Losa – Mastrucatum

Mastrucatum spalanca le porte al mondo dei Losa, un’entità musicale il cui manifesto legame alla tradizione della propria terra non rappresenta una fuga all’indietro rispetto alla modernità, bensì il condivisibile nonché riuscito tentativo di abbinare la contemporaneità del metal alla conservazione di quelle radici culturali che nessuna forma di globalizzazione ha il diritto di omologare o banalizzare.

Losa è il nome di questo nuovo eccitante progetto musicale proveniente dalla Sardegna, che vede coinvolti tre quarti dei disciolti Accabbadora e, nel complesso, musicisti impegnati in alcune delle migliori realtà estreme presenti nella fertile scena isolana (Simulacro, Anamnesi) e non (Progenie Terrestre Pura, Grind Zero).

Questo breve ep, intitolato Mastrucatum, nonostante una durata ridotta si rivela ampiamente esaustivo riguardo alle capacità ed alle potenzialità di questa nuova creatura che esce sotto l’attenta egida della Third I Rex, etichetta con sede a Londra ma gestita da un altro figlio di quella splendida terra quale è Roberto Mura.
Se la commistione tra black metal e folk non è certo una novità, l’operato dei Losa spicca per la sua perfetta coesione tra le pulsioni estreme e la tradizione musicale e culturale sarda, con i suoi riferimenti (anche in copertina) ai Mumutzones, le tradizionali maschere zoomorfe che animano il carnevale di Aritzu.
Il black metal viene così modellato dai Losa in maniera melodica ed efficace, con richiami che riportano ad una delle massime fonti di ispirazione, specie per chi si cimenta con il genere nell’Europa del Sud, che sono i primi Moonspell; e non è un caso se la band ha inciso una notevole cover di Alma Mater, ascoltabile purtroppo solo sul bandcamp vista la mancanza di tutti i placet necessari per inserire il brano anche all’interno delle copie fisiche di Mastrucatum.
Ad ogni buon conto, sia la title track che il brano autointitolato si rivelano tra le cose migliori ascoltate quest’anno in tale ambito, e stiamo parlando di un settore in cui la qualità media è davvero elevata.
Difficile non restare affascinati dalla sapiente alternanza degli stili vocali che spaziano dallo screaming agli intrecci corali tipici del folklore sardo, così come dalla rielaborazione dei dettami del black metal che viene restituito in maniera fresca ed accattivante.
A dimostrare, poi, che non tutti i mali vengono per nuocere, al posto della programmata cover troviamo Allumiendi, una traccia stupenda nel suo essere folk nel senso più limpido del termine, impreziosita dalle evocative note offerte dalla chitarra acustica.
Mastrucatum spalanca le porte al mondo dei Losa, un’entità musicale il cui manifesto legame alla tradizione della propria terra non rappresenta una fuga all’indietro rispetto alla modernità, bensì il condivisibile nonché riuscito tentativo di abbinare la contemporaneità del metal alla conservazione di quelle radici culturali che nessuna forma di globalizzazione ha il diritto di omologare o banalizzare.

Tracklist:
1.Intro
2.Mastrucatum
3.Losa (Mastrucatum II)
4.Allumiendi

Line-up:
Federico Pia – Vocals and Lyrics
Gabriele Perra – Guitars
Fabrizio Sanna – Bass, Choirs, Clean Vocals and Acoustic Guitar
Emanuele Prandoni – Drums and Percussions

LOSA – Facebook

The Outsider – The Outsider

The Outsider ha nelle parti folk il vero punto di forza, mentre il death metal melodico che struttura il sound risulta abbastanza anonimo.

The Outsider è una one man band proveniente dal Messico e attiva da un paio d’anni.

Partendo da questo debutto omonimo, il polistrumentista che dà il nome al gruppo ha dato vita in due anni a due full lenght, con il secondo uscito lo scorso anno ed intitolato Orchestral Renditions from the Unknown.
Il 2018 ha portato un nuovo ep (Ancient Beast of the Apocalypse) e la riproposizione del primo album, un buon esempio di death metal sinfonico, ispirato in molte parti alla musica popolare del paese di origine ed attraversato da melodie che creano suggestive atmosfere symphonic/folk.
Il musicista messicano si fa aiutare da una serie di ospiti come Nalle Påhlsson eThomas Vikström dei Therion, Antony Hämäläinen, Joey Concepcion e Rick Loera che ha registrato, mixato e masterizzato l’album, che presenta un death metal sinfonico con ancora molti dettagli da limare, ma in gradi di suscitare interesse negli amanti del genere: The Outsider ha nelle parti folk il vero punto di forza, mentre la componente più estrema che struttura il sound risulta abbastanza anonima.
E’ ottimo il growl, vario ed interpretativo, e spiccano un paio di brani (The Invocation e la progressiva The Worst Comes At Night) per una cinquantina di minuti persi nei meandri di un death metal che lascia alle sinfonie il compito di trascinare l’ascoltatore in un mondo lontano, tra incedere metallico e arabeggianti rimandi folk.
The Outsider appare così un lavoro discreto: nel genere si trova sicuramente di meglio, ma la strada è lunga ed il musicista messicano sembra assolutamente pronto alla sfida.

Tracklist
1.The Outsider
2.The Introduction
3.The Invocation
4.Carnage of the Gods
5.My Grave
6.The Race That Failed
7.Ancient Beast of the Apocalypse
8.The Worst Comes at Night
9.Under the Pyramids

Line-up
The Outsider – All instruments, Vocals

THE OUTSIDER – Facebook

Autotheism – Dogma Sculptured In The Flesh

Quello degli Autotheism è un progetto che farà sicuramente parlare di sé in futuro, se amate il death metal tradizionale ricamato con perizia tecnica attorno ad un concept maturo, Dogma Sculptured In The Flesh è assolutamente consigliato.

Nella scena estrema nazionale il death metal tradizionale ha regalato ultimamente grosse soddisfazioni ai fans, sia per quanto riguarda le nuove uscite dei gruppi storici, sia per le nuove leve, sputate fuori da covate malefiche nascoste nell’underground su e giù per la penisola.

Gli Autotheism sono un progetto nato nel 2016 nel quale suonano membri provenienti da altre realtà della scena come (EchO), Quantum Hierarchy (di cui vi abbiamo parlato pochi mesi fa in occasione dell’uscita del loro lavoro, Neutron Breed) ed Atomic Factory.
Dopo un primo ep uscito lo scorso anno (Hives MMXVII) arriva ora questo nuovo lavoro, sviluppato lungo un unico brano di diciassette minuti, che tratta della decadenza dell’umanità a livello filosofico e morale.
Il concept è impegnativo così come il sound, un death metal molto tecnico impreziosito da parti atmosferiche che portano verso lidi post metal e progressivi, con sfumature di tragico ed oscuro metal estremo, violento e drammatico.
La band si muove tra partiture rabbiose ma tecnicamente ineccepibili e le parti più dirette del sound lasciano ad accelerazioni devastanti o a sfumature più pacate il compito di variare un sound che in così risulta molto coinvolgente.
Il growl è un urlo animalesco di livore verso questo senso di disfacimento, mentre parti doom/death a metà del brano lasciano poi spazio al finale che torna tellurico come nella sua prima metà.
Quello degli Autotheism è un progetto che farà sicuramente parlare di sé in futuro, se amate il death metal tradizionale ricamato con perizia tecnica attorno ad un concept maturo, Dogma Sculptured In The Flesh è assolutamente consigliato.

