Paolo Siani & Nuova Idea – The Leprechaun’s Pot of Gold

Nuovo capitolo della intrigante collaborazione di Paolo Siani con i Nuova Idea, nomi veramente storici del nostro prog.

Dopo il disco Castles, Wings, Stories and Dream (2010), il Live Anthology (2010) su DVD e Faces With No Traces (2016, con ex membri dei Prodigy) tornano a incidere Paolo Siani e i Nuova Idea, al terzo capitolo della trilogia The Leprechaun’s Pot of Gold.

Si tratta di otto magnifici pezzi, con – in più – la registrazione di una storica esibizione dal vivo presso la Rai nel 1971: un vero documento d’epoca. Le atmosfere di questo nuovo album si muovono nel solco del pro tradizionale, con tocchi di stampo blues e inflessioni floydiane, con in aggiunta belle liriche di taglio esistenziale. Le tracce sono assai incisive, malgrado una solo apparente morbidezza. Chi ama il calore delle produzioni di impronta vintage rimarrà di certo conquistato da questo lavoro, moderatamente sinfonico e ricco di ospiti di pregio. Tra questi, segnaliamo almeno Martin Grice al sax ed al flauto, Giorgio Usai alle tastiere, Roberto Tiranti e Guido Guglielminetti al basso e Marco Biggi alla batteria. La presenza di uno strumento come il theremin dona poi un tocco volutamente ‘antico’ a tutto il lavoro, già di per sé impregnato di atmosfere old fashioned. Il livello delle composizioni, assai omogenee, è assai alto e su tutte forse si staglia il decadentismo sonoro del pezzo dedicato a Georges Brummel, tra i padri del dandismo (come ebbe a rimarcare già il grande Barbey d’Aurevilly).

Tracklist
1- Standing Alone I / II
2- Inflate Your Veins
3- The Leprechaun’s Pot of Gold
4- Statue of Wax
5- Lord Brummel
6- Walking on the Limit
7- Time to Play
8- We’re Going Wrong

Line up
Paolo Siani / Marco Biggi – Drums
Anthony Brosco / Paul Gordon Manners – Vocals
Roberto Tiranti / Guido Guglielminetti – Bass
Martin Grice – Reeds
Ivana Gatti – Theremin
Nick Carraro – Guitars
Giorgio Usai – Hammond Organ
Giangiusto Mattiucci – Fender Rhodes

PAOLO SIANI – Facebook

https://www.facebook.com/malaproduction87/videos/paolo-siani-feat-nuova-idea-three-things-official-video/1032381440155444/

Veil Of Conspiracy – Me, Us And Them

L’alternanza tipica che nel genere porta il metal estremo a confrontarsi con altre atmosfere e sonorità non è sicuramente originale, ma il tutto, seguito con la giusta attenzione, sa esprimere emozioni forti rendendo l’album una discesa nei meandri labirintici e pericolosi delle menti umane più deviate.

La capitale ospita una scena importante nell’economia del metal targato Italia, specialmente per quanto riguarda i suoni estremi e comunque adombrati da un alone oscuro che allontana quell’aura religiosa che il solo nominare Roma porta immediatamente in risalto.

