600000 Mountains – Mister Sartorius

Rispetto alla maggior parte dei gruppi stoner i catanesi hanno un gran bel tiro naturale e, soprattutto, riescono ad andare molto in profondità grazie a ruvide melodie che escono da distorsioni dall’incedere influenzato dal prog.

Dal fertile sottobosco musicale catanese arriva l’ep autoprodotto di esordio dei 600000 Mountains, un gruppo che fa uno stoner molto acido e ben strutturato.

Una breve descrizione del loro suono è quella scritta sopra, ma se si ascoltano i primi tre pezzi di questo ep di esordio si possono trovare molte altre cose. Rispetto alla maggior parte dei gruppi stoner i catanesi hanno un gran bel tiro naturale e, soprattutto, riescono ad andare molto in profondità grazie a ruvide melodie che escono da distorsioni dall’incedere influenzato dal prog. I 600000 Mountains non cantano, ma sarebbe forse superfluo o magari lo faranno in futuro, sicuramente con questo disco non annoiano, perché la musica interamente strumentale non è affatto tediosa come dicono molti, ma è più difficile da offrire in termini di qualità. A volte i testi nascondono imbarazzanti vuoti creativi, perché se suoni bene, hai le idee chiare in testa e viaggi lontano come qui non v’è bisogno di favellare. I tre pezzi sono tutti di ampio respiro, con il secondo che oltrepassa gli otto minuti, e hanno uno sviluppo molto ben congegnato, come fossero viaggi che accompagnano l’ascoltatore là dove le nubi toccano oltre il cielo, verso lo spazio. I punti di riferimento sono più o meno gli stessi della maggioranza dei gruppi di questo genere, ovvero Kyuss, Karma To Burn e ovviamente i Tool, soprattutto per quanto riguarda la composizione. Ascoltare questi tre pezzi è molto gratificante e rende bene l’idea di un trio che ha molte qualità e possiede altrettanto talento nel creare certe atmosfere che piacciono a chi ama la musica come fuga, ed è sempre bello ascoltare cosa nasce nelle salette e nei garages della penisola. Un buon esordio che fa presagire un futuro radioso e fumoso.

Tracklist
1. Take Care and Survive
2. Omelette Man
3. Horse Suplex

Line-up
Simone Pellegriti -guitar
Guido Testa – bass
Giorgio Rosalia – drums

600000 MOUNTAINS – Facebook

Piledriver – Rockwall

Chitarre graffianti, l’hammond che ispira atmosfere settantiane, ritmi e refrain che ricordano le una manciata di band che hanno fatto la storia dell’hard rock classico ed il gioco è fatto, niente di clamoroso invero ma assolutamente perfetto da portare in auto ed affrontare le luminose strade del sabato sera.

Quarto album e buon ritorno sul mercato per i tedeschi Piledriver, band nata come cover band degli storici Status Quo e da un po’ di anni in viaggio su strade più personali.

Ovviamente il sound dei cinque non può che essere un hard rock classico che amalgama influenze di matrice centro europea a quelle più tradizionali provenienti dal Regno Unito: un muro di rock (come suggerisce il titolo) per infiammare concerti davanti ad un buon numero di fans del genere, molto seguito in Germania.
Chitarre graffianti, l’hammond che ispira atmosfere settantiane, ritmi e refrain che ricordano le una manciata di band che hanno fatto la storia dell’hard rock classico ed il gioco è fatto, niente di clamoroso, invero, ma assolutamente perfetto da portare in auto per affrontare le luminose strade del sabato sera.
Ac/Dc, Status Quo, Bonfire, UFO e in parte Scorpions: questa è la ricetta di Rockwall ed il piatto risulta piccante il giusto per risvegliare istinti selvaggi, alimentati da questa raccolta di brani che mantiene una buona qualità per tutta la sua (lunga) durata.
L’opener Stomp, l’inno One For The Rock, la title track Rockers Rollin’ sono gli episodi migliori di questi tredici di brani che celebrano a modo loro l’hard rock classico, andando a comporre un’opera consigliata ai rockers di origine controllata.

Tracklist
1. Stomp
2. Agitators
3. One For The Rock
4. Rockwall
5. Waiting
6. Farewell
7. For Freedom And Friends
8. Julia
9. Draw The Line
10. Nazareth
11. Sparks
12. Rockers Rollin’
13. Little Latin Lover

Line-up
Michael Sommerhoff – lead and harmony vocals, guitars
Peter Wagner – guitars, lead and harmony vocals
Rudi Peeters – keyboards, harmony vocals
Marc Herrmann – bass
Hans In‘t Zandt – drums, harmony vocals

PILEDRIVER – Facebook

Space Aliens From Outer Space – Nebulosity

Debutto visionario e fortemente debitore alla fantascienza per questa sorta di supergruppo che non vuole sapere di rimanere ancorato alla terra.

Debutto visionario e fortemente debitore alla fantascienza per questa sorta di supergruppo che non vuole sapere di rimanere ancorato alla terra.

Come avremo modo di vedere dopo gli attori coinvolti sono molto validi e sanno ricreare ottime atmosfere. Le coordinate musicali sono varie e conducono tutte al tema del viaggio. Troviamo l’elettronica che è abbastanza onnipresente e al contempo anche strumenti suonati molto bene, lo space rock come concezione e quel viaggiare senza posa né meta. L’ottima produzione mette in risalto anche un incedere tipico delle magnifiche opus musicali di John Carpenter, perché anche i Space Aliens From Outer Space fanno sceneggiature in musica, creando sequenze di immagini che scaturiscono dalla loro musica e si uniscono alla resa visiva sul palco che è assai importante. Qui tutto è comunque al servizio della musica e della missione esplorativa che si sono dati. La loro proposta musicale è di ampio respiro e porta l’ascoltatore in galassie lontane, dove è possibile respirare un’aria molto diversa dalla nostra. Ora veniamo a scoprire gli alieni dallo spazio profondo: alla voce Paul Beauchamp, interessantissima figura di agitatore musicale, un genio che ha scelto Torino come base nonostante sia nato lontano dalle nostre desolate lande, una figura che basta da sola a dare valore al progetto. Incontriamo poi due figuri mascherati che rispondono al nome di Daniele Pagliero, già nei Frammenti, band italiana che ha toccato in maniera indelebile tanti cuori, e Francesco Mulassano. Come new entry troviamo alla batteria la letale Maria Mallol Moya, già nei Gianni Ruben Rosacroce, Lame e Natura Morta. Con questa crew il risultato è assicurato, ma i quattro sono andati ben oltre la somma dei singoli valori, confezionando un disco unico nel volare fra vari generi, trovando sempre melodie interessantissime, con un impasto sonoro psichedelico e di forte presa, dal quale non si può scappare. Molti sono i riferimenti alla migliore fantascienza, specialmente quella degli anni cinquanta e sessanta, in un’opera maestra dello spazio profondo, un gancio galattico che non vi lascerà.

Tracklist
1. Asterism
2. Trajectory
3. Entanglement
4. Propulsion
5. Into The Nebula
6. The Outer Realms
7. Particle Horizon
8. Starchase

Line-up
Paul Beauchamp
Maria Mallol Moya
Daniele Pagliero
Francesco Mulasssano

SPACE ALIENS FROM OUTER SPACE – Facebook

NiKy Nine – Suncore

Un gran bel disco per gli amanti della retrowave e del synthwave, e ottimo punto di inizio per metallari che volessero iniziare ad apprezzare questi generi.

