decision (Lacrima è il brano in cui ciò avviene in maniera più evidente, risultando senza dubbio il momento migliore dell’album) dove però il tutto veniva levigato, oltre che dalla classe superiore della band svedese, anche da un approccio dai forti richiami alla darkwave, al contrario di quanto avviene in Un Niente in cui viene maggiormente esasperata, anche vocalmente, l’asprezza della componente black.
Oikos trascrive e mette in musica quelle sensazioni sgradevoli che almeno una volta nella vita balenano nella mente di ogni essere senziente: si tratta poi di scegliere se esplicitare tutto questo cercando di trovare una qualsiasi via di uscita, anche estrema, oppure, citando il grande Gaber, “far finta di essere sani”, anche se alla fine ciò che resterà sarà solo e sempre la sofferenza, che la si voglia celare o meno alla vista degli altri.

Tracklist:
1. Alba di un nuovo dolore
2. Un altro giorno
3. Letargia
4. Lo specchio del vuoto
5. Lacrima
6. Tempi Andati
7. Un niente

Line-up:
Oikos – All instruments, Vocals

Codename : Delirious – The Great Heartless

I Codename: Delirious potrebbero suonare benissimo sia il metalcore e l’elettro metal così come il deathcore o il nu metal, invece scelgono la via più difficile, ovvero quella della sintesi originale e personale.

Debutto per gli italiani Codename: Delirious, propugnatori di un metalcore con molto groove e dagli importanti inserti di elettronica.

Il disco ha una sua struttura portante ben definita, sebbene alcuni passaggi siano ancora titubanti. Il gruppo milanese sforna un lavoro che è assai difficile da ascoltare in Italia, con moltissime cose dentro, mostrando ancora notevoli margini di miglioramento. Ci sono molti generi dentro a The Great Heartless, dal metalcore al numetal, fino ad un nuovo ibrido fra metal ed elettronica. Il gruppo stesso si definisce dubmetal e non sbaglia certamente, anzi il dub visto come cambio open source di un suono è proprio il termine adatto. La resa globale è di buona qualità, ma soprattutto il tutto è molto vario ed amalgamato bene. Inevitabilmente, mettendo molta carne al fuoco, ci sono dei momenti di confusione, delle vie ancora da esplorare e alcune titubanze su quale prendere, ma ciò è nulla in confronto a quanto di buono si ascolta qui. La caratteristica migliore del disco è il suo continuo mutare, l’essere perennemente in bilico fra elettronica e metal, con il cantato che detta la linea e il resto del gruppo che fa benissimo il resto. Dal punto di vista del metal questo è sicuramente un lavoro moderno, fatto da giovani curiosi e molto capaci nel plasmare diversi materiali a proprio piacimento. Inoltre il disco è molto divertente da ascoltare, perché si vaga e mentre lo si ascolta si viene piacevolmente presi per mano e condotti a distanza di sicurezza dalla realtà. I Codename: Delirious potrebbero suonare benissimo sia il metalcore e l’elettro metal così come il deathcore o il nu metal, invece scelgono la via più difficile, ovvero quella della sintesi originale e personale. Un buon debutto che lascia intravedere un fulgido futuro.

Tracklist
1 – Act So Tough (HVRD RMX)
2 – Ryo/Leon
3 – Dr. Braun
4 – …chissà
5 – Lost At Sea
6 – Love Song (for people who don’t feel a thing)
7 – Worst Of Me
8 – He Gotta Know The Name
9 – Bridge Over Alpha-Z

Line-up
Luca – Consolle
Marco – Bass/Backing Vocals
Dario – Guitar
Omar – Voice
Chris – Drums

CODENAME: DELIRIOUS

Pale Divine – Pale Divine

Distante sei anni dal precedente Painted Windows Black, Pale Divine presenta da tradizione del trio statunitense un esempio di doom metal pregno di sfumature heavy e di straordinarie jam dove esce prepotentemente l’anima bluesy che è il marchio di fabbrica del sound del gruppo.