Dal grind al death metal, passando per sonorità dark/gothic, l’underground musicale sulle sponde del Tevere sa regalare grande musica e protagonisti di un certo spessore, ora raggiunti da questa nuova band, i Veil Of Conspiracy, al debutto per la Revalve Records con questo ottimo Me, Us and Them.
Un concept che gravita intorno alle espressioni più estreme delle malattie mentali attraverso un metal estremo dal taglio oscuro e progressivo: dodici brani, altrettante camicie di forza strappate a colpi di death metal che ingloba dark/gothic, melodic death, progressive e a tratti black metal, partendo dagli anni settanta, passando per il decennio successivo e dalle sue sfumature dark rock per arrivare al nuovo millennio per mano dei generi estremi sviluppati negli anni novanta.
All’ascolto dei vari capitoli di questo gioiellino, le influenze che il quintetto romano esibisce apriranno le porte di un lungo corridoio dove all’interno di ogni cella ci si troverà al cospetto di una patologia mentale diversa, mentre le note create dai Veil Of Conspiracy fungono da colonna sonora, nel loro essere disperate, tragiche, oscure ed assolutamente estreme in ogni passaggio, anche in quello che all’apparenza potrà apparire il più pacato.
L’alternanza tipica che nel genere porta il metal estremo a confrontarsi con altre atmosfere e sonorità non è sicuramente originale, ma il tutto, seguito con la giusta attenzione, sa esprimere emozioni forti facendo di Mine Forever, Skinless, Fragments e Dorian i capitoli essenziali di una discesa nei meandri labirintici e pericolosi delle menti umane più deviate.
A livello di influenze si possono citare Pink Floyd, Katatonia, Opeth e i più recenti e magnifici Witherfall, ma in realtà un album come Me, Us And Them non si può archiviare con i soliti paragoni, più o meno azzeccati, ma va ascoltato e fatto proprio come merita.

Tracklist
1.Before Madness
2.Mine Forever
3.How To Find The Light
4.Seshen
5.Skinless
6.Split Mind
7.Fragments
8.Blasphemous Offering
9.Collapse
10.Son Of Shame
11.Doria
12.Staring

Line-up
Chris De Marco – Vocals
Luca Gagnoni – Guitars
Emanuela Marino – Guitars
Andrea Manno – Bass
Davide Fabrizio – Drums

VEIL OF CONSPIRACY – Facebook

The High Jackers – Da Bomb

Da Bomb è un disco assolutamente consigliato, un ritorno a sonorità che hanno marcato in modo indelebile la storia della musica e della cultura del secolo scorso e che risulta imprescindibile anche nel nuovo millennio.

Da Bomb è il primo lavoro dei The High Jackers, un manipolo di musicisti capitanato da Stefano Taboga, cantante e bassista dei The Mad Scramble.

La loro missione è suonare rock, blues, soul e R&B come si faceva negli anni sessanta/settanta, una musica sanguigna e letteralmente irresistibile, tra brani briosi ed altri elegantemente vestiti di soul.
Sono in tredici, praticamente una piccola orchestra che regala emozioni sopite a chi ogni tanto ama tornare alle origini di note nate negli States molti anni fa e che ancora oggi ispirano artisti e gruppi legati ai generi citati.
The High Jackers è una band in continuo divenire, visto che si propone in varie vesti, dal duo acustico fino all’intera line up che ha suonato questa dozzina di perle, un magnete che attira a sé ascoltatori di generi lontani tra loro ma uniti dall’amore per la musica delle origini.
Il blues sporcato di soul dell’opener Burgers And Beers, Everybody’s Burning, la ballata Hush Now, il ritmo nero di You Make Me Mad e il crescendo dell’irresistibile This Is The Sound (Da Bomb), che conclude l’opera, vi faranno sognare, saltare, muovere come non facevate da tempo, grazie a Mr Steve ed ai suoi numerosi compari.
Da Bomb è un disco assolutamente consigliato, un ritorno a sonorità che hanno marcato in modo indelebile la storia della musica e della cultura del secolo scorso e che risulta imprescindibile anche nel nuovo millennio.

Tracklist
1.Burgers and beers
2.If I don’t have you
3.Going crazy
4.Sunshine
5.Everybody’s burning
6.Stunned and dizzy
7.Hush now
8.Live it
9.My new paradise
10.The wrong side of the street
11.You make me mad
12.This is the sound (Da bomb)

Line-up
Mr Steve Taboga
Mr Johnny Paper
Mr Marzio “Scoot” Tomada
Mr Fabio ” Fabulous” Veronese
Mr Alberto “Pezz” Pezzetta
Mr Pablo De Biasi
Mr Alan Malusa’ Magno
Mr Andrea “Cisa” Faidutti
Mr Filippo Orefice
Mr Mirko Cisilino
Mr Marco “Magic” D’orlando
Mr Emanuele Filippi
Mr Jeremy Serravalle

THE HIGH JACKERS – Facebook

Macchina Pneumatica – Riflessi e Maschere

Potente e fantasioso debutto di questo gruppo di fede gobliniana, bravo a comporre e a suonare.