Synthwave potente, diretta e fatta da un appassionato metallaro che risponde al nome d’arte di Niky Nine.

Il francese ha collaborato con Tommy Lee dei Mötley Crüe, Shooter Jennings, e ha anche remixato il santone del vizio Rob Zombie. Per chi ama i suoni retrowave e synthwave la sua opera non è sconosciuta, anche se Niky tende a rimanere dietro le quinte, ma è fin dal 2012 che spinge Lazerhawk ed altri, e i suoi pezzi su Youtube sono molto cliccati ed ascoltati. Suncore è un piccolo capolavoro di questi generi, essendo composto con un’anima metal e con attrezzi come l’Akai Mpc e sintetizzatori analogici, che danno una compattezza ed un calore notevole al suono, con il talento di Niky Nine a fare il resto. A differenza di alcuni dei suoi colleghi in campo synth e retro, la differenza la fa la maniera di comporre e di rendere certe atmosfere. Ci sono tutti gli stilemi che hanno riportato queste sonorità degli anni ottanta e novanta in auge, anche grazie ad una decisa modernizzazione, seguendo un gusto maggiormente elettronico rispetto alle origini. Suncore è un disco molto godibile e che ci rivela diversi aspetti narrativi, dallo spazio profondo a pazze corse su autostrade fatte di laser dove l’orizzonte è viola e postatomico. L’immaginario è quello tipico di questi generi, ma c’è qualcosa in più, come sempre nei dischi della marsigliese Lazerdiscs, etichetta che ama davvero questi suoni ed è la principale protagonista del loro attuale revival. Quello che si può trovare qui e che manca altrove è la forza del metal, perché si sente benissimo che Niky Nine compone e ragiona come solo un metallaro può fare, spingendo oltre la sua musica ed il suo stile. Le melodie elettroniche di questo disco potrebbero benissimo essere le linee di chitarra di un disco di death metal, e la batteria potrebbe aprire spazi anche in generi metallici. Un altro elemento metallico è la meravigliosa copertina dell’altrettanto francese Jeff Grimal, che ha già lavorato con i Gorod, band di death metal tecnico da Bordeaux, per chiudere un cerchio fatto di pogo e di musica altra. Un gran bel disco per gli amanti della retrowave e del synthwave, e ottimo punto di inizio per metallari che volessero iniziare ad apprezzare questi generi.

Tracklist
1.Intro
2.Cars
3.Deadchrome
4.Exhausted Divinity
5.Aftermath
6.Prey
7.Thunder Kiss
8.Tears feat. Bedroom Poet
9.Lost Souls
10.Suncore
11.Outro

The Price – A Second Chance To Rise

Il disco contiene ottima musica, il suo ascolto rasserena e carica, c’è maturità, ed una certa consapevolezza che nasce dalla sicurezza nei propri mezzi, e un’immensa passione che sfocia nella voglia di fare qualcosa che alberghi bene nelle nostre orecchie.

Marco Barusso da Calice Ligure, è una personalità musicale dalle molte sfaccettature: produttore, arrangiatore, chitarrista e ingegnere del suono, ha collaborato con nomi quali 883, HIM, Coldplay, Gli Atroci, Heavy Metal Kids e Cayne, solo per fare qualche nome.

The Price è il nome del suo nuovo progetto solista, all’esordio con A Second Chance To Rise. La copertina promette già bene, testimonianza di un contratto con qualcuno che puzza di zolfo e che ha pure lui collaborato con diversi musicisti e gruppi. Uno dei messaggi che vuole trasmettere Barusso è che non bisognerebbe prendere scorciatoie, ma essere sempre fedeli a se stessi, lavorando duro. E il duro lavoro, la grande passione e un talento tecnico fuori dal comune sono alcune fra le doti di Marco Barusso che confeziona un gran bel disco, con tante cose dentro, tanti ospiti di spicco ed un tiro micidiale. Come coordinate musicali si potrebbe dire che siamo dalle parti dell’hard rock proposto con estrema eleganza ma c’è molto di più. Punto di partenza è una produzione davvero puntuale e precisa, poi Barusso ci mette dentro tantissimo del suo: i riff della sua chitarra sono sempre caldi e scorrevoli, non eccede mai in inutili virtuosismi, ma si mette al servizio del contesto musicale. Troviamo anche tanto metal qui dentro, soprattutto nel senso di un epic heavy che si fonde molto bene con l’hard rock suonato in maniera eccellente. Un capitolo a parte lo meritano gli ospiti, la crema della scena rock e non solo italiana degli ultimi trent’anni: qui c’è un Enrico Ruggeri in gran forma che canta in inglese, e poi ci sono anche Luca Solbiati (Zeropositivo), Roberto Tiranti (Labyrinth, Wonderworld), Max Zanotti (Casablanca), Alessandro Ranzani (Movida), Axel Capurro (Anewrage), Alessio Corrado (Jellygoat), Enrico “Erk” Scutti (Figure of Six), Alessandro Del Vecchio (Hardline), Marco Sivo (Instant Karma), Fabio “Phobos Storm” Ficarella (The Strigas) e Tiziano Spigno (Extrema). Ospiti importanti, ma soprattutto musicisti che come Barusso preferiscono l’olio di gomito e la sala prove ai social o alle esternazioni ad minchiam. Il disco contiene ottima musica, il suo ascolto rasserena e carica, c’è maturità ed una certa consapevolezza che nasce dalla sicurezza nei propri mezzi, e da un’immensa passione che sfocia nella voglia di fare qualcosa che alberghi bene nelle nostre orecchie. Tutti dovrebbero avere una seconda possibilità, ma a Barusso ne basterà una sola per conquistarvi.

Tracklist
1 Tears Roll Down (Feat. Luca Solbiati)
2 A mg of Stone (Feat. Alessandro Ranzani)
3 My Escape (Feat. Axel Capurro)
4 Enemy (Feat. Alessio Corrado)
5 Take Back our Life (Feat. Enrico “Erk” Scutti)
6 Free from Yesterday (Feat. Roberto Tiranti)
7 Lilith (Feat. Tiziano Spigno)
8 Stormy Weather (Feat. Max Zanotti)
9 On the Edge of Madness (Feat. Enrico Ruggeri)
10 E.C.P. (Electric Compulsive Possession)
11 Under My Skin (Feat. Alessandro Del Vecchio & Marco Sivo)
12 Strange World (Feat. Fabio “Phobos Storm” Ficarella)

Line-up
Marco Barusso – Lead Guitar and Voice

THE PRICE – Facebook

Heart – Live In Atlantic City

L’ottima forma del gruppo, sommata ad una scaletta straordinaria, rendono questo live un evento imperdibile per tutti gli amanti del hard rock, tributato con il giusto talento dalle sorelle Wilson e dai loro ospiti.

Nell’universo del rock a stelle e strisce un posto tra i grandi è riservato agli Heart, il gruppo capitanato da Ann e Nancy Wilson, per anni le sorelle più famose del rock’n’roll.

