Rinunci A Satana? – Blerum Blerum

I numi tutelari sono certamente Led Zeppelin e quei disgraziati di Birmingham che riuscirono miracolosamente a scampare ad una vita in fabbrica, e questo materiale in mano a Marco Mazzoldi e e Damiano Casanova diventa un bellissimo reinventare l’occasione per esplorare nuovi lidi, il tutto con visionarietà psichedelica e tanta ironia che li rende un gruppo unico nel panorama italiano e non solo.

Seconda prova per il miglior power duo italiano di sempre, e dire che ve ne sono in giro di coppie musicali, ma nessuna come questi due.

Dopo il primo omonimo disco del 2016 eccoli tornare sul luogo del delitto con una seconda prova ancora migliore. Il genere non è bene definito, poiché i Rinunci a Satana? sono una lunghissima jam che parte dai loro cervelli per arrivare ai nostri, e in questo viaggio si toccano diversi lidi come lo stoner, il prog, lo sludge e il rock and punk alla maniera degli Mc5 e della feccia bianca anni sessanta e settanta. Dimenticatevi le coppie chitarra e batteria un po’ azzimate ed indie che si sono affermate in questi anni, perché qui troverete solo furia e fantasia musicale nelle loro forme più pure e sporche al contempo, un ribollire di note e di creatività che vi colpiranno al cuore. I numi tutelari sono certamente Led Zeppelin e quei disgraziati di Birmingham che riuscirono miracolosamente a scampare ad una vita in fabbrica, e questo materiale in mano a Marco Mazzoldi e e Damiano Casanova diventa un bellissimo reinventare l’occasione per esplorare nuovi lidi, il tutto con visionarietà psichedelica e tanta ironia che li rende un gruppo unico nel panorama italiano e non solo. Ad esempio la settima traccia, La Serata del Gourmet, è un pezzo molto prog anni settanta suonato senza chitarra ma con un synth comandato da una scheda Arduino, ed è un qualcosa di clamoroso. Gli anni settanta ed il loro immaginario sono molto presenti nel disco, dato che è da lì che parte tutto. Quell’epoca fu una fucina immensa di nuovi suoni e di ricerca musicale, l’esatto opposto del pantano mentale e creativo nel quale siamo oggi; allora la direzione era settata unicamente verso l’avanti, oggi su pausa. Non c’è una canzone che annoi, un riempitivo o un calo di divertimento e di soddisfazione. Il lavoro della chitarra è incessante e la batteria è essa stessa una chitarra che pulsa insieme alla titolare. Fughe in avanti senza ritorno, musica senza rimorso in nessun caso, ottime idee e un suono originale ed unico. Non si può rinunciare ai Rinunci a Satana?. Uno dei migliori gruppi italiani underground, e cotanta bellezza è in download libero.

Tracklist
01 Valhalla Rising
02 La Veneranda Fabbrica del Doomm
03 Blerum
04 Blerum
05 Salice Mago
06 Niente di nuovo sul fronte occidentale
07 La serata del Gourmet
08 Chi sta scavando?
09 Dr. Tomas ragtime blues

Line-up
Damiano Casanova – Chitarra
Marco Mazzoldi – Batteria

RINUNCI A SATANA? – Facebook

Anno Mundi – Rock In A Danger Zone

Rock In A Danger Zone è un’opera davvero interessante, consigliata agli amanti dei suoni classici che qui troveranno un tributo ai di generi che hanno fatto la storia dell’hard & heavy, sapientemente lavorati da ottimi artisti delle sette note.

Gli Anno Mundi sono un gruppo di rockers capitolini fondato dal chitarrista Alessio Secondini Morelli, del quale abbiamo parlato non tropo tempo fa in occasione dell’uscita di Hyper-Urania, il suo lavoro solista licenziato nel 2017.

Ad accompagnare il chitarrista troviamo l’altro fondatore del gruppo, il batterista Gianluca Livi, il tastierista Mattia Liberati e il bassista Flavio Gonnellini (anche dei progsters Ingranaggi Della Valle) e il cantante Federico “Freddy Rising” Giuntoli, con un passato nei Martiria.
Rock In A Danger Zone, licenziato solo in vinile, risulta una raccolta di brani dal sound vario, nel corso della quale la band passa dall’hard rock classico a sfumature southern, da ispirazioni progressive al metal di stampo epico in un susseguirsi di sorprese e tributi all’hard & heavy del ventennio settanta/ottanta.
La perizia dei musicisti coinvolti fa sì che Rock In A Danger Zone non abbia una sola nota che non faccia sobbalzare sulla sedia gli amanti del classic rock e del metal, a partire già dalla prima bellissima traccia Blackfoot, tributo alla storica band americana che gli Anno Mundi ricamano di sfumature purpleiane.
Si cambia registro e la cavalcata in epico crescendo di Megas Alexandros farà la gioia di molti, con una prestazione di notevole impatto lirico di Giuntoli e ispirazioni che oscillano tra Rainbow e Manowar, passando per i Virgin Steele.
Chiude il primo lato la possente Searching The Faith, hard doom di notevole impatto, mentre un tributo al racconto lovecraftiano The Music of Erich Zann apre la seconda parte dell’album, che vede a seguire l’hard rock progressivo della magnifica Pending Trial, la cover di Fanfare, brano dei Kiss tratto dal controverso e poco compreso Music From The Elder, ed un medley di brani registrati dal vivo dagli Anno Mundi al RoMetal nel 2014.
Rock In A Danger Zone è un’opera davvero interessante, consigliata agli amanti dei suoni classici che qui troveranno un tributo ai di generi che hanno fatto la storia dell’hard & heavy, sapientemente lavorati da ottimi artisti delle sette note.

Tracklist
Side A
1.In the saloon
2.Blackfoot
3.Megas Alexandros
4.Dark Matter (Nibiru’s Orbit)
5.Searching The Faith

Side B
1.Tribute To Erich Zann
2.Pending Trial
3 – Fanfare
4.Live Medley
a) – Shining Darkness
b) – Dwarf Planet
c) – Timelord
d) – God Of The Sun

Line-up
Federico Giuntoli – vocals
Alessio Secondini Morelli – electric guitars, effects, bk vocals
Flavio Gonnellini – bass
Mattia Liberati – keyboards
Gianluca Livi – drums, percussions

Special guests:
Emiliano Laglia – bass (“Fanfare” and “Live Medley”)
Massimiliano Fabrizi – mandola (“In the Saloon”)

ANNO MUNDI – Facebook

Original Sin – Space Cowboy

Gli Original Sin non si discostano molto da quanto fatto nel recente passato, con un sound ispirato all’hard & heavy tradizionale e influenzato dalla scena britannica degli anni ottanta.