La label americana Shadow Kingdom non sbaglia un colpo, specialmente nei generi classici e di stampo heavy metal e doom, con un roster che si avvale di gruppi di livello, partendo dai nostrani e leggendari Death SS e passando per una serie di realtà dell’underground mondiale come Iron Void, Vanik e Death Mask tra le altre.

I Pale Divine, trio proveniente dalla Pennsylvania, sono attivi da più di vent’anni e con una discografia che se non ha regalato tanto numericamente ha sicuramente offerto del doom metal classico di qualità, per mezzo di quattro splendidi lavori a cui si aggiunge il nuovo album omonimo.
Distante sei anni dal precedente Painted Windows Black, Pale Divine presenta da tradizione del trio statunitense un esempio di doom metal pregno di sfumature heavy e di straordinarie jam dove esce prepotentemente l’anima bluesy che è il marchio di fabbrica del sound del gruppo
Lunghe jam si alternano così a brani dal piglio hard & heavy, il sound non rallenta mai troppo ma mantiene una spigliata vena cadenzata su cui la chitarra si scatena in lunghi solos.
Bleeding Soul, So Low, Shades Of Blue e la conclusiva Ship Of Fools sono i brani su cui la band costruisce le fondamenta per rendere ottimo un album marchiato a fuoco dalla vena compositiva ispirata come sempre da Trouble, Pentagram, Revelation e compagnia.
Ottimo ritorno per la band statunitense, Pale Divine è un lavoro consigliato a tutti gli amanti del doom metal classico.

Tracklist
1.Spinning Wheel
2.Bleeding Soul
3.Chemical Decline
4.So Low
5.Curse the Shadows
6.Shades of Blue
7.Silver Tongues
8.Ship of Fools

Line-up
Greg Diener – Guitar/vocals
Darin McCloskey – Drums
Ron McGinnis – Bass

PALE DIVINE – Facebook

Winterdream – Inner Lands

Bellissimo debutto per i Winterdream, duo nostrano al debutto con Inner Lands, convincente lavoro composto all’insegna di un valido symphonic/power/folk metal.

Per suonare dell’ottimo symphonic metal non è necessario avere la carta d’identità scandinava o olandese, anche nel nostro paese non mancano band dalle indubbie capacità nell’affrontare l’anima sinfonica del metal con il talento ed una innata predisposizione nel creare ambientazioni in musica che richiamano tempi andati e leggende di cui il nostro paese è ricco, essendo dal punto di vista storico il fulcro dell’intero pianeta.

Da nord a sud dello stivale ottime realtà sinfoniche si sono create il proprio spazio in un mondo come quello del metal, purtroppo ancora lontano dalla tradizione consolidata di altri paesi, ai quali musicalmente si ispirano questi due artisti campani.
Christian Di Benedetto, autore di musica e testi e alle prese con orchestrazioni, chitarra, tastiere, mix e mastering, e Margherita Palladino, splendida interprete canora, hanno dato vita con questo primo lavoro intitolato Inner Lands, ad un bellissimo affresco di metal sinfonico targato Winterdream.
L’album è composto da sei brani che si nutrono dell’epico ed evocativo incedere delle migliori proposte del genere, lo valorizzano con note folkeggianti, lo potenziano con ritmiche power e lasciano che l’eterea voce della cantante si posi come candida neve sulla radura sul tappeto musicale creato dal polistrumentista nostrano.
Broken Sword Of Isidur è il piccolo capolavoro che funge da sunto di questo primo album del duo, un brano dalle sognati basi folk con break centrale ed ultima parte in un crescendo sinfonico davvero suggestivo.
Ovviamente anche gli altri brani funzionano benissimo, da Escape From The Nightmare a Telling Tales To The Stars, tracce prettamente symphonic metal, fino alla conclusiva ed atmosferica Our Truth.
Inner Lands risulta così una piacevole sorpresa, da consigliare senza indugi agli amanti del genere.

