Deathcall – Eternal Darkness

Prodotto assolutamente underground e di interesse per i fans accaniti del genere, Eternal Darkness supera abbondantemente la sufficienza e porta così all’attenzione il giovane gruppo di Dunedin.

Le vie del death metal sono infinite e ci portano in Nuova Zelanda per fare la conoscenza dei Deathcall, quartetto di Dunedin con un ep omonimo licenziato nel 2016 e questo full length uscito lo scorso anno dal titolo Eternal Darkness.

Accompagnato da una copertina che ispira fantasie doom, l’album risulta invece un esempio discreto di death metal old school, un macigno estremo che di cimiteriale ha il growl, oscuro e cavernoso (la copertina raffigura una gentil donzella seduta su di una tomba con tanto di teschio tra le mani) e poi tira dritto verso lidi estremi dove velocità e potenza la fanno da padrone.
Qualche accenno di groove nelle ritmiche e tanto death metal ispirato ai primi anni novanta, macabro e composto da una serie di brani che non lasciano soluzioni diverse se non qualche mid tempo a variare una proposta che se convince nei primi brani (l’opener Modified ed Enslaved), alla lunga perde in freschezza, faticando leggermente in dirittura d’arrivo.
Un peccato che si perdona al gruppo neozelandese, comunque da premiare per l’onda d’urto creata da tracce in cui il growl brutale ed animalesco del singer Dean Anderton (anche alla chitarra) ricorda come fonti di ispirazione Macabre e Morbid Angel.
Prodotto assolutamente underground e di interesse per i fans accaniti del genere, Eternal Darkness supera abbondantemente la sufficienza e porta così all’attenzione il giovane gruppo di Dunedin.

Tracklist
1.Modified
2.Imbecile
3.Enslaved
4.Halls Of Assumption
5.Burning hatred
6.Blood And Steel
7.Control
8.Cauldron Of Conspiracy
9.Repercussions
10.Eternal darkness
11.The Widow
12.Wargames

Line-up
Euan anderton – Bass
Shayne Roos – Drums
John Parker – Guitars
Dean Anderton – Vocals, Guitars

DEATHCALL – Facebook

Pantheist – Seeking Infinity

Un grande ritorno: l’attesa non è stata vana e il leader Kostas ci riporta alle radici del suo personale funeral facendoci immergere in zone della nostra anima completamente prive di luce.

Sette lunghi anni ci separano dall’ultimo segnale mandato dalla creatura di Kostas Panagiotu, dall’ultimo controverso e forse non completamente a fuoco album omonimo del 2011.

Ora Kostas, che è stato impegnato in molteplici progetti nel frattempo (Toward Atlantis Light, Aphonic Threnody e Clouds tra gli altri), forte dell’appoggio di nuovi musicisti, tra cui Daniel Neagoe (Eye of Solitude, Clouds e mille altri) “on drums”, ci dona un’ora di musica dal forte e antico fascino. Cover estremamente suggestiva cosi come il titolo, Seeking Infinity l’opera ci riporta alle radici del loro funeral doom incorporando al meglio le derive atmosferiche e progressive presenti nei due precedenti lavori del 2008 (Journey through the lands unknown) e del 2011 (Pantheist). Già nel 2016 Kostas aveva iniziato a lavorare sulla attuale opera, pubblicando un EP di futuristic space doom, Chapters (ora sold out), per autofinanziarsi e scrivendo un racconto, Events, che rappresenta il concept del nuovo album: il professore Losaline viaggia nel tempo cercando di capire come mai l’umanità corra verso l’autodistruzione e trovando, come unica risposta, la totale irresponsabilità del genere umano che non trae mai insegnamento dai propri errori. L’opera è assolutamente ispirata, con un interplay tra pianoforte, tastiere e chitarre che raggiunge livelli notevoli, ricordandoci l’unicità del suono della band, nata in Belgio ma ora londinese; brani lunghi, ricchi di suggestioni e atmosfere dilanianti fin dall’opener Control & fire, dove un intenso suono di basso ci accompagna lungo undici minuti incantevoli. Per 500 B.C to 30 A.D- The Enlightened Ones esiste anche un video assolutamente consigliato, per immergervi in un funeral dal sapore antico e misterioso; il piano cesella le melodie, mentre l’atmosfera si appesantisce, portandoci in spazi doom vigorosi e tesi  e ricordandoci che ”you can run but you can’t hide from the quiet flow of time and the dark tentacles of fate push you towards your destiny“. Storia a sé stante sono i sei abbondanti minuti di 1453: An Empire Crumbles in cui la narrazione della caduta di Costantinopoli, ultimo baluardo dell’ Impero Romano d’ Oriente, è condotta su un base d’organo creata ad hoc per celebrare un antico rituale; un brano che, pur usando ingredienti diversi, raggiunge livelli atmosferici superbi. Le ultime due tracce, per un totale di circa ventisette minuti, nella loro maestosità doom sublimano un’opera nella quale l’ incessante dialogo tra piano e chitarre ci conduce in luoghi dove si distilla la forma più pura di funeral doom e la solitudine e la disperazione accompagnano le gesta di ogni uomo. Un grande ritorno, la lunga attesa non è stata vana.

Tracklist
1. Eye of the Universe
2. Control and Fire
3. 500 B.C. to 30 A.D. – The Enlightened Ones
4. 1453: An Empire Crumbles
5. Emergence
6. Seeking Infinity, Reaching Eternity

Line-up
Kostas Panagiotou – Vocals, Keyboards
Aleksej Obradović – Bass
Frank Allain – Guitars
Daniel Neagoe – Drums

PANTHEIST – Facebook

Apophis – Virulent Host

Virulent Host è un’opera di death metal melodico a cui non manca nulla se non la voce, di cui non si sente comunque la mancanza grazie al talento di Cibich nel saper far parlare la sua chitarra, assoluta protagonista nei vari episodi che si susseguono, emozionanti e trascinanti lungo tutta la sua durata.