Vi avevamo parlato dei ravennati Original Sin diversi mesi fa, in occasione del loro debutto, il buon Story Of A Broken Heart che metteva in evidenza l’attitudine hard & heavy del quartetto con nove brani diretti dalle radici ben salde negli anni ottanta, ma con impatto e prepotenza da guerrieri del nuovo millennio.

Space Cowboy è il secondo lavoro del gruppo la cui formazione vede sempre all’opera il cantante e chitarrista Matteo Berti, il chitarrista Federico Maioli, il batterista Luca Canella ed il bassista Manuel Montanari.
L’album parte con la title track, un mid tempo che fatica a decollare, ma già dalla seconda traccia Save What Is Yours la band torna a fare metal diretto e graffiante, con Back To The Past che poi ci investe con il suo hard & heavy risultando il brano più riuscito dell’opera, mentre Into The World è una cavalcata in crescendo e The Long Travel si rivela l’altro pezzo da novanta di Space Cowboy.
Gli Original Sin non si discostano molto da quanto fatto nel recente passato, con un sound ispirato all’hard & heavy tradizionale e influenzato dalla scena britannica degli anni ottanta; come nel precedente album i pregi superano di gran lunga i difetti, rendendo questi ultimi dei dettagli che non inficiano quanto di buono offerto in questo nuovo lavoro.
Se siete amanti dell’hard & heavy old school targato Regno Unito, Space Cowboy merita la vostra attenzione.

Tracklist
1.Space Cowboy
2.Save What Is Yours
3.Back To The Past
4.Into The World
5.Streets Of Terror
6.The Long Travel
7.The Music
8.I Can’t Live

Line-up
Matteo Berti – Vocals, Guitars
Federico Maioli – Guitars
Manuel Montanari – Basso
Luca Canella – Drums

ORIGINAL SIN – Facebook

Ten – Illuminati

Ennesima fatica ed ennesima perla di luce musicale da parte dell’eterno gruppo inglese, ormai sulle scene da oltre vent’anni.

Tra CD, live, mini e raccolte, questo grandissimo gruppo di Manchester – attivo ormai dal 1996, ha annoverato tra le sue fila anche Don Airey e Mark Zonder, oltre al chitarrista e co-fondatore Vinnie Burns (Dare, Ultravox, Asia, Bob Catley, Ladder) – è stato e resta in prima linea nell’operazione di rilancio artistico dell’hard rock melodico di alta classe in Inghilterra.

La stupenda voce del singer ed eccellente songwriter Gary Hughes – calda, profonda, emozionante – è tra le più belle di sempre nel Regno Unito. I Ten hanno inciso dischi che sono autentici capolavori e classici moderni nell’ambito dell’hard/AOR, basti ripensare alla divina triade The Robe (1997), Spellbound (1999) e Far Beyond the World (2001, quest’ultimo con il grande Paul Hodgson, degli Hard Rain, alle tastiere). Dal 2012, la band è ritornata a incidere per la nostra Frontiers e ha prodotto altri splendidi lavori – Heresy and Creed (2012), il patriottico Albion (2014), il piratesco Isla De Muerta (2015) e il più dark ed occulto Gothica (2017). A distanza di un solo anno, vede ora la luce questo magnifico Illuminati, un album di hard rock, epico e melodico, con spruzzate di folk celtico e soprattutto progressive, specie in sede di arrangiamenti. Echi fantasy, richiami alla storia del Medioevo britannico, riferimenti alla magia e alla tradizione esoterica anglo-europea la fanno da padrone, anche in questo nuovo capitolo dei Ten, consacrato al tema – tanto affascinante, quanto discusso – degli Illuminati di Baviera, la controversa loggia massonica, sorta a Ingolstadt nel 1776 per mano del libero-muratore Adam Weishaupt (1748-1830), alla quale si è ispirato, non senza inesattezze storiche e interpretazioni arbitrarie, Dan Brown, nel suo celebre Angeli e demoni. Quest’opera dei Ten è quindi un semi-concept, sfarzoso e barocco, magniloquente e pomposo. Gli oltre otto minuti della iniziale Be As You Are Forever sono una sorta di mini-suite, dalla costruzione superbamente sinfonica. The Esoteric Ocean mette grandiosamente in musica non pochi elementi delle scienze occulte e dell’iniziatismo ermetico-alchemico. Altri temi affrontati vengono desunti, con intelligenza erudita, cultura e preparazione, dalla Bibbia (Jericho ed Exile), dall’epica guerriera scozzese (la conclusiva ed enfatica Of Battles Lost and Won), dal Faust di Goethe (Mephistopheles) e dai geroglifici egiziani riscoperti nel 1799 dal capitano dell’esercito di Napoleone Pierre-François Bouchard (Rosetta Stone). Testi criptici ed una grafica imponente fanno il resto, immortalando una volta per tutte il nome dei Ten nell’olimpo dei grandi. Fondamentale a dir poco il contributo del nuovo tastierista dei Ten: Daniel Treece-Birch – leader dei Nth Ascension, la new sensation del neo-prog inglese, capaci di restituirci i fasti di Pallas, Arena e Grey Lady Down – fornisce infatti (tramite synth, tastiere elettroniche e orchestrazioni impeccabili) un contributo assai rilevante se non imprescindibile in sede esecutiva alla riuscita finale di Illuminati.

Track list
1- Be As You Are Forever
2- Shield Wall
3- The Esoteric Ocean
4- Jericho
5- Rosetta Stone
6- Illuminati
7- Heaven and the Holier Than Thou
8- Exile
9- Mephistopheles
10- Of Battles Lost and Won

Line up
Gary Hughes – Vocals / Programming
Dann Rosengana – Guitars
Steve Grocott – Guitars
John Helliwell – Guitars
Steve McKenna – Bass
Daniel Treece-Birch – Keyboards
Max Yates – Drums

TEN – Facebook

Crypt Trip – Haze Country

I giochi di chitarra, la sezione ritmica che si impone in maniera soffusa e la magnifica voce che accompagna il tutto: non si riesce a trovare un difetto nemmeno a volerlo e questo disco lascia l’ascoltatore con un’incredibile sensazione di benessere e di gioia campagnola, quella che viene su dall’odore di erba bagnata al mattino.

Non capita spesso, anzi quasi mai, ma quando succede è incredibile come la prima volta.
Si mette su un disco, scegliete voi il formato, e si rimane basiti all’ascolto fin dalle prime note, semplicemente rapiti dalla sua bellezza. Ciò è quello che capiterà a chi ascolterà Haze Country, il nuovo disco dei texani Crypt Trip.