Tracklist
1.Dogma Sculptured In The Flesh

Line-up
P. – Vocals
R. – Guitars
L. – Bass
N. – Drums

AUTOTHEISM – Facebook

Dischordia – Binge/Purge

Caotico e completamente fuori da schemi prefissati, il sound dei Dischordia è volutamente estremo fino al parossismo, il che per il gruppo vuol dire accavallare note su note, decine di cambi di tempo e dissonanze che a tratti sembrano non fermarsi più.

I Dischordia sono un terzetto dell’Oklahoma che del brutal death metal, tecnico e progressivo, ne ha fatto una missione dal 2010, anno di inizio attività che ha visto la band licenziare due full length e tre ep di cui questo Binge/Purge risulta l’ultimo delirio sonoro.

Caotico e completamente fuori da schemi prefissati, il sound dei Dischordia è volutamente estremo fino al parossismo, il che per il gruppo vuol dire accavallare note su note, decine di cambi di tempo e dissonanze che a tratti sembrano non fermarsi più.
Disturbante, tecnicamente ineccepibile ma fuorviante se non seguito con la giusta dose di concentrazione, l’ep inizia la sua devastante distruzione di spartiti con Binge, un assalto sonoro di matrice old school che non segue una linea precisa ma ci investe con un twister di suoni violentissimi, mentre più lineare e cadenzata risulta Purge, che a tratti ricorda le parti più tecniche di Morbid Angel ed Hate Eternal in un contesto progressivo e brutale.
Di non facile assimilazione, le due tracce hanno nella durata che supera abbondantemente i dieci minuti l’ennesimo elemento per garantire un ascolto sicuramente impegnativo per chi si avvicina alla musica dei Dischordia.
Album sperimentale e di non facile assimilazione anche per chi non è nuovo a questo genere, Binge/Purge si archivia come opera rivolta ad un audience piuttosto ristretta.

Tracklist
1.Binge
2.Purge

Line-up
Keeno – Vocals, Guitars, Ukulele
Josh Fallin – Guitars, Drums, Piano
Josh Turner – Bass, Marimba, Flute

DISCHORDIA – Facebook

The Eternal – Waiting For The Endless Dawn

Sicuramente siamo di fronte alla prova più ambiziosa dei The Eternal, i quali non hanno lasciato nulla di intentato per mettere sul piatto quella che potrebbe essere la loro opera definitiva; ora tocca gli appassionati l’onere di fornire un riscontro adeguato a questa meritevole band australiana.

Premetto che, in quanto fan della prima ora dei My Dying Bride, mi ritengo orfano di quella grande band che furono i Cryptal Darkness, a mio avviso i più pregiati e credibili epigoni dei maestri di Halifax che ci sia stato modo di ascoltare.

Tutto questo ha a che fare con il nuovo album degli australiani The Eternal, non tanto per stile musicale (qui siamo in presenza di un gothic metal raffinato ed orecchiabile, ma insidiosamente malinconico in più momenti), ma in quanto il cantante e chitarrista Mark Kelson vi diede vita nel 2003 proprio dopo aver chiuso la storia dei Cryptal Darkness, i quali lasceranno ai posteri un capolavoro come They Whispered You Had Risen.
The Sombre Light of Isolation, full length d’esordio con il nuovo monicker, sgombrò subito il campo da equivoci, facendo intendere che le emozioni nei The Eternal si sarebbero dovute ricercare in una sapiente costruzione melodica, piuttosto che nelle struggenti litanie chitarristiche del più estremo gothic death doom.
I nostri, dopo una quindicina d’anni di attività, non hanno certo raggiunto quel successo commerciale che forse poteva essere plausibile con l’offerta di sonorità più morbide e alla portata di un maggior numero di ascoltatori, per cui immagino che Kelson, cinque anni dopo l’ultimo full length, abbia pensato che fosse il caso di badare meno al mercato lasciando fluire la propria ispirazione senza porsi particolari paletti: eccoci quindi alle prese con Waiting For The Endless Dawn, album ben poco ammiccante per un pubblico abituato all’usa e getta, con la sua ora e un quarto di durata ed i venti minuti della sola opener The Wound.
La cosa più importante, però, fatte tutte queste considerazioni, è che l’album si rivela una prova magnifica, che porta a scuola gran parte delle band che si cimentano con il genere, incluse anche alcune tra le più note.
Nell’operato dei The Eternal i riferimenti sono importanti, così non si può fare a meno di ritrovare in certi brani un sentore dei Swallow The Sun più orecchiabili e suadenti degli ultimi lavori (e infatti nella sesta traccia abbiamo la sempre gradita partecipazione di Mikko Kotamaki), oppure di ritrovare come ospite alle tastiere anche quel Martin Powell che con il suo violino rese unici non solo i My Dying Bride ma anche gli stessi Cryptal Darkness.
Nonostante la loro lunghezza, tutti i singoli brani per assurdo sarebbero delle potenziali hit, essendo dotati di chorus difficilmente removibili dalla memoria, ma i The Eternal paiono aver volutamente esagerato in tal senso, quasi a sfidare l’ascoltatore nel carpire la bellezza in una struttura molto meno scontata di quanto possa apparire a prima vista.
The Wound, A Cold Day to Face My Failure, la meravigliosa In the Lilac Dusk (il brano che vede la partecipazione di Kotamaki) sono le tre tracce che meglio impressionano (e che da sole formerebbero il minutaggio di un normale quanto splendido full length …) ma, in generale, Waiting For The Endless Dawn è un lavoro dal livello medio davvero elevato, al quale manca solo quel pizzico di sintesi che deriva appunto dalla durata che potrebbe spaventare chi non possiede la pazienza dell’ascoltatore medio del doom.
Come già accennato, l’album va adeguatamente lavorato nonostante una sua apparente levità stilistica, proprio perché dato il suo protrarsi diversi passaggi chiave potrebbero sfuggire nel corso dei primi ascolti: sicuramente siamo di fronte alla prova più ambiziosa dei The Eternal, i quali non hanno lasciato nulla di intentato per mettere sul piatto quella che potrebbe essere la loro opera definitiva; ora tocca gli appassionati l’onere di fornire un riscontro adeguato a questa meritevole band australiana.