Ci eravamo occupati degli Apophis lo scorso anno in occasione dell’uscita del primo lavoro, Under A Godless Moon.

Dietro a questo oscuro monicker (Apophis è il dio serpente, divinità che incarna il male e le tenebre nelle credenze dell’antico Egitto) si cela il polistrumentista australiano Aidan Cibich, talentuoso musicista e songwriter che con Virulent Host conferma le ottime impressione suscitate con l’album precedente.
Questo nuovo lavoro è un’opera mastodontica, con più di un’ora di death metal melodico strumentale che non lascia scampo, il dosaggio perfetto di una tecnica strumentale assolutamente ragguardevole, ma concentrata sulla forma canzone: dodici brani medio lunghi, un’attitudine progressiva ben marcata ed una raccolta di brani strutturati come cavalcate metalliche dalle melodie che passano con disinvoltura ad atmosfere epiche, bellissimi intermezzi acustici grazie ad un lavoro chitarristico curato nei minimi dettagli, fanno di Virulent Host un album affascinante, da ascoltare con la dovuta calma ma comunque adatto anche a chi non è in confidenza con gli album strumentali.
In ultima analisi, Virulent Host è un’opera di death metal melodico a cui non manca nulla se non la voce, di cui non si sente comunque la mancanza grazie al talento di Cibich nel saper far parlare la sua chitarra, assoluta protagonista nei vari episodi che si susseguono, emozionanti e trascinanti lungo tutta la sua durata.
Appunto, non fatevi spaventare dalla lunga durata di Virulent Host, il musicista australiano ha creato una raccolta di brani che hanno il pregio di non stancare affatto, tra accelerazioni metalliche, cavalcate in crescendo e trame atmosferiche, ora acustiche, ora levigate da sfumature tastieristiche.
La straordinaria Engulfing Tranquility, Memory Cove e la conclusiva e progressiva Wherein Wolves Die sono tra le più splendenti perle strumentali di questo bellissimo lavoro, assolutamente da non perdere.

Tracklist
1.Sunlight Drowns In Apathy
2.Virulent Host
3.Cyclothymic
4.Beyond Fathomless Depths
5.Memory Cove
6.Seas Of Fervent Wings
7.The Widowmakers 06:06
8.Calignosity
9.Engulfing Tranquility
10.Abandoned Kingdom From The Sky
11.Demons Of Derailment
12.Wherein Wolves Die

Line-up
Aidan Cibich – All instruments

APOPHIS – Facebook

Daagh – Daagh

Il disco suona come dovrebbe suonare un album di black metal classico ed è nettamente al di sopra della media del genere.

Black metal norvegese suonato da un uomo solo nel solco della tradizione norvegese.

In molti generi musicali basterebbe questa scarna descrizione per far capire ai più di cosa stiamo parlando, invece nel black metal questo è solo il punto di partenza di un viaggio.
L’ep di esordio di Daagh è un bellissimo trattato di circa trentacinque minuti su come si possa fare ancora del grande black metal nel solco del true norwegian black metal, a partire dalla copertina per arrivare alle note musicali. Dall’inizio alla fine di questo disco si è trascinati nel freddo inverno nordico, dove tutto è ghiacciato, e proprio lì arde il fuoco del black. Le chitarre distorte che trovano lo spazio per magnifiche melodie malate, la batteria che cala incessante come una scure vendicatrice, la voce che appare lontana come potrebbe essere in una tempesta di neve, e quell’incedere che ha fatto amare a tante persone il verbo del black metal. A ragion veduta è stato detto tante volte che questo non è giustamente un genere per tutti, e l’ep di Daagh ne è la prova. Chi ama il nero metallo qui potrà trovare l’armonia del caos che solo questa musica sa regalare, invece chi non lo apprezza vi ascolterà solo una cacofonia. Daagh usa al meglio la tradizione norvegese per produrre un album molto ortodosso e pieno di ottime idee, con alcuni spunti geniali. Il disco suona come dovrebbe suonare un album di black metal classico ed è nettamente al di sopra della media del genere. Ci si immerge totalmente in questo muro del suono, in questa veemenza nichilista e di richiamo verso un passato che era sicuramente più sincero di questo attuale presente. Uno dei punti a favore di Daagh è il sapiente uso delle tastiere, che creano grandi atmosfere aggiungendo maggior valore al disco. Un grande ep che esce per la polacca Wolfspell Records, un’eccellente etichetta di black metal underground, che farà uscire ottime cose in concomitanza con il solstizio autunnale.

Tracklist
1.I
2.II
3.III
4.IV
5.V

DAAGH – Facebook

Mørketida – Panphage Mysticism

Nessun imbellettamento sonoro, ma solo nera sostanza è quanto ci viene mirabilmente offerto grazie al misantropico sentire dei Mørketida, capaci di afferrare saldamente il testimone da chi definì le coordinate del black diverse centinaia di chilometri più ad ovest.

Dopo un demo risalente ormai a sei anni fa, si rifanno vivi i finlandesi Mørketida con una prova magnifica, capace di rievocare i fast del black metal nelle sue sembianze più pure ed originali.

