Rainbow Bridge – Lama

Secondo ottimo lavoro per i Rainbow Bridge, band che all’hard rock di matrice settantiana aggiunge blues e stoner, creando un sound avvolgente e psichedelico.

Il ponte dell’arcobaleno torna a solcare i cieli dello stivale, partendo dalla Puglia per disegnare un arco colorato di hard rock blues e stoner dal sentore vintage, tanto per ribadire alle più famose scene scandinave e statunitensi che nell’interpretare il genere ad alto livello non siamo secondi a nessuno.

I Rainbow Bridge, tornati con un nuovo album, confermano le impressioni entusiastiche lasciate con Dirty Sunday, primo lavoro uscito lo scorso anno dopo anni passati a suonare in giro come cover di Jimi Hendrix.
Non mancano le novità rispetto al primo lavoro: infatti Giuseppe JimiRay Piazzolla (chitarra e voce), Fabio Chiarazzo (basso) e Paolo Ormas (batteria) inseriscono in Lama il cantato, così che l’album, pur risultando sempre una sontuosa jam blues/rock/stoner, si avvicina in qualche modo ad un ascolto più facile, anche se l’uso della voce è limitato e soggetto alla lunga ed estenuante marcia nel deserto.
Un basso stonato ci introduce in questa nuova avventura targata Rainbow Bridge, con la title track che lascia il tempo al trip di salire per poi esplodere nella testa dell’ascoltatore, ma è dalla seguente Storm che i riff si fanno più incisivi e di matrice hard rock, con la voce di Piazzolla che entra e dona al brano un’aura settantiana tra Hendrix e Led Zeppelin.
Day After Day, dai tratti psichedelici, riporta il gruppo verso lidi grunge (Alice In Chains) mantenendo un approccio zeppeliniano che ricorda l’atmosfera notturna di No Quarter, mentre con Words si fa un salto nella Sky Valley.
No More I’ll Be Back, con i suoi undici minuti, è la jam con cui i Rainbow Bridge si congedano, lasciandoci a vagare per dopo averci regalato un altro piccolo gioiello di musica pesante, psichedelica e stonerizzata quanto basta per non fare prigionieri.

Tracklist
1. Lama
2. The Storm is Over
3. Day After Day
4. Words
5. Spit Jam
6. No More I’ll be Back

Line-up
Giuseppe JimiRay Piazzolla – Guitar & vocal
Fabio Chiarazzo – Bass guitar
Paolo Ormas – drums

RAINBOW BRIDGE – Facebook

Alice Cooper – A Paranormal Evening – Live at the Olympia, Paris

Un live di Alice Cooper è soprattutto teatro, ma questa volta la parte visiva passa in secondo piano e lascia alla musica l’onore di celebrare una epopea musicale travolgente con le sole imperdibili uscite in doppio cd e vinile.

Ennesima celebrazione per quella leggenda vivente che di nome fa Vincent Damon Furnier ma che tutti conoscono nei panni di Alice Cooper, da quarant’anni uno degli artisti più amati della storia del rock e del metal.

Le vicende personali e la sua storia artistica fanno parte integrante del nostro mondo e fa piacere trovare la strega Alice ancora in ottima forma a settant’anni suonati, con un nuovo album licenziato lo scorso anno (Paranormal) e ora questo live che ne immortala le gesta nello show tenuto all’Olympia di Parigi.
Ritrovata una nuova giovinezza con la partecipazione nella super band Hollywood Vampires e altre collaborazioni, lo zio Alice non ci pensa neppure ad abdicare tenendosi ben stretta la corona di sovrano del rock teatrale e granguignolesco che egli stesso ha portato al successo con live spettacolari e album che sono scritti a caratteri cubitali nella storia del rock.
Rock’n’roll, hard rock, glam, heavy metal: Alice Cooper ha dettato le regole di questi generi, li ha modellati a suo piacimento e ci ha costruito sopra una carriera inimitabile diventando un’ispirazione primaria per generazioni di musicisti.
A Paranormal Evening At The Olympia Paris segue un programma ben collaudato, con una scaletta perfetta tra grandi classici e nuovi brani che ripercorrono la carriera di questo grande artista.
Per chi, almeno una volta, ha visto Alice Cooper dal vivo sa che la spettacolarità dell’evento è pari alla lista di grandi canzoni di cui l’artista statunitense dispone: I’m Eighteen, Under My Wheels, School’s Out, No More Mr. Nice Guy, Billion Dollar Babies, Poison, fino alle più moderne Brutal Planet e Woman Of Mass Destruction.
La band, composta da Nita Strauss, Tommy Henriksen e Ryan Roxie alle chitarre, dal bassista Chuck Garric e dal batterista Glen Sobel, asseconda con perizia i vari passaggi imposti dai generi che Cooper tocca con la sua musica, potenti quando serve, classicamente heavy e perfetti nel rock energico di cui si compongono le tracce più datate.
Un live di Alice Cooper è soprattutto teatro, ma questa volta la parte visiva passa in secondo piano e lascia alla musica l’onore di celebrare una epopea musicale travolgente con le sole imperdibili uscite in doppio cd e vinile.

Tracklist
CD1
1. Brutal Planet
2. No More Mr. Nice Guy
3. Under My Wheels
4. Department Of Youth
5. Pain
6. Billion Dollar Babies
7. The World Needs Guts
8. Woman Of Mass Distraction
9. Poison
10. Halo Of Flies
CD2
1. Feed My Frankenstein
2. Cold Ethyl
3. Only Women Bleed
4. Paranoiac Personality
5. Ballad Of Dwight Fry
6. Killer / I Love The Dead themes
7. I’m Eighteen
8. School’s Out

Line-up
Alice Cooper – Vocals
Nita Strauss – Guitars
Tommy Henriksen – Guitars
Ryan Roxie – Guitars
Chuck Garric – Bass
Glen Sobel – Drums

ALICE COOPER – Facebook

Ultraphonix – Original Human Music

Original Human Music risulta un ottimo lavoro, perché quando artisti di questo spessore si mettono in gioco c’è sempre da divertirsi.

Nel mondo del rock e del metal ne succedono di tutti i colori: con buona pace degli ascoltatori e dei fans accaniti di questo e quel genere gli artisti mettono al servizio di altri musicisti il loro talento ed esperienze o semplicemente collaborano, anche se, come in questo caso uno si chiama George Lynch, chitarrista dei leggendari Dokken, e l’altro è Corey Glover, voce carismatica dei non meno noti Living Colour.