Il suono è meraviglioso, psichedelia rurale degli stati americani del sud, come se fossimo ancora negli anni settanta, anzi meglio, molto meglio. Il suono è calorosamente analogico, e il resto lo fanno questi ragazzi che, a partire dal look, sono posseduti dallo spirito di qualche texano psichedelico. Sembra quasi incredibile che in un luogo come il Texas ci sia un’importantissima tradizione di unione fra psichedelia e musica rurale, che ha prodotto grandi esempi come i Lynyrd Skynyrd e Allman Brothers Band, giusto per citare quelli più famosi, ma qui c’è molto di più. Ogni nota è bellissima e partecipa ad una splendida atmosfera generale di pace e ruralità aumentata. In sé la musica dei Crypt Trip è semplice, ha radici molto solide ed esprime più di quanto possa sembrare in apparenza. Haze Country è il titolo più azzeccato per un disco che è un viaggio attraverso la campagna texana e punto di partenza per una destinazione più lontana, un posto che ci farà stare bene. I giochi di chitarra, la sezione ritmica che si impone in maniera soffusa e la magnifica voce che accompagna il tutto: non si riesce a trovare un difetto nemmeno a volerlo e questo disco lascia l’ascoltatore con un’incredibile sensazione di benessere e di gioia campagnola, quella che viene su dall’odore di erba bagnata al mattino. E’ presente anche un hard rock settantiano che farà la gioia di chi lo ama. Il disco uscirà a marzo 2019, e questa è l’unica brutta notizia perché bisogna aspettare, ma si può ordinare già da ora.

Tracklist
1 Forward
2 Hard Times
3 To Be Whole
4 Death After Life
5 Free Rain
6 Wordshot
7 16 Ounce Blues
8 Pastures
9 Gotta Get Away

Line-up
Ryan Lee – Guitar / Vocals / Electric Piano
Cameron Martin – Drums / Vocals / Percussion
Sam Bryant – Bass

CRYPT TRIP – Facebook

Fist Of Rage – Black Water

Black Water è un album che merita l’attenzione degli amanti del metal/rock di gran classe, in grado di riportare all’attenzione degli appassionati una band reduce da un lungo silenzio come i Fist Of Rage.

L’Andromeda Relix è da anni sinonimo di grande musica metal e rock, in quanto ogni album che giunge alla nostra attenzione ha quale comune denominatore l’alta qualità della proposta, indipendentemente dal genere trattato.

Non differisce da tali coordinate il secondo album dei Fist Of Rage, band friulana che esordì otto anni fa con Iterations To Reality: BlackWater è infatti un gran bel lavoro, a suo modo originale nel proporre un sound che accoglie tra le sue note una manciata di generi e li rielabora a suo piacimento trasformandoli in un ottimo esempio di metal classico dai rimandi progressivi e AOR, potenziato a tratti da ritmiche che si avvicinano al power rock.
E’ da qui che il sestetto parte per il suo viaggio nelle acque oscure di un mare in preda ad una tempesta metallica, con il cantante Piero Pattay che offre una prestazione notevole, a tratti graffiante come un cantante metal di razza, ma anche splendidamente melodico.
I Fist Of Rage non puntano tutto sulla tecnica esecutiva da prog metal band ma guardano, semmai, all’hard rock melodico ed alle sue emozionanti melodie al servizio di un sound che passa dagli anni ottanta (Rainbow e Europe) ai novanta (Dream Theater), per entrare nel nuovo millennio tra fuochi d’artificio metallici grazie a splendidi e robusti brani come l’opener Just For A While, la successiva e potentissima New Beginning, ed il nucleo centrale composto da Mudman, Lost e These Days.
Black Water è un album che merita l’attenzione degli amanti del metal/rock di gran classe, in grado di riportare all’attenzione degli appassionati una band reduce da un lungo silenzio come i Fist Of Rage.

Tracklist
01. Just For A While
02. New Beginning
03. Between Love & Hate
04. Black Water
05. Mudman
06. Lost
07. These Days
08. Awake
09. Set Me Free
10. September Tears

Line-up
Piero Pattay – Vocals
Marco Onofri – Guitar
Davide Alessandrini – Guitar
Saverio Gaglianese – Bass
Stefano Alessandrini – Keyboards
Alfredo Macuz – Drums

FIST OF RAGE – Facebook

Bullfrog – High Flyer

I Bullfrog danno vita all’ennesimo tributo ad un genere immortale, senza temere di confrontarsi con tutti i miti facenti parte della lunga e affascinante storia del rock e donano agli amanti di queste sonorità uno scrigno di emozioni forti.

Se l’hard rock classico continua ad essere uno dei vostri abituali ascolti, magari accompagnato da una dose letale di blues, allora correte nel vostro negozio di fiducia perché sono tornati i Bullfrog, power trio nostrano attivo dall’ormai lontano 1993 ed arrivato con questo sanguigno ultimo lavoro al quinto album della propria discografia.

Non stiamo parlando di novellini quindi, ma di gente che vive di blues e di rock da una vita, con l’attitudine e l’energia per regalare agli amanti del genere un piccolo gioiellino .
La band veronese di acqua sotto i ponti ne ha vista passare tanta, ha diviso il palco con leggende dell’hard rock mondiale e tutta la sua esperienza, passione e bravura le ha riversate in questi undici capitoli che formano quasi un’ora di meraviglie sonore racchiuse nel titolo High Flyer.
Francesco Dalla Riva (voce e basso), Silvano Zago (chitarra) e Michele Dalla Riva (batteria) danno vita all’ennesimo tributo ad un genere immortale, senza temere di confrontarsi con tutti i miti facenti parte della lunga e affascinante storia del rock e donano agli amanti di queste sonorità uno scrigno di emozioni forti.
Hard rock, blues, southern rock vengono racchiusi in un sound che rimanda ad immagini di palchi immensi in grandi festival estivi aldilà dell’oceano, dove ai grandi del rock americano si aggiungevano i gruppi anglosassoni alla ricerca di una conferma nel nuovo continente.
Led Zeppelin, Cream, Bad Company, Lynyrd Skynyrd, Hendrix, i Deep Purple di Coverdale e Hughes, ma chi conosce la storia del rock sa che le ispirazioni non finiscono qui, come non manca ovviamente la firma del trio veneto che mette in campo tutta la sua personalità.
Lola Plays The Blues, la stratosferica jam Dangerous Trails, il southern di Rod Hot, Out Of The Wide Sea dal riff che alza centimetri di pelle d’oca sono i momenti migliori di un imperdibile album senza tempo.