Tracklist
1.In the Reigning Obscurity
2.Escape from the Nightmare
3.Telling Tales to the Stars
4.Winterdream
5.Broken Sword of Isildur
6.Our Truth

Line-up
Margoth (Margherita Palladino) – Vocals
Christian Di Benedetto – Keyboards, Guitars

WINTERDREAM – Facebook

METEORE: EXORCIST

Primo ed unico disco di una band misteriosissima, dietro la quale si celano in realtà gli statunitensi Virgin Steele (i nomi dei componenti degli Exorcist sono del resto palesi pseudonimi).

ExorcistNightmare Theatre

L’uscita di questo disco nel 1986 venne subito accompagnata dalla voce secondo la quale dietro alla band degli Exorcist (che in effetti nessuno aveva visto in faccia e che non si esibivano dal vivo), si celassero in realtà i newyorkesi Virgin Steele, campioni dell’epic metal e dell’hard rock più cromato di gran classe desiderosi di misurarsi con un album thrash, allora al culmine della popolarità, specie in America. La biografia ufficiale degli Exorcist affermava soltanto che il quartetto proveniva dalle terre canadesi. Da parte sua, il vocalist dei Virgin Steele, il cantante e tastierista David De Feis, non fece altro che negare ogni forma di coinvolgimento suo e dei suoi compagni d’arme. Tutti, peraltro, si convinsero della cosa, che oggi viene in buona sostanza data per assodata. Le coincidenze, d’altra parte, non erano poche: ambedue le band appartenevano alla scuderia della Cobra, erano prodotte da De Feis stesso e impiegavano il medesimo studio di registrazione, il Sonic Sound. Inoltre, dopo che Nightmare Theatre fu stampato, gli Exorcist scomparvero nel nulla: una vera meteora, insomma. Lo sfogo thrash dei Virgin Steele, ristampato giusto un anno fa dalla HR Records in edizione doppia, è da riascoltare: un thrash assai oscuro e tetro, non distante da certo horror metal di qualità, intriso di atmosfere dark e con una gran dose di occulta ferocia sonora. Detto altrimenti: un classico, con titoli e testi degni delle evil stories di King Diamond.

Track list
1- Black Mass
2- The Invocation
3- Burnt Offerings
4- The Hex
5- Possessed
6- Call For the Exorcist
7- Death By Bewitchment
8- The Trial
9- Execution of the Witches
10- Consuming Flames of Redemption
11- Megawatt Mayhem
12- Riding to Hell
13- Queen of the Dead
14- Lucifer’s Lament
15- The Banishment

Line up
Damian Rath – Vocals
Marc Dorian – Guitars
Geoff Fontaine – Drums
Jamie Locke – Bass

Clouds – Dor

I cinquanta minuti di musica contenuti in Dor sono lo stato dell’arte del death doom melodico in questo momento, in quanto mi riesce difficile immaginare altre band oggi, se non i soli Saturnus, capaci di sollecitare con la stessa continuità le corde emotive degli appassionati.

Credo d’aver già parlato più volte (magari a sproposito) dell’effetto catartico che le forme più oscure e malinconiche del doom possono rivestire nei confronti degli spiriti maggiormente sensibili, specialmente quando si ritrovano a dover mettere assieme i cocci di una fragile esistenza.