Il metal classico anni ottanta incontra quello crossover del decennio successivo: un’affermazione che potrebbe apparire scontata (anche perché la storia dei due grani artisti e musicisti statunitensi non si ferma solo ai due gruppi citati), ma è indubbio che il nome delle due band citate faccia parte, più di altre esperienze vissute da Glover e Linch, della storia del metal/rock e siano pure le più lontane tra loro come approccio ed attitudine.
Diciamo subito che il progetto Ultraphonix è molto più vicino al background del cantante che del chitarrista, quindi in Original Human Music è Lynch a mettersi al servizio di un Glover debordante, sia nei brani in cui il funky prende il comando del sound, sia quelli in cui l’alternative metal ed il blues fanno la loro comparsa, più o meno evidente.
La sensazione è di essere al cospetto di una band vera, sanguigna e maledettamente coinvolgente, anche se il talento metallico di Lynch è forse leggermente soffocato dalla sound e dalla personalità del grande singer di colore.
Accompagnata da Pancho Tomaselli al basso e Chris Moore alla batteria, la coppia forma una band superlativa e l’album ne risente positivamente offrendo una raccolta di brani di crossover/rock/metal/funky/blues d’autore, con picchi qualitativi altissimi (Walk Run Crawl, Counter Culture e Free) tra i quali non manca qualche piccola caduta (Wasteland) o brani che scivolano ordinari ma illuminati dalla classe dei due leader (Take A Stand, What You Say).
Original Human Music risulta un ottimo lavoro, perché quando artisti di questo spessore si mettono in gioco c’è sempre da divertirsi: da non perdere assolutamente specialmente se siete amanti del crossover rock!

Tracklist
01. Baptism
02. Another Day
03. Walk Run Crawl
04. Counter Culture
05. Heart Full Of Rain
06. Free
07. Wasteland
08. Take A Stand
09. Ain’t Too Late
10. Soul Control
11. What You Say
12. Power Trip

Line-up
Corey Glover – Vocals
George Lynch – Guitars
Pancho Tomaselli – Bass
Chris Moore – Drums

ULTRAPHONIX – Facebook

Tamarisk – The Ascension Tape

Nastro di culto, da parte di uno sfortunato ma pionieristico gruppo inglese, tra i primissimi a lanciare il new progressive britannico a inizio degli Eighties.

Il new prog inglese inaugurato ufficialmente nel 1983 dai debutti sulla lunga distanza di Marillion e IQ nasce in realtà alla fine degli anni Settanta, con il desiderio di riproporre in forma aggiornata le sonorità del rock sinfonico nato al principio del decennio precedente.

Tra il 1978 e il 1979 nascono i grandiosi Twelfth Night, per certi aspetti i Van Der Graaf degli anni Ottanta. Nel 1981, escono poi i primi dischi dei francesi Edhels, dei norvegesi Kerrs Pink (tra Camel e Pink Floyd) e degli olandesi Light, mentre i Lens (primo nucleo degli IQ) ripropongono e modernizzano certo space progressive, con il loro primo ed unico nastro, Seven Stories Into Eight. La scena londinese è anch’essa in pieno fermento: dal nord-est della capitale inglese, giungono i Tamarisk. Nel 1982, incidono il loro primo demo, The Ascension Tape: solo tre composizioni, ma di eccellente qualità e molto rappresentative del nascente movimento e della declinazione artistica che il Regno Unito inizia a fornirne. Riusciti intrecci di chitarra fluida e tastiere pompose, ottimo gusto, raffinatezza e melodia, azzeccati inserti più hard rock – in anticipo di tre anni sul gioiello medievaleggiante Different Breed dei Beltane Fire – contribuiscono a codificare l’approccio stilistico dei Tamarisk. L’anno seguente il quintetto inglese registra una seconda cassetta, Lost Properties, nuovamente di tre pezzi. A quel punto, il materiale per realizzare un LP c’è, ma il contratto non arriva e la band si scioglie. Dalle sue ceneri nasceranno i Dagaband – una sorta di ELP in versione più hard – e successivamente Quasar (attivi tra il 1984 ed il 1988, autori di due splendidi dischi: lo storico Fire in the Sky e Lorelei) e Landmarq, questi ultimi tutt’ora sulla breccia, dal vivo in particolare. Membri dei Tamarisk, inoltre, hanno poi lavorato con i Jadis e gli Enid del grande keyboards-player Robert Godfrey. Oggi, chi volesse risalire alle origini del new prog albionico riascoltando i Tamarisk non deve più fare molta fatica: tutte le incisioni del gruppo, finalmente, sono state riversate su compact disc prima con il titolo di Frozen in Time (2012) e quindi – risuonate per l’occasione, del tutto remixate e rimasterizzate – come Breaking the Chains, pubblicato proprio quest’anno dalla Cult Metal Classics assumendo come titolo quello del migliore brano di Ascension Tape.

Tracklist
– Ascension
– Christmas Carol
– Breaking the Chains

Line up
Andy Grant – Vocals
Richard Harris – Drums
Steve Leigh – Keyboards
Peter Munday – Guitars
Mark Orbell – Bass

1984 Autoprodotto

Lucifer – Lucifer II

Lucifer II, anche per i nomi coinvolti, non fa prigionieri: il carisma innato della Sadonis ed un songwriting di livello assoluto sono gli elementi che danno vita ad un album tra i migliori ascoltati quest’anno, almeno per quanto riguarda il genere proposto.

Johanna Sadonis tre anni fa si presentava sulle scena doom e occult rock in compagnia di Gaz Jennings, compagno di litanie doom del grande Lee Dorrian nei Cathedral e magica chitarra nel primo album targato Lucifer, licenziato proprio dalla Rise Above del mitico vocalist.

La firma con Century Media e la separazione con Jennings hanno portato a questo bellissimo secondo lavoro, semplicemente intitolato Lucifer II, nel quale la cantante berlinese, se ha perso un chitarrista dal curriculum importante, trova un altro elemento che non ha bisogno di presentazioni come Nicke Andersson (altra leggenda per i suoi trascorsi con Entombed e The Hellacopters) ad occuparsi di chitarra, basso e batteria, oltre al chitarrista Robin Tidebrink.
Lucifer II prende forma in un’atmosfera settantiana lasciando al primo album le sfumature occult rock, e regala nove brani di hard rock classico, a tratti ancora legato al doom, ma incentrato sulla parte rock’n’roll del genere.
L’interpretazione della Sadonis segue la scia del sound, meno evocativa rispetto al primo lavoro, mettendo sul piatto l’anima più melodica, mentre mette i panni della sacerdotessa doom solo nella splendida Dreamer, pezzo da novanta di questo nuovo album che trae linfa da Black Sabbath certo, ma anche dai Led Zeppelin con un prevedibile pizzico di The Heallacopters; il blues fa capolino e sposta gli equilibri del sound con le sfumature esoteriche che si diradano man mano che l’album entra nel vivo, regalando brani di rock vintage straordinari come Reaper On Your Heals e Before The Sun.
Rimane il dubbio che questa svolta possa in qualche modo essere stata causata dall’approdo ad una label importante, vero è però che Lucifer II, anche per i nomi coinvolti, non fa prigionieri: il carisma innato della Sadonis ed un songwriting di livello assoluto sono gli elementi che danno vita ad un album tra i migliori ascoltati quest’anno, almeno per quanto riguarda il genere proposto.