Quella delle macchine pneumatiche è una lunghissima tradizione tecnico-scientifica, la cui storia va dall’età ellenistica di Erone d’Alessandria sino all’Inghilterra newtoniana di inizio ‘700.

In musica, il nome è quello scelto da questo gruppo esordiente. Il loro Riflessi e Maschere, forte di sei eccellenti composizioni (tutte tra i sei ed i dieci minuti), propone un entusiasmante e fresco rock progressivo, molto dinamico e dal taglio quasi cinematografico (certi passaggi sono davvero da colonna sonora), con belle inflessioni di natura a tratti fusion ed una componente più heavy che interviene in maniera più che opportuna, qua e là, per metallizzare le atmosfere sapientemente costruite dai quattro. Quello che ne emerge è, pertanto, un paesaggio sonoro a più voci, non privo di un’oscurità concettuale, che ci può non a torto riportare alla mente i primi Goblin. Del resto, le scelte timbriche sono abbastanza e piacevolmente settantiane. Veramente un bel debutto, da ascoltare e riascoltare per apprezzarne al meglio ogni rilucente sfaccettatura, non esente da tocchi space rock grazie all’utilizzazione dei synth e delle tastiere.

Tracklist
1 Gli abitanti del pianeta
2 Quadrato
3 Come me
4 Avvoltoi
5 Sopravvivo per me
6 Macchina pneumatica

Line up
Raffaele Gigliotti – Vocals / Guitars
Carlo Giustiniani – Bass
Vincenzo Vitagliano – Drums
Carlo Fiore – Keyboards / Synth

MACCHINA PNEUMATICA – Facebook

kNowhere – Spiral

Un sound intimista, sofferto e dalle atmosfere ombrose, che scivola liquido per poi sbattere contro muri di rock duro e drammatico, è quello che ci propone la band torinese, con sfumature grigie come il cielo autunnale della loro città avvolta in una sottile coltre di foschia dentro la quale è facile perdersi alla ricerca di sé.

Nella scena underground tricolore si stanno muovendo label sempre più professionali e con roster di tutto rispetto che spaziano tra molti dei generi che gravitano nell’universo rock/metal.

Una di quelle più attive attualmente è di sicuro la Volcano Records, rifugio per un numero importante di ottime realtà nazionali ed estere.
L’ultima proposta dell’etichetta napoletana sono I kNowhere, alternative band piemontese in uscita con un nuovo lavoro intitolato Spiral, con nove brani per poco più di trenta minuti in compagnia del loro alternative post rock, dal taglio dark in molti passaggi, ma legato all’alternative anni novanta e a gruppi come Biffy Clyro e God Machine.
Un sound intimista, sofferto e dalle atmosfere ombrose, che scivola liquido per poi sbattere contro muri di rock duro e drammatico, è quello che ci propone la band torinese, con sfumature grigie come il cielo autunnale della loro città avvolta in una sottile coltre di foschia dentro la quale è facile perdersi alla ricerca di sé.
Dall’opener The Fly alla conclusiva The Seed (da cui è stato estratto un video) i kNowhere ci invitano a seguirli tra atmosfere di sofferenza e ricerca interiore attraverso un post rock che non lesina atmosfere drammatiche e forza elettrica, sempre in un crescendo di notevole impatto.
The Sword è l’esempio di come la band, da sfumature post rock, accresca l’intensità fino ad esplosioni di alternative rock che si nutre di una drammatica elettricità che ci accompagna per tutta la durata di Spiral.
I kNowhere risultano quindi un altro centro da parte della Volcano Records e Spiral un lavoro emozionale e personale, assolutamente consigliato.