La musica è il collante ideale per provare, se non a risolvere, sicuramente a riassemblare parzialmente quanto il corso della vita sta provando a mandare in frantumi e, in tal senso, in coincidenza dell’uscita di ogni album che vede coinvolto Daniel Neagoe, sia con gli Eye Of Solitude sia con il suo più recente progetto Clouds, è un po’ come avere la possibilità di ascoltare le parole di un amico che, invece di edulcorare inutilmente la realtà, decide di mostrare tutto il dolore del modo facendo scendere lacrime liberatorie e purificatrici.
Daniel, rispetto a molti altri grandi del settore, ha una prolificità compositiva che lo contraddistingue in maniera decisiva: per fare un esempio, negli ultimi sei anni, il tempo necessario per ascoltare un nuovo (capo)lavoro degli Evoken dopo Atra Mors, il musicista rumeno con le sue due band principali ha pubblicato complessivamente ben sette full length ed un numero considerevole di ep e singoli, tutto materiale di spessore artistico incommensurabile.
Rispetto agli EOS, con i Clouds Neagoe esplora il lato più melanconico e atmosferico del doom, coerentemente con quello che era stato l’intento manifestati all’epoca dell’esordio con Doliu, ovvero quello di omaggiare la memoria di chi non è più tra noi.
Tutto questo porta il sound di un album stupendo come Dor ad essere quasi antitetico per approccio al capolavoro degli Eye of Solitude che fu Canto III: mente in quel caso il senso della tragedia e del fallimento umano, nella vana ricerca di un senso all’esistenza, era qualcosa di tangibile, quasi fisico, ed esibito in maniera mirabilmente drammatica, qui il dolore è meno intenso e più soffuso, reso sopportabile nel suo essere diluito lungo brani intrisi di splendide melodie ed interpretati magistralmente dallo stesso Daniel e dagli ospiti che, come di consueto, arricchiscono ogni lavoro targato Clouds.
I cinquanta minuti di musica contenuti in Dor sono lo stato dell’arte del genere in questo momento, in quanto mi riesce difficile immaginare altre band oggi, se non i soli Saturnus, capaci di sollecitare con la stessa continuità le corde emotive degli appassionati, i quali non potranno che essere soggiogati dalla bellezza di questi sei brani dall’incedere struggente e in grado di indurre alla commozione dalla prima nota di Forever and a Day all’ultima di Alone.
The Last Day Of Sun è un grido di dolore in cui la disperazione (No one to hear my endless story / No one to set me free) si alterna alla disillusione, una prova di sommo lirismo che Daniel ci regala, assieme alla limpidezza di When I’m Gone, in cui ritroviamo la gradita partecipazione della bravissima Gogo Melone, e all’abbandono di The Forever Sleep, interpretata magistralmente da Pim Blankenstain (Can I close my eyes / This must be the night I die / Never to wake up again / The forever sleep and no more pain).
Il finale della title track è letteralmente lacerante nel sua tragica bellezza, mentre in Alone si può apprezzare lo splendido operato della giovane violinista Irina Movileanu, il cui tocco avvicina non poco il brano agli episodi più evocativi dei sempre imprescindibili My Dying Bride.
I Clouds odierni ripropongono la line-up a forte componente rumena già vista all’opera dal vivo quest’anno che comprende, oltre all’appena citata Irina, la base ritmica dei Descend Into Despair (Alex Costin e Luca Breaz) ad accompagnare l’ormai consolidata presenza dell’altro loro compagno Xander Coza alla chitarra, ai quali si aggiunge Indee Rehal-Sagoo, il quale non collaborava in studio con Neagoe dai tempi di Canto III; non so se tutto questo abbia contribuito a rendere i Clouds (al netto della sempre gradita partecipazione dei vari ospiti) un qualcosa di più vicino che in passato all’idea di band canonica, fatto sta che Dor si rivela a mio avviso il punto più alto di una discografia già comprensiva di gemme come Doliu, Departe e lo stesso Destin, ma indipendentemente da ciò, l’importante è sapere che “l’amico” di cui si parlava all’inizio è sempre lì, pronto a renderci più sopportabili i rovesci e le sventure dell’ esistenza esibendone senza filtri la sua ineluttabile caducità.

Tracklist:
1. Forever and a Day
2. The Last Day of Sun
3. When I’m Gone
4. Dor
5. The Forever Sleep
6. Alone

Line-up:
Alex Costin – Bass
Luca Breaz – Drums
Indee Rehal-Sagoo – Guitars
Xander Coza – Guitars
Daniel Neagoe – Vocals, Guitars, Bass, Drums, Keyboards
Irina Movileanu – Violin

Guests :
Gogo Melone – vocals on 3.
Pim Blankestein – vocals on 5.