Tracklist
1. California Son
2. Dreamer
3. Phoenix
4. Dancing with Mr. D (The Rolling Stones cover)
5. Reaper on Your Heels
6. Eyes in the Sky
7. Before the Sun
8. Aton
9. Faux Pharaoh

Line-up
Johanna Sadonis – Vocals
Robin Tidebrink – Guitars
Nicke Andersson – Guitars, Bass Drums
Alexander Mayr – Live Bass
Martin Nordin – Live Guitar

LUCIFER – Facebook

Junkyard Drive – Black Coffee

Successore dell’acclamato album di debutto Sin & Tonic, uscito lo scorso anno, Black Coffee è un’irresistibile tuffo nel rock potenziato da riff di matrice zeppeliniana, in un contesto travolgente che il singer Kristian Johansen trasforma in oro con la sua magnifica prestazione.

Quando Black Coffee comincerà a girare sui vostri supporti musicali, resisterete giusto un brano o due, poi vi ritroverete a sbattere gli arti come indemoniati al suono prodotto dai Junkyard Drive e di queste undici nuove splendide perle di hard rock che, sventolando la bandiera a stelle e strisce, porta una ventata di sano rock’n’roll in questa fine estate 2018.

Successore dell’acclamato album di debutto Sin & Tonic, uscito lo scorso anno, Black Coffee è un’irresistibile tuffo nel rock potenziato da riff di matrice zeppeliniana, in un contesto travolgente che il singer Kristian Johansen trasforma in oro con la sua magnifica prestazione.
L’album non conosce pause, con il gruppo danese che si trasforma in una micidiale macchina hard rock’n’roll dove sua maestà il riff viene immortalato in una delle sue migliori apparizioni degli ultimi anni, con il chitarrista Birk a formare una coppia d’altri tempi con il cantante (vedi Page/Plant) e gli altri musicisti a fornire il potentissimo motore a questa inarrestabile fuori serie (Ben Høyer alla chitarra ritmica, Claus Munch alla batteria e Tim Meldal al basso).
Registrato ai Medley Studios di Copenaghen con Soren Andersen (Glenn Hughes, Mike tramp, Jesper Binzer) in veste di produttore, Black Coffee risulta quanto di meglio il genere abbia regalato in questo ultimo periodo, rivelandosi spettacolare anche quando il gruppo regala semi ballad ed atmosfere in crescendo che fungono da conto alla rovescia, prima che il sound esploda ed il cielo venga illuminato da fuochi d’artificio che lasciano in cielo scie luminose che riportano il nome del più famoso dirigibile della storia del rock, seguito da quello dgli Aerosmith, dei Cinderella e dei più giovani Rival Sons e Scorpion Child.
Inutile negare l’evidenza: Johansen meraviglia ed esalta, essendo un singer dotato di un’estensione vocale ed una personalità da rock star, e si permette di giocare con l’hard rock di brani travolgenti come il singolo Sweet Little Dreamer, Backseat Baby (Buckcherry era Time Bomb) ed il gran finale composto da tre autentiche esplosioni di verace e rock’n’roll che vede il gruppo andare oltre il consentito dalle vostre coronarie (Wasted Nights, Where I Belong e See You Next Time).
Le atmosfere southern della ballad Way To Long ed il crescendo di Same Old Story, non fanno che valorizzare questo bellissimo lavoro nato nella fredda Danimarca ma ispirato dalle calde terre di quell’America da vivere senza freni.

Tracklist
1. Time Is Over
2. Sweet Little Dreamer
3. Sucker For Your Love
4. Make Up Your Mind
5. Backseat Baby
6. Way To Long
7. Through The Door
8. Same Old Story
9. Wasted Nights
10. Where I Belong
11. See You Next Time !

Line-up
Kristian Johansen – Lead and backing vocals
Birk – Lead guitar and backing vocals
Ben Høyer – Rhythm guitar and backing vocals
Claus Munch – Drums and percussions
Tim Meldal – Bass and backing vocals

JUNKYARD DRIVE – Facebook

Lizzies – On Thin Ice

Le ragazze spagnole non si lasciano attrarre da soluzioni moderne e guardano invece ad un passato glorioso per il rock al femminile, fatto e scritto da gentaglia come le Runaways o le Girlschool.

Hard & heavy sanguigno e verace, non così moderno come quelli di molte band attuali, ma con un piedino ben saldo nel metal/rock di matrice ottantiana.

Le Lizzies da Madrid licenziano il secondo lavoro sulla lunga distanza, successore di Good Luck uscito un paio di anni fa sempre per The Sign Records, con il loro hard rock che non disdegna impennate heavy e ritmiche rock’n’roll e che ha nella sua anima vintage l’arma in più per risultare personale, in una scena nella quale i gruppi del genere finiscono inesorabilmente nella trappola dell’alternative.
Nulla di tutto ciò capita alle ragazze spagnole, che non si lasciano attrarre da soluzioni moderne e guardano invece ad un passato glorioso per il rock al femminile, fatto e scritto da gentaglia come le Runaways o le Girlschool.
Diretto come un pugno in pieno volto, il sound di On Thin Ice risulta quindi più verace e senza fronzoli rispetto al passato: le Lizzies puntano ad un approccio che rivela un’urgenza espressiva più accentuata rispetto al passato ed il sound ci guadagna non poco, trovando la perfetta dimensione per il sound delle quattro rockers .
La band ruggisce per quaranta minuti, i brani si susseguono tra sferragliante rock e poche ma potenti sfumature metal, le chitarre urlano tra solos e ritmiche adrenaliniche in un lotto che, partendo dall’opener Like An Animal, non concede tregua.
Le icone del rock al femminile si uniscono a Thin Lizzy, ed in parte Motorhead, nel imprimere il loro marchio su un ipervitaminico lavoro, nel quale il singolo Final Sentence è solo uno dei candelotti di dinamite lanciati dalle Lizzies sulle vostre teste: attenti al botto e ai danni collaterali.

Tracklist
1.Like An Animal
2.No Law City
3.I’m Paranoid
4.Playing With Death
5.Real Fighter
6.Talk Shit And Get Hit
7.Final Sentence
8.Rosa María
9.World Eyes On Me
10.Love Is Hard
11.The Crown

Line-up
Elena – Vocals
Patricia – Guitars
Marina – Bass

LIZZIES – Facebook

Barros – More Humanity Please

Paul Barros, pur lasciando intravedere la sua ottima tecnica chitarristica, lascia la scena alle canzoni, ottimi esempi di hard rock melodico raffinato, a tratti graffiante ma pur sempre debordante di melodie.

Due passi nell’hard rock melodico di classe con questo splendido lavoro ad opera di Paul Barros, chitarrista dei portoghesi Tarantula, qui con il progetto solista che porta il suo nome ed una band che vede Pico Moreira alla batteria, Vera Sá al basso e soprattutto il singer Ray Van D, protagonista di una performance che ricorda i migliori interpreti del genere.