Tracklist
1. The Fly
2. Imploding
3. The Sword
4. Envy
5. Taking Time
6. Tsunami
7. Ulisse
8. Pride
9. The Seed

Line-up
Federico Cuffaro – Vocals, guitars
Bruno Chiaffredo – Drums, backing vocals

KNOWHERE – Facebook

Warm Sweaters For Susan – Warm Sweaters For Susan

Un suono scarno, essenziale, che unisce alternative rock e post punk, caratterizza il sound di questi cinque brani compresi nell’ep d’esordio degli Warm Sweaters For Susan.

Dopo essere saliti lo scorso giugno sul palco della FIM a Milano, arrivano all’esordio con questo ep di cinque brani i pugliesi Warm Sweaters For Susan, quartetto originario di Taranto formato da Gabriele Caramagno (batteria), Luca D’andria (chitarra), Mimmo Gemmano (canto, chitarra e tastiere) e Gianluca Maggio (basso).

Un suono scarno, essenziale, che unisce alternative rock e post punk, caratterizza il sound di questi cinque brani che partono con l’alternative di That’s The Way My Passion Stirs, brano che accomuna Cure, Smashing Pumpkins ed elettricità punk.
E nel suo insieme quanto proposto avvicina gli Warm Sweaters For Susan più ad una band post punk di fine anni ottanta che ad un gruppo indie rock, ed il basso su cui si appoggia The Quick Brown Fox Jumps Over The Lazy Dog richiama in modo chiaro la band di Robert Smith, mentre il brano è pregno di pulsioni punk/alternative.
Il sound creato dai quattro musicisti pugliesi attinge dagli anni ottanta e dalle prime spinte alternative rock del decennio successivo così che, a mio avviso, mostra poco di indie e molto dei generi citati; forse manca qualcosa a livello di cura nella produzione, ma siamo solo al primo appuntamento con i fans del rock alternativo, quindi aspettiamo il prossimo passo del gruppo per esprimere un giudizio definitivo.

Tracklist
1. That’s The Way My Passion Stirs
2. Gravity
3. Teach Me To Walk
4. The Quick Brown Fox Jumps Over The Lazy Dog
5. Satellites

Line-up
Gabriele Caramagno – Drums
Luca D’Andria – Guitars and backing vocals
Mimmo Gemmano – Lead vocals, Rhythm guitar, Keyboards
Gianluca Maggio – Bass guitar

WARM SWEATERS FOR SUSAN – Facebook

Anacleto Vitolo – Obsidian

Obsidian è uno studio compiuto in totale mancanza di atmosfera, un carpire rumori ed umori terreni, una continua scoperta sonora.

Nuovo lavoro per uno dei migliori esploratori sonori che abbiamo in Italia, Anacleto Vitolo.

Anacleto ha prodotto moltissimi lavori, ha dato vita e portato avanti svariati progetti, tutti con il fine di esplorare le possibilità offerte dalla musica elettronica. Quest’ultima nelle sue mani assume significati altrimenti inediti, poiché Vitolo concepisce la musica elettronica come continua spinta in avanti, inevitabile pulsione creativa frammista anche alla ricerca tecnologica. Obsidian è il capitolo più recente del suo viaggio, ed è un po’ la summa del lavoro fino a qui compiuto. Innanzitutto narrazione, esposizione delle trame più fitte degli elementi naturali, microscopio sonoro che va a ricercare le cose più minute, confermando quella congiunzione che ha fin dal titolo con il mondo minerale legandosi al sotterraneo. Il nascosto, il terreno, l’umido minerale sono concetti molto importanti per penetrare Obsidian, che è come una recondita vibrazione che giunge dalle profondità della terra, e il musicista è un medium che le traduce per noi. Ambient, dark ambient, glitch, idm, e in minima parte techno per un affresco musicale ricchissimo. Anzi qui si va oltre il concetto di musica come la conosciamo e come siamo pigramente abituati a considerarla, nel senso che si richiede una grande apertura mentale. Obsidian è uno studio compiuto in totale mancanza di atmosfera, un carpire rumori ed umori terreni, una continua scoperta sonora. Uno dei tanti pregi di Vitolo è quello di legare in maniera strutturata e credibile ciò che sarebbe incredibile ed insopportabile in altre mani, non troncando il mistero e la meraviglia ma almeno ne contorna benissimo i riquadri. Qui la geometria è assai importante, questa esperienza sonora sembra venire fuori dall’antica scuola esoterica pitagorica, dato che si mostrano forme e legami per rimandare ad un significato nascosto e che deve essere colto e compreso. I suoni infiniti che Anacleto modula sono le risultanze fisiche di ciò che non possiamo vedere ma che compone il nostro universo fisico e spirituale. Obsidian è una ricerca sonora bellissima e avanzatissima come tutte quelle fino a qui compiute da Anacleto, e si pone molto in alto nella sua già ottima discografia. Inoltre Vitolo, e come poteva essere altrimenti, è un fiero metallaro come tutti noi.