Una storia lunga più di quarant’anni, con alti e bassi fisiologici in una carriera che vede la band ancora in sella nel nuovo millennio, portando in dote una discografia che vede il suo picco nei tre album usciti sul finire degli anni settanta (Little Queen, Dog & Butterfly e Bébé le Strange) e nella coppia Heart e Bad Animals, risalenti al decennio successivo.
Tra hard rock, blues, folk e patinate sonorità da arena rock, gli Heart hanno scritto pagine importanti nella storia del rock americano: nel 2006 ebbero l’occasione di registrare un live per il programma di VH1 Decades Rock Live, nel corso del quale la band diede spettacolo in compagnia di altre stelle del firmamento musicale statunitense.
Gli artisti che presenziarono a questo tributo al rock delle sorelle Wilson furono tanti e di spessore: dagli Alice In Chains a Dave Navarro, dalla star del country Carrie Underwood a Duff McKagan, dalla la cantante country Gretchen Wilson per finire con il compositore Rufus Wainwright.
Live In Atlantic City vede la band alle prese con i brani che hanno segnato la sua storia, come Bebè La Strange, Barracuda e Lost Angel e con cover dei Led Zeppelin come Rock ‘n’ Roll e Misty Mountain Hop, quest’ultima con Navarro a fare il Jimmy Page sullo storico brano tratto dal quarto album degli Zep.
Ma il culmine della performance arriva quando salgono sul palco gli Alice In Chains (con Duff Mckagan) e prima una graffiante Would? e poi le note della sentita Rooster alzano il clima emozionale del concerto.
L’ottima forma del gruppo, sommata ad una scaletta straordinaria, rendono questo live un evento imperdibile per tutti gli amanti del hard rock, tributato con il giusto talento dalle sorelle Wilson e dai loro ospiti.

Tracklist
1. Bébé Le Strange (with Dave Navarro)
2. Straight On (with Dave Navarro)
3. Crazy On You (with Dave Navarro)
4. Lost Angel
5. Even It Up (with Gretchen Wilson)
6. Rock’n Roll (with Gretchen Wilson)
7. Dog & Butterfly (with Rufus Wainwright)
8. Would? (with Alice In Chains & Duff McKagan) *
9. Rooster (with Alice In Chains & Duff McKagan)
10. Alone (with Carrie Underwood)
11. Magic Man
12. Misty Mountain Hop (with Dave Navarro)
13. Dreamboat Annie
14. Barracuda

Line-up
Ann Wilson – Vocals
Nancy Wilson – Guitars
Ben Smith – Drums
Craig Bartock – Guitars
Dan Rothchild – Bass
Chris Joyner – Drums

HEART – Facebook

Rinunci A Satana? – Blerum Blerum

I numi tutelari sono certamente Led Zeppelin e quei disgraziati di Birmingham che riuscirono miracolosamente a scampare ad una vita in fabbrica, e questo materiale in mano a Marco Mazzoldi e e Damiano Casanova diventa un bellissimo reinventare l’occasione per esplorare nuovi lidi, il tutto con visionarietà psichedelica e tanta ironia che li rende un gruppo unico nel panorama italiano e non solo.

Seconda prova per il miglior power duo italiano di sempre, e dire che ve ne sono in giro di coppie musicali, ma nessuna come questi due.

Dopo il primo omonimo disco del 2016 eccoli tornare sul luogo del delitto con una seconda prova ancora migliore. Il genere non è bene definito, poiché i Rinunci a Satana? sono una lunghissima jam che parte dai loro cervelli per arrivare ai nostri, e in questo viaggio si toccano diversi lidi come lo stoner, il prog, lo sludge e il rock and punk alla maniera degli Mc5 e della feccia bianca anni sessanta e settanta. Dimenticatevi le coppie chitarra e batteria un po’ azzimate ed indie che si sono affermate in questi anni, perché qui troverete solo furia e fantasia musicale nelle loro forme più pure e sporche al contempo, un ribollire di note e di creatività che vi colpiranno al cuore. I numi tutelari sono certamente Led Zeppelin e quei disgraziati di Birmingham che riuscirono miracolosamente a scampare ad una vita in fabbrica, e questo materiale in mano a Marco Mazzoldi e e Damiano Casanova diventa un bellissimo reinventare l’occasione per esplorare nuovi lidi, il tutto con visionarietà psichedelica e tanta ironia che li rende un gruppo unico nel panorama italiano e non solo. Ad esempio la settima traccia, La Serata del Gourmet, è un pezzo molto prog anni settanta suonato senza chitarra ma con un synth comandato da una scheda Arduino, ed è un qualcosa di clamoroso. Gli anni settanta ed il loro immaginario sono molto presenti nel disco, dato che è da lì che parte tutto. Quell’epoca fu una fucina immensa di nuovi suoni e di ricerca musicale, l’esatto opposto del pantano mentale e creativo nel quale siamo oggi; allora la direzione era settata unicamente verso l’avanti, oggi su pausa. Non c’è una canzone che annoi, un riempitivo o un calo di divertimento e di soddisfazione. Il lavoro della chitarra è incessante e la batteria è essa stessa una chitarra che pulsa insieme alla titolare. Fughe in avanti senza ritorno, musica senza rimorso in nessun caso, ottime idee e un suono originale ed unico. Non si può rinunciare ai Rinunci a Satana?. Uno dei migliori gruppi italiani underground, e cotanta bellezza è in download libero.

Tracklist
01 Valhalla Rising
02 La Veneranda Fabbrica del Doomm
03 Blerum
04 Blerum
05 Salice Mago
06 Niente di nuovo sul fronte occidentale
07 La serata del Gourmet
08 Chi sta scavando?
09 Dr. Tomas ragtime blues

Line-up
Damiano Casanova – Chitarra
Marco Mazzoldi – Batteria

RINUNCI A SATANA? – Facebook

Anno Mundi – Rock In A Danger Zone

Rock In A Danger Zone è un’opera davvero interessante, consigliata agli amanti dei suoni classici che qui troveranno un tributo ai di generi che hanno fatto la storia dell’hard & heavy, sapientemente lavorati da ottimi artisti delle sette note.

Gli Anno Mundi sono un gruppo di rockers capitolini fondato dal chitarrista Alessio Secondini Morelli, del quale abbiamo parlato non tropo tempo fa in occasione dell’uscita di Hyper-Urania, il suo lavoro solista licenziato nel 2017.