I Barros debuttano quindi con un album molto bello: il chitarrista pur lasciando intravedere la sua ottima tecnica strumentale, lascia la scena alle canzoni, ottimi esempi di hard rock melodico raffinato, a tratti graffiante ma pur sempre debordante di melodie.
Preceduto dal singolo My Everything, mixato e masterizzato da Harry Hess (Harem Scarem), More Humanity Please vive del talento dei suoi protagonisti, dal cantato di razza di Ray Van D alla chitarra di Barros, raffinata anche quando l’atmosfera si riempie di elettricità: dieci brani di classe, per una quarantina di minuti immersi nel caldo abbraccio del rock duro di matrice melodica, venato di aor e che richiama in molte tracce i Van Halen era Sammy Hagar.
Il singolo My Everything è la canzone perfetta per aprire l’album, grintosa con classe, pregna di melodie così come la seguente Disconnected, con l’album che decolla subito e prima della ballad Tearing As Apart, ci regala ancora due splendide hard rock songs; Kingdom For A Day e Take Me Us I Am.
More Humanity Please, brano che dà il titolo all’album è una ballad che profuma di west coast, mentre la conclusiva How Does It Feel è un grintoso hard rock che ci dà appuntamento al prossimo giro sulla giostra melodica condotta da Paul Barros e dalla sua band: il consiglio agli amanti del genere è quello di non perdersi questo meritorio lavoro.

Tracklist
1.My Everything
2.Disconnected
3.My Kingdom For A Day
4.Take Me Us I Am
5.Tearing Us Apart
6.When It Rains It Pur
7.Live Before We Die
8.A Love That Shines
9.More Humanity Please
10.How Does It Feel

Line-up
Paulo Barros – Guitar
Vera Sa – Bass
Pico Moreira – Drums
Ray Van D – Vocals

BARROS – Facebook

Gabriels – Fist Of The Seven Stars Act 2 – Hokuto Brothers

Fist Of The Seven Stars Act 2 – Hokuto Brothers risulta l’ennesima opera di spessore per Gabriels, una conferma per chi conosce la sua musica, un’autentica sorpresa se l’album in questione risulta il primo incontro con il talentuoso tastierista e compositore.

Tra i molti talenti della scena della scena metallica tricolore, il tastierista e compositore Gabriels è uno dei più attivi, dai Platens ai molti progetti a cui ha prestato il suo estro, fino alla sua ottima carriera solista che lo ha visto impegnato con il concept dal tragico tema riguardante i fatti dell’11 settembre 2001 (Prophecy) e in seguito l’inizio della saga Fist Of The Seven Stars, con il primo capitolo (Act 1, Fist Of Steel) uscito un paio d’anni fa, del quale questo nuovo lavoro è il seguito.

Tra le due opere il tastierista nostrano ha registrato Over the Olympus – Concerto for Synthesizer and Orchestra in D Minor Op. 1, uscito all’inizio dell’anno e riuscito esperimento nel suo coniugare la musica classica di un’orchestra con i suoni moderni del suo synth.
La firma con Rockshots Records porta dunque alla seconda opera che racconta il mondo del manga giapponese “Hokuto no Ken”, di Tetsuo Hara and Buronson, e le avventure di Kenshiro, uno dei personaggi più noti al grande pubblico.
Come ci ha piacevolmente abituati, Gabriels si contorna di ottimi musicisti e cantati della scena metal nazionale ed internazionale, un gruppo numeroso di ospiti che valorizza il sound creato per la storia che poggia, ovviamente sullo strumento principale suonato dal nostro, ma lascia comunque spazio ad ogni protagonista impegnato nel fare di Fist Of The Seven Stars Act 2 – Hokuto Brothers l’ennesima splendida opera.
Una decina di cantanti, con Wild Steel nei panni di Ken, una serie di ottimi chitarristi, ed una sezione ritmica che vede alternarsi cinque bassisti ed altrettanti batteristi (dei quali scoprirete i nomi in fondo alla recensione per non fare torto a nessuno, visto il livello assoluto di ciascuno) aiutano così Gabriels in questa nuova avventura dal sound rock/metal, melodico e progressivo, a tratti animato dal power, valorizzato da virtuosi interventi solistici del sempre ispiratissimo synth, ma senza mai perdere il filo del racconto in musica, piacevole da ascoltare e, a tratti, esaltato da una vena epica che glorifica bellissime melodie metal/prog.
Più di un’ora di esperienza uditiva tutta da vivere, mentre i personaggi della storia compaiono nella nostra mente al suono delle melodie metalliche incastonate tra lo spartito dell’opener The Search Of Water Bird, della bellissima prog/aor End Of Cobra, dell’epico incedere di Scream My Name e della monumentale Myth Of Cassandra.
Fist Of The Seven Stars Act 2 – Hokuto Brothers risulta l’ennesima opera di spessore per Gabriels, una conferma per chi conosce la sua musica, un’autentica sorpresa se l’album in questione risulta il primo incontro con il talentuoso tastierista e compositore.

Tracklist
01.The search of water bird
02.Cobra clan
03.End of Cobra
04.I see again
05.Scream my name
06.Miracle land
07.I’m a genius
08.Looking for your brother
09.Myth of Cassandra
10.Reunion
11.Legend of fear
12.King of fist

Line-up
Wild Steel (Shadows of Steel) as Ken
Jo Lombardo (Metatrone, Ancestral) as Ray
Rachel “Iron Majesty” Lungs as Mamiya
Dario Grillo (Platens, Violet Sun) as Toky
Alfonso Giordano (Steel Raiser) as Wiggle
Iliour Griften (Beto Vazquez’ Infinity, Clairvoyant) as Amiba
Antonio Pecere (Crimson Dawn) as Raoul
Dave Dell’Orto (Drakkar, Verde Lauro) as Jagger
Beatrice Bini (Constraint, Vivaldi Metal Project) as Aylee
Matt Bernardi (Ruxt) as Cobra Boss

Guitars:
Antonello Giliberto
Francesco Ivan Sante dall’ò
Stefano Calvagno (Metatrone)
Antonio Pantano (Arcandia)
Tommy Vitaly
Frank Caruso (Arachnes)
Daria Domovik (Concordea)
Andrew Spane
Stefano Filoramo

Bass:
Dino Fiorenza (Metatrone)
Beto Vazquez (Beto Vazquez’s Infinity)
Adrian Hansen
Fabio Zunino
Arkadiusz E. Ruth (Path Finder)

Drums:
Mattia Stancioiu (ex-Vision Divine, ex- Labirynth)
Simone Alberti (Gabriels)
Giovanni Maucieri (Gabriels)
Michele Sanna (Coma)
Salvo Pennisi

GABRIELS – Facebook

Bastian – Grimorio

Album da non perdere assolutamente, come del resto tutte le opere di questo nostro talento nostrano, Grimorio prende in parte le distanze dai precedenti lavori per una più accentuata vena doom, con il groove a prendere il sopravvento sul sound, ma risultando ugualmente un album di classico hard & heavy firmato Bastian.

Il chitarrista siciliano Sebastiano Conti torna con il quarto album della sua creatura, Bastian, da una manciata d’anni una delle migliori espressioni dell’hard & heavy classico, prima con l’esordio Among My Giants uscito autoprodotto nel 2014 e poi ristampato l’anno seguente dalla Underground Symphony, ed in seguito con Rock Of Daedalus e Back To The Roots, licenziato lo scorso anno.