CLOUDS – Facebook

Athrox – Through The Mirror

La band, dotata di una personalità debordante, ci travolge con la sua raffinata e drammatica potenza, i brani si susseguono, storie e problematiche di tutti i giorni vengono raccontate attraverso uno specchio, mentre la musica segue la narrazione tra spettacolari e cangianti momenti di metal dall’alta potenze espressiva.

Dopo due anni dal bellissimo esordio Are You Alive?, puntualmente recensito da MetalEyes, tornano tramite Revalve Records gli Athrox, band toscana che suona heavy/thrash metal dai molti ricami progressivi e dalle ispirazioni che trovano le proprie radici nel nobile e raffinato metallo statunitense.

La band, fondata dal chitarrista Sandro Seravalle e del batterista Alessandro Brandi quattro anni fa, alza il tiro con questo secondo lavoro dal titolo Through the Mirror, registrato, mixato e masterizzato presso gli studio Outer Sound Studio di Giuseppe Orlando, presentandoci dieci perle metalliche che alternano atmosfere drammatiche, sferzate di rabbioso thrash metal e splendidi momenti di raffinata musica dure progressiva.
Assolutamente all’altezza è la prova dei musicisti su cui si staglia la voce del cantante Giancarlo Picchianti, migliorato in modo esponenziale rispetto alla comunque ottima performance sul primo lavoro, che risultava più classicamente heavy rispetto a questo secondo gioiellino heavy/thrash/prog metal.
La band, dotata di una personalità debordante, ci travolge con la sua raffinata e drammatica potenza, i brani si susseguono, storie e problematiche di tutti i giorni vengono raccontate attraverso uno specchio, mentre la musica segue la narrazione tra spettacolari e cangianti momenti di metal dall’alta potenze espressiva.
Gli Athrox si fanno preferire quando l’irruenza thrash prende il comando delle operazioni, mantenendo comunque un tocco progressivo che non inficia l’ascolto anche di chi, senza tanti fronzoli, preferisce in impatto diretto (Ashes Of Warsaw, Decide Or Die), anche se l’album risulta vario ed assolutamente difficile da catalogare in un solo genere.
Meritano una menzione la progressiva opener Waters Of The Acheron, la potente Sadness n’ Tears e la conclusiva Fallen Apart, ma è l’ascolto in toto di questo lavoro che vi porterà a segnarvi la band toscana come uno dei gruppi più convincenti di questo ultimo periodo dell’anno in corso.

Tracklist
1.Waters of the Acheron
2.Ashes of Warsaw
3.Empty Soul
4.Through the Mirror
5.Imagine the Day
6.Decide or Die
7.Sadness n’ Tears
8.Fragments
9.Dreams of Freedom
10.Fallen Apart

Line-up
Giancarlo “IAN” Picchianti – Lead Vocals
Sandro “SYRO” Seravalle – Guitars
Francesco “FRANK” Capitoni – Guitars
Andrea “LOBO” Capitani – Bass Guitars
Alessandro “AROON” Brandi – Drums

ATHROV – Facebook

Brvmak – In Nomine Patris

In Nomine Patris risulta una valanga musicale di emozioni ed atmosfere che non lasciano scampo, grazie ad un metal estremo, oscuro, epico e progressivo, che alterna potentissime mitragliate death a ricami progressivi pregni di epica sacralità.

Testi sacri e death metal: non è sicuramente la prima volta che una band estrema crea musica per raccontare quello che l’uomo tramanda da generazioni, eppure risulta sempre affascinante questo binomio per molti inusuale.