Ad accompagnare il chitarrista troviamo l’altro fondatore del gruppo, il batterista Gianluca Livi, il tastierista Mattia Liberati e il bassista Flavio Gonnellini (anche dei progsters Ingranaggi Della Valle) e il cantante Federico “Freddy Rising” Giuntoli, con un passato nei Martiria.
Rock In A Danger Zone, licenziato solo in vinile, risulta una raccolta di brani dal sound vario, nel corso della quale la band passa dall’hard rock classico a sfumature southern, da ispirazioni progressive al metal di stampo epico in un susseguirsi di sorprese e tributi all’hard & heavy del ventennio settanta/ottanta.
La perizia dei musicisti coinvolti fa sì che Rock In A Danger Zone non abbia una sola nota che non faccia sobbalzare sulla sedia gli amanti del classic rock e del metal, a partire già dalla prima bellissima traccia Blackfoot, tributo alla storica band americana che gli Anno Mundi ricamano di sfumature purpleiane.
Si cambia registro e la cavalcata in epico crescendo di Megas Alexandros farà la gioia di molti, con una prestazione di notevole impatto lirico di Giuntoli e ispirazioni che oscillano tra Rainbow e Manowar, passando per i Virgin Steele.
Chiude il primo lato la possente Searching The Faith, hard doom di notevole impatto, mentre un tributo al racconto lovecraftiano The Music of Erich Zann apre la seconda parte dell’album, che vede a seguire l’hard rock progressivo della magnifica Pending Trial, la cover di Fanfare, brano dei Kiss tratto dal controverso e poco compreso Music From The Elder, ed un medley di brani registrati dal vivo dagli Anno Mundi al RoMetal nel 2014.
Rock In A Danger Zone è un’opera davvero interessante, consigliata agli amanti dei suoni classici che qui troveranno un tributo ai di generi che hanno fatto la storia dell’hard & heavy, sapientemente lavorati da ottimi artisti delle sette note.

Tracklist
Side A
1.In the saloon
2.Blackfoot
3.Megas Alexandros
4.Dark Matter (Nibiru’s Orbit)
5.Searching The Faith

Side B
1.Tribute To Erich Zann
2.Pending Trial
3 – Fanfare
4.Live Medley
a) – Shining Darkness
b) – Dwarf Planet
c) – Timelord
d) – God Of The Sun

Line-up
Federico Giuntoli – vocals
Alessio Secondini Morelli – electric guitars, effects, bk vocals
Flavio Gonnellini – bass
Mattia Liberati – keyboards
Gianluca Livi – drums, percussions

Special guests:
Emiliano Laglia – bass (“Fanfare” and “Live Medley”)
Massimiliano Fabrizi – mandola (“In the Saloon”)

ANNO MUNDI – Facebook

Imperial Jade – On The Rise

Album bello e piacevole, On The Rise non brilla certo per originalità, ma vive di emozioni vintage che sono la forza dei brani presenti, risultando un acquisto obbligato per gli amanti del rock suonato negli anni settanta.

Siamo entrati nel 2019 e l’ondata rock vintage che si infrange sulle scogliere del mercato odierno continua a regalare perle di indubbio spessore come questo bellissimo lavoro degli spagnoli Imperial Jade, rock band in arrivo dalla provincia di Barcellona.

On The Rise è il titolo di questo ottimo album, un tributo al rock degli anni settanta, decennio dominato dal dirigibile più famoso della storia del rock.
Profuma di Bron Y Aur, questo lavoro, luogo magico per Plant e soci e dove sembra che gli Imperial Jade siano stati ispirati per la scrittura di questa raccolta di brani che affondano le loro radici nei primi quattro lavori dei Led Zeppelin.
Ovviamente è passato quasi mezzo secolo ed il sound degli Imperial Jade vive pure di altre icone del rock (Cream, Bad Company) o più giovani colleghi (Rival Sons), ma è indubbio che chiudendo gli occhi la chioma di un giovane Plant e la chitarra di Page siano le prime e più chiare immagini che si formano nella nostra mente all’ascolto del riff di Dance, che sa tanto di Custard Pie, Sad For No Reason che sembra uscita dalle sessions di Led Zeppelin III, mentre nel bel mezzo di The Call vive Whole Lotta Love e la Since I’ve Been Love In You degli Imperial Jade si intitola Lullaby In Blue.
Il quintetto di Maresme ha il pregio di far rivivere le emozionanti partiture create dal martello degli dei con la convinzione di chi conosce la materia a menadito, scendendo dal dirigibile per un paio di brani (Keep Me Singing e Heat Wave) ma risalendovi in tempo nella conclusiva Struck By Lightning, brano in cui confluiscono sentori di Deep Purple anche per la presenza dell’hammond.
Album bello e piacevole, On The Rise non brilla certo per originalità, ma vive di emozioni vintage che sono la forza dei brani presenti, risultando un acquisto obbligato per gli amanti del rock suonato negli anni settanta.

Tracklist
1.You Ain’t Seen Nothing Yet
2.Dance
3.Sad For No Reason
4.The Call
5.Glory Train
6.Lullaby In Blue
7.Keep Me Singing
8.Heat Wave
9.Rough Seas
10.Struck By Lightning

Line-up
Arnau Ventura – Vocals
Alex Pañero – Guitar
Francesc López Lorente – Drums
Hugo Nubiola – Guitar
Ricard Turró – Bass

IMPERIAL JADE – Facebook

Larsen – Tiles Ep

Sedersi, mettersi le cuffie ed ascoltare Tiles è un atto molto bello ed insieme positivo per il vostro cervello, che essendo sempre connesso sarà stanchissimo: questi signori torinesi insieme a Miss Bendez hanno una meravigliosa medicina.

Tornano i torinesi Larsen, uno dei pochi gruppi italiani veramente di avanguardia e di rottura.

Parlare di avanguardia è però in questo caso un po’ vuoto, poiché i Larsen fanno da sempre musica alla loro maniera, senza guardare se siano avanti od indietro. In questi venti anni circa di carriera il gruppo ha fatto ascoltare a chi lo ha voluto una visione della musica profondamente diversa rispetto a quella comune e a quella della massa, ovvero un flusso naturale che coglie e narra la realtà ed oltre. I Larsen sono forse l’unico gruppo italiano che ha saputo trarre ispirazione dalle band del post punk inglese e da una certa concezione di musica minimale americana, per arrivare a proporre una sintesi originale e molto personale che in questo ep si avvale della validissima collaborazione di Annie Bendez, che magari non conoscete di nome ma probabilmente di fama, poiché è stata con i Crass nonché musa del dub e molto altro della On-U Sound. La sua voce è quella di una narrazione fuori dal tempo e dal tempio, di un cercare senza sosta, di un parlare sopra una musica ipnotica e molto fisica ma al contempo eterea e leggera. Tiles è un racconto di viaggi in terre lontane, di impercettibili movimenti della nostra tazzina di caffè, di cose che pensiamo e non ci siamo mai detti. La dolcezza mista a verità e crudezza dei rari momenti di illuminazione che seguono a momenti indolenti o dolorosi, un guardare meglio per vedere oltre. Recentemente è uscito un documentario della televisione nazionale italiana sul cosiddetto indie, l’insopportabile necessità di essere alternativi per fare mainstream, e i Larsen sono una delle cose più lontane da questa tragedia musicale ed umana, sono un gruppo che fa cose molto belle e godibili, soprattutto durature, perché questo ep con Little Annie girerà molto nelle orecchie di chi vuole andare oltre. L’uso dell’elettronica nei Larsen raggiunge vette molto alte, dato che si fonde completamente con altre forme musicali e fuoriesce in maniera del tutto naturale. Sedersi, mettersi le cuffie ed ascoltare Tiles è un atto gradevole ed insieme positivo per il vostro cervello, che essendo sempre connesso sarà stanchissimo: questi signori torinesi insieme a Miss Bendez hanno una meravigliosa medicina.