Contornato nei vari album da una bella fetta di icone del genere come Michael Vescera, Mark Boals, Vinnie Appice, John Macaluso e Apollo Papathanasio, il chitarrista nostrano si affida questa volta a nuovi musicisti come James Lomenzo al basso (Ozzy Osbourne, Megadeth, Black Label Society), Federico Paulovich (Destrage) alla batteria e al cantante danese Nicklas Sonne (Defecto, Theory), formando un quartetto compatto e più vicino al concetto di vera e propria band.
Grimorio porta con sé una sterzata stilistica importante, con il gruppo che ci sbatte sul muso dieci pezzi di granito hard rock dalle chiare influenze sabbathiane, non dimenticando che siamo nel 2018 e che il groove è diventato l’arma letale per sfondare con forza bruta i cuori dei rockers odierni.
Black Sabbath da una parte e Black Label Society dall’altra, un mix letale di hard groove rock che non dimentica la lezione di chi fino ad ora era stato ispirazione importantissima per la musica dei Bastian, ovvero i Led Zeppelin ed il loro hard blues.
Si parte da qui per un altro ottimo lavoro, tutto cuore, passione, sudore e talento, con la chitarra di Conti che segue le coordinate tracciate da quel mostro di Zakk Wylde, nel genere il miglior chitarrista vivente, per un lotto di brani in cui regna sua maestà il riff.
Le prestazioni singole sono eccezionali: James Lomenzo e Federico Paulovich formano una sezione ritmica tellurica, Nicklas Sonne si dimostra cantante di razza e Conti, senza strafare, conferma la sua bravura alla sei corde, uscendo ancora una volta vincitore con mazzate inferte senza pietà come l’opener Pale Figure che dà il via alle danze con la sua maestosa ed oscura atmosfera doom.
Ancora il blues acido di The Trip, l’hard & heavy sabbathiano era Dio di Southern Tradition, lo splendido hard rock di The Time Has Come, la danza psichedelica Epiphany’s Voodoo e la conclusiva Fallen Gods contribuiscono a fare di Grimorio un mastodontico pezzo di meteorite in caduta libera sul pianeta Terra.
Album da non perdere assolutamente, come del resto tutte le opere di questo nostro talento nostrano, Grimorio prende in parte le distanze dai precedenti lavori per una più accentuata vena doom, con il groove a prendere il sopravvento sul sound, ma risultando ugualmente un album di classico hard & heavy firmato Bastian.

Tracklist
01.Pale Figure
02.Sly Ghost
03.The Trip
04.Infinite Love
05.It’s Just A Lie
06.Southern Tradition
07.The Time Has Come
08.Epiphany’s Voodoo
09.Black Wood
10.Fallen Gods

Line-up
Sebastiano Conti – Guitar
Nicklas Sonne – Vocals
James Lomenzo – Bass
Federico Paulovich – Drums

BASTIAN – Facebook

ShakesnaKe – Dynamite

Dynamite è composto da quattro brani diretti e senza fronzoli, quattro scariche adrenaliniche che accomunano per ispirazione varie icone del genere: di Motley Crue agli Skid Row, dai Twisted Sister ai Kiss, per un sentito e riuscito tributo ad uno dei periodi più splendenti per la nostra musica preferita.

L’hard rock stradaiolo proveniente dal Sunset Boulevard in quel di Los Angels tra i colori accesi degli spandex di metà anni ottanta, continua ad ispirare le nuove generazioni in un continuo party, relegato ormai all’underground ma in grado di smuovere montagne a colpi di adrenalinico rock’n’roll.

La Volcano Records, giovane label con un occhio di riguardo per le sonorità hard rock, licenzia Dynamite, nuovo esplosivo ep dei milanesi ShakesnakE, quintetto lombardo capitanati dal chitarrista e fondatore Roxy Snake.
Attivo dal 2013 e con qualche cambio nella line up da archiviare, il gruppo si presenta con un bagaglio di esperienza da cover band dei nomi classici dell’hard/street rock ottantiano e da qui prende spunto per creare il proprio sound.
Dynamite è composto da quattro brani diretti e senza fronzoli, quattro scariche di elettricità che accomunano per ispirazione varie icone del genere: dai Motley Crue agli Skid Row, dai Twisted Sister ai Kiss, per un sentito e riuscito tributo ad uno dei periodi più splendenti per la nostra musica preferita.
Si preme play e I Still Carry On vi catapulta direttamente sulle strade luccicanti davanti ad uno dei tanti locali che resero la città degli angeli la mecca per i rockers dai capelli cotonati; Same Old Shit conferma le prime impressioni destate dall’opener: gli ShakesnakE si presentano come belve affamate, azzannano e strappano carni con riff scolpiti sui muri del Whiskey a Go Go, attitudine e passione che esce prepotentemente da ogni nota di Lady Dynamite e dalla conclusiva Like A Loaded Gun.
Un cantante dotato di un timbro metal (Riky”basto” Snake) imprime una grinta heavy da non sottovalutare e, come il titolo promette, il lavoro risulta una piccola bomba pronta ad esplodere.
In attesa di sviluppi discografici sulla lunga distanza, Dynamite si può certamente considerare un biglietto da visita di tutto rispetto per gli ShakesnakE.

Tracklist
1. I Still Carry On
2. Same Old Shit
3. Lady Dynamite
4. Like A Loaded Gun

Line-up
Roxy Snake- rythm guitar and backing vocals
Riky”basto” Snake-vocals
Red Snake-lead guitar
Lixxy Snake- bass
J.J. “bala”Snake-Drums

SHAKESNAKE – Facebook

1968 – Ballads Of The Godless

Un album bellissimo, un trip claustrofobico ed ipnotico che si prende la scena di questa prima metà dell’anno per quanto riguarda le sonorità stoner.

Negli assolati meandri desertici dello stoner rock nascono e crescono realtà psichedeliche e vintage di grande spessore, molte volte nascoste nell’ombra dell’underground mondiale, ma pronte ad accendere la miccia che farà esplodere sonorità estremamente coinvolgenti come quello dei 1968, band proveniente dal Regno Unito, e del loro primo album sulla lunga distanza, Ballads Of The Godless.

La band, nata nel 2013, aveva legato il suo credo musicale a due ep, usciti tra il 2016 e il 2017 (1968 EP e Fortuna Havana) e ora, tramite la HeviSike Records, ci consegna questo macigno stoner psichedelico che, in quaranta minuti, ci porta nel deserto della Sky Valley anni prima del successo di Kyuss e compagnia, quindi negli anni settanta.
Ed infatti il sound del gruppo viaggia stordito da una serie di brani pesantissimi, pregni di danze rituali in nome di un hard rock dal retrogusto settantiano, psichedelico come quello suonato sul finire degli anni sessanta (da qui si può certo ricavare la scelta del monicker), strafatto di hard blues e psych rock.
Il quartetto di rockers britannici ci investe con tutta la sua potenza espressiva, il doom cerca di uscire alla luce, presente ma soffocato dalla presenza dell’hard rock e delle influenze che dagli anni settanta, arrivano sulla soglia dell’ultimo decennio del secolo scorso, tra Led Zeppelin e QOTSA, Black Sabbath e Sleep, in un vortice di rock dall’alto contenuto tossico e stordente.
Evocativo il canto, potentissima la base ritmica, drogati i riff di chitarra che compongono fumose canzoni come Devilswine, Temple Of The Acidwolf e Chemtrail Blues, sorta di No Quarter di zeppeliniana memoria suonata a cinquanta gradi in mezzo al deserto, e seguita dal superbo ed ipnotico blues di McQueen.
Un album bellissimo, un trip claustrofobico ed ipnotico che si prende la scena di questa prima metà dell’anno per quanto riguarda le sonorità stoner.