Tracklist:
1. The Wound
2. Rise from Agony
3. A Cold Day to Face My Failure
4. I Lie In Wait
5. Don’t Believe Anymore
6. In the Lilac Dusk
7. Waiting for the Endless Dawn

Line up:
Richie Poate – Guitars, Songwriting (tracks 1-4, 6)
Mark Kelson – Guitars, Vocals, Mandolin, Lap steel, Songwriting (tracks 1-4, 6, 7), Lyrics (tracks 1-4, 6, 7)
Marty O’Shea – Drums, Songwriting (track 1)
Dave Langlands – Bass, Songwriting (track 1)

Guests
Martin Powell – Keyboards
Mikko Kotamäki – Vocals (track 6)
Emily Saaen – Vocals (additional)
Erica Kennedy – Violin

THE ETERNAL – Facebook

Mantar – The Modern Art Of Setting Ablaze

La musica prodotta da un duo non è di facile composizione ed esecuzione perché se mancano il talento e le idee le soluzioni si restringono ancora di più, ma non è il caso dei Mantar che fanno canzoni dalle sempre ottime soluzioni sonore ballando fra diversi generi, partendo dal punk e dal suo derivato il black, senza dimenticare la loro forte ossatura doom e sludge.

Il duo tedesco di Brema torna con un disco infuocato ed abrasivo dopo un breve hiatus, dovuto alla partenza del chitarrista e cantante Hanno per l’assolta Florida.

L’amicizia fra i due è più che ventennale e ciò si riverbera sulla loro musica, un misto assolutamente originale di punk, black metal, doom e sludge, il tutto molto potente e corrosivo. I Mantar nel loro curriculum hanno tre dischi ed un ep, con un suono in costante evoluzione. Quando li si ascolta è difficile credere che siano solo in due, perché la loro potenza è grande e possiedono un timbro molto personale e particolare. Il disco ha un groove continuo, un uncino che ti aggancia e ti porta con sé senza mai lasciarti andare. Tutta la musica dei Mantar è costruita sulla composizione del riff di chitarra, l’architrave portante che regge la costruzione. La voce è un altro elemento molto importante perché essa stessa uno strumento che si inserisce nel flusso musicale. The Modern Art Of Setting Ablaze è un disco che parla del fuoco ed è composto dal fuoco stesso, è una materia infuocata eppure molto affascinate da sentire ad un volume molto alto. La musica prodotta da un duo non è di facile composizione ed esecuzione perché se mancano il talento e le idee le soluzioni si restringono ancora di più, ma non è il caso dei Mantar che fanno canzoni dalle sempre ottime soluzioni sonore ballando fra diversi generi, partendo dal punk e dal suo derivato il black, senza dimenticare la loro forte ossatura doom e sludge. L’immaginario di potenza e decadenza che deriva dalle loro canzoni è una suggestione molto forte ed è una componente importante della poetica del duo di Brema. Si rimane fortemente attratti da questa musica che infiamma e che non lascia indifferenti, anche grazie alla grande sicurezza esibita dai due tedeschi.

Tracklist
1. The Knowing
2. Age Of The Absurd
3. Seek + Forget
4. Taurus
5. Midgard Serpent (Seasons Of Failure)
6. Dynasty Of Nails
7. Eternal Return
8. Obey The Obscene
9. Anti Eternia
10. The Formation Of Night
11. Teeth Of The Sea
12. The Funeral

Line-up
Hanno – Vocals, Guitars
Erinc – Drums, Vocals

MANTAR – Facebook

Deceptionist – Initializing Irreversible Process

Spettacolare esordio di una band laziale dedita a un brutal tecnicissimo e futuristico, zeppo di idee e soluzioni avveniristiche, davvero entusiasmante.

Con colpevole ritardo, recensiamo questo CD d’esordio di una band nostrana veramente fenomenale e preparatissima.

I romani Deceptionist – fondati da ex membri di Novembre, Hideous Divinity e dei Fleshgod Apocalypse – sono un vero e proprio super-gruppo (come si diceva una volta), che in (purtroppo) poco più di mezz’ora sciorina un techno-death brutale e pieno di soluzioni ed inserti di carattere industriale e cibernetico, che trova una perfetta controparte lirica nei temi trattati nei testi (biomeccanica e mutazioni umane). Di rado si esordisce con un capolavoro, ma questo è il caso, alla luce anche della caratura dei musicisti coinvolti. Le dieci tracce di Initializing Irreversible Process, spaziali e futuristiche, marziali e chirurgiche, sperimentali e pesantissime ad un tempo, incanteranno gli amanti di Atheist, primi Fear Factory, Necrophagist e ultimi Sadus. Siamo come detto a livelli di altissima qualità, con suoni pazzeschi, una produzione sopraffina (così vuole il genere, del resto) e capacità di scrittura – oltre che di esecuzione – nettamente al di sopra della media. Il discorso resta il solito: se fossero americani o tedeschi, riscontri ed attenzione sarebbero di altro segno. Ma siamo in Italia. Al di là di questo, comunque, i Deceptionist – che attendiamo fiduciosi e trepidanti a nuove ed ulteriori prove – sono un autentico spettacolo di valore internazionale, e non solo per chi ama il techno-brutal, l’industrial metal e il cyber-death mutante. Cangianti, cinematici e dai mille colori: da avere senza discussioni.

Tracklist
1. It’s Just Begun
2. Through the Veil
3. Quest For Identity
4. When Humans Began to Be Machines
5. Final Innovation / Automatic Time
6. The Confession
7. Irreversible Process
8. Sunshine
9. Industrivolutionaction
10. Operation Nr. 3

Line-up
Andrea Di Traglia – Vocals
Claudio Testini – Drums
Fabio Bartoletti – Guitars
Antonio Poletti – Guitars

Stefano Franceschini – Bass Section

DECEPTIONIST – Facebook

Phalloplasty/Slamophiliac – This Split Sucks

Due esempi di brutale violenza in musica, molto simili tra loro e quindi tutti e due da annoverare tra le proposte di nicchia del mercato estremo underground statunitense: per gli amanti dello splatter gore musicale questo dovrebbe risultare comunque uno split interessante.

La CDN Records, con questo violentissimo split ,ci presenta due one man band statunitensi dedite al brutal death metal e al gore grind: i Phalloplasty e gli Slamophiliac.

Quattro devastanti brani a testa per un concentrato di operazioni chirurgiche, violenze e torture varie, un decadente e brutale esempio di perversione in musica che ha in Zack “Plasty” Shaw, in arte Phalloplasty, il primo esempio di totale e folle decadimento.
Il polistrumentista proveniente da Las Vegas ha iniziato la sua attività nel 2010 ed in otto anni ha dato alle stampe tre lavori sulla lunga distanza più un buon numero di ep e split: il suo approccio al genere è malatissimo ed insano, con un brutal death metal dai rimandi grind e gore per un assalto frontale che risulta puro delirio estremo.
Non sfigura sicuramente al suo cospetto Darryn Palmer, alle prese con altri quattro esempi di assalto senza compromessi firmato Slamophilliac.
Nominare i titoli di questi quattro deliri, tra torture, arti tagliati e sangue a go go rimane superfluo, ed anche per gli Slamophiliac vale il discorso del suo compare di torture e violenze varie.
Attivo dal 2013, in meno di cinque anni il nostro torturatore seriale ha licenziato otto album di cui Slam Rehab è l’ultimo abominevole parto targato 2017, più una serie di split ed ep per una discografia davvero imponente visto il poco tempo trascorso.
Due esempi di brutale violenza in musica, molto simili tra loro e quindi tutti e due da annoverare tra le proposte di nicchia del mercato estremo underground statunitense: per gli amanti dello splatter gore musicale questo dovrebbe essere uno split interessante, mentre gli altri ne stiano alla larga per non dover raccogliere le proprie viscere sparse sul pavimento di una cantina dai muri color porpora.