Tracklist
01. Lola Plays The Blues
02. Losing Time
03. Hot Rod
04. Beggars and Losers
05. Dangerous Trails
06. Johnny Left The Village
07. Dance Through The Fire
08. Three Roses
09. Out on The Wide Sea
10. Blind Leader
11. River of Tears

Line-up
Francesco Dalla Riva – Vocals, Bass
Silvano Zago – Guitars
Michele Dalla Riva – Drums

BULLFROG – Facebook

Turbo Vixen – Drive Into The Night

Drive Into The Night è composto da dieci brani sguaiati ed irresistibili, un adrenalinico pezzo di hard & heavy ottantiano che travolge come un’onda causata dal crollo di una diga a colpi di hard/rock ‘n’ roll metallico e senza freni.

Una bomba hard & heavy dalla miccia rock ‘n’ roll esploderà sulle vostre teste appena vi avvicinerete, magari per caso o curiosità, a Drive Into The Night, primo full length del duo canadese Turbo Vixen, composto dal batterista Aaron Bell e dal chitarrista J.J. Rowlands, a cui si aggiunge in veste di ospite al microfono Dan Cleary.

Dieci brani sguaiati ed irresistibili, un adrenalinico pezzo di hard & heavy ottantiano che travolge come un’onda causata dal crollo di una diga, a colpi di hard/rock ‘n’ roll metallico e senza freni.
Non c’è un attimo di tregua, il duo sale sul bolide e a tavoletta si allontana nella notte nel deserto, mentre accordi southern fanno da ricamo al mid tempo All My Love e si ripresentano nella conclusiva title track.
Il resto è un susseguirsi di esaltanti brani tra hard rock ed heavy metal, un mix perfetto di Van Halen, Motley Crue, Ratt e Twisted Sister alla maniera dei Turbo Vixen ovvero dinamitardo, esagerato e tremendamente coinvolgente.
Salite a bordo della vostra auto, accendete motori e lettore cd e sparatevi a velocità illegale nella notte in compagnia delle varie Thunder And Lightening, Cat House, Straight Out Of Hell e Drive Into The Night: vi prenderanno prima che faccia mattina, strapperanno la vostra patente, ma vi ritroverete a canticchiare dietro le sbarre i cori di questa decina di trascinanti brani.

Tracklist
01. Thunder and Lightning
02. No Mercy
03. Hard Love ‘n’ You
04. Cat House
05. Hit Back (Refuse to Lose)
06. All My Love
07. She’s Got the Touch
08. Straight out of Hell
09. Down the Hatch
10. Drive into the Night

Line-up
J.J Rowlands – Guitars
Aaron Bell – Drums

TURBO VIXEN – Facebook

Barbarossastraße – Waiting In The Wings

Waiting In The Wings è un album piacevole ed intenso, maturo e divertente quanto basta per risultare un ascolto obbligato per gli amanti dell’hard & heavy classico.

Sembra facile suonare hard & heavy nel nuovo millennio quando, per quanto riguarda il rock, si è già detto tutto o quasi e le nuove tendenze portano ad una spettacolarizzazione della musica a discapito di impatto, attitudine e molte volte talento.

Nel genere in cui si muovono questi quattro rockers senesi, al secolo Barbarossastraße, l’impressione è quella di un ritorno prepotente allo spirito che regnava negli anni ottanta, specialmente nell’underground nel quale si muovono realtà che devono vedersela con i problemi di tutti i giorni, muovendosi forti di una passione mai doma tra serate in piccoli locali di provincia, un lavoro che reclama una sveglia che suona senza pietà all’alba e tanti sacrifici.
Waitings In The Wings è il loro secondo lavoro, licenziato dalla Volcano Records, un ottimo esempio di quello che è stata per una manciata d’anni la massima espressione del life style rock’n’roll e che vedeva come ombelico del mondo Los Angeles ed il suo Sunset Boulevard.
La copertina che ricorda non poco quella di Theatre Of Pain dei Motley Crue ci mette subito in guardia su quello che ascolteremo sul nuovo lavoro targato Barbarossastraße, ed infatti il sound ricorda nei brani più tirati lo storico gruppo statunitense che con gli Skid Row rappresenta la fonte d’ispirazione primaria per questi dieci brani.
La band si fa preferire quando preme sull’acceleratore dello sleazy metal e se ne esce con piccoli ma letali candelotti di dinamite come Backdraft, Nowhere Train, la trascinante ed irriverente On The Loose e I’ll Do It Again, ma è palese che tutto Waiting In The Wings funziona, tra veloci trame rock ‘n’ roll, mid tempo dal piglio heavy e ballad che placano l’elettricità sprigionata nell’aria dai Barbarossastraße.
Un album piacevole ed intenso, maturo e divertente quanto basta per risultare un ascolto obbligato per gli amanti dell’hard & heavy classico.

Tracklist
1.Here to Stay
2.Backdraft
3.Waiting in the Wings
4.Nowhere Train
5.Hereafter
6.On the Loose
7.Praise the Storm
8.Mexican Standoff
9.I’ll Do It Again
10.It Will Take Some Time

Line-up
Dario “TanzarHell” Tanzarella – Vocals
Riccardo “Richie” Ciabatti – Guitars
Alessandro “Pozze” Pozzebon – Bass
Marco “Lookdown” Guardabasso – Drums

BARBAROSSASTRASSE . Facebook

Kadavar – Live In Copenhaghen

La band dal vivo risulta una macchina da guerra hard rock e la track list, che pesca principalmente dall’ultimo album per poi fungere di fatto da best of dei lavori precedenti, è un susseguirsi di brani che uniscono influenze scomode come Black Sabbath e Led Zeppelin e il più moderno stoner rock, rilasciando essenze di rock blues condito da un’atmosfera di evocativo e drogato trasporto.

Nel viaggio a ritroso verso il mondo del rock di matrice settantiana, i tedeschi Kadavar sono una delle band che più hanno mostrato personalità e talento nel proporre sonorità che rispecchiano il sound di band che hanno fatto la storia e con le quali le nuove leve si devono obbligatoriamente confrontare.