Comporre musica per le epiche e misteriose vicende raccontate da più di duemila anni non è certo facile, ma in questo caso i Brvmak hanno fatto un lavoro eccellente e In Nomine Patris, secondo album del gruppo laziale, conquisterà non poco gli amanti del death metal progressivo ed epico.
Il gruppo, in attività da una dozzina d’anni, ha alle spalle un ep ed il primo full length intitolato Captivitas uscito cinque anni fa, lavori discreti ma sicuramente non paragonabili a questa monumentale opera composta da dieci capitoli registrati, mixati e masterizzati al Time Collapse Recording Studio di Roma da Alessio Cattaneo e Riccardo Studer (Novembre, Ade, Scuorn), con un ospite d’eccezione come Paul Masvidal dei Cynic a valorizzare un album già di per sé bellissimo.
In Nomine Patris risulta una valanga musicale di emozioni ed atmosfere che non lasciano scampo, grazie ad un metal estremo, oscuro, epico e progressivo, che alterna potentissime mitragliate death a ricami progressivi pregni di epica sacralità.
Un album che ha nella lunga e conclusiva Revelations il suo apice, una suite di quindici minuti che regala un finale spettacolare all’opera, degna conclusione e vetta di una montagna che deve essere scalata facendo proprie le varie tappe tra virtuosi cambi di tempo, atmosfere ed umori in un sound tempestato da sfuriate incastonate in attimi di tensione sempre pronta ad esplodere.
Non c’è un solo brano sotto la media in una track list che da Genesis, passando per Tetragrammaton, Oblivion e la devastante Golgota, arriva in un crescendo di emozioni ed impatto al gran finale.
Echi di Opeth, Amon Amarth e Behemoth sono esattamente quanto serve a valorizzare questo bellissimo lavoro firmato con grande personalità dai Brvmak.

Tracklist
1. Preludio Alla Genesi
2. Genesis
3. Tetragrammaton
4. Preludio All’Oblio
5. Oblivion
6. Vindictae
7. Omnipotence
8. Golgota
9. Toccata In Si Minore
10. Revelations

Line-up
Sergio Rosa – vocals, guitar, viola
Gabriele Nucci – guitars
Emanuele Lombardi – bass
Davide Tomadini – drums

BRVMAK – Facebook

1914 – The Blind Leading The Blind

Una discesa nell’inferno sulla terra originato dall’uomo in quel periodo, un’opera di una bellezza terrificante raccontata con l’aiuto dell’unica musica possibile, il metal estremo.

E anche questo 2018 che sta per concludersi ha regalato una serie di album bellissimi a chi segue le sorti del metal estremo, ai quali si aggiunge la seconda, mastodontica opera dei deathsters ucraini 1914, monicker che ricorda l’anno di inizio della grande guerra, il più terribile conflitto che la storia dell’uomo ricordi.

La band di Lviv è composta da cinque musicisti, studiosi appassionati di tutto quello che riguarda la prima guerra mondiale, fondatori del gruppo proprio per onorare tutte le vittime cadute nel conflitto.
Il primo album, licenziato tre anni fa ed intitolato Eschatology of War, mostrava già le potenzialità del quintetto ucraino, qui esplose con forza tra le trame di The Blind Leading The Blind, magnifico lavoro accompagnato da una copertina da brividi, con la morte che si aggira tra i cadaveri e i feriti provati dagli scontri, come un maligno avvoltoio in cerca di carne ed anime.
L’artwork con i suoi colori sbiaditi e d’epoca mette i brividi, così come l’intro, una canzone che arriva dal passato e nel passato ci porta, prima che Arrival. The Meuse Argonne ci travolga e ci scaraventi nell’atmosfera bellicosa, oscura, drammatica e tragica dell’opera.
Il sound dei 1914 è un death metal pregno di atmosfere soffocanti e terrorizzanti, viaggia pulito e potente, e frena mentre il pantano delle trincee raggiunge soglie dove solo il doom può spiegarne il disagio, mentre la morte gira tra le macerie ed il filo spinato, lasciandosi trasportare dalla sua crudele fame di anime con sfuriate black assolutamente devastanti ma perfettamente leggibili per merito di un lavoro perfetto in fase di produzione ed arrangiamento.
I brani sono scanditi da sfumature atmosferiche che gelano l’ascoltatore: marce di soldati, canzonette e grida disperate che sembrano arrivare a noi come un ammonimento inascoltato proveniente da un’altra epoca.
A7V Mephisto, High Wood. 75 Acres of Hell e The Hundred Days Offensive sono le tappe fondamentali di questa discesa nell’inferno sulla terra originato dall’uomo in quel periodo, un’opera di una bellezza terrificante raccontata con l’aiuto dell’unica musica possibile, il metal estremo.