Tracklist
1.Phalloplasty – A Glorious Symphony Of Grinding Teeth
2.Phalloplasty – Ball Peen 2017
3.Phalloplasty – Psychosomatic Putrification
4.Phalloplasty – The Architecture Of Suffering
5.Slamophiliac – Imprisoned Within Reflective Glass
6.Slamophiliac – Cadaverous Flesh Revered
7.Slamophiliac – Immersed in Fecal Opulence
8.Slamophiliac – Mallet

Line-up
Phalloplasty:
Zack “Plasty” Shaw – All Instruments

Slamophiliac:
Darryn Palmer – All Instruments

PHALLOPLASTY – Facebook

SLAMOPHILIAC – Facebook

Essenz – Manes Impetus

Gli Essenz non risparmiano sofferenze all’ascoltatore ed in quasi un’ora di furia, rallentamenti asfissianti, ambient e aperture vicine al death più morboso, regalano un’opera a tratti complessa ed ostica, ma dal raro e annichilente potenziale.

Il terzo full length dei tedeschi Essenz, a sei anni dal precedente Mundus Numen, riporta alla ribalta un grippo enigmatico e sfuggente ma di spessore non comune nella sua interpretazione della materia estrema.

Il black metal offerto dalla band berlinese (nella quale confluiscono membri dei Drowned e degli Early Death) è piuttosto lontano dall’ortodossia del genere, se andiamo e vederne la forma, ma molto più vicino al momento di consuntivare il risultato finale, in quanto il carico di misantropica cupezza che i nostri scaricano in Manes Impetus è davvero moto elevato.
Il sound, per certi versi, può essere assimilabile ad una versione avantgarde del black più francese che tedesca (parliamo quindi di sperimentatori estremi come Blut Aus Nord o Deathspell Omega, ma anche dei vicini di casa Darkspace) ma non è difficile rinvenire il tentativo, spesso riuscito, di coinvolgere l’ascoltatore in maniera più diretta, grazie ad un incedere sovente cadenzato che spinge il tutto dalle parti di un doom deviato.
Il mondo prefigurato dagli Essenz è un luogo nel quale l’ossigeno scarseggia, sia quando si corre a perdifiato sia nei momenti in cui il passo rallenta e il sound si dilata; la solennità che contraddistingue il black metal germanico non viene certo meno ma qui viene messo al servizio di un incedere claustrofobico all’ennesima potenza, con quelle cavalcate in doppia cassa che paiono non vedere mai la fine, in particolare nelle lunghissime Peeled & Released e Randlos Gebein, ideali manifesti sonori dell’album.
Gli Essenz non risparmiano sofferenze all’ascoltatore ed in quasi un’ora di furia, rallentamenti asfissianti, ambient e aperture vicine al death più morboso (Ecstatic Sleep, per la parte che arriva dopo l’iniziale prolungamento della sperimentale Sermon To The Ghosts), regalano un’opera a tratti complessa ed ostica, ma dal raro e annichilente potenziale.
Non tragga in inganno il riferimento alle band avanguardiste fatto in precedenza: nonostante un certa contiguità a simili suoni, in realtà Manes Impetus si rivela paradossalmente più scorrevole , a patto di non opporre resistenza alle reiterazioni ritmiche ed al rombo, sovrastato dal ringhio di g.st., che si materializza all’interno di un lavoro che, per i suoi contenuti, non dovrebbe per nessun motivo essere trascurato.

Tracklist:
1. Peeled & Released
2. Unfolding Death
3. Amortal Abstract
4. Randlos Gebein
5. Apparitional Spheres
6. Sermon To The Ghosts
7. Ecstatic Sleep

Line-Up:
g.st. – vocals, lyrics, bass
d.rk – guitar
t.ngl – drums
d.bf – noise

ESSENZ – Facebook

Woebegone Obscured – The Forestroamer

Abili cesellatori di incandescenti e allo stesso tempo eleganti atmosfere funeral doom, i danesi Woebegone Obscured ci donano un’opera di non facile assimilazione ma ricca di suggestioni e fascino.

Abili cesellatori di incandescenti e allo stesso tempo eleganti atmosfere funeral doom, i danesi Woebegone Obscured ci fanno riassaporare la loro arte, cinque anni dopo Marrow of Dreams, con il nuovo e terzo full length The Forestroamer.

La prima cosa che balza all’occhio è il ritorno a un minutaggio più contenuto rispetto ai settanta minuti del precedente. Qui tutto si condensa in poco più di quaranta minuti dove, però, ogni nota dipinge un grande affresco nel quale paesaggi death doom scivolano con naturalezza in atmosfere funeral intense, avvolgenti e decisamente affascinanti. La capacità di scrittura è veramente notevole, i musicisti conoscono questa arte e sanno come toccare le corde giuste dell’ascoltatore proponendo trame delicate, cangianti che si accendono e lentamente si acquietano aprendo ad atmosfere ora suggestive, ora oscure, tristi e di gran gusto: i dieci minuti dell’opener The Memory and the Thought trascorrono in un attimo con il loro alternarsi atmosferico, retto da un grande drumming sempre vario e ispirato. La splendida Drommefald, con il suo incedere brumoso, ci aiuta a calarci completamente nelle visioni di non existence invocate dalla band; il growl carico si intarsia perfettamente con l’interplay delle chitarre che non disdegnano derive black e, per caricare di ulteriore tensione, la trama e il finale in crescendo ci ammalia per la sua cristallina bellezza. La grande capacità di variare i suoni e la tensione all’ interno di ogni brano si dimostrano punti di forza importanti, donando ai tre lunghi brani un andamento progressivo da sempre presente nel tessuto sonoro del trio. Il breve strumentale Crimson Echoes, a mio parere, avrebbe dato vita a un grande brano, se il suo aroma psichedelico fosse stato sviluppato oltre i due minuti di durata. La maestosa title track, immersa in un personale flavour funeral, è intarsiata da delicate armonie mentre un potente growl la sovrasta; i giochi strumentali sono di prim’ordine, i musicisti non si risparmiano, le tastiere donano potenza e suggestioni oscure e i cambi di atmosfera sono molteplici, spaziando da momenti furiosi e carichi ad altri dotati di grande lirismo e melodia, con la parte finale letteralmente intrisa di abbacinante bellezza. Opera non di immediata assimilazione, ma capace di fornire sensazioni e cibo per la mente e il cuore di alta qualità.

Tracklist
1. The Memory and the Thought
2. Drømmefald
3. Crimson Echoes
4. The Forestroamer
5. Dormant in the Black Woods

Line-up
Quentin Nicollet – Guitars, Bass, Keyboards (track 5)
Martin Jacobsen – Guitars
Danny Woe – Vocals, Drums, Keyboards (track 3)

WOEBEGONE OBSCURED – Facebook

Death SS – Rock ‘N’ Roll Armageddon

Rock ‘N’ Roll Armageddon è un ritorno che non intacca, ma semmai rafforza, la leggendaria reputazione di una band entrata di diritto nella storia del metal e del rock mondiale e che trova ancora l’ispirazione necessaria per donare grande musica.