Quella del duo finnico è una fuga all’indietro che trova il suo naturale approdo nella rievocazione delle pulsioni primordiali del genere, sia a livello stilistico che di rivestimento sonoro; l’operazione non è affatto, però, una superflua e nostalgica riproposizione di un qualcosa di trito e ritrito, ma un’adesione totale, nello spirito e nella forma, ai suoni che agitarono il Nordeuropa e la scena metal all’inizio degli anni ’90.
Pervicacemente lontani da ogni bagliore modernista, Nagafir Devraha e Sol Schwarz regalano un album che potrà essere apprezzato in toto solo da chi ama il genere nella sua essenza più pura: Panphage Mysticism esprime un black metal ruvido, essenziale ma nel contempo contrassegnato da un melodico e malinconico incedere.
I tre brani centrali, Serpent’s Grail, Throne of Unseen e la title track, dovrebbero essere usati in ipotetici libri di testo per spiegare ai più giovani quali siano le reali coordinate sonore del genere, ma se questo potrebbe far apparire l’operato dei Mørketida una semplice quanto riuscita operazione di copiatura ci si sbaglia: un simile lavoro sicuramente non sarebbe mai uscito se non fossero esistiti prima i vari Darkthrone, Burzum e compagnia, ma il lavoro viene restituito con una forza espressiva ed una credibilità tale da farlo apparire al 100% farina del sacco dei due finlandesi.
Nessun imbellettamento sonoro, ma solo nera sostanza è quanto ci viene mirabilmente offerto grazie al misantropico sentire dei Mørketida, capaci di afferrare saldamente il testimone da chi definì le coordinate del black diverse centinaia di chilometri più ad ovest.

Tracklist:
1. Intro
2. Invoking the Seventh Moon
3. Witchcraft
4. Serpent’s Grail
5. Throne of Unseen
6. Panphage Mysticism
7. Temple of Prevailing Darkness
8. Outro

Line-up:
Nagafir Devraha – Drums, Synths, Vocals
Sol Schwarz – Guitars, Bass

MORKETIDA – Facebook

Samuli Federley – Lifestream

Siamo lontani dai classici guitar heroes e Samuli Federley, come molti suoi colleghi della nuova generazione, punta più sulle emozioni e la sua musica se ne giova, anche se, quando le dita cominciano a scorrere sul manico della chitarra, esce prepotentemente tutta la sua bravura strumentale, rendendo il lavoro meritevole senz’altro di un ascolto.

Samuli Federley è un virtuoso chitarrista finlandese, membro dei prog metallers Reversion, che ha dato vita al suo solo project strumentale qualche anno fa.

Nel 2012 uscì il full length Quest For Remedy e oggi Federley torna con un nuovo ep di quattro brani dal titolo Lifestream, un viaggio tra la musica rock metal ispirata dalla tradizione orientale, elegante e progressiva senza esagerare con virtuosismi fine a sé stessi.
Il chitarrista originario di Helsinki alterna con sagacia raffinate sfumature progressive rock a più grintose parti metal, in un arcobaleno di colori sfumati nella terra del Sol Levante, senza dubbio la sua massima ispirazione.
L’intro Red Horizon e la seguente title track preparano il campo al cuore del mini cd, quella Guitar KungFu che risulta un susseguirsi di sorprese e voli progressivi, presi per mano dalla chitarra di Federley, bravissimo nel saper dosare l’irruenza talentuosa della chitarra metal con l’armoniosa atmosfera orientale che da anima e corpo all’opera.
Waves Of Sound continua a brillare della luce calda del sole rosso, padrone di paesaggi musicali dove progressive e tradizione popolare si alleano e guidano le mani del musicista nordico, delicate o grintose a seconda dell’umore dei brani, cangianti e vari come i colori che compongono gli splendidi quadri paesaggistici nelle lontane terre del Sol Levante.
Siamo lontani dai classici guitar heroes e Samuli Federley, come molti suoi colleghi della nuova generazione, punta più sulle emozioni e la sua musica se ne giova, anche se, quando le dita cominciano a scorrere sul manico della chitarra, esce prepotentemente tutta la sua bravura strumentale, rendendo il lavoro meritevole senz’altro di un ascolto.

Tracklist
1.Red Horizon
2.Lifestream
3.Guitar KungFu
4.Waves Of Sound

Line-up
Samuli Federley – Guitars

SAMULI FEDERLEY – Facebook

Bonehunter – Children Of The Atom

Speed metal, thrash, black e punk formano una miscela esplosiva che ha come padrini i soliti nomi di chi suona il genere, e i Bonehunter sanno come miscelare per bene questa bomba in musica, trascinando i fans in un vortice di metal ignorante, senza compromessi e blasfemo.

Trio proveniente da Oulu ed attivo dal 2011, i finlandesi Bonehunter pubblicano il terzo full length che va a rimpinguare una discografia abbondante, specialmente per quanto riguarda ep e split.

Children Of The Atom è il nuovo lavoro sulla lunga distanza, successore di Evil Triumphs Again uscito nel 2015 e del secondo massacro licenziato lo scorso anno dal titolo Sexual Panic Human Machine.
Syphilitic Satanarchist (voce e basso), Witch Rider (Guitars) e S.S Penetrator (batteria) suonano un thrash/black old school mosso da uno spirito demoniaco e punk: il loro nuovo album risulta una mazzata estrema di chiara ispirazione ottantiana, con un sound alimentato dalla confluenza di generi che ancora oggi si nutrono di anime nell’underground metallico mondiale.
Speed metal, thrash, black e punk formano una miscela esplosiva che ha come padrini i soliti nomi di chi suona il genere, e i Bonehunter sanno come miscelare per bene questa bomba in musica, trascinando i fans in un vortice di metal ignorante, senza compromessi e blasfemo.
Children Of The Atom parte sgommando e non si ferma più: il gruppo scarica mitragliate metalliche dove le ritmiche non danno tregua, l’attitudine punk risveglia sensazioni motorheadiane mentre Lucifero si crogiola tra invocazioni alla distruzione totale, alla guerra e al caos.
Tempestoso e velocissimo inno estremo, l’album gode di una produzione discreta e di dieci brani ispirati dove Venom, Slayer e Motorhead sono chiamati alle armi dai Darkthrone per dare vita ad una raccolta che vede Sex Messiah Android, la title track e Spider’s Grave quali momenti migliori di questa totale e violenta aggressione di matrice old school.