Il trio nato a Berlino nel 2010, senza grossi clamori ha dato alle stampe quattro full length (di cui l’ultimo, Rough Time, uscito lo scorso anno) e oggi con il sempre fondamentale aiuto della Nuclear Blast, licenzia questo Live In Copenhagen, registrato lo scorso anno al Pumpehuset nella capitale danese durante il tour di supporto all’ultimo lavoro.
La band dal vivo risulta una macchina da guerra hard rock e la track list, che pesca principalmente dall’ultimo album per poi fungere di fatto da best of dei lavori precedenti, è un susseguirsi di brani che uniscono influenze scomode come Black Sabbath e Led Zeppelin e il più moderno stoner rock, rilasciando essenze di rock blues condito da un’atmosfera di evocativo e drogato trasporto, ma rimanendo legato a canzoni semplici e lineari, grintose nelle versioni live e dal facile ascolto.
I Kadavar sono la classica band che, senza strafare, suona del buon rock, convincendo all’istante anche se ci si ritrova al suo cospetto per la prima volta.
Ottima partenza con Skeleton Blues e poi via per gli arcobaleni vintage ricamati dal trio tedesco, in alcuni casi esaltati da scorribande hard rock come Pale Blue Eyes o Die Baby Die.
Con i Kadavar non esistono momenti di pausa, il rock duro, stonato e vintage della band continua a martellare gli astanti con riff sabbathiani che si intrecciano come serpenti nascosti all’ombra di rocce nel deserto, con il sole che schiaccia e le membra che diventano pesanti al suono della potente e monolitica Forgotten Past, uno dei brani più stonati di tutto il repertorio del gruppo.
La psichedelica Purple Sage conclude il concerto in un delirio retro rock e i Kadavar si congedano dai fans con il brano che più di altri si rivela la classica jam psych/hard/rock e si confermano una live band di alto livello: un live da non perdere se siete amanti di questo tipo di sonorità.

Tracklist
1. Skeleton Blues
2. Doomsday Machine
3. Pale Blue Eyes
4. Into The Wormhole
5. The Old Man
6. Die Baby Die
7. Black Sun
8. Living In Your Head
9. Into The Night
10. Forgotten Past
11. Tribulation Nation
12. Purple Sage

Line-up
Lupus Lindemann – Vocals, Guitars
Simon “Dragon” Bouteloup – Bass
Tiger – Drums

KADAVAR – Facebook

Vulcain – Vinyle

Vinyle è composto da undici brani che formano una valanga di note rock ‘n’ roll, con il piedino che batte il tempo e la voglia di essere davanti ad un palco in qualche locale della Parigi rock, a farsi travolgere dall’indomito sound di questi tre rockers d’annata, commoventi nel portare avanti lo spirito del rock dopo così tanti anni.

Sono passati cinque anni dall’ultimo lavoro e i Motorhead francesi, come da sempre sono soprannominati, tornano con questo esplosivo nuovo album intitolato Vinyle.

I Vulcain sono una delle band più longeve e famose della scena hard rock transalpina, dal 1981 capitanati dai fratelli Puzio (Vincent al basso e Daniel alla chitarra e voce), con Marc Varez fido batterista dal 1985.
Più di trent’anni a suonare hard rock, ipervitaminizzato da dosi massicce di rock ‘n’ roll di scuola Motorhead, per una band che del genere ha sposato sound ed attitudine, anche se non possiamo parlare di band clone del gruppo del compianto Lemmy, ma di un gruppo con una ben marcata personalità.
Nove full length, compilation, singoli e live vanno a formare una discografia numericamente importante, rendendo i Vulcain un’ottima alternativa ai soliti nomi, benché siano poco conosciuti fuori dai confini nazionali anche per la scelta di cantare in lingua madre, in grado di regalare ai fans del rock duro un altro ottimo lavoro che spazia tra l’impatto motorheadiano e una forte dose di melodie ispirate al classic rock.
Vinyle è composto da undici brani che formano una valanga di note rock ‘n’ roll, con il piedino che batte il tempo e la voglia di essere davanti ad un palco in qualche locale della Parigi rock, a farsi travolgere dall’indomito sound di questi tre rockers d’annata, commoventi nel portare avanti lo spirito del rock dopo così tanti anni.
Il trio alterna così brani fortemente ispirati da Lemmy e soci ad altri più melodici e classici, lasciando fuori dal sound l’anima punk della storica band inglese per un approccio più melodico, come nelle irresistibili Hèros, Blackline Music (dai richiami agli Ac/Dc), Dans Les Livres e Borderline.
Un album consigliato ovviamente ai fans del genere e ai fans dei Vulcain i quali non verranno sicuramente delusi da questa nuova uscita.

Tracklist
1. Vinyle
2. Héros
3. Backline Music
4. L’Arnaque
5. Darling
6. Décibels
7. Dans les Livres
8. L’Oseille
9. Borderline
10. Contrôle
11. Motör

Line-up
Daniel Puzio – Guitar, vocals
Vincent Puzio – Bass, backing vocals
Marc Varez – Drums, backing vocals

VULCAIN – Facebook

Magnum – Live At The Symphony Hall

Un’altalena tra brani storici e nuove perle fanno di questo live un appuntamento imperdibile per i fans dei Magnum che, dal vivo, si confermano un gruppo ancora in grado di suonare come pochi hard rock melodico di gran classe.

Gli storici melodic rockers Magnum stanno diventando un appuntamento fisso sulle pagine di MetalEyes e questo nuovo album live conferma il buon periodo del gruppo inglese, lo scorso anno sul mercato con il ventesimo album della sua carriera, Lost On The Road To Eternity.

Il tour di supporto all’ultimo lavoro ha portato Tony Clarkin, Bob Catley, il bassista Al Barrow e i due nuovi membri, il tastierista Rick Benton e il batterista Lee Morris, sul palco della Symphony Hall di Birmingham il 18 Aprile 2018, città da cui partirono nel lontano 1972 .
Ovviamente l’atmosfera dell’evento è palpabile, i Magnum giocano in casa la seconda volta dopo vent’anni e vincono facile la partita con i loro fans grazie ad un’ottima forma, specialmente della coppia d’assi Clarkin/Catley che, a dispetto degli anni che passano inesorabilmente, regalano una performance degna della loro fama, assecondati dai loro compagni.
Ovviamente il momento clou del live è la salita sul palco di Tobias Sammet, mastermind di Edguy ed Avantasia che, come nell’album, duetta con Catley sulla title track dell’ultimo lavoro.
Si tratta di un brano di un’altra categoria, che potrebbe tranquillamente far bella mostra di sé in un greatest hits dei Magnum, così come gli altri brani tra storia e leggenda che il gruppo inglese ha regalato all’hard rock melodico mondiale (Vigilante, How Far Jerusalem, The Spirit e When The World Comes Down).
Un’altalena tra brani storici e nuove perle come Crazy All Mothers fanno di questo live un appuntamento imperdibile per i fans dei Magnum che, dal vivo, si confermano un gruppo ancora in grado di suonare come pochi hard rock melodico di gran classe.