Tracklist
1. First Song
2. Barroom Philosopher Pt. 1
3. She’s So So
4. Barroom Philosopher Pt. 2

Line-up
Fabrizio Modonese Palumbo – Guitar, electric viola
Little Annie – Vocals
Marco Schiavo – Drums, cymbals, percussions, glockenspiel
Paolo Dellapiana – Keyboards, synths, electronics
Roberto Maria Clemente – Guitar

LARSEN – Facebook

Original Sin – Space Cowboy

Gli Original Sin non si discostano molto da quanto fatto nel recente passato, con un sound ispirato all’hard & heavy tradizionale e influenzato dalla scena britannica degli anni ottanta.

Vi avevamo parlato dei ravennati Original Sin diversi mesi fa, in occasione del loro debutto, il buon Story Of A Broken Heart che metteva in evidenza l’attitudine hard & heavy del quartetto con nove brani diretti dalle radici ben salde negli anni ottanta, ma con impatto e prepotenza da guerrieri del nuovo millennio.

Space Cowboy è il secondo lavoro del gruppo la cui formazione vede sempre all’opera il cantante e chitarrista Matteo Berti, il chitarrista Federico Maioli, il batterista Luca Canella ed il bassista Manuel Montanari.
L’album parte con la title track, un mid tempo che fatica a decollare, ma già dalla seconda traccia Save What Is Yours la band torna a fare metal diretto e graffiante, con Back To The Past che poi ci investe con il suo hard & heavy risultando il brano più riuscito dell’opera, mentre Into The World è una cavalcata in crescendo e The Long Travel si rivela l’altro pezzo da novanta di Space Cowboy.
Gli Original Sin non si discostano molto da quanto fatto nel recente passato, con un sound ispirato all’hard & heavy tradizionale e influenzato dalla scena britannica degli anni ottanta; come nel precedente album i pregi superano di gran lunga i difetti, rendendo questi ultimi dei dettagli che non inficiano quanto di buono offerto in questo nuovo lavoro.
Se siete amanti dell’hard & heavy old school targato Regno Unito, Space Cowboy merita la vostra attenzione.

Tracklist
1.Space Cowboy
2.Save What Is Yours
3.Back To The Past
4.Into The World
5.Streets Of Terror
6.The Long Travel
7.The Music
8.I Can’t Live

Line-up
Matteo Berti – Vocals, Guitars
Federico Maioli – Guitars
Manuel Montanari – Basso
Luca Canella – Drums

ORIGINAL SIN – Facebook

Autori Vari – Marijuanaut Vol.V

In Italia, ormai da anni, nella musica pesante ci sono delle cose notevoli, è un flusso che scorre e che si deve ascoltare con attenzione, perché nasce dalla vera indipendenza e dalla passione.

Puntuale come la morte e la buona musica, ecco arrivare al termine del 2018, come da cinque anni a questa parte, la raccolta del meglio del sotterraneo italiano negli ambiti stoner doom e sperimentale, con la compilation della webzine Doomabbestia.

Quest’ultima è una delle migliori espressioni di giornalismo musicale fatte da appassionati per amanti di questi generi. Doomabbestia è il frutto di divertimento, perché quando si trattano le cose che si amano si fanno meglio, ma anche di sacrificio, perché non essendo professionisti si deve sacrificare qualche ambito della nostra vita per poter rincorrere la musica. Da anni questo spazio di critica e di proposta musicale è quanto di meglio un amante delle sonorità heavy in quota psichedelica possa trovare e questa bellissima raccolta in download libero ne è la testimonianza più lampante. Ascoltando gli episodi precedenti si aveva una fotografia molto precisa e puntuale della scena underground italiana per quanto riguarda i sottogeneri che vanno dallo stoner al doom, passando per lo psych ed il fuzz ed andando oltre. Questo quinto episodio incarna la grande qualità di quelli precedenti, ma li supera perché qui ci sono gruppi davvero notevoli, che ci fanno ascoltare come in Italia ci sia una vibrazione che è presente in molte cantine e garage, e che dà vita a qualcosa di assolutamente originale e vibrante. Non si vuole nominare un gruppo in particolare, sia perché sono tutti eccezionali, sia perché questa raccolta può essere ascoltata come un album classico, dato che c’è un filo conduttore comune a tutte le tracce che è quello della creatività e della bravura. Si spazia tantissimo in questa raccolta che è attesa con ansia ogni fine anno dagli appassionati di musica pesante e pensante, e con ragione, poiché qui ce n’è per tutte le inclinazioni. In Italia, ormai da anni, in tale ambito emergono cose notevoli, è un flusso che scorre e che si deve ascoltare con attenzione, perché nasce dalla vera indipendenza e dalla passione. Il meglio delle uscite italiane di musica pesante secondo i ragazzi di Doomabbestia, e non finisce qui per cui, come dicono loro, alzate il volume e accendetene una.

Tracklist
1.Greenthumb – The Black Court
2.Mr Bison – Sacred Deal
3.LORØ – Last Gone
4.Sabbia – Manichini
5.Messa – Leah
6.The Turin Horse – The Light That Failed
7.Killer Boogie – Escape From Reality
8.John Malkovitch! – Nadir
9.Go!Zilla – Peeling Clouds
10.Tons – Sailin’ the Seas of Buddha Cheese
11.Suum – Black Mist
12.Haunted – Mourning Sun
13.Organ – Aidel
14.Satori Junk – The Golden Dwarf
15.Sherpa – Descent of Inanna to the Underworld

DOOMMABESTIA – Facebook

Riccardo Tonoli – City Of Emeralds

La grande tecnica lascia campo ad emozionanti momenti di musica in cui arrangiamenti e melodie trovano il loro spazio, alternandosi con le evoluzioni chitarristiche di Tonoli, a tratti incendiarie, in altri momenti progressivamente eleganti.

City Of Emeralds è il primo lavoro strumentale del chitarrista Riccardo Tonoli, da più di dieci anni in forza ai Tragodia, ex di Bladhe, D-Vines ed Hand of Glory e in veste di collaboratore con i norvegesi To Cast a Shadow e Gravøl e i nostrani Take Me Out e Dark Horizon.

Prodotto da Daniele Mandelli e dallo stesso Tonoli, l’album parla di Dorothy, che dopo essere stata travolta da un tornado si ritrova in un mondo fatato, nel quale incontrerà personaggi di ogni tipo, raccontato dalla chitarra del musicista lombardo, aiutato da Luca Paderno al basso ed Arin Albiero alla batteria.
Il lavoro, strumentale, mette in evidenza la tecnica sopraffina di questo chitarrista: City Of Emeralds è forse l’album più shred oriented che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi tempi, anche se Tonoli mantiene un approccio al songwriting lineare quanto basta per permettere anche a chi non è avvezzo alle opere del genere di carpire le atmosfere regnanti sui tredici brani che compongono l’opera.
Metal progressivo di alta scuola, ricamato da evoluzioni strumentali e raffinate sfumature shred sono comunque le qualità principali dell’album che attrae e rapisce grazie alle atmosfere fantasy che disegnano luoghi meravigliosi nell’immaginario di chi ascolta.
La grande tecnica lascia campo ad emozionanti momenti di musica in cui arrangiamenti e melodie trovano il loro spazio, alternandosi con le evoluzioni chitarristiche di Tonoli, a tratti incendiarie, in altri momenti progressivamente eleganti.
Tra i bani segnalo Through The Looking Glass, Mad Hatter, The Garden Of Light Flowers, The Rabbit Hole, anche se City Of Emeralds è opera da ascoltare nella sua interezza, quindi prendetevi un’oretta, mettetevi comodi ed esplorate questo mondo fiabesco in compagnia di Dorothy, non ve ne pentirete.