Tracklist
1.Initiate The Sequence
2.Demonic Nuclear Armament
3.Sex Messiah Android
4.Children Of The Atom
5.The Reek Of Reaper’s Scyte
6.Black Star Carcass
7.Spider’s Grave
8.Cybernetic Vampirism
9.Man Of Steel (Spiritus Mortis cover)
10.Devil Signal Burst

Line-up
Syphilitic Satanarchist – Vocals, Bass
Witch Rider – Guitars
S.S Penetrator – Drums

BONEHUNTER – Facebook

Hardcore Superstar – You Can’t Kill My Rock’N Roll

You Can’t Kill My Rock’N Roll si mantiene su livelli consoni alla fama del gruppo, arrivando alla fine senza intoppi e con una manciata di canzoni, quindi i fans del gruppo possono dormire sonni tranquilli, almeno finché il tasto play non darà nuovamente fuoco alla miccia del rock’n’roll targata Hardcore Superstar.

Turbonegro, The Hellacopters, Gluecifer, Backyard Babies e Hardcore Superstar sono solo le più importanti e seguite band, in arrivo dalla Scandinavia, che presero a spallate il mercato discografico tra la fine degli anni novanta e l’inizio del nuovo millennio a suon di rock’n’roll irriverente, esagerato, ribelle ed assolutamente travolgente.

Come sempre succede nel mondo del rock, finita la scorpacciata, andò scemando l’entusiasmo per questa nuova ondata di band che, ognuna con il proprio stile, tornava a battere le strade sporche che videro diversi anni prima gli Hanoi Rocks quali sovrani incontrastati,.
Ne è passato di tempo da quando gli Hardcore Superstar irruppero sul mercato con Bad Snakers And A Pina Colada, seguito dall’ottimo Thank You (For Letting Us Be Ourselves): un ventennio circa ed altri otto album, nove con questo dinamitardo lavoro intitolato You Can’t Kill My Rock’N Roll.
Ovvio che l’entusiasmo dei primi anni del millennio abbia lasciato al mestiere e all’esperienza il comando delle operazioni: la band di Goteborg risulta comunque una garanzia di divertimento, anche se nel corso della carriera qualche passo falso c’è stato.
Per i fans del gruppo il nuovo lavoro permette di godere degli Hardcore Superstar in una delle vesti migliori degli ultimi tempi: Jocke Berg e soci sono tornati con un songwriting ottimo e per lunga parte di You Can’t Kill My Rock’N Roll si respira aria di potenziale hit ad ogni traccia.
Prodotto dal gruppo nei pressi di Goteborg e mixato a Stoccolma da Dino Medanhodzic, l’album si presenta con l’irriverente copertina dove tre suore votate al rock fumano e bevono, magari ascoltando la band, intenta a darci dentro con Electric Rider o con i riff metal delle possenti My Sanctuary e Hit Me Where It Hurts.
It’s only rock ‘n’roll, mai frase può risultare più adatta per The Others, uno dei brani più belli dell’album, e Baboon, uno dei singoli già usciti sul mercato per alzare il livello di attesa tra i fans del gruppo.
L’album, come scritto, si mantiene su livelli consoni alla fama del gruppo, arrivando alla fine senza intoppi e con una manciata di canzoni irresistibili (da citare ancora Have Mercy On Me), quindi i fans del gruppo possono dormire sonni tranquilli, almeno finché il tasto play non darà nuovamente fuoco alla miccia del rock’n’roll targata Hardcore Superstar.

Tracklist
1.ADHD
2.Electric Rider
3.My Sanctuary
4.Hit Me Where It Hurts
5.YCKMRNR
6.The Others
7.Have Mercy On Me
8.Never Carred For Snobbery
9.Baboon
10.Bring The House Down
11.Medicine Man
12.Goodbye

Line-up
Jocke Berg – Vocals
Vic Zino – Guitars
Martin Sandvick – Bass
Adde Andreasson – Drums

HARDCORE SUPERSTAR – Facebook

Korpiklaani – Kulkija

Con questo lavoro il gruppo di Lahti ha dato un taglio di maggiore introspezione ai testi, senza per questo tralasciare le canzoni festanti e da bevuta, e una decisa virata verso il folk nella musica.

I finlandesi Korpiklaani (il clan della foresta) possono piacere o non piacere, ma sono forse il principale gruppo di folk metal mondiale, per seguito e per importanza storica, nel senso che se oggi si può parlare di folk metal è anche e soprattutto grazie a loro.

Il gruppo finnico è in giro dal 1993 sotto il nome di Shaman, e dopo il 2003 con l’attuale nome. La sua fusione di folk e metal, il tutto fatto nell’accezione più popolare e ballabile, è una formula di grande fascino e di divertimento assicurato, come si può vedere dagli affollatissimi e molto partecipati concerti. Inoltre i Korpiklaani sono un vero orgoglio nazionale, li fanno sentire anche nelle scuole, anche perché il metal in Finlandia è il genere più famoso ed amato. La loro poetica è incentrata sul folk metal, sul cantare nella propria lingua: questo è il quarto album in finlandese e sul parlare delle tradizioni della loro terra, ma più che altro del vivere e del sentire come genere umano. La loro ultima fatica Kulkija, che significa foresta, arriva a tre anni dalla precedente ed è quella più lunga, con ben quattordici canzoni che tengono incollato l’ascoltatore. Nella musica dei finnici ci sono tante cose, ma forse quella più importante è una dolcezza e una malinconia agrodolce che pervade il tutto, come una bella festa di paese dalla quale spiace davvero andare via. Per noi italiani sono un gruppo di difficile comprensione, del resto noi abbiamo Vasco Rossi al posto del clan della foresta, e non è una critica ma una semplice constatazione. Con questo lavoro il gruppo di Lahti ha dato un taglio di maggiore introspezione ai testi, senza per questo tralasciare le canzoni festanti e da bevuta, e una decisa virata verso il folk nella musica. Un disco divertente e profondo di un gruppo che regala grandi concerti, ma anche buoni dischi.