Tracklist
CD1
1. When We Were Younger
2. Sacred Blood ‘Divine’ Lies
3. Lost on the Road to Eternity
4. Crazy Old Mothers
5. Without Love
6. Your Dreams Won’t Die
7. Peaches and Cream
8. How Far Jerusalem

CD2
1. Les Morts Dansant
2. Show Me Your Hands
3. All England’s Eyes
4. Vigilante
5. Don’t Wake the Lion (Too Old to Die Young)
6. The Spirit
7. When the World Comes Down

Line-up
Tony Clarkin – guitars
Bob Catley – vocals
Rick Benton – keyboards
Al Barrow – bass
Lee Morris – drums

MAGNUM – Facebook

Tytus – Rain After Drought

Vera macchina da guerra hard & heavy, i Tytus non fanno prigionieri e si confermano come una delle più convincenti realtà del genere.

I Tytus sono tornati e fanno male….. tanto male!

La band proveniente da Trieste, dopo aver distrutto mezzo pianeta con la micidiale detonazione provocata dal primo lavoro intitolato Rises (uscito tre anni fa), da il via ad un secondo bombardamento sonoro, questa volta licenziato dalla Fighter records ed intitolato Rain After Drought.
Rain After Drought è un concentrato di musica metallica che vede riff, solos, ritmiche potenti come un caccia torpediniere in primo piano: chitarra, basso e batteria al servizio del dio del rock, epico per certi versi, quasi eccessivo all’apparenza, ma in realtà perfetto nel suo glorificare un sound primitivo e dannatamente coinvolgente.
Se il primo album raccontava di una catastrofe legata all’avvicinamento della Terra al Sole, causato anche dalle dieci esplosioni contenute in Rises, Rain After Drought è uno tsunami biblico di metal/rock a non lasciare scampo.
Fin dall’opener Disobey veniamo travolti da queste nuove dieci tracce, tra riff mastodontici, solos taglienti e cavalcate strumentali di scuola Maiden (Rain After Drought Pt.1).
Vera macchina da guerra hard & heavy, i Tytus non fanno prigionieri e si confermano come una delle più convincenti realtà del genere.

Tracklist
1.Disobey
2.The Invisible
3.The Storm That Kill Us Hall
4.Our Time Is Now
5.The Dark Wave
6.Death Throes
7.Rain After Drought PT.1
8.Rain After Drought PT.2
9.Move On Over
10.A Desolate Shell Of A Man

Line-up
Ilija Riffmeister – Vocals & Guitars
Mark SimonHell – Guitars
Markey Moon – Bass
Frank Bardy – Drums

TYTUS – Facebook

Gotthard – Defrosted 2

Defrosted 2 è un viaggio emozionate nella storia dei Gotthard nonché un ulteriore testimonianza del valore del gruppo svizzero, tra rock e blues e armonie acustiche di rara intensità.

La morte di un personaggio e vocalist straordinario come il compianto Steve Lee avrebbe piegato chiunque, non Leo Leoni che, presi per mano i suoi Gotthard, ancora una volta ha navigato tra le acque malinconicamente oscurate dal dramma e con un nuovo singer dietro al microfono (il bravissimo Nic Maeder) li ha portati verso una nuova vita artistica e a questo Defrosted 2, live acustico che immortala la band in una raffinata e sanguigna versione acustica.

Accompagnata dal quartetto d’archi The G-Strings e con il prezioso supporto delle cantanti Maram El Dsoki e Barbara Comi, la band svizzera regala una performance eccellente, con una raccolta di brani che ripercorre l’intera carriera, tra cover e accenni a grandi classici del rock impreziosito e reso assolutamente imperdibile da un’atmosfera rock blues.
Una menzione particolare va a Maeder, cantante sanguigno e assolutamente perfetto per il sound degli storici rockers, qui in una versione ancora più sentita che dà vita ad una prova che strappa emozioni e sa essere elegante ma allo stesso tempo graffiante, da vero interprete blues’n’roll.
Defrosted 2 non presenta solo versioni acustiche ma spesso cerca nuove strade per proporre classici della storia dei Gotthard, da Anytime, Anywhwere e Sister Moon, da Miss Me a Right On e Lift U Up.
C’è tempo per una versione davvero originale di Smoke On The Water dei Deep Purple e di due inediti, tra cui Bye Bye Caroline, scritta a due mani con Francis Rossi, leader dei leggendari Status Quo, da cui è stato tratto un video.
Defrosted 2 è un viaggio emozionate nella storia dei Gotthard nonché un ulteriore testimonianza del valore del gruppo svizzero, tra rock e blues e armonie acustiche di rara intensità.

Tracklist
1. Miss Me
2. Out On My Own
3. Bang
4. Sweet Little Rock ‘N’ Roller
5. Beautiful
6. Feel What I Feel
7. Hush
8. Remember It’s Me
9. Stay With Me
10. Tequila Symphony
11. Mountain Mama
12. Why
13. C’est La Vie
14. One Life One Soul
15. Tell Me
16. Starlight
17. Sister Moon
18. Right On
19. Lift U Up

Line-up
Nic Maeder – Vocals
Leo Leoni – Guitar
Freddy Scherer – Guitar
Marc Lynn – Bass
Hena Habegger – Drums

GOTTHARD – Facebook

Black Paisley – Perennials

Che si parli di ballate o ruvide canzoni hard rock, i Black Paisley non sbagliano un colpo e ci regalano un album splendido, consigliato senza riserve agli amanti del classic rock e del rock melodico.

Ottimo lavoro all’insegna dell’hard rock più classico e d’autore con gli svedesi Black Paisley, band di rocker D.O.C. che, dopo aver iniziato la sua avventura nel 1998, licenzia il suo nuovo lavoro dal titolo Perennials.

Nato appunto vent’anni fa come cover band, il quintetto proveniente da Stoccolma decide di puntare sulle proprie canzoni e direi che la scelta è stata azzeccata vista la qualità dei brani che compongono anche questa nuova raccolta di brani, che si muovono eleganti e ruvidi tra l’hard rock dei due decenni più importanti per il genere, tra il mood classico degli anni ottanta e quello più groove del decennio successivo.
La sfida a singolar tenzone la vince sicuramente l’anima ottantiana del sound di Perennials, con la band che sfoggia una freschezza compositiva invidiabile ed un lotto di brani che non lasciano scampo, tra graffiante hard rock di scuola Bryan Adams, impreziosito da sfumature west coast, accenni hard blues di marca Coverdale e rock melodico raffinato ed impreziosito da cori sempre all’altezza.
I rockers svedesi sfoggiano così un songwriting invidiabile e la grande presa che le canzoni hanno sull’ascoltatore sottolineano la cura che i Black Paisley hanno messo in questo bellissimo lavoro.
Che si parli di ballad (Without You) o ruvide hard rock song (Mother, Step Back) la band non sbaglia un colpo e ci regala un album splendido, consigliato senza riserve agli amanti del classic rock e del rock melodico.