Tracklist
1.Devilswine
2.Screaming Sun
3.Temple of the Acidwolf
4.S.J.D.
5.Chemtrail Blues
6.McQueen
7.The Hunted
8.Mother of God

Line-up
Jimi Ray – Vocals
Sam Orr – Guitar
Tom Richards – Bass Guitar
Dan Amati – Drums

1968 – Facebook

Nightraid – Indians

I Nightraid non inventano nulla, ma prendono gli strumenti, accendono gli amplificatori e suonano del buonissimo hard rock con attitudine e passione, serve altro?

Sono passati quattro anni da quando vi avevamo parlato, in occasione dell’uscita del primo demo omonimo di quattro brani, dei rockers umbri Nightraid, tornati a risplendere con questo debutto sulla lunga distanza intitolato Indians.

Al timone troviamo sempre Andrea Cocciglio, cantante di razza con un passato death, ma assolutamente a suo agio alle prese con l’hard & heavy del gruppo che attinge a piene mani dalla tradizione nazionale (Pino Scotto, Strana Officina).
Nove brani cantati in italiano, nove adrenaliniche tracce dove l’hard rock trova la sua casa, quaranta minuti di musica dall’attitudine live, perfetta per palchi montati davanti a rockers motorizzati e della vecchia guardia, guerrieri indomiti che seguono la strada tracciata dai Nightraid.
Cocciglio asseconda la sua naturale somiglianza vocale con il grande Pino Scotto senza scimmiottarlo ma, con molti meno anni ed eccessi nell’ugola, affronta con grinta brani dall’ottimo impatto come l’opener Stand By, Bombe A Gaza e la super ballata Indians, dal blues che scorre tra le corde delle chitarre come sangue nella prateria.
Nightraid è l’inno del gruppo, mentre quale giusto tributo arriva la cover di uno dei brani più belli di Pino Scotto, la drammatica, intensa e tragica Dio Del Blues, con il rock’n’roll di Misteri e la dirompente Zasko a concludere in modo esplosivo questo ottimo lavoro.
I Nightraid non inventano nulla, ma prendono gli strumenti, accendono gli amplificatori e suonano del buonissimo hard rock con attitudine e passione, serve altro?

Tracklist
01.Stand By
02.Sinergie
03.Bombe a Gaza
04.Indians
05.Nightraid
06.Overcast
07.Dio del Blues (cover)
08.Misteri
09.Zasko

Line-up
Andrea Cocciglio – vocals
Andrea Assogna – guitars
Alessandro Assogna – guitars
Leonardo Paluzzi – bass
Andrea “Uora” Frabotta – drums

NIGHTRAID – Facebook

Black Space Riders – Amoretum Vol.2

Nel suo complesso, anche questa seconda parte si porta a casa un giudizio positivo: anche se di difficile assimilazione il sound prodotto dai Black Space Riders troverà estimatori tra i fruitori del rock vintage.

Come avevano promesso, i rockers tedeschi Black Space Riders tornano, a distanza di pochi mesi dal primo capitolo, con Amoretum Vol.2.

Si continua a parlare di amore, oscurità e luce in un mastodontico lavoro di settanta minuti che è un viaggio nell’hard rock vintage, o se preferite nella New Wave of Heavy Psychedelic Spacerock, come la band definisce il proprio suono.
L’album è perfettamente in linea con il primo capitolo, con tutti i pregi e i difetti riscontrati qualche mese fa, quindi nulla cambia da Amoretum Vol.1, continuando la tradizione del gruppo (giunto al sesto album) nell’unire hard rock, space e psych rock e post punk.
Unendo i due album si parla di più di due ore di musica, un’opera monumentale che risulta a tratti prolissa e con soluzioni ripetute all’infinito, un difetto non marginale se consideriamo la natura rock’n’roll del sound creato dai Black Space Riders.
Come nel primo album, anche questa seconda parte vive così di alti e bassi con brani che si animano di un’urgenza punk rock come Assimilating Love, e altri nei quali le influenze tornano a far parlare di Pink Floyd e del David Bowie versione starman (Take Me To The Stars).
Comunque ricca di melodia, l’opera offre sicuramente una panoramica esaustiva sulle ispirazioni e sul credo musicale della band tedesca, assolutamente coraggiosa nel proporre un album di questa lunghezza in un genere e in anni nei quali il tempo per assimilare musica è ridotto all’osso dall’urgenza di un mercato schizofrenico.
Nel suo complesso, anche questa seconda parte si porta a casa un giudizio positivo: anche se di difficile assimilazione il sound prodotto dai Black Space Riders troverà estimatori tra i fruitori del rock vintage.

Tracklist
Chapter Three:
1. Before my eyes
2. LoveLoveLoveLoveLoveLoveLoveLove Love (Break the pattern of fear)
3. Walls away
4. Slaínte (Salud, dinero, amor)
5. Assimilating love

Chapter Four:
1. In our garden
2. Leaves of life (Falling down)
3. Body move

Chapter Five:
1. Take me to the stars
2. Ch Ch Ch Ch pt. I (The ugly corruptor)
3. Ch Ch Ch Ch pt. II (Living in my dream)

Chapter Six:
1. Chain reaction
2. No way
3. The wait is never over

Line-up
JE – lead vocals, guitars, keys, electronics
SEB – lead vocals, keys, percussion, electronics
C.RIP – drums, percussion, digeridoo
SLI – guitars
MEI – bass guitar

BLACK SPACE RIDERS – Facebook

Rockstar Frame & Kiara Laetitia – Bulletproof

Bulletproof nel suo insieme funziona quanto basta per piacere ai fans dell’hard rock, in bilico tra tradizione hard & heavy e qualche accenno al rock suonato negli ultimi anni del nuovo millennio.

Fondati nel 2012 dal batterista Max Klein e unite le forze con la cantante Kiara Laetitia (ex Skylark e con David DeFeis nel progetto Fight Now), i Rockstar Frame licenziano il secondo album della loro carriera intitolato Bulletproof, sotto l’egida della Musicarchy Media.