Tracklist
1. Neito
2. Korpikuusen kyynel
3. Aallon alla
4. Harmaja
5. Kotikonnut
6. Korppikalliota
7. Kallon malja
8. Sillanrakentaja
9. Henkselipoika
10. Pellervoinen
11. Riemu
12. Kuin korpi nukkuva
13. Juomamaa
14. Tuttu on ti

Line-up
Jonne Järvelä – vocals, acoustic guitar, mandolin, percussion, violafon –
Tuomas Rounakari – fiddle –
Cane – guitar, backing vocals –
Jarkko Aaltonen – bass –
Sami Perttula – accordion –
Matson Johansson – drums –

KORPIKLAANI – Facebook

Black Howling – Return of Primordial Stillness

Il Black Metal portoghese non tradisce mai, con una band che, attiva dal 2003, ha saputo imporsi per doti tecniche, originalità, mutevolezza e grandi capacità evolutive, in una scena concorrenziale ricchissima, dove la numerosità di attori principali, costituisce il cast del colossal musicale Lusitano.

Se ipotizzassimo di tracciare linee immaginarie sulla cartina dell’Europa, per definire le macro fasce geografiche del genere Black Metal del Vecchio Continente, potremmo (almeno) individuare tre zone: la fascia Scandinava, il Centro Europa e l’area Mediterranea.

Ed è proprio in quest’ultima che una nazione come il Portogallo, risulterebbe seconda a nessuna (probabilmente al livello di Grecia e appena sopra il Bel Paese).
Un terra antica – la Lusitania – nata in epoca preromana, popolata da abitanti affini sì agli antichi Iberi, ma con connotazioni religiose, sociali e culturali pressoché analoghe agli antichi e misteriosi Celti, precedenti abitanti di questa terra (poi cacciati dagli stessi Lusitani che ne occuparono i territori, oggi più o meno coincidenti con l’attuale Portogallo).
Antichi culti pagani e divinità di chiara origine celtica (l’impavido Cariocecus poi sincretizzato in Ares per i Greci o ancora il “buono” Endovelicus probabilmente identificabile con Apollo), perdurati nei secoli, nonostante le coercitive evangelizzazioni (spesso senza risultato) della dominazione romana e una collocazione geografica, così lontana dal resto d’Europa (quasi a voler stigmatizzare un’appartenenza ad un continente specifico e a voler far intendere di essere l’ultimo baluardo a difesa da immaginari invasori d’oltre oceano), hanno contribuito nei secoli ad avvolgere di arcano mistero questa terra meravigliosa.
In un contesto così misteriosamente e cupamente affascinante, non poteva che trovare terra fertile un genere come il Black Metal.
Moonspell (poi orientati verso lidi musicali più melodicamente gotici e doom) e poi Decayed, Sacred Sin, e successivamente Corpus Christii, Irae, Cripta Oculta, Inthyflesh, Mons Veneris (ma si potrebbe continuare per giorni) ed appunto i nostri, i Black Howling, costituiscono l’ossatura nera della terra dei navigatori.
Satanismo, occultismo (tematica molto cara “all’area Mediterranea”), folklore, ma anche distruzione, odio, pessimismo e misantropia, temi ricorrenti nei testi, rappresentando l’incipit e l’excipit (e tutto ciò che ne viene compreso) del nero grimorio lusitano.
E sono proprio queste ultime tematiche a fare da cornice al genere proposto dal duo di Lisbona, (d’altronde il depressive portoghese rappresenta un imprescindibile ramo del Black Lusitano). Costanti atmosfere funeree e tragicità onnipresente, costituiscono il core delle loro lyrics. Sonorità angoscianti e urla strazianti, presenziano ogni loro traccia. Cinque album all’attivo, moltissimi split, due ep ed alcuni demo, rappresentano la produzione di questa prolifica band. Mai una luce, mai un bagliore, nessuna traccia di ottimistiche visioni future. Solo depressione, afflizione e nere sofferenze, convergono nel loro funereo ultimo sforzo, Return of Primordial Stillness, full length uscito per la portoghese Signal Rex, della durata di circa 40 minuti, ma contenente unicamente 4 brani (due dei quali di 15 minuti circa!).
Iberia, il primo brano, è un funeral black doom agghiacciante. Quasi sei minuti che ci accompagnano inesorabilmente verso antichi rituali funebri; mai un’accelerazione, neanche un accenno di mid-tempo … solo triste lentissimo incedere di un sound che, se accolto ad occhi chiusi e assaporato in una stanza buia, rende partecipi di una straziante mortuaria marcia. Immaginari occhi proiettati verso il cielo, consapevolmente, ci lasciano intendere di essere noi il cadavere, mestamente trasportato nel feretro . Molto Sleep di Stillborn, occhiolino ai Black Sabbath di Electric Wizard, con un sottofondo melanconicamente melodico (in cui ho rivissuto in parte le emozioni di Melissa), in una cornice dolorosamente, ma maestosamente Black.
Ma sono i due pezzi successivi che ci straziano di felicità. Un galoppante Black Metal classico, ricco di melodia, adagiato su tipici tremoli ed intarsiato da uno scream lancinante ma efficace, sostiene il corpo della traccia Celestial Syntropy (Übermensch Elevated), ove non mancano momenti lenti e sinfonici, corollati da una depressione sempre latente e arricchiti da magici assoli di chitarra di A. (dotato di tecnica sopraffina), intervallati da maestosi mid-tempo, che sfumano in momenti più thrash, evidenziando la bravura dei nostri, sia in fase solista che ritmica. La potenza esercitata da basso (sempre di A.) e batteria (di P.) risultano impressionanti. Vocalizzi strazianti (P.) vengono qui sapientemente amalgamati da angoscianti cori clean, che rendono tutto il pezzo un omaggio ai solenni sintropici aspetti della natura dell’Universo. E in antitesi all’universale ordine sintropico, non poteva mancare il disordine entropico del successivo pezzo – Celestial Entropy (Emptiness Revelation) – la canzone definitiva: il momento musicale che scandisce la morte entropica del tutto, lo stato finale ove tutte le energie universali terminano. In una parafrasi musicale, il pezzo che assorbe letteralmente ogni nostra umana vitalità, sprofondandoci in un’etera depressione, costruita su apatici tempi funebri, adagiati su melodie contaminate da un sound doom anni settanta, che collima, verso il minuto 6” circa, con un momento (seppur breve) di divino di metal settantiano, dove le apparizioni dei Black Sabbath, ci inebriano di cupa decadenza e di drammatica occulta sofferenza.
Una ripresa black veloce, il ritorno Heavy Doom e la melodica disforia musicale, accompagnano i lancinanti vocalizzi del lamento di A. sino al termine di una canzone, che più che un brano, è un inno alla fine dell’esistenza, dell’Universo, del Cosmo intero.
C’è ancora tempo per un momento strumentale (Cosmic Oblivion, interamente a cura di A.) che sancisce la morte definitiva del Cosmo. Qui, un delizioso arpeggio, sonorità elettroniche affini a rumorismi quasi sci-fi, instillano fluidi psichedelici nelle nostre vene che, adagiandoci su un letto di morte, ci cullano grazie ad echi e risonanze floydiane, rendendo meno dolorosa la fine del Tutto.
Gloria in excelsis Deo, in onore di un Dio della Musica, che mai come in questo album ha ispirato il duo Lusitano. Da non perdere.