Tracklist
1.Meeting The Kalidahs
2.Live Together, Die Alone
3.Through The Looking Glass
4.City Of Emeralds
5.Mad Hatter
6.There’s No Place Like Home
7.Walkabout
8. The Garden Of Light Flowers
9.The Pattern
10 A Road With Yellow Bricks
11.The Rabbit Hole
12.The Myth Of The Cave
13.There’s More Than One Of Everything

Line-up
Riccardo Tonoli – chitarre, basso, programming e arrangiamenti
Luca Paderno – basso
Arin Albiero – batteria

RICCARDO TONOLI – Facebook

The Savage Rose – Homeless

Fuori dagli abituali ascolti, i The Savage Rose e la loro musica sono un’esperienza d’ascolto tutta da vivere.

Lasciamo i territori metallici per rendere il giusto tributo ad una band ed un’artista straordinarie: Annisette e i The Savage Rose.

La band danese, attiva dagli anni sessanta, fondata da Annisette e Thomas Koppel, ha attraversato quasi mezzo secolo tra grande musica ed impegno sociale, sempre dalla parte dei diseredati e degli homeless come suggerisce il titolo del nuovo, bellissimo lavoro.
In virtù di una discografia immensa e una reputazione live leggendaria, i The Savage Rose nel corso degli anni, pur vincendo premi a profusione non si sono mai svenduti al music biz, rimanendo una band culto per i fans, alle prese con il loro rock infarcito di blues, psichedelia e del talento interpretativo della grande vocalist Annisette, la quale continua a provocare i brividi nonostante la non più verdissima età.
Homeless è un album assolutamente in linea con quanto espresso in passato dal gruppo, un rock intriso di disperazione, sanguigno nella sua anima blues, che a tratti si perde in ritmi soul sempre con la voce della cantante che letteralmente rapisce, dotata com’è di una ruvidità di fondo che risulta dono che la natura ha fatto e che Annisette da anni mette al servizio delle emozioni.
Nove brani che trasportano l’ascoltatore in una catarsi in cui la voce della cantante è sirena sinuosa, raffinata, tragica, sanguigna interprete, mentre la title track dà il via a questo rito musicale che continua imperterrito grazie a capolavori come Woman, Darling Dear e la conclusiva, drammatica, straordinaria Romano.
Fuori dagli abituali ascolti, i The Savage Rose e la loro musica sono un’esperienza d’ascolto tutta da vivere.

Tracklist
1. Homeless
2. We go On
3. Woman
4. Darling Dear
5. Harassing
6. Exit
7. Sorrow
8. That’s Where I’m Going
9. Romano

Line-up
Annisette – Vocal
Naja Rosa Koppel & Amina Carsce Nissen – Background Vocals
Nikolaj Hess – Piano, Hammond and additional keys
Las Nissen – Guitar
Jacob Haubjerg – Bass
Anders Holm – Drums
Frank Hasselstrøm – horns and keys

THE SAVAGE ROSE – Facebook

D-Sense – #savemehello

La sterminata scena russa sta regalando gruppi molto interessanti, e molti sono particolari come i D-Sense, che si muovono leggeri e aggraziati, senza farci mai mancare qualche bella chitarra distorta.

I russi D-Sense sono un gruppo che propone una miscela dolce di rock alternativo con innesti elettronici molto vicino alle cose degli anni novanta.

Non c’è aggressività in queste tre canzoni che rappresentano il loro debutto discografico, nel quale troviamo una confluenza di vari generi, tutti dominati dalla bella voce femminile di Nana, che ha la capacità di spaziare fra i vari registri sonori senza mai perdere il proprio timbro e la propria impronta. Addentrandosi nell’ascolto del disco si coglie anche l’importanza dell’elettronica nell’economia sonora del gruppo, nel senso che essa è il mezzo per trovare nuove situazioni sonore, ricercando sempre una situazione diversa. Nel complesso il sound è ben bilanciato ed esibisce un aspetto il più possibile variegato, avendo come colonna portante la melodia, vero e proprio spirito guida del gruppo, sempre presente e trattata con cognizione di causa. Alcuni potrebbero affermare che i D-Sense siano un gruppo fuori dal tempo, nel senso che ripropongono un suono che era famoso anni fa, ma alla fine questi ragazzi si rivelano accattivanti facendo ciò che piace loro di più, e l’importante è questo. La sterminata scena russa sta regalando gruppi molto interessanti, e molti sono particolari come i D-Sense, che si muovono leggeri e aggraziati, senza farci mai mancare qualche bella chitarra distorta. Un gruppo interessante, aspettando qualcosa in più di tre soli pezzi.

Tracklist
1. Butterfly
2. Till The End
3. #savemehello

Line-up
Nana – Vocals
Andy Nova – Guitars and Programming
Muxeu4 – Bass
Artem P – Drums
Lercha (SOULSHOP) – guest vocal on TILL THE END & #SAVEMEHELLO

D-SENSE – Facebook

Christine IX – Crosses And Laurels

Scritto e suonato quasi interamente da Christine IX, Crosses And Laurels è un ottimo esempio di alternative rock al cui interno ritroviamo ispirazioni ed influenze che partono dalla linea rosa del grunge dei primi anni novanta, dal rock ‘n’roll settantiano e dal punk rock.

Dietro al nome Christine IX si muove un’artista a tutto tondo, polistrumentista, cantante, scrittrice e produttrice dei suoi lavori.

Prima cantante del gruppo Shotgun Babies, con cui dà alle stampe un ep, due full length e varie compilation, poi varie collaborazioni con gruppi della scena underground e con scrittori e poeti, in performance letterarie e musicali, e infine la sua carriera solista nel mondo del rock, prima con l’album Can I Frame The Blue? licenziato nel 2015 ed ora questo ottimo secondo lavoro, intitolato Crosses And Laurels.
Scritto e suonato interamente dalla musicista, con l’aiuto dei soli Luca Greco alla batteria e Katija Di Giulio, al violino nel singolo Talking Like Lovers, l’album è un ottimo esempio di alternative rock al cui interno ritroviamo ispirazioni ed influenze che partono dalla linea rosa del grunge dei primi anni novanta (Babies In Toyland, L7), dal rock ‘n’roll settantiano (Joan Jett & The Blackhearts) e dal punk rock (Plasmatics).
Un sound da riot girl, quindi, nel quale la tensione palpabile e l’atmosfera nervosa non lasciano dubbi sulle intenzioni bellicose di Christine IX.
L’opener Talking And Lovers si sviluppa come un conto alla rovescia, mentre l’elettricità sale ed esplode nella seguente Harm And Fear, brano che ricorda i The Nimphs di Inger Lorre.
La padronanza della materia, unita ad una notevole esperienza, porta Christine IX ad uscire vincitrice da ogni scontro/incontro con le sue ispirazioni: il sound risulta un’altalena tra brani più intimisti (Redon) ed altri più tirati (Never Give Up), in cui non mancano accenni alla regina del grunge Courtney Love, ma sempre lasciando in risalto la spiccata personalità di cui si può fregiare la musicista nostrana.
La top song dell’album arriva con il brano numero sette, ovvero God Has Gone To War, sunto del sound di Crosses And Laurels e delle influenze che lo hanno ispirato.
Christine IX è un’artista a 360°, non ché bravissima cantante e songwriter di spessore, e chissà quali riscontri avrebbe potuto ottenere se la sua carta d’identità fosse stata statunitense.