Torna quella che probabilmente è la più grande e leggendaria metal band che il nostro paese possa vantare, essendo peraltro fonte di ispirazione da quarant’anni per una moltitudine di band dislocate in ogni parte del mondo.

Steve Sylvester questa volta è stato perfetto, donando a tempo debito un album che riassume in tredici brani la storia musicale della sua mostruosa creatura, un camaleonte musicale che non ha mai offerto un album uguale all’altro, rimettendosi in gioco ad ogni occasione a seconda dell’ispirazione del momento.
Una cosa è certa: i Death SS tornano sul luogo del delitto, come zombie famelici fagocitano il loro capolavoro più conosciuto (Heavy Demons) che al lor interno si rigenera e rinasce sotto forma di un’opera che è una sorta di ideale summa di tutta la produzione passata..
L’immagine del gruppo segue i binari delle primarie fonti di ispirazione per lo storico leader (Kiss) e da qui si può partire per descrivere un album che principalmente guarda all’hard & heavy, ma che lascia spazio ad una miriade di dettagli e sfumature.
Rock ‘N’ Roll Armageddon è una caduta nel baratro senza fine del mondo dei Death SS: horror rock, dark, glam, heavy metal, hard rock e pulsioni moderniste e apocalittiche accompagnano una tracklist che profuma di incenso e di metal anni ottanta, un turbine di sensazioni che solo Steve Sylvester sa dosare prima di colpire al cuore dei suoi fans.
Oltre la line up ufficiale, che vede il chitarrista Al De Noble, il bassista Glenn Strange, il tastierista Freddy Delirio e il batterista Bozo Wolff accompagnare il leader supremo, si torna ad ascoltare la chitarra di Al Priest, membro del gruppo ai tempi di Heavy Demons (presente sul disco in veste di ospite in compagnia di Giulio “Ghiulz” Borroni dei Bulldozer).
Black Soul ci da il benvenuto avvolgendoci in un’atmosfera horror, seguita dalla title track della quale abbiamo ascoltato il devastante impatto ottantiano nel periodo che ha anticipato l’uscita del disco.
Il gruppo usa praticamente tutte le armi a sua disposizione, senza smarrire un’oncia di quell’ipnotica atmosfera epico/horror e teatrale di cui è maestro: Sylvester, non da meno, sciorina una prestazione da incorniciare e i brani da ricordare si sprecano, con Slaughterhouse, Creature Of The Night e The Glory Of The Hawk a prendersi il podio, almeno dopo i primi ascolti.
Rock ‘N’ Roll Armageddon è un ritorno che non intacca, ma semmai rafforza, la leggendaria reputazione di una band entrata di diritto nella storia del metal e del rock mondiale e che trova ancora l’ispirazione necessaria per donare grande musica.

Tracklist
1.Black Soul
2.Rock ‘N’ Roll Armageddon
3.Hellish Knights
4.Slaughterhouse
5.Creature Of The Night
6.Madness Of Love
7.Promised Land
8.Zombie Massacre
9.The Fourth Reich
10.Witches Dance
11.Your Life Is Now
12.The Glory Of The Hawk
13.Forever

Line-up
Steve Sylvester – Vocals (lead)
Freddy Delirio – Keyboards
Glenn Strange – Bass
Al De Noble – Guitars
Bozo Wolff – Drums

DEATH SS – Facebook

Pyre – Human Hecatomb

Il quartetto di San Pietroburgo suona death old school e Human Hecatomb è un deflagrante esempio di metal estremo che esplode dalle casse con una forza dirompente.

La Redefining Darkness Records ristampa questo ottimo lavoro uscito originariamente nel 2014 e del quale ci eravamo occupati a suo tempo sulle pagine metal di In Your Eyes.

La band in questione si chiama Pyre, proviene dalla Russia e questo Human Hecatomb risulta per ora il loro unico full length all’interno di una discografia che comprende anche un ep e un paio di split.
La nuova edizione dell’album contiene molti contenuti speciali, tra cui una manciata di demo mai pubblicati e la cover di Nocturnal Hell dei canadesi Slaughter.
Il quartetto di San Pietroburgo suona death old school e Human Hecatomb è un deflagrante esempio di metal estremo che esplode dalle casse con una forza dirompente.
Stop and go a iosa, rallentamenti pesanti come macigni ed un growl echeggiante come nelle produzioni di vent’anni fa, fanno di questo lavoro un monolite sonoro, con il gruppo che dimostra di aver imparato perfettamente la lezione dei maestri le cui opere nascevano nell’oscurità dei primi anni novanta.
Le due scuole principali, scandinava e statunitense, sono ben rappresentate nel sound di questo lavoro con Entombed e Dismember da una parte ed Obituary dall’altra, ma potrei nominarvi almeno una decina di gruppi che hanno fatto la storia del genere e che vengono rappresentate con la giusta personalità dai Pyre.
I momenti salienti di questo lavoro sono sicuramente l’opener Mercyless Death, Flesh To Poles e la conclusiva Disturbia che lascia spazio ai contenuti extra che valorizzano ancora di più questa ristampa.
Inutile dire che se vi siete persi la prima pubblicazione, ora la Redefining Darkness Records vi regala l’occasione per rimediare, approfittatene.

Tracklist
1.Merciless Death
2.Far beyond The Unknown
3.Last Nail In Your Coffin
4.Possessed
5.Flesh To Poles
6.Under The Death Reign
7.We Came To Spill Thy Blood
8.Cursed Bloodline
9.Disturbia
10.Far Beyond The Unknown (demo)
11.Flesh To Poles (demo)
12.Cursed Bloodline (demo)
13.We Came To Spill Thy Blood (demo)
14.Nocturnal Hell (Slaughter cover)

Line-up
Dym Nox – Bass, Vocals
Kannib Maledik – Drums
Roman Rotten – Guitars
Fred Obsinner – Guitars

PYRE – Facebook

YYYY – Fenómeno entóptico del campo azul

Fenómeno entóptico del campo azul si rivela un lavoro sicuramente non trascurabile, capace di portare all’attenzione degli appassionati di metal anche il piccolo Guatemala.

Una band stoner doom guatemalteca mancava senz’altro all’appello, nel virtuale giro del mondo alla ricerca di interessanti novità musicali da proporre all’interno della nostra webzine.