Tracklist
1 Obsidian
2 Graphite
3 Quartz
4 Coil
5 Spire
6 Membrane
7 Amethyst
8 Carbon

ANACLETO VITOLO – Facebook

Frank Caruso Feat. Mark Boals – It’s My Life

Quattro brani che nulla aggiungono e nulla tolgono al talento del chitarrista nostrano e che risultano un buon ascolto per gli amanti dell’hard rock melodico, valorizzati dalla sempre coinvolgente voce del leone Statunitense.

Frank Caruso è uno dei chitarristi più quotati della scena hard & heavy tricolore, protagonista con la sua sei corde nei seminali Arachnes, nei Thunder Rising ed ultimamente contattato dal compositore Mistheria per collaborare in qualità di arrangiatore all’imponente progetto Vivaldi Metal Project.

Il suo vagare in compagnia della sua chitarra e del suo talento lo ha portato ad interagire con alcuni mostri sacri del’hard rock internazionale tra cui il singer Mark Boals (Malmsteen, Dokken e Ted Nugent), con il quale ha scritto i brani racchiusi in It’s My Life, ep prodotto dalla RTI.
La title track è un brano roccioso con un chorus che mette subito in evidenza la buona forma di Boals, un hard & heavy d’ordinanza che Caruso valorizza con un solo graffiante, mentre armonie acustiche riempiono la stanza con I Don’t Want To Come Back.
Born To New Life è una power ballad melodica, intimista e molto anni ottanta, mentre Summer Road lascia il palcoscenico al chitarrista nostrano, impegnato in uno strumentale diviso tra splendide melodie ed una robusta chitarra hard rock.
I quattro brani nulla aggiungono e nulla tolgono al talento del chitarrista milanese, rivelandosi un buon ascolto per gli amanti dell’hard rock melodico, valorizzati dalla sempre coinvolgente voce del leone statunitense.

Tracklist
1.It’s My Life
2.I Don’t Want To Come Back
3.Born To New Life
4.Summer Road

Line-up
Frank Caruso – Guitars
Mark Boals – Vocals

FRANK CARUSO – Facebook

Giordano Forlai – Orso Bianco

L’alternanza tra brani rock velati di strutture prog ed altri che guardano alla tradizione della canzone italiana portano Orso Bianco ad essere apprezzato da chi ha nelle corde il rock/pop d’autore, mentre ai rockers duri e puri il consiglio è quello di rivolgersi altrove.

La presenza di Roberto Tiranti come ospite su un brano (Che Cosa Siamo Noi, da cui è stato estratto un video), incuriosisce non poco riguardo al nuovo album del cantautore spezzino Giordano Forlai, da metà anni ottanta sulla scena rock tricolore come cantante in vari gruppi e in seguito come solista.