Tracklist
1.I Want Your Soul
2.Day by Day
3.Out of My Life
4.Alone
5.Think
6.Sometimes
7.Step Back
8.Trying
9.Secret
10.Miss Me
11.Once in a Lifetime
12.Without You

Line-up
Stefan Blomqvist – Lead vocal and guitar
Ulf Hedin – Guitars
Jan Emanuelsson – Bass
Robert Wirensjö – Keyboards
Mikael Kerslow – Drums and Percussion

BLACK PAISLEY – Facebook

Scarlet Aura – Hot’N’Heavy

Melodie che si incastrano tra ritmiche potenti, accenni thrash impastati di groove e solos di stampo classico compongono le dodici nuove tracce di Hot’n’Heavy, un macigno sonoro che perde qualcosa in eleganza ma acquista in potenza ed impatto.

Tornano sul mercato gli Scarlet Aura, band rumena capitanata dalla singer Aura Danciulescu, bellissima e grintosa vocalist che, lontano dalle sirene power gothic metal sfoggia una voce da vera pantera metallica.

Il debutto Falling Sky aveva ben impressionato presentando un gruppo con la propria personalità e pronto per accompagnare in tour la divina Tarja Turunen.
Il nuovo album conferma il valore del quartetto di Bucarest, rivelandosi più metallico rispetto al suo predecessore, licenziato dalla band in concomitanza con il primo libro scritto dalla Danciulescu, The Book of Scarlet- Ignition.
Questa volta la band picchia da par suo, l’hard rock è a metà strada tra quello tradizionale e quello moderno pendendo più verso il secondo aspetto, e i brani risultano pregni di groove, aggressivi e metallici così come più arrabbiata è la voce della singer.
Melodie che si incastrano tra ritmiche potenti, accenni thrash impastati di groove e solos di stampo classico compongono le dodici nuove tracce di Hot’n’Heavy, un macigno sonoro che perde qualcosa in eleganza ma acquista in potenza ed impatto.
La bella vocalist torna in parte alle melodie del primo album sulle note ottantiane di Glimpse In The Mirror, Silver City e nella ballad Light Be My Guide, mentre il resto dell’album, come già descritto, calca la mano sull’aggressività regalando momenti di hard & heavy duro come l’acciaio in Hail To You, o nel macigno che sono la title track e Let’s Go Fucking Wild.
Ritorno assolutamente degno dei complimenti ricevuti per il primo lavoro, Hot’n’Heavy non deluderà gli amanti del rock duro.

Tracklist
1.The future becomes our past
2.Hail to you
3.In the name of my pain
4.Hot’n’heavy
5.Fallin’ to pieces
6.Glimpse in the mirror
7.You bite me I bite you back
8.Hate is evanescent, violence is forever
9.Silver city
10.Light be my guide
11.Let’s go fuckin’ Wild

Line-up
Aura Danciulescu – Lead Vocals
Mihai Thor Danciulescu – Lead Guitars and Vocals
Rene Nistor – Bass Guitar
Sorin Ristea – Drums

SCARLET AURA – Facebook

Wasted Theory – Warlords Of The New Electric

L’ascolto di Warlords Of The New Electric è coinvolgente e assai scorrevole, le canzoni non presentano pause o riflussi, ma si è sempre lanciati verso l’incandescente magma.

Torna uno dei gruppi più divertenti e devastanti della musica pesante, dal Delaware e dal Maryland ecco a voi i Wasted Theory, sempre per l’italiana Argonauta Records.

Il loro suono è divertente e dà assuefazione molto presto, è come un joint di ottima erba, che ti fa volare la testa e magari ascoltare una colata di riffs e sezione ritmica incessante, questo è ciò che offrono i Wasted Theory. La musica ce la mettono loro, la droga no, che poi magari qualcuno capisce male. I nostri americani sono al loro terzo album sulla lunga distanza, e se già i precedenti dischi erano ottimi questo li supera tutti, portando alla massima altezza possibile le loro caratteristiche migliori, ovvero dare musica pesante e divertente che deriva dai sacri Black Sabbath, prende molto dallo stoner ma anche dal metal southern, il tutto con una miscela davvero esplosiva, condita da molta ironia. Pochi gruppi possono vantare un groove imponente e allo stesso tempo ben strutturato come i Wasted Theory, che avevano già stupito tutti con il precedente Defenders Of The Riff, che li aveva portati alla ribalta internazionale. Chi aveva amato il precedente album rimarrà ancora più colpito da questo ultimo lavoro, davvero completo e curato fin nei minimi particolari. L’ascolto di Warlords Of The New Electric è coinvolgente e assai scorrevole, le canzoni non presentano pause o riflussi, ma si è sempre lanciati verso l’incandescente magma. Oltre a possedere un groove tra i migliori nel genere, i Wasted Theory sono capaci di sviluppare ritornelli che stendono chiunque e che non lasciano indifferenti. Nel disco si possono trovare molti riferimenti al meglio dell’hard rock e del metal, ad esempio ci sono passaggi che riportano alle sonorità dei Thin Lizzy, un gruppo che è nelle orecchie di molti e che, a volte anche inconsciamente, ritornano. Come si diceva prima, c’è anche un grande sapore southern, che da un tocco in più al tutto. Un disco davvero divertente e molto corposo.

Tracklist
1.Rawhide Hellride
2.Drug Buzzard
3.Bongronaut 05:38
4.The Son of a Son of a Bitch
5.Bastard County
6.Heavy Bite
7.Weed Creature
8.Doomslut Rodeo

Line-up
Larry Jackson, Jr.- Vocals/Guitars
Andrew Petkovic – Guitars
Brendan Burns – Drums

WASTED THEORY – Facebook

RED B. – Night’s Callin’

Night’s Callin’ è un’opera senza tempo come senza tempo è un genere come l’hard’n’heavy classico quando è composto da belle canzoni suonate e, soprattutto, cantate alla grande da un’artista di spessore come Red Bertoldini.

Torna a ruggire uno dei personaggi storici del metal tricolore, Red Bertoldini, batterista e cantante dei Dark Lord (è dello scorso anno la reunion) e di un’altra manciata di gruppi, con un nuovo album solista sotto il monicker di RED B.