Tracklist
1.Talking Like Lovers
2.Harm And Fear
3.Redon
4.Neurotoxic
5.Never Give Up
6.Fancy Scar
7.God Has Gone To War
8.She Lived One Day
9.All The Other Girls

Line-up
Christine IX – guitars, bass, vocals, piano, lyrics, xylophone, harmonica
Luca Greco – drums
Katija Di Giulio – violin on Talking Like Lovers

CHRISTINE IX – Facebook

Ten – Illuminati

Ennesima fatica ed ennesima perla di luce musicale da parte dell’eterno gruppo inglese, ormai sulle scene da oltre vent’anni.

Tra CD, live, mini e raccolte, questo grandissimo gruppo di Manchester – attivo ormai dal 1996, ha annoverato tra le sue fila anche Don Airey e Mark Zonder, oltre al chitarrista e co-fondatore Vinnie Burns (Dare, Ultravox, Asia, Bob Catley, Ladder) – è stato e resta in prima linea nell’operazione di rilancio artistico dell’hard rock melodico di alta classe in Inghilterra.

La stupenda voce del singer ed eccellente songwriter Gary Hughes – calda, profonda, emozionante – è tra le più belle di sempre nel Regno Unito. I Ten hanno inciso dischi che sono autentici capolavori e classici moderni nell’ambito dell’hard/AOR, basti ripensare alla divina triade The Robe (1997), Spellbound (1999) e Far Beyond the World (2001, quest’ultimo con il grande Paul Hodgson, degli Hard Rain, alle tastiere). Dal 2012, la band è ritornata a incidere per la nostra Frontiers e ha prodotto altri splendidi lavori – Heresy and Creed (2012), il patriottico Albion (2014), il piratesco Isla De Muerta (2015) e il più dark ed occulto Gothica (2017). A distanza di un solo anno, vede ora la luce questo magnifico Illuminati, un album di hard rock, epico e melodico, con spruzzate di folk celtico e soprattutto progressive, specie in sede di arrangiamenti. Echi fantasy, richiami alla storia del Medioevo britannico, riferimenti alla magia e alla tradizione esoterica anglo-europea la fanno da padrone, anche in questo nuovo capitolo dei Ten, consacrato al tema – tanto affascinante, quanto discusso – degli Illuminati di Baviera, la controversa loggia massonica, sorta a Ingolstadt nel 1776 per mano del libero-muratore Adam Weishaupt (1748-1830), alla quale si è ispirato, non senza inesattezze storiche e interpretazioni arbitrarie, Dan Brown, nel suo celebre Angeli e demoni. Quest’opera dei Ten è quindi un semi-concept, sfarzoso e barocco, magniloquente e pomposo. Gli oltre otto minuti della iniziale Be As You Are Forever sono una sorta di mini-suite, dalla costruzione superbamente sinfonica. The Esoteric Ocean mette grandiosamente in musica non pochi elementi delle scienze occulte e dell’iniziatismo ermetico-alchemico. Altri temi affrontati vengono desunti, con intelligenza erudita, cultura e preparazione, dalla Bibbia (Jericho ed Exile), dall’epica guerriera scozzese (la conclusiva ed enfatica Of Battles Lost and Won), dal Faust di Goethe (Mephistopheles) e dai geroglifici egiziani riscoperti nel 1799 dal capitano dell’esercito di Napoleone Pierre-François Bouchard (Rosetta Stone). Testi criptici ed una grafica imponente fanno il resto, immortalando una volta per tutte il nome dei Ten nell’olimpo dei grandi. Fondamentale a dir poco il contributo del nuovo tastierista dei Ten: Daniel Treece-Birch – leader dei Nth Ascension, la new sensation del neo-prog inglese, capaci di restituirci i fasti di Pallas, Arena e Grey Lady Down – fornisce infatti (tramite synth, tastiere elettroniche e orchestrazioni impeccabili) un contributo assai rilevante se non imprescindibile in sede esecutiva alla riuscita finale di Illuminati.

Track list
1- Be As You Are Forever
2- Shield Wall
3- The Esoteric Ocean
4- Jericho
5- Rosetta Stone
6- Illuminati
7- Heaven and the Holier Than Thou
8- Exile
9- Mephistopheles
10- Of Battles Lost and Won

Line up
Gary Hughes – Vocals / Programming
Dann Rosengana – Guitars
Steve Grocott – Guitars
John Helliwell – Guitars
Steve McKenna – Bass
Daniel Treece-Birch – Keyboards
Max Yates – Drums

TEN – Facebook

Rikard Sjöblom’s Gungfly – Friendship

Echi di Yes, Gentle Giant, Genesis e Kansas, sono ad appannaggio degli ascoltatori in questo scrigno di musica raffinata, che non manca di emozionare con cascate di melodie, magari retrò ma godibilissime.

Il progressive rock classico, da anni messo in un angolo dalle tante ramificazioni che si sono create nel genere, torna a risplendere in questo ultimo lavoro di Rikard Sjöblom (ex Beardfish, Big Big Train) a distanza di un anno dal precedente On Her Journey To The Sun.

I Rikard Sjöblom’s Gungfly sono di fatto il progetto solista del musicista svedese il quale, accompagnato da una manciata di musicisti ospiti, ha dato vita ad un altro bellissimo lavoro di progressive rock ispirato in toto agli anni settanta e a quella manciata di gruppi che hanno fatto la storia del genere.
Friendship è composto da sette brani più tre bonus track, licenziato dalla InsideOut, label che di musica progressive se ne intende è un viaggio a ritroso in quello che è il meglio del genere, niente di originale ovviamente ma sicuramente un ottimo ascolto per gli amanti del genere.
Echi di Yes, Gentle Giant, Genesis e Kansas sono ad appannaggio degli ascoltatori in questo scrigno di musica raffinata, che non manca di emozionare con cascate di melodie, magari retrò ma godibilissime.
La title track è il brano cardine di questo nuovo lavoro, tredici minuti di prog rock di alto livello, così come le divagazioni semi acustiche della sognante They Fade, la frizzante Stone Cold ed il ritorno al progressive di scuola Yes con la bellissima If You Fall, Part 2.
Ottimi musicisti, belle canzoni, grande musica progressive, serve altro ?