Tracklist
1.Iberia
2.Celestial Syntropy (Übermensch Elevated)
3.Celestial Entropy (Emptiness Revelation)
4.Cosmic Oblivion

Line-up
A. – Guitars, Bass
P. – Vocals, Drums

BLACK HOWLING – Facebook

Dakhma – Hamkar Atonement

Questo disco è un’espressione del metal estremo, una della sue facce migliori, nella quale molti generi si incontrano per fare un qualcosa che va oltre la musica e si incontra con la ricerca filosofica e spirituale.

Gli svizzeri Dakhma sono uno di quei pochi gruppi al mondo che fanno per davvero musica rituale, ovvero usano la musica nel suo senso primordiale, quello di accompagnamento ad un rito, un qualcosa che secondo certi codici cambia la realtà intima dell’uomo e dell’ambiente che lo circonda.

Il nome Dakhma vuol dire Torre del Silenzio nella religione zoroastriana: erano torri con uno spazio circolare dove venivano posti i cadaveri per essere mangiati dagli animai selvatici, in una sorta di circolo naturale e perfetto. Il gruppo svizzero fa un death ritual con forti tinte black, in un perfetto bilanciamento di musiche diverse che hanno tutte un loro momento ben specifico. L’argomento principale della loro poetica è la religione zoroastriana che è di davvero difficile spiegazione, anche se ha tratti in comune con quella più diffusa alle nostre latitudini. Per molti anni fu il culto più diffuso in Medio Oriente, e ancora adesso annovera un buon numero di seguaci, tanto per intenderci Freddie Mercury era uno zoroastriano convinto, certo non sulla stessa linea dei Dakhma. Il gruppo di Zurigo è una delle migliori espressioni del death metal totalmente underground contemporaneo, riuscendo benissimo in tutto ciò che vogliono fare. Le loro canzoni sono tutte di ampio respiro, perché lo sviluppo è il fulcro di tutto, anche quando fanno pezzi prettamente death riescono a non ripetersi mai ed hanno un tiro micidiale. Ancor meglio sono poi i pezzi maggiormente votati al ritual, e capita anche che i due brani si mescolino per creare un’atmosfera credibile e molto intensa. Questo disco è un’espressione del metal estremo, una della sue facce migliori, nella quale molti generi si incontrano per fare un qualcosa che va oltre la musica e si incontra con la ricerca filosofica e spirituale. Si rimane stupiti di fronte a tanta potenza e capacità creativa, e soprattutto questo è un disco che riesce ad essere estremo senza assumere pose assurde e senza lanciarsi in esperimenti poco piacevoli. I Dakhma fanno inoltre parte dell’Helunco, aka Helvetc Underground Commitee: come si può leggere sul sito del comitato “… H.U.C. is dedicated to the advancement of grotesque, vile, depraved and putrid audio torment originating from Switzerland …” e lì dentro ci sono gruppi molto interessanti come i Lykaheon e i Despotic Terror Kommando.

Tracklist
1. The Glorious Fall of Ohrmazd (Hail Death, Triumphant)
2. Akhoman (Spill The Blood)
3. Varun (Of Unnatural Lust)
4. Nanghait (Born Of Fire)
5. Spendarmad (Holy Devotion)
6. Gannag Menog (Foul Death, Triumphant)
7. …Of Great Prophets

Line-up
Kerberos – Howls of Druj and Rites of Purification
H.A.T.T. – Thunderstorm of Daeva

DAKHMA – Facebook

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Ashen Fields – Ashen Fields

Inutile fare paragoni con il passato, gli Ashen Fields sono in tutto e per tutto una nuova realtà che si muove sempre nel panorama estremo melodico, ma con un’attenzione particolare per gli arrangiamenti sinfonici ed epici.

Un paio di anni fa, la Genova metallica regalava uno degli esordi più incisivi in campo estremo di quell’anno almeno per quanto riguarda la scena underground tricolore, Fearytales dei genovesi Path Of Sorrow.