Night’s Callin’ è il suo terzo lavoro, dopo Red Bertoldini, uscito nel 2014 e Just Another Hero dell’anno successivo: qui il vocalist veneto è accompagnato da tre ottimi musicisti come Tony T. alla batteria, Edo alla chitarra e Gilberto Ilardi al basso.
Night’s Callin’ risulta un graffiante esempio di hard & heavy classico, con le sue radici ben piantate tra gli anni ottanta ed il decennio precedente, con il cantante che non accusa minimamente il passare degli anni e ruggisce da par suo su brani potenti ed agguerriti come Fallin’ Through The Sky ed Everybody, avvio esplosivo di questo ottimo lavoro.
Sfumature southern accompagnano il singer sulle ballad I’ve Been Killing e The End, mentre la conclusiva A Man In The Mirror ricorda la Blindman degli Whitesnake del classico Ready An’ Willing.
Il resto dell’album varia tra scelte stilistiche orientate verso l’hard & heavy ottantiano (Into The Street e la title track) ed altre in cui un’anima blues si impadronisce della bellissima Bad Woman, brano che sembra uscito dalla tracklist dell’unico ed irripetibile album frutto della collaborazione tra David Coverdale e Jimmy Page.
Night’s Callin’ è un’opera senza tempo come senza tempo è un genere come l’hard’n’heavy classico quando è composto da belle canzoni suonate e, soprattutto, cantate alla grande da un’artista di spessore come Red Bertoldini.

Tracklist
1.Fallin’ Though The Sky
2.Everybody
3.I’ve Been Killing
4.Into The Street (Intro)
5.Into The Street
6.Night’s Callin’
7.Lookin’ Stars From The Sea
8.The End
9.Bad Woman
10.A Man In The Mirror

Line-up
Red Bertoldini – Lead Vocal
Tony T. – Drums
Edo – Guitars
Gilberto Ilardi – Bass

RED B. – Facebook

Chrome Division – One Last Ride

One Last Ride è un (probabile) testamento sicuramente riuscito per una band della quale i fans sentiranno sicuramente la mancanza, essendo già orfani del leggendario signore di queste sonorità.

I Chrome Division sono l’ennesimo esempio della duttilità che ha sempre accompagnato i protagonisti della scena scandinava, mai pienamente soddisfatti di un solo progetto e sempre pronti a mettersi in discussione artisticamente.

In questo caso si parla di Shagrath, demone dietro al microfono dei Dimmu Borgir e qui in veste di rocker tutto whisky, chitarra ed attitudine rock ‘n’ roll.
Richiamato il primo vocalist Eddie Guz, il gruppo dà vita a quello che sembra, secondo quanto annunciato dalla stessa band, l’ultimo lavoro targato Chrome Division i quali, come avvenuto per molti altri gruppi nati quasi per scherzo, hanno oggi all’attivo cinque album potendo contare su un nutrito numero di fans.
One Last Ride, dopo un intro che richiama le polverose strade di cittadine della frontiera americana, esplode in tutta la sua attitudine sfacciata ed irruente, un rock’n’roll che, alleato all’hard & heavy, non lascia scampo e per una quarantina di minuti ci investe tra riff che trasudano alcool, vestiti di pelle e borchie e con il santino di Lemmy che sogghigna fiero di questi ennesimi apostoli del suo selvaggio stile.
I Chrome Division nei cinque capitoli che formano la loro discografia non hanno inventato nulla, sono stati un più che buon tributo ai Motorhead e all’hard rock, tra ritmiche solide che a tratti richiamano gli Ac/Dc, voci sporcate da liquidi infiammabili e sigarette e solos che contribuiscono a quell’irresistibile atmosfera da party scatenato che, anche in questo lavoro, rende ancora più selvaggio il sound di brani come Walk Away In Shame, You Are Dead To Me e I’m On Fire Tonight.
One Last Ride è un (probabile) testamento sicuramente riuscito per una band della quale i fans sentiranno sicuramente la mancanza, essendo già orfani del leggendario signore di queste sonorità.

Tracklist
1. Return From The Wastelands
2. So Fragile
3. Walk Away In Shame
4. Back In Town
5. You Are Dead To Me
6. The Call
7. I’m On Fire Tonight
8. Staying Until The End
9. This One Is Wild
10. One Last Ride
11. We Drink
12. Towards The Unknown

Line-up
Eddie Guz – Lead vocals
Shagrath – Guitars, bass & backing vocals
Mr Damage – Lead guitar, bass & backing vocals
Tony White – Drums, cowbell & percussion

CHROME DIVISION – Facebook

The Wizards – Rise Of The Serpent

Lo spirito del rock duro, quello classico ed ispirato dall’occulto e che crebbe nell’underground tra gli anni sessanta e settanta, è ben vivo in questa band proveniente da Bilbao, i The Wizards.

Lo spirito del rock duro, quello classico ed ispirato dall’occulto e che crebbe nell’underground tra gli anni sessanta e settanta, è ben vivo in questa band proveniente da Bilbao, i The Wizards.

Sotto l’etichetta hard rock, infatti, si cela una famigerata congrega di guerrieri/sacerdoti in conflitto contro la modernità a colpi di rock ‘n’ roll, o se preferite di un buon mix tra hard rock, doom rock ed heavy metal.
La band è attiva dal 2013 e questo granitico e tellurico lavoro intitolato Rise Of The Serpent è il terzo su lunga distanza, un altare costruito dal gruppo per i suoi sacrifici al dio del rock, una lastra di marmoreo metallo sulla quale il sangue cola e i rettili sguazzano, mentre Apocalyptic Weapons dà il via al sabba.
Influenze che sono scritte sullo spartito di questa raccolta di brani assolutamente vintage e che attraversano tre decenni e oltre, arrivano sotto forma di hard rock, di questi tempi chiamato old school ma che ha in “classico” l’aggettivo più corretto.
La band opera in un contesto che alterna hard & heavy, doom rock e un accenno a quel psych rock in voga in passato ed ora tornato a ricamare il sound dei gruppi che, di fatto, hanno riportato all’attenzione dei rocker mondiali il genere.
Age Of Man, brano diretto e rock’n’roll, è la classica ciliegina sulla torta confezionata per i rocker con i jeans a zampa di elefante nascosti nell’armadio e gli album di Black Sabbath, Led Zeppelin, Molly Hatchet, Saxon, Iron Maiden e Cathedral in bella mostra vicino al giradischi.
Rise Of The Serpent si fa apprezzare per una carica ed una passione da parte che rapisce, prova ne siano brani trascinanti come Circle Of Time ed Aftermath, nei quali la poca originalità non inficia la voglia di prendere a capocciate il muro di casa, presi dall’entusiasmo contagioso dei The Wizards, possenti e duri come l’acciaio.

Tracklist
1. Apocalyptic Weapons
2. Destiny
3. Circle of Time
4. Distorted Mirrors
5. Age of Man
6. Strings Synchronise
7. Aftermath
8. VOID (Vision of Inner Death)

Line-up
Sir Ian Mason – Vocals
George Dee – Guitar
Phil The Pain – Guitar
Baraka Boy – Bass
Dave O. Spare – Drums

THE WIZARDS – Facebook