Tracklist
1. Ghost of Vanity
2. Friendship
3. They Fade
4. A Treehouse in a Glade
5. Stone Cold
6. If You Fall, Pt.2
7. Crown of Leaves

Bonus Tracks
8. Slow Dancer
9. Past Generation
10. Friendship (Utopian radio edit)

Line-up
Petter Diamant – Drums
Rasmus Diamant – Bass on Tracks 1,5,7 and 9
David Zackrisson – Guitar on tracks 6 and 7
Rikard Sjöblom – Vocals, guitar, keyboards and bass

GUNGFLY – Facebook

Michael Kratz – Live Your Live

Per gli amanti del genere Live Your Live è un lavoro assolutamente imperdibile, manifesto di un vero talento del rock melodico internazionale.

A pochi mesi di distanza dall’uscita del bellissimo Live Your Life, Art Of Melody Music e Burning Minds Music Group tornano a collaborare con il musicista danese Michael Kratz per l’uscita di questo monumentale lavoro intitolato Live Your Live.

Trattasi, per i primi due cd, del concerto tenuto da Kratz nel suo paese e filmato per la tv dal canale Danese DK4, mentre il terzo ripropone la versione rimasterizzata, con l’aggiunta di tre bonus track, del primo album Cross That Line.
La parte dal vivo, supportata da una produzione stellare, risulta un’esperienza uditiva entusiasmante che esalta il rock melodico di livello assoluto suonato da un gruppo affiatato capace di riversare sul pubblico cascate di feeling per quello che ha tutti i crismi dell’evento.
Il concerto si apre con la title track del primo lavoro ed un brano dopo l’altro Kratz ripropone il meglio della sua musica in un contesto davvero speciale, in cui le emozioni si rispecchiano in un sound aor/westcoast di altissimo livello che trova la perfetta alchimia in ogni frangente.
Così è anche la versione rimasterizzata di Cross That Line, primo album di Kratz, che diventa per chi ha apprezzato l’ultimo lavoro, una conferma della bravura del musicista danese e della notevole eleganza del suo raffinato rock che di melodie westcoast si nutre e si rigenera.
Oltre alla title track, lasciatevi rapire dalle splendide Sleeping Mama, Until We’re Together e You And I Are Meant To Be, brani top di questo primo lavoro targato Michael Kratz.
Inutile dirvi che per gli amanti del genere Live Your Live è un lavoro assolutamente imperdibile, manifesto di un vero talento del rock melodico internazionale.

Tracklist
DISC 1 – LIVE YOUR LIVE (Live In Denmark 2017)
01. Cross That Line
02. Holding On Again (Anni)
03. Live Your Life
04. Don’t You Know
05. Until We’re Together
06. Need You To Be Mine
07. Bye Bye
08. Like Father, Like Son
09. Lying
10. Sleeping Mama

DISC 2 – LIVE YOUR LIVE (Live In Denmark 2017)
01. I Don’t Know How
02. This Town Is Lost Without You
03. What Did I.. ? 04. Never Take Us Alive
05. Evil Rumours
06. You And I Are Meant To Be
07. Lonely Soldier
08. We All Live In This Nation
09. Hypnotized

DISC 3 – CROSS THAT LINE (2018 Remastered Edition)
01. Cross That Line
02. I Don’t Know How
03. Need You To Be Mine
04. Sleeping Mama
05. Don’t You Know
06. Untill We’re Together
07. Holding On Again (Anni)
08. Lonely Soldier
09. Hypnotized
10. You And I Are Meant To Be
11. Like Father Like Son
12. Evil Rumours (Bonus track)
13. Dragging Me Outside (feat. Mindfeels – Bonus Track)
14. If This Is Christmas (Bonus Track)

Line-up
LIVE IN DENMARK 2017
Michael Kratz: Vocals, Guitars
Christian Warburg: Guitars, Backing Vocals
Henrik Lynbech: Keyboards, Hammond, Backing Vocals
Claus Nauer Reher-Langberg: Bass, Backing Vocals
Kasper Viinberg: Drums, Backing Vocals
Tony Liotta: Percussion

CROSS THAT LINE (2018 REMASTERED)
Michael Kratz: Lead & Backing Vocals, Guitar
Kasper Viinberg: Drums, Bass, Guitars, Keyboards, Backing Vocals & Programming
Ole Viinberg: Backing Vocals

Special Guests:
Kim Eskesen: Bass
Lasse Baggenæs: Guitar
N.O.: Rhodes, Piano & Keyboards HC
Röder Jessen: Bass & Keyboards
Kasper Langkjær: Drums & Sleighbell
Christian Warburg: Guitar
Anna Röder Jessen: Backing Vocals
Lasse Baggenæs: Slide Guitar
Janus Bechmann: Reversed Dobro
Luca Carlomagno: Guitar
Roberto Barazzotto: Bass
Italo Graziana: Drums & Percussion

MICHAEL KRATZ – Facebook

Crypt Trip – Haze Country

I giochi di chitarra, la sezione ritmica che si impone in maniera soffusa e la magnifica voce che accompagna il tutto: non si riesce a trovare un difetto nemmeno a volerlo e questo disco lascia l’ascoltatore con un’incredibile sensazione di benessere e di gioia campagnola, quella che viene su dall’odore di erba bagnata al mattino.

Non capita spesso, anzi quasi mai, ma quando succede è incredibile come la prima volta.
Si mette su un disco, scegliete voi il formato, e si rimane basiti all’ascolto fin dalle prime note, semplicemente rapiti dalla sua bellezza. Ciò è quello che capiterà a chi ascolterà Haze Country, il nuovo disco dei texani Crypt Trip.

Il suono è meraviglioso, psichedelia rurale degli stati americani del sud, come se fossimo ancora negli anni settanta, anzi meglio, molto meglio. Il suono è calorosamente analogico, e il resto lo fanno questi ragazzi che, a partire dal look, sono posseduti dallo spirito di qualche texano psichedelico. Sembra quasi incredibile che in un luogo come il Texas ci sia un’importantissima tradizione di unione fra psichedelia e musica rurale, che ha prodotto grandi esempi come i Lynyrd Skynyrd e Allman Brothers Band, giusto per citare quelli più famosi, ma qui c’è molto di più. Ogni nota è bellissima e partecipa ad una splendida atmosfera generale di pace e ruralità aumentata. In sé la musica dei Crypt Trip è semplice, ha radici molto solide ed esprime più di quanto possa sembrare in apparenza. Haze Country è il titolo più azzeccato per un disco che è un viaggio attraverso la campagna texana e punto di partenza per una destinazione più lontana, un posto che ci farà stare bene. I giochi di chitarra, la sezione ritmica che si impone in maniera soffusa e la magnifica voce che accompagna il tutto: non si riesce a trovare un difetto nemmeno a volerlo e questo disco lascia l’ascoltatore con un’incredibile sensazione di benessere e di gioia campagnola, quella che viene su dall’odore di erba bagnata al mattino. E’ presente anche un hard rock settantiano che farà la gioia di chi lo ama. Il disco uscirà a marzo 2019, e questa è l’unica brutta notizia perché bisogna aspettare, ma si può ordinare già da ora.

Tracklist
1 Forward
2 Hard Times
3 To Be Whole
4 Death After Life
5 Free Rain
6 Wordshot
7 16 Ounce Blues
8 Pastures
9 Gotta Get Away

Line-up
Ryan Lee – Guitar / Vocals / Electric Piano
Cameron Martin – Drums / Vocals / Percussion
Sam Bryant – Bass

CRYPT TRIP – Facebook