Il fatto, poi, che questo trio centroamericano venga proposto sul mercato da un’etichetta ucraina (la Loneravn), credo che sia la migliore risposta a chi continua a barricarsi all’interno di confini rafforzati da muri e fili spinati, talvolta fisici ma soprattutto mentali.
Venendo all’aspetto musicale Zike, Denise e Daniel, suonano il genere come da copione, in maniera ruvida e dal buon impatto lisergico, senza troppa preoccupazione per quella che può essere la perfezione sonora (del resto il lavoro è stato registrato in studio dal vivo).
Le parti vocali ci sono, ma rivestono un ruolo piuttosto marginale, mentre al contrario il batti e ribatti tra la chitarra di Daniel e la batteria di Zike costituisce la base fondante del sound degli YYYY, tra passaggi più viscosi ed altri in cui la componente psichedelica si fa più marcata.
Al riguardo, fra i tre brani proposti spicca, anche per sintesi, il più breve II, anche se di fatto non si riscontra poi tutta questa grande differenza tra l’una e l’altra traccia.
Sostanzialmente la mezzora abbondante di stoner offerta dagli YYYY è senz’altro valida e allo stesso tempo gradevole, anche se gli spazi per emergere all’interno della scena sono piuttosto risicati, specialmente se si risiede in una nazione che se ne trova ai margini.
Detto ciò, Fenómeno entóptico del campo azul si rivela un lavoro sicuramente non trascurabile, capace di portare all’attenzione degli appassionati di metal anche il piccolo Guatemala.

Tracklist:
1. I
2. II
3. III – IV

Line-Up:
Zike – Drums
Denise Mendizabal – Acustic guitar
Daniel U. – Guitar and vocals

Opprobrium – Supernatural Death

Il duo della Louisiana ci investe con la sua furia, i ritmi serratissimi, i mid tempo rocciosi e le cavalcate devastanti che portano alle band storiche del genere, quelle che a metà degli anni ottanta muovevano i primi passi nel mondo del metal estremo.

Nuova riedizione di Supernatural Death degli Opprobrium, compilation a cura della Brutal Records, uscita originariamente un paio di anni fa.

La band della Louisiana, conosciuta dal 1986 come Incubus, cambiò monicker nel 1999 e nel 2000 esordì con l’album Discerning Forces, seguito da altri quattro lavori, l’ultimo licenziato nel 2016 ed intitolato Serpent Temptation
Il duo è composto da Moyses M.Howard alla batteria e Francis M.Howard alla chitarra e voce: il sound tracima violenza death/thrash come da tradizione, quindi siamo nel metal estremo di metà anni ottanta.
Il duo di Metairie ci investe con la sua furia, i ritmi serratissimi, i mid tempo rocciosi e le cavalcate devastanti che portano alle band storiche del genere, quelle che a metà degli anni ottanta muovevano i primi passi nel mondo del metal estremo.
Gli Slayer sono la band alla quale il duo si rapporta, anche se alcune soluzioni più death metal oriented sono ispirate dai primissimi Obituary e la produzione risulta in linea con la proposta old school del combo in un delirante massacro estremo.
Sessanta minuti sono tanti per un sound che non si discosta dalla solita formula, anche se una manciata di brani alza il valore di questa compilation (Voices From The Grave, Underground Killer, Sadistic Sinner ed Hell’s Fire).
Quella del gruppo statunitense è una proposta adatta solo ed esclusivamente ai fans del death/thrash metal vecchia scuola, uno dei generi underground per antonomasia, ma se vi piacciono i primissimi Slayer un ascolto è d’obbligo.

Tracklist
1. The Battle Of Armageddon
2. Voices From The Grave
3. Blaspheming Prophets
4. Underground Killer
5. Serpent Temptation
6. Hunger For Power
7. Blind Vengeance
8. Sadistic Sinner
9. Rigor Mortis
10. Cataleptic
11. Hell’S Fire
12. Assault
13. Incubus
14. Death
15. Curse Of The Damned City
16. Fear Of The Unknown

Line-up
Moyses M.Howard – Drums
Francis M.Howard – Guitars, Vocals

OPPROBRIUM – Facebook

Alice Cooper – A Paranormal Evening – Live at the Olympia, Paris

Un live di Alice Cooper è soprattutto teatro, ma questa volta la parte visiva passa in secondo piano e lascia alla musica l’onore di celebrare una epopea musicale travolgente con le sole imperdibili uscite in doppio cd e vinile.

Ennesima celebrazione per quella leggenda vivente che di nome fa Vincent Damon Furnier ma che tutti conoscono nei panni di Alice Cooper, da quarant’anni uno degli artisti più amati della storia del rock e del metal.

Le vicende personali e la sua storia artistica fanno parte integrante del nostro mondo e fa piacere trovare la strega Alice ancora in ottima forma a settant’anni suonati, con un nuovo album licenziato lo scorso anno (Paranormal) e ora questo live che ne immortala le gesta nello show tenuto all’Olympia di Parigi.
Ritrovata una nuova giovinezza con la partecipazione nella super band Hollywood Vampires e altre collaborazioni, lo zio Alice non ci pensa neppure ad abdicare tenendosi ben stretta la corona di sovrano del rock teatrale e granguignolesco che egli stesso ha portato al successo con live spettacolari e album che sono scritti a caratteri cubitali nella storia del rock.
Rock’n’roll, hard rock, glam, heavy metal: Alice Cooper ha dettato le regole di questi generi, li ha modellati a suo piacimento e ci ha costruito sopra una carriera inimitabile diventando un’ispirazione primaria per generazioni di musicisti.
A Paranormal Evening At The Olympia Paris segue un programma ben collaudato, con una scaletta perfetta tra grandi classici e nuovi brani che ripercorrono la carriera di questo grande artista.
Per chi, almeno una volta, ha visto Alice Cooper dal vivo sa che la spettacolarità dell’evento è pari alla lista di grandi canzoni di cui l’artista statunitense dispone: I’m Eighteen, Under My Wheels, School’s Out, No More Mr. Nice Guy, Billion Dollar Babies, Poison, fino alle più moderne Brutal Planet e Woman Of Mass Destruction.
La band, composta da Nita Strauss, Tommy Henriksen e Ryan Roxie alle chitarre, dal bassista Chuck Garric e dal batterista Glen Sobel, asseconda con perizia i vari passaggi imposti dai generi che Cooper tocca con la sua musica, potenti quando serve, classicamente heavy e perfetti nel rock energico di cui si compongono le tracce più datate.
Un live di Alice Cooper è soprattutto teatro, ma questa volta la parte visiva passa in secondo piano e lascia alla musica l’onore di celebrare una epopea musicale travolgente con le sole imperdibili uscite in doppio cd e vinile.

Tracklist
CD1
1. Brutal Planet
2. No More Mr. Nice Guy
3. Under My Wheels
4. Department Of Youth
5. Pain
6. Billion Dollar Babies
7. The World Needs Guts
8. Woman Of Mass Distraction
9. Poison
10. Halo Of Flies
CD2
1. Feed My Frankenstein
2. Cold Ethyl
3. Only Women Bleed
4. Paranoiac Personality
5. Ballad Of Dwight Fry
6. Killer / I Love The Dead themes
7. I’m Eighteen
8. School’s Out

Line-up
Alice Cooper – Vocals
Nita Strauss – Guitars
Tommy Henriksen – Guitars
Ryan Roxie – Guitars
Chuck Garric – Bass
Glen Sobel – Drums

ALICE COOPER – Facebook

Autoblastindog – Pornophorno

PornoPhorno è un disco grind hardcore molto free e quasi jazz, che taglia in profondità la carne grassa e dopata di questa inutile realtà, piena zeppa di orpelli del nulla.