Arrangiamenti raffinati e tenui accenni prog rock fanno capolino tra la musica di Forlai, assolutamente cantautorale e lontana non poco dalle sonorità più robuste che vengono per lo più trattate su queste pagine.
Poco male, visto che si tratta di un ascolto più delicato ed in qualche modo introspettivo che ci porta ad apprezzare il lavoro del cantautore ligure, anche se ovviamente la parte grintosa della sua musica è quella che apprezziamo di più.
Pagine, Nero, lo splendido brano in collaborazione con Tiranti sono gli episodi migliori di un lavoro che va assaporato come un vecchio bourbon d’annata, elegante e curato in ogni passaggio.
L’alternanza tra brani rock velati di strutture prog ed altri che guardano alla tradizione della canzone italiana portano Orso Bianco ad essere apprezzato da chi ha nelle corde il rock/pop d’autore, mentre ai rockers duri e puri il consiglio è quello di rivolgersi altrove.

Tracklist
1.Orso bianco
2.Pagine
3.Sono qui
4.Sparami
5.L’altra parte di te
6.Il viaggio
7.Nero
8.Acrobata
9.Blu
10.Che cosa siamo noi
11.Stare soli
12.Marta

GIORDANO FORLAI – Facebook

Not Yet Fallen – Homebound ep

Non è affatto facile mettere assieme il metalcore e il meglio hardcore in maniera credibile e godibile, e i Not Yet Fallen lo fanno alla perfezione, perché non hanno pose ma voglia di fondersi con il loro pubblico.

Energia positiva, passione e melodia per la nuova fatica in formato ep dei padovani Not Yet Fallen.

I ragazzi hanno distillato il meglio dai loro ascolti e hanno tratto il meglio dal metalcore e dall’hardcore per farne una miscela originale e che funziona bene. I Not Yet Fallen sono in giro dal 2008 e sono uno dei gruppi migliori che abbiamo in Italia. Nel mare magnum del metalcore con inclinazioni hardcore ci sono miriadi di dischi anche piacevoli, alcuni notevoli, ma se volete risparmiarvi ascolti inutili puntate dritto su Homebound ep perché vi lascerà di sicuro soddisfatti. La produzione è molto accurata e fa rendere il tutto al meglio, poi il gruppo ci mette del suo con questo suono molto caldo, melodico al punto giusto che fa sembrare che i Not Yet Fallen siano proprio quello che volevate ascoltare. Melodie, cori da dito puntato in alto, voli giù dal palco, musica suonata da appassionati per altri appassionati, perché da questo non si ricava la sussistenza ma tante emozioni, voglia di sudare sotto il peso dei decibel, e quella solidarietà ed amicizia che i n altri generi se la sognano di notte. Per esempio la canzone Survivalist è una manifestazione di ciò che sanno fare questi ragazzi, ma Homebound è alla fine una canzone unica, un corpus musicale da ascoltare tutto assieme, perché è uno sguardo composto da tanti battiti di ciglia. Spesso si ha bisogno di essere avvolti da un certo tipo di musica che provochi in noi determinate emozioni, e questo è proprio il posto giusto. Non è affatto facile mettere assieme il metalcore e il meglio hardcore in maniera credibile e godibile, e i Not Yet Fallen lo fanno alla perfezione, perché non hanno pose ma voglia di fondersi con il loro pubblico. Il formato ep è sicuramente giusto, però il giramento di coglioni quando termina il disco è elevato, un po’ come lo svegliarsi da un bel sogno. Bel disco, senza se e senza ma, uno di quei rari momenti di allineamento totale fra il metalcore, te stesso e l’universo circostante.

Tracklist
1.Lone Walker (Foreword)
2.The Lesser Evil (With Regard To Anxiety)
3.Survivalist (About A Wreck)
4.Countless Steps (Concerning Change)
5.A Catharsis pt. I (Detachment)
6.A Catharsis pt. II (The Comeback Chronicles)

Line-up
Francesco – vocals
Luigi – guitar
Emmanuel – guitar
Andrea – bass
Davide – drums

NOT YET FALLEN – Facebook

Insonus – The Will to Nothingness

Gli Insonus esibiscono una vena fondamentalmente atmosferica, racchiusa in un sound cupo e al contempo melodico, nel quale il disperato abbandono del depressive lascia spazio ad una rabbia che diviene l’altra faccia di una stessa medaglia nel modo di elaborare il male di vivere.