Il  lavoro è composto da undici brani di hard rock, a metà strada tra impatto street metal e urgenza alternative, con la voce della singer che ricorda non poco quella di Inger Lorre dei Nymphs ed un’attitudine stradaiola tipica del rock a stelle e strisce.
Bulletproof per i primi quattro brani mantiene queste caratteristiche, almeno fino a Sirio’s Interlude, brano strumentale dal taglio orchestrale che si avvicina ai Savatage e cambia repentinamente l’atmosfera creata con i primi brani, più diretti ed incisivi.
D’impatto alternative hard rock è l’opener Luv Calamity, seguita dall’hard & heavy Ready Goodbye, mentre la palma di migliore canzone del disco va a Time Bomb, perfetto esempio del mix di ispirazioni del gruppo e canzone che racchiude l’assolo più incisivo di tutto il lavoro, seguita dalla travolgente Secret, brano dall’appeal notevole e potenziale singolo da classifica se fossimo stati nella seconda metà degli anni ottanta.
L’album, quindi, si muove su queste coordinate stilistiche, non apprezzabili appieno causa una produzione ovattata che non permette ai brani di deflagrare dalle casse come dovrebbero.
Lasciate queste considerazioni tecniche, Bulletproof nel suo insieme funziona quanto basta per piacere ai fans dell’hard rock, in bilico tra tradizione hard & heavy e qualche accenno al rock suonato negli ultimi anni del nuovo millennio.

Tracklist
1. Luv Calamity
2. Ready Goodbye
3. Human Starvation
4. Time Bomb
5. Sirio’s Interlude
6. Suicide
7. French Madness
8. Indestructible
9. Christmas Rape
10. Secret
11. Tried

Line-up
Kiara Laetitia – Vocals
Max Klein – Drums and Programming
Alex Bryan – Bass
Dom Vitaly – Guitars
Sirio – Keys and Cine

ROCKSTAR FRAME – Facebook

https://youtu.be/FBp5bROQaj8

Red Eleven – Fueled By Fire

Un tocco di alternative rock, un pizzico di grunge, hard rock sudista quanto basta e la ricetta dei Red Eleven per conquistare i palati dei fans è pronta, buon appetito.

Alternative hard rock band dal suono che più americano non si può in arrivo dalla Finlandia.

I Red Eleven tornano dopo cinque anni dal primo album, Idiot Factory, con questo ep di cinque brani dal titolo Fueled By Fire, un concentrato di rock duro a stelle e strisce, ispirato dall’alternative di fine secolo scorso, ma con neanche troppo velate ispirazioni southern.
Con le melodie sempre protagoniste, anche nei momenti più rocciosi, la band di Jyväskylä, senza far gridare al miracolo ci propone cinque buone canzoni che hanno tutto al posto giusto, riff hard rock, refrain ed appeal alternative, atmosfere calde e sudaticce tipiche della frontiera e melodie accattivanti.
Tony Kaikkonen e soci lasciano ad altri le atmosfere fredde che ispirano le pianure della terra dei mille laghi, per salire a cavallo di una fiammeggiante Harley Davidson ed affrontare il caldo infernale delle pianure americane, con in sottofondo il riff assassino della potentissima Redneck’s Promised Land, top song di Fueled By Fire ed influenzata non poco dai Black Label Society.
Un tocco di alternative rock, un pizzico di grunge, hard rock sudista quanto basta e la ricetta dei Red Eleven per conquistare i palati dei fans è pronta, buon appetito.

Tracklist
1.You’ve Been Warned
2.Back in Time
3.Redneck’s Promised Land
4.Again
5.Last Call

Line-up
Tony Kaikkonen – Vocals
Teemu Liekkala – Guitars / Backing vocals
Tero Luukkonen – Guitars
Samuli Saari – Drums
Petteri Vaalimaa – Bass

https://www.facebook.com/redelevenband/

Lipz – Scaryman

Scaryman è un lavoro imperdibile per i veri amanti di queste sonorità e i Lipz sono un gruppo da seguire con molta attenzione, perché la festa sembra ancora ben lungi dall’essere finita.

Le terre scandinave sono state le prime ad offrire un’altra chance a chi, fregandosene delle mode, un bel mattino ha deciso di riprovarci, aprendo l’armadio per cercare la maglietta a rete, gli spandex e la scatola dei trucchi.

D’altronde le fredde terre del nord, per molti patria dei generi estremi, hanno tradizioni ben consolidate nel genere più scanzonato, catchy e puramente rock’n’roll tra quelli che formano la grande famiglia dell’hard rock e dell’heavy metal, lo street/glam.
I Lipz sono un trio svedese e Scaryman è il loro primo full length, licenziato da Street Symphonies Records & Burning Minds Music Group, label facenti parte della grande famiglia Atomic Stuff e punto fermo ormai da anni per quanto riguarda i suoni hard rock.
Alex K. (voce e chitarra), Koffe K. (batteria) e Conny S. (chitarra) hanno trovato tutto l’occorrente ben ripiegato nell’armadio, si sono preparati di tutto punto e hanno dato vita, sei anni fa circa, a questo progetto che ripercorre tutti i cliché del sound sovrano delle notti losangeline intorno alla metà degli anni ottanta.
Come molte realtà provenienti dai paesi scandinavi, anche i tre rockers svedesi hanno il genere nel sangue e si sente: aiutato da un’ottima produzione Scaryman risulta una bomba street/glam che vi travolgerà, perfetto in ogni chorus, in ogni ammiccamento, duro quel tanto che basta per fare dei riff di cui si compongono i brani delle scintille elettriche sprigionate da cavi ad alta tensione strappati dal twister formatosi quando, dopo l’intro The Awakening, la title track dà inizio al super party a base di Poison, Motely Crue e compagnia di omaccioni in spandex e mascara.
Con una serie di brani che non avrebbero sfigurato in classifica più o meno trent’anni e spiccioli fa, Scaryman vive di rock’n’roll ipervitaminizzato e dall’appeal irresistibile, un piccolo gioiello per i fans del genere, i quali non avranno scampo all’ascolto di Star, Fight, Get It On, Tick Tock e delle altre canzoni, prive di punti deboli e perfette party songs.
Scaryman è un lavoro imperdibile per i veri amanti di queste sonorità e i Lipz sono un gruppo da seguire con molta attenzione, perché la festa sembra ancora ben lungi dall’essere finita.

Tracklist
01. The Awakening
02. Scaryman
03. Star
04. Get Up On The Stage
05. Fight
06. Get It On
07. Falling Away
08. Tick Tock
09. Trouble In Paradise
10. Everytime I Close My Eyes (Acoustic Bonus)

Line-up
Alex Klintberg – Vocals, Guitars
Conny Svärd – Guitars
Koffe Klintberg – Drums

LIPZ – Facebook

Graveyard – Peace

Peace continua il viaggio dei Graveyard nella musica degli anni settanta, con un sound forse più immediato di altri ma pur sempre ricalcando la formula, ormai abusata, del classic rock animato da iniezioni di rock duro e drogato di psichedelia.

Il successo dei suoni vintage ha portato verso le più importanti etichette mondiali band che sarebbero rimaste nel più profondo underground, mentre oggi una label come Nuclear Blast (da sempre punto di riferimento per i fans del metal) si permette di avere nel proprio roster non poche realtà dai suoni che ricalcano il sound sviluppatosi nei leggendari anni settanta.