Questo disco ha la migliore intro del mondo, ovvero Cicciolina aka Ilona Staller che illustra il suo programma elettorale che dice, tra l’altro,”di lottare con tutte le nostre forze contro la criminalità organizzata, ma facciamolo con tutto il nostro amore”.

E dopo questo inizio geniale c’è un disco molto bello e che come fa spessissimo il grindcore/hardcore centra benissimo il punto, meglio di tanti trattati e super cazzole varie che scrive il vostro guru di fiducia. Gli Autoblastindog sono di Grosseto e dintorni e hanno capito benissimo come va il Belpaese, dove le macchine volano giù dai viadotti e si parla di progresso, e Dio ci guarda sempre bonario per un buon 5 x mille o quel che cazzo è. Questo è il loro secondo disco, il primo si chiama Batracomiomachia e lo potete trovare in download libero sul loro bandcamp, anche se è doveroso donare dei fondi a questi ragazzi assetati. A parte le facezie, questo disco è uno scrigno che contiene tanti tesori, ogni canzone a partire dai titoli geniali ha in sé qualcosa di fantastico ed entusiasmante, perché questa realtà quotidiana è talmente sconfortante che quando te la sbattono in faccia alla maniera del gruppo toscano ti viene fin da ridere, mentre tutto intorno caga sangue.
PornoPhorno è un disco grind hardcore molto free e quasi jazz (si dice così quando si va a cazzo però si sa dove si vuole andare, o almeno lo si sapeva), che taglia in profondità la carne grassa e dopata di questa inutile realtà, piena zeppa di orpelli del nulla. L’album non è solo pars distruens ma anche è anche dare testate contro il muro a ritmo di chitarre distorte e batterie impetuose, che è poi un gran bel destino. Uno dei migliori dischi del cosiddetto underground italiano, in cui ogni secondo è da ascoltare nell’attesa di diventare anziani e cacarsi addosso in piena libertà.

Tracklist
1.La morte di Eraclito
2.Italia’s got Amen
3.Stairway to ENEL
4.M’asciuga
5….e il Sommo decadde
6.Luddismo mon amour
7.Selfie=Sega
8.L’attore Porno
9.Gli oscuri segreti di Eternia
10.Tattakkialkazzo
11.#soppartito
12.Diffusa illegalità e confusione religiosa
13.Vulvevolvendo
14.S.C.C. (Sodomia CULturale cOllettiva)

Line-up
Guerra – Berci, fiatella ed effetti ganzi
Andrea – Chitarre sbagliate
Isacco – Bassi a manetta
Ale – Batterismi ingannevoli

AUTOBLASTINGDOG – Facebook

Void Rot – Consumed To Oblivion

Tre brani, benché brevi per le abitudini consolidate del genere, rivelano la maestria compositiva con la quale i Void Rot manipolano la materia rendendola avvincente per l’appassionato dal primo all’ultimo minuto.

Dai sempre più preziosi scrigni della Everlasting Spew sbuca questa temibile creatura denominata Void Rot, dedita ad un death doom la cui oscurità risulta quasi impossibile da squarciare.

Consumed To Oblivion è stato appena pubblicato dall’etichetta italiana in sinergia con la Sentient Ruin Laboratories (che si occupa dell’uscita nel formato tape): si tratta di un ep che, sia pure con i suoi soli quindici minuti, colloca di diritto la band di Minneapolis tra le migliori realtà emergenti del genere.
Il death doom dei Void Rot prende le mosse dalla sempre fondamentale scuola finlandese, anche se tra le varie citazioni in sede biografica vengono menzionati anche i connazionali Spectral Voice, ed in effetti gli autori del magnifico Eroded Corridors of Unbeing paiono costituire un naturale punto di riferimento per i nostri.
I tre brani, oggettivamente brevi per le abitudini consolidate del genere, rivelano la maestria compositiva con la quale questi quattro ragazzi manipolano la materia rendendola avvincente per l’appassionato dal primo all’ultimo minuto. La title track è davvero un esempio di come i Void Rot interpretino il death doom: un suono rombante e ribassato, che non disdegna qualche accelerazione ritmica mantenendo sempre alta la tensione e l’attitudine morbosa.
Una prova magnifica per una band che ha già fin d’ora le carte in regola per lasciare il segno con un auspicabile prossimo full length.

Tracklist:
1.Ancient Seed
2.Consumed By Oblivion
3.Celestial Plague

Line-up:
Will Bell – Drums
John Hancock – Guitars, Vocals
Craig Clemons – Bass
Kent Sklarow – Guitars

VOID ROT – Facebook

Thecodontion – Thecodontia

Prima demotape del duo laziale di Ladispoli dedito ad un black/death sperimentale. La totale assenza di chitarre potrebbe incuriosire molti, fare arretrare inorriditi alcuni, ma sicuramente ingolosire i più intransigenti collaudatori di nuovi sound.

Affrontare l’ascolto di un prodotto, nel quale dichiaratamente la band esclude la presenza di uno strumento fondamentale (almeno nel genere proposto dal duo laziale, ossia black death metal), appare fin da principio impresa ardua, figuriamoci recensirlo!
Ma andiamo per gradi.