Gli Insonus sono una nuova realtà black metal italiana, nata per volere di due musicisti abruzzesi, R. e A., quest’ultimo nome che chi frequenta il genere conoscerà quanto meno per il suo progetto L.A..C.K., uno dei migliori esempi nazionali di depressive.

Il duo, che si fa aiutare da altri due corregionali come HK (Eyelessight – drums editing) e Fulguriator (Selvans – chitarra acustica) esibisce una vena fondamentalmente atmosferica, come già fatto molto bene due anni fa con l’ep Nemo Optavit Vivere, racchiusa in un sound cupo e al contempo melodico, nel quale il disperato abbandono del depressive lascia spazio ad una rabbia che diviene l’altra faccia di una stessa medaglia nel modo di elaborare il male di vivere.
L’ovvio riferimento alla scena scandinava (nell’ambito della quale continuo a trovare in più di un caso gli Arckanum quale accostamento più attendibile, non fosse altro che per la comune capacità di esibire marcati tratti melodici senza perdere nulla in ruvidità e robustezza del sound) non rende affatto The Will to Nothingness un lavoro impersonale, perché i brani sono tutti molto solidi e dal potente impatto, contribuendo così a rendere la proposta sicuramente ben focalizzata ed avvincente.
Se le tracce I e II sono senz’altro due ottimi esempi di interpretazione del genere nell’ambito della tradizione, III si propone quale manifesto dell’album, con la sua ripresa della confessione di Antonius Block (dal capolavoro bergmaniano Il Settimo Sigillo) culminante nel momento in cui la Morte offre la logica soluzione ai tormenti del protagonista pronunciando la glaciale frase “non credi che sarebbe meglio morire “? Il tappeto sonoro che ne consegue e quello dal più elevato contenuto drammatico del lavoro, in grado di avvincere pur nella sua inusuale lunghezza di quasi dieci minuti.
Il resto di The Will to Nothingness continua a regalare un black metal di grande qualità e tensione (splendida e relativamente orecchiabile la traccia IV e molto varia e dal notevole crescendo la lunga e conclusiva VI) che si lega alla perfezione con testi che, ovviamente, non seguono l’abusato filone lirico satanista o antireligioso per dare spazio invece all’esplicito e doloroso disagio derivante dall’incapacità di trovare un senso logico e compiuto all’esistenza.
L’unione di una struttura musicale piuttosto legata alla tradizione, ma pervasa da un senso melodico spiccato, ad un comparto lirico di classica matrice depressive conduce ad un risultato davvero ottimo, confermando quello degli Insonus come uno dei nomi più interessanti in ambito nazionale.

Tracklist:
1.The Will To Nothingness I
2.The Will To Nothingness II
3.The Will To Nothingness III
4.The Will To Nothingness IV
5.The Will To Nothingness V
6.The Will To Nothingness VI

Line-up:
R. (Raven) – Lead and Rythm Guitars
A. (Acheron) – Vocals,Guitars,Bass,Programming,Mixing

Drums editing by HK
Acoustic guitars by Fulguriator

INSONUS – Facebook

Semiramis – Frazz Live

Grande ritorno da parte di una band storica del nostro progressive rock, ancora una volta Dedicato a Frazz.

Nel lontano ma glorioso 1973, i Semiramis – giovanissimo quintetto romano, capitanato dai fratelli Zarrillo (Michele chitarra e voce, Maurizio tastiere) – pubblicarono per la Trident quello che rimane uno dei migliori dischi del nostro progressive rock.

Un esordio allora assai promettente, che, purtroppo, non ebbe mai un seguito. Oggi, tre quinti della formazione originale, coadiuvati da altri 4 musicisti, rispolverano il nome Semiramis e tornano a calcare i palcoscenici con un ottimo live, uscito solo un anno fa solo du DVD ed oggi ristampato da Black Widow, in doppio formato CD+DVD. Si tratta di una splendida performance, tenuta a LaClaque di