Un bene sia chiaro, specialmente per chi non ha mai smesso di ascoltare rock classico pur guardando allo sviluppo dei tantissimi generi e sotto generi a cui il metal ha dato i natali in quarant’anni di musica.
I Graveyard sono un quartetto svedese capitanato dal chitarrista e cantante Joakim Nilsson: dopo essersi sciolti poco più di un anno fa lasciando un fatturato di quattro album, ora arriva l’inaspettata reunion seguita dalla pubblicazione di Peace, nuovo lavoro con la novità Oskar Bergenheim alla batteria, sostituto del partente Axel Sjöberg.
Peace continua il viaggio dei Graveyard nella musica degli anni settanta, con un sound forse più immediato di altri ma pur sempre ricalcando la formula, ormai abusata, del classic rock animato da iniezioni di rock duro e drogato di psichedelia.
Questo significa Black Sabbath, The Doors, Led Zeppelin e Pink Floyd riletti secondo il credo di Nilsson e compagni, i quali riescono a divertire con un album fresco, composto da un lotto di brani che attirano gli amanti del rock radiofonico ma che sanno anche conquistare (quando vogliono) con atmosfere di blues desertico e psichedelico sopra le righe.
Del Manic e Birth Of Paradise sono il cuore pulsante e stordito dal sole di Peace, brani che alzano la temperatura dell’album, sanguigni e ricchi di quelle sfumature sporche di blues che sono il marchio di fabbrica delle nuove leve dell’hard rock.
Il resto viaggia con il pilota automatico: buone canzoni dure il giusto per piacere ai fans dell’hard rock con i jeans a zampa di elefante ed il sacchetto delle erbe medicinali a tracolla, facili da ascoltare in una serata estiva sulla spiaggia accompagnati da un falò.

Tracklist
1. It Ain’t Over Yet
2. Cold Love
3. See The Day
4. Please Don’t
5. The Fox
6. Walk On
7. Del Manic
8. Bird Of Paradise
9. A Sign Of Peace
10. Low (I Wouldn’t Mind)

Line-up
Joakim Nilsson – vocals, guitars
Jonatan La Rocca Ramm – guitars
Truls Mörck – vocals, bass guitar
Oskar Bergenheim – drums

GRAVEYARD – Facebook

Steelmade – The Stories We Tell

La band forse si specchia leggermente troppo su una formula che alla lunga lascia qualcosa in termini di scorrevolezza, ma le idee ci sono, qualche buona canzone anche, quindi per noi l’album è promosso anche se non con lode.

Terra di tradizione metal e rock, la Svizzera ha dato i natali anche agli Steelmade, trio alternative hard rock nato tra le Alpi e composto da Paul Baron alla voce, Jadro alla chitarra e Joe Williams alla batteria.

Il debutto è targato 2016 e si intitola Love Or A Lie, quindi il terzetto di rocker torna dopo tre anni con un nuovo lavoro che si compone di una dozzina di brani incentrati su un alternative hard rock che, se da una parte, risulta l’ormai classico suono in voga nel nuovo millennio, dall’altra non rinuncia a qualche sfumatura più tradizionale specialmente nei solos.
Parte bene The Stories We Tell, le prime tracce convincono, potenti il giusto, molto americane nell’approccio che nasconde un’anima blues (Fairytales Of Childhood Days) e quindi pregne di attitudine ribelle.
La voce maschia e sporcata da un approccio rock’n’roll convince, Raise Your Voice (molto più moderna), Ashes Over Waters, il suono grasso e corposo di The Beast For Last e la grinta di Stupidity sono i momenti migliori di un album che a tratti però risulta leggermente ripetitivo: non un peccato mortale, ma certe formule ripetute all’eccesso creano un’atmosfera di stanca colpevole della poca fluidità dell’album.
La band forse si specchia leggermente troppo su una formula che alla lunga lascia qualcosa in termini di scorrevolezza, ma le idee ci sono, qualche buona canzone anche, quindi per noi l’album è promosso anche se non con lode.

Tracklist
1.Remember When (A Piece Of Contemporary History)
2.Raise Your Voice
3.The Stories We Tell
4.Fairytales Of Childhood Days
3:30
5.Ashes Over Waters
6.Trial And Tribulation
7.The Best For Last
8.Deal With The Devil
9.Stupidity
10.Appearance And Reality
11.Desire And Love
12.We Are Bizarre

Line-up
Paul Baron – Vocals
Jadro – Guitar
Joe Williams – Drums

STEELMADE – Facebook

Descrizione Breve

Autore
Alberto Centenari

Voto
68

Genere – Sottogeneri – Anno – Label
2018 Hard Rock 6.80

A Gathering Of None – One Last Grasp At Hope

I The Gathering Of None suonano rock a stelle e strisce, potente e melodico e pazienza se molti passaggi di One Last At Hope li avrete sicuramente già sentiti negli album usciti qualche anno fa, certo rock è come il bacio di una bella donna: non stanca mai.

Alternative metal, post grunge, modern hard rock, c’è di tutto un po’ nel sound degli statunitensi A Gathering Of None, band del Massachusetts al terzo full length dopo Purging Empty Promises del 2013 e Nothing Left To Lose uscito nel 2015.

Il gruppo, nato come one man band del chitarrista e cantante Tracy Byrd, è ad oggi una band composta da cinque musicisti, il cui prodotto è come scritto un buon mix dei suoni nati e cresciuti negli ultimi anni del secolo scorso nel nuovo continente: rock americano, potenziato da iniezioni di metal moderno e sfumature di quel grunge ancora oggi nelle corde degli ascoltatori dai gusti più moderni ed alternative.
Niente di nuovo, ma un lotto di belle canzoni, suonate e cantante davvero bene, con gli Alter Bridge a fare da padrini e poi una serie di band diventate icone di almeno due decenni di hard rock targato U.S.A.
One Last Grasp At Hope è quindi un buon modo per non perdere di vista un certo tipo di sonorità: la voce di TB aiuta non poco i brani a risplendere di una luce melodica che rimane accesa anche nei passaggi più grintosi, così che l’album funziona e piace fin dal primo ascolto.
No Stone Left Unturned, Fabulous Mishap, Dissolution (un tuffo nello stoner di marca Corrosion Of Conformity) sono brani semplici ma perfettamente in grado di non mancare l’appuntamento con i fans del genere, grazie ad una perfetta armonia tra l’anima metal e quella rock.
Band che non ha nulla da invidiare ai gruppi più blasonati, gli A Gathering Of None suonano rock a stelle e strisce, potente e melodico e pazienza se molti passaggi di One Last Grasp At Hope li avrete sicuramente già sentiti negli album usciti qualche anno fa, certo rock è come il bacio di una bella donna: non stanca mai.

Tracklist
1.What For?
2.No Stone Left Unturned
3.Break My Stride
4.A Fabulous Mishap
5.You Stagnate
6.Reaching Out
7.Dissolution
8.Something You Should Know
9.Predatory Male (Miltown cover)
10.I Hope I’m Wrong
11.Move Along

Line-up
TB – vocals, lead and rythm guitars
Justin Travis Osburn – rythm and lead guitars/bgvs
Jeff Grunn – lead and rythm guitars/bgvs
Ken Belcher – bass/bgvs
Chris White – drums/backup vocals

A GATHERING OF NONE – Facebook