I Thecodontion sono un duo che arriva da Roma (Ladispoli): autodefiniscono il proprio genere “Prehistoric metal of war”, intendendo fin da subito proiettare l’ascoltatore in un era preistorica ben definita (il Permiano), così antica, che i conosciuti dinosauri – a cui ci siamo tanto affezionati grazie ai vari Jurassic Park (?!) – non esistevano ancora. Siamo nell’era degli arcosauri, più precisamente dei Ticodonti (da cui prendono nome e cognome band e demotape) ossia gli antenati rettiliani dei dinosauri.
L’idea di utilizzare unicamente due bassi distorti (in aggiunta, un terzo per gli “assoli”, e tutti suonati senza ausilio di picks), batteria e parti vocali, deriva – sostengono i nostri – da un profondo desiderio di sperimentazione (ad onore del vero, già parecchio è stato fatto in ambito noise), vocato a sonorità primitive e tribali. Un lavoro sicuramente molto impegnativo; basti pensare alla difficoltà – soprattutto per un genere come l’estremo – di non far sentire la mancanza di uno strumento fondamentale come la chitarra.
In effetti, sin da un primissimo ascolto, le pazzesche distorsioni dei loro bassi creano un sound davvero primordiale – a tratti raw – e l’assenza delle chitarre passa forse un attimo inosservata.
Il primo brano Desmatosuchus Spurensis (Linked Loricata of Spur), appare come un primo grezzo lavoro dei Celtic Frost (Morbid Tales, per intenderci) suonato in modo molto ruvido, senza fronzoli, dal quale è stato depredato ogni qualsivoglia spunto di melodia. Persino la voce di Heliogabalus ricorda lontanamente quella di Mr. G.Warrior. I ritmi incalzanti di tutti i 4 pezzi e i bass effects, possono davvero riportarci a quel lontano (svizzero) 1984. Ovviamente i paragoni non devono trarre in inganno, (Morbid Tales è, rimane e sarà per sempre, uno di quei capolavori che hanno segnato un’epoca); in questo caso, ci servono unicamente per dare un’idea di quanto avessero in mente Heliogabalus e Stilgar (Basso) quando presero questa coraggiosa decisione: provare a fare qualcosa di nuovo, di sconvolgente e di assurdamente “differente”, ma partendo da basi ben note e conosciute.
Via via che si procede all’ascolto, l’assenza del guitar sound appare sempre più evidente, e l’incedere dei due/tre bassi può portare qualche volta ad una sensazione di privazione sonora, ad un’emozione di negativa carenza da riff ed assoli. Il brano successivo Erythrosuchidae (Vermillion Digigrade), non varia molto dal predecessore, se non per un paio di momenti che ricordano tanto i momenti più groove del blast beat dei primi anni ’80 (D.R.I., Repulsion e S.O.D. per intenderci).
Nel terzo brano – Longisquama Insignis (Skeletal Analysis of a Kyrgyz Diapsid), una sonorità più death fa da padrona; emerge sicuramente anche l’interesse dei nostri per il war metal di band quali Blasphemy, Teitanblood e Archgoat (e prima ancora Sarcofago e altri gruppi della scena brasiliana di quel tempo); ovviamente i riff black, gli accordi tipici del death e le atmosfere guerresche qui sono chimere. Non esistono i dualistici accordi tipici del riff death, ma unicamente il monismo sonoro del basso.
Il drumming – in quasi tutto il demo – non conosce soste. Una raffica di mitra che accompagna le “grattugiate” dei bassi, senza quasi intervalli, senza quasi alcuna interruzione; un treno diretto che non ferma in stazioni intermedie.
L’ultimo brano – Stagonolepis (Robertsoni/Wellesi/Olenkae) – è un po’ un’eccezione, con diversi stop’n’go schizoidi, segnati da distorti assoli di basso (il famoso terzo basso, di cui si parlava all’inizio), che ne dettano ripartenze e brusche fermate. Una produzione sicuramente difettante (è comunque una demo) e un sound molto spesso accostabile al noise, non favorisce di certo la distinzione dei passaggi tra up-mid-down tempo, rendendo il tutto non troppo distinguibile e spesso poco accessibile.
In definitiva, la curiosità nasce e muore dopo l’ascolto di una demo coraggiosa, che sicuramente scontenterà i più tradizionalisti, ma che forse troverà negli sperimentalisti i loro maggiori fan. Interessante potrebbe essere scoprire come il duo laziale possa sostenere il gran peso della loro piccola rivoluzione in un full length.

Tracklist
1.Desmatosuchus Spurensis (Linked Loricata of Spur)
2.Erythrosuchidae (Vermillion Digigrade)
3.Longisquama Insignis (Skeletal Analysis of a Kyrgyz Diapsid)
4.Stagonolepis (Robertsoni/Wellesi/Olenkae)

Line-up
Heliogabalus – Vocals
Stilgar – Bass

THECODONTION – Facebook

Wombripper – From The Depths Of Flesh

I Wombripper sorprendon con questo ottimo e devastante lavoro, fatto di un death metal vecchia scuola di matrice nord europea: un pezzo di granito estremo che vi seppellirà sotto una valanga di note.

Una devastante prova di forza estrema arriva dalla madre Russia con il primo full length dei Wombripper, band attiva dal 2012 e che fino ad ora aveva dato alle stampe un demo, un ep, ed uno split con i colleghi Torn Apart.

Passato un anno, la band torna con questo massacro intitolato From The Depths Of Flesh, una mazzata old school senza compromessi violentissima, feroce ed ispirata allo swedish death metal.
Scuola nordica, dunque, per i Wombripper i quali, senza timori reverenziali travolgono, distruggono e schiacciano tutto quanto si para di fronte, con un lotto di brani che risultano pura violenza in musica.
Le chitarre sanguinano, mentre i riff di scuola Entombed/Dismember provocano terremoti e la distruzione si concretizza con una serie di brani che ha nella coppia Restless e The Suicidal Recreation un perfetto esempio di death metal scandinavo.
Niente di nuovo quindi, ma una scarica di adrenalinica violenza che non ha pause nei suoi quaranta minuti di durata, valorizzata dalla terza splendida traccia del lotto, Godless Slaughter (In The Name Of Doom), mastodontica death metal song potenziata da un tellurico e melodico riff.
Quello che ad oggi è un trio, proveniente da Nizhny Novgorod, sorprende con questo ottimo e devastante lavoro, fatto di un death metal vecchia scuola di matrice nord europea: un pezzo di granito estremo che vi seppellirà sotto una valanga di note.

Tracklist
1.Still Unborn
2.Immolation Rites
3.Torn By The Nails
4.Frantic Exhumation
5.Restless
6.The Suicidal Recreation
7.Locked In The Iced Coffin
8.Godless Slaughter (In The Name Of Doom)
9.Prenatal Death

Line-up
Dan – Guitars, Vocals
Ivan – Guitars
A.V – Drums

WOMBRIPPER – Facebook

Haunt – Burst Into Flame

Il gruppo statunitense segue pedissequamente i cliché dell’heavy metal suonato dalle band storiche, ma si guadagna la promozione piena grazie ad un songwriting che dà vita ad un lotto di brani piacevoli, sicuramente perfetti per smuovere nostalgicamente gli appassionati meno giovani.

Debuttano sulla lunga distanza gli americani Haunt, quartetto proveniente da Fresno in California e con alle spalle l’ep Luminous Eyes licenziato lo scorso anno.

Nati come progetto solista del chitarrista, bassista e cantante Trevor William Church, in coppia con il batterista Daniel “Wolfy” Wilson, ed in seguito raggiunti dal bassista Matthew Wilhoit e dal chitarrista John William Tucker, gli Haunt danno vita ad un classico album heavy metal dai rimandi old school, un tuffo nella NWOBHM dei primi anni ottanta, anche se nati nell’assolata California.
Metal classico, dunque, ruggente e granitico, pregno di crescendo melodici, ritmiche in stile Saxon e duetti chitarristici dai rimandi maideniani: il sound degli Haunt è tutto qui, un perfetto esempio di hard & heavy tradizionale, roccioso e melodico.
Ovviamente non esiste originalità nella musica del gruppo statunitense, che segue pedissequamente i cliché dell’heavy metal suonato dalle band storiche di cui sopra, ma si guadagna la promozione piena grazie ad un songwriting che dà vita ad un lotto di brani piacevoli, sicuramente perfetti per smuovere nostalgicamente gli appassionati meno giovani.
Burst Into Flame, licenziato dalla Shadow Kingdom Records, risulta così un buon album, inadatto a chi è affascinati dai suoni più cool di questa prima parte del nuovo millennio, perché gli Haunt si alleano alle truppe sassoni e vi tortureranno con la vergine di ferro, siete avvisati.

Tracklist
01. Burst Into Flame
02. Crystal Ball
03. Reflectors
04. My Mirage
05. Wanderlust
06. Frozen In Time
07. Heroes
08. Can’t Get Back
09. Looking Glass

Line-up
Daniel “Wolfy” Wilson – Drums
Trevor William Church – Vocals, Guitar, Bass
Matthew Wilhoit – Bass
John William Tucker – Guitars

HAUNT – Facebook