La band, dopo molti concerti e tanti complimenti, si separa da tre dei suoi componenti, i chitarristi Davide e Jacopo ed il batterista Alessandro e, di fatto, nel 2017 nascono gli Ashen Fields.
I tre musicisti vengono in seguito raggiunti dal cantante Julio e dal bassista Fabio con i quali registrano i tre brani che vanno a formare questo ep omonimo.
Inutile fare paragoni con il passato, gli Ashen Fields sono in tutto e per tutto una nuova realtà che si muove sempre nel panorama estremo melodico, ma con un’attenzione particolare per gli arrangiamenti sinfonici ed epici, unendo al melodic death metal di matrice scandinava soluzioni symphonic power, in un crescendo di atmosfere epiche e suggestive.
Moonlit Ashes è uno strumentale, che funge da intro ai due brani seguenti, con il quale band riempie di aspettative l’ascoltatore grazie ad orchestrazioni dal sapore cinematografico, prima di entrare nel vivo della proposta con The Darkness That I Command, traccia che evidenzia l’importanza della parte sinfonica nel sound di un quintetto che si muove a suo agio tra soluzioni melodic death e power.
E’ splendida The Gods’ Vessel, epica, magniloquente, efficace sia nella parti orchestrali che in quelle metalliche, con una parte atmosferica che ne eleva tremendamente il tasso suggestivo, prima di accelerare e chiudere al meglio questo primo lavoro targato Ashen Fields.
Tracce di Amon Amarth, Omnium Gatherum, ultimi Nightwish nelle parti orchestrali, ma anche dei leggendari Bal Sagoth, si intravedono nel sound del gruppo genovese, una nuova realtà estrema da seguire con attenzione.

Tracklist
1.Moonlit Ashes
2.The Darkness That I Command
3.The Gods’ Vessel

Line-up
Davide – Guitars
Jacopo – Guitars
Alessandro – Drums
Julio – Vocals
Fabio – Bass

ASHEN FIELDS – Facebook

The Loudest Silence – Aesthetic Illusion

Aesthetic Illusion ha le carte in regola per risultare un buon prodotto, anche se a tratti è evidente che al gruppo manca un po’ di personalità in più per non sembrare solo un clone dei gruppi di punta del gothic metal mondiale.

Il symphonic metal sta vivendo una fase di stasi fisiologica, dopo i fasti e la conseguente caduta patita da tutti quei generi che hanno vissuto una buona popolarità in periodi più o meno recenti.

Paesi Bassi, Scandinavia, centro Europa e Italia sono segnati sul mappamondo metallico come le terre dove più si è sviluppato negli anni questo tipo di sonorità, con i paesi dell’est che ultimamente possono vantare realtà molto interessanti.
I The Loudest Silence arrivano da Sarajevo, capitale della Bosnia-Erzegovina, sono attivi dal 2010 ma arrivano al debutto solo oggi con Aesthetic Illusion, ambizioso lavoro che segue minuziosamente le coordinate del genere.
Symphonic metal d’ordinanza dunque, cantato a modo da una musa che di nome fa Taida Nazraic , con Mark Jansen degli Epica a fare da padrino ed un songwriting piacevole che conferisce un’aura sufficientemente affascinante per i tanti fans del genere.
Aesthetic Illusion ha dunque le carte in regola per risultare un buon prodotto, anche se a tratti è evidente che al gruppo manca un po’ di personalità in più per non sembrare solo un clone dei vari Nightwish, Within Temptation e primi Epica (quelli degli ultimi lavori sono inarrivabili per chiunque).
Un’ora di musica gotico sinfonica, quindi, tra potenza metal, atmosfere cinematografiche e sfumature dark/operistiche che la prestazione della cantante cerca di rendere il più elegante possibile, mentre la band si perde volentieri in lunghe tracce che hanno nei dodici minuti di Gallery Of Wonders il riassunto compositivo di Aesthetic Illusion.
I The Loudest Silence sono un buon gruppo di genere, ancora un po’ acerbo e non molto personale, ma con ampi margini di miglioramento auspicabili già fin dal prossimo album.

Tracklist
1. Illusion Aeternus
2. Redemption
3. Two Faced Ghost
4. Wood Nymph
5. Acheron
6. The Loudest Silence
7. Soul Reflection
8. Theatre Of The Absurd
9. Wake Up In My Dream
10. Gallery Of Wonders
11. The Loudest Silence (Through The Glowing Door)

Line-up
Taida Nazraic – Vocals
Denijal Catovic – Keyboards
Mirza Coric – Guitars
Džemal Bijedic – Bass, Vocals
Damir Sinanovic – Bumbar – Drums

THE LOUDEST SILENCE – Facebook

Aeolian – Silent Witness

Silent Witness sorprende per come gli Aeolian riescano, nella loro ferocia, a mantenere un tasso melodico elevatissimo, pregno di orgogliosa e suggestiva epicità.

Questo straordinario esempio di death metal melodico di matrice scandinava arriva dalla Spagna.

Ebbene sì, anche il sottoscritto per un attimo ha avuto il dubbio che il debutto degli Aeolian, fosse un album perso nel tempo e ritrovato in qualche gelida foresta della penisola scandinava, magari lasciato ai posteri da una delle band nate in quelle terre, prima che il successo portasse in parte via l’atmosfera leggendaria che regnava sui lavori creati nei primi anni novanta.
Invece gli Aeolian sono spagnoli, addirittura originari dell’arcipelago delle Baleari e precisamente di palma di Maiorca, ma il tepore dei venti mediterranei non ha frenato la voglia di metal estremo di origine nordica del quintetto che, con questo magniloquente, melodico ed epico lavoro brucia la concorrenza, almeno per quanto riguarda gli esordi di questo 2018.
Silent Witness è un album magnifico, un’autentica tempesta sonora di death/black melodico, che ricorda quello di una manciata di band storiche, a giudicare dal sound esibito in questi dodici spettacoilari brani: Dark Tranquillity, Naglfar, Dissection, Primi In Flames, Amorphis e Amon Amarth, il festival melodic death per eccellenza riassunto in un unico devastante esempio di metal dalla bellezza che lascia senza fiato.
Silent Witness sorprende per come il gruppo riesca, nella sua ferocia, a mantenere un tasso melodico elevatissimo, pregno di orgogliosa e suggestiva epicità, ben rappresentata dai fuochi pirotecnici che si stagliano nel cielo al suono delle varie tracce tra cui citiamo Chimera, Return Of The Wolf King e Going To Extinction, ma che sono in toto meritevoli di un plauso.
Un album sorprendente e bellissimo, nel genere il debutto più convincente dell’anno.