Tracklist
1. War in
2. Arrival. The Meuse-Argonne
3. Passchenhell
4. A7V Mephisto
5. High Wood. 75 Acres of Hell
6. Hanging on the Old Barbed Wire
7. Beat the Bastards (The Exploited cover)
8. C’est Mon Dernier Pigeon
9. Stoßtrupp
10. The Hundred Days Offensive
11. War Out

Line-up
Ditmar Kumar – Vocals
Liam Fessen – Guitars
Vitalis Winkelhock – Guitars
Armin von Heinessen – Bass
Rusty Potoplacht – Drums

1914 – Facebook

Selvans – Faunalia

Tutte le canzoni sono magnifici affreschi tutti diversi fra loro, attraverso i quali si viene trasportati in una dimensione dove le nostre tradizioni sono ancora vive, anche quelle più crudeli e demoniache, perché noi siamo degli animali.

La natura, soprattutto quella animale, è la nostra vera casa, ed il cristianesimo ha rotto questo stretto legame, che si è totalmente dissolto con la nostra epoca giustamente chiamata antropocene.

Il nuovo lavoro degli italiani Selvans, chiamato Faunalia, è qui per ricordarci tutto ciò e riportarci sulla retta via: trattasi di un’ulteriore evoluzione del loro avanguardistico black metal, che con questo disco travalica i confini del genere. Infatti l’azzeccato sottotitolo è A Dark Italian Opus, ed infatti è un nero viaggio nel nostro immaginario, nei nostri boschi, nelle nostre tradizioni popolari, con i nostri animali che ci ricordano chi siamo in realtà, ed è qualcosa di ben diverso da questo sentimento moderno che imperversa ovunque. Il duo usa il black metal come codice di partenza per andare a creare un suono che sfocia, in alcuni momenti, nel neo folk e nella musica tenebrosa. Il suono dei Selvans è sempre cangiante ed interessante, vi troviamo il black metal italiano della nuova specie, momenti più classici sottolineati da un organo importante e sempre puntuale, e poi ci sono forti inserti di neo folk con l’introduzione di strumenti tipici. Non c’è posto per la confusione in questo progetto, la direzione è sempre in avanti, il disco è di alto livello e rientra pienamente nella nuova stirpe del black italiano, dove Donwfall Of Nur, Progenie Terrestre Pura, Earth And Pillars ed altri stanno facendo qualcosa di davvero importante, trasmutando il black metal in qualcos’altro, in pieno spirito alchemico. Ascoltando Faunalia si può addirittura parlare di progressive, perché le canzoni sono concepite in maniera non circolare, ma è un continuo avanzare verso nuovi territori. Tutte le canzoni sono magnifici affreschi tutti diversi fra loro, attraverso i quali si viene trasportati in una dimensione dove le nostre tradizioni sono ancora vive, anche quelle più crudeli e demoniache, perché noi siamo degli animali.

Tracklist
1. Ad Malum Finem
2.Notturno Peregrinar
3.Anna Perenna
4.Magna Mater Maior Mons
5.Phersu
6.Requiem Aprutii

Line-up
Haruspex – vocals, keyboards, traditional instruments
Fulguriator – guitars, bass

SELVANS – Facebook