Tracklist
1.Immensity
2.The End of Ice
3.Chimera
4.My Stripes in Sadness
5.Return of the Wolf King
6.Going to Extinction
7.Elysium
8.Wardens of the Sea
9.The Awakening
10.Black Storm
11.Witness
12.Oryx

Line-up
Daniel Perez – Vocals
Raúl Morán – Guitars
Gabi Escalas – Guitars
Toni Mainez – Bass
Alberto Barrientos – Drums

AEOLIAN – Facebook

Karmian – Surgere et Cadere

Con il proprio death metal duro e puro, offerto accantonando inutili orpelli, i Karmian ci danno dentro come in una sorta di sanguinaria battaglia a suon di metal estremo.

Lo swedish death viene rappresentato al meglio nel debutto sulla lunga distanza dei Karmian, band originaria di Modena attiva addirittura dal 2005 con il monicker di When the Storm Broke, cambiato in quello attuale dopo una serie di vicissitudini riguardanti i tanti cambi di line up e relative ripartenze.

Il primo scossone del gruppo con l’attuale nome risale all’ep Ways Of Death, licenziato dalla band nel 2012, poi ancora cinque anni prima che questo primo lavoro sulla lunga distanza veda la luce.
Surgere Et Cadere è un concept su di un popolo di origine celtica, i Boii, scesi nel nord Italia invadendo la Pianura Padana e conquistando Bologna nel 390 ac, per essere poi sconfitti dall’impero romano dopo eroiche battaglie.
La band racconta queste vicende con il suo death metal di matrice scandinava nel quale, ovviamente, prevale un’atmosfera epica e battagliera, conquistando con il suo approccio senza compromessi.
Con il proprio death metal duro e puro, offerto accantonando inutili orpelli, i Karmian ci danno dentro come in una sorta di sanguinaria battaglia a suon di metal estremo, tra ripartenze furiose, ottimi accenni melodici ed un impatto che ricorda band che con il genere hanno familiarità (Ex Deo).
Il sound di genere non concede alcun tipo di novità o variante, lasciando che sia la tradizione l’ispirazione maggiore di brani convincenti come The Burn, Shadow The Eagle o le notevoli Druids In The Forest e Mutina Capta Est, un crescendo drammatico e degno finale di un album promosso per impatto, attitudine e padronanza dei propri mezzi.

Tracklist
1.They Burn
2.Conquering The Plain
3.Shadows Of The Eagle
4.The Gaul
5.The Alliance
6.Total War
7.Druids In The Forest
8.Sacred Selva
9.Mutina Capta Est

Line-up
Andrea Bertolazzi – Vocals
Andrea Baraldi – Lead Guitar
Mauro Leone – Guitar
Nicholas Badiali – Drums
Gabriele Gabrieli – Bass

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Esoteric – The Pernicious Enigma [re-issue]

The Pernicious Enigma è uno dei migliori album funeral doom mai pubblicati e, nello specifico, quello che poco più di vent’anni fa collocò d’imperio gli Esoteric ai vertici del movimento.

Prosegue la meritoria opera di ristampa delle opere degli Esoteric da parte della Aesthetic Death.

Se l’anno scorso avevamo potuto riapprezzare Esoteric Emotions – The Death of Ignorance, il demo d’esordio della creatura di Greg Chandler, con The Pernicious Enigma si fa un ulteriore passo avanti.
Il perché è presto spiegato e non deriva solo dalla rilevanza del lavoro in questione, ma anche dal fatto che il tutto è stato oggetto di un restyling sonoro da parte dello stesso Chandler, del quale è universalmente riconosciuta la maestria anche dietro al mixer.
Chiaramente tutto risulta più facile quando l’oggetto dell’operazione è uno dei migliori album funeral doom mai pubblicati e, nello specifico, quello che poco più di vent’anni fa collocò d’imperio la band inglese ai vertici del movimento.
Chi conosce già i contenuti di The Pernicious Enigma ma non ne possedesse la copia originale, con questa re-issue può prendere i classici due piccioni con un fava, mentre se, invece, qualche appassionato se ne fosse perso fino ad oggi i contenuti, si sappia che l’interpretazione chandleriana del genere è a suo modo unica, collocandosi in maniera equilibrata tra le asprezze estremiste in stile Disembowelment e l’approccio più melodico atmosferico di gran parte della scuola scandinava.
Dopo l’ascolto di due brani capolavoro come Creation e Dominion of Slaves è trascorsa già mezz’ora ma resta ancora da goderne tre volte tanto; questo doppio album, infatti, oltre a tracce opprimenti e dolenti offerte con la solita maestria, esibisce anche la vis sperimentale di NOXBC9701040 e la repentina sfuriata death di At War with the Race, prima di chiudere con lo struggente finale di Passing Through Matter.
La riedizione di The Pernicious Enigma non può che essere accolta con entusiasmo da parte dei numerosi estimatori degli Esoteric ma, d’altra parte, rischia di acuire ancor più il senso di attesa per nuovo materiale inedito che si protrae ormai dalla fine del 2011, quando Greg Chandler regalò agli appassionati di funeral l’ultimo full length Paragon Of Dissonance.

Tracklist:
Disc 1
1. Creation (Through Destruction)
2. Dominion of Slaves
3. Allegiance
4. NOXBC9701040
Disc 2
1. Sinistrous
2. At War with the Race
3. A Worthless Dream
4. Stygian Narcosis
5. Passing Through Matter

Line-up:
Gordon Bicknell – Guitars, Keyboards, Samples
Greg Chandler – Vocals, Keyboards
Bryan Beck – Bass
Simon Phillips – Guitars, Samples
Steve Peters – Guitars

Anthony Brewer – Drums (tracks 1-3, 7, 9)

ESOTERIC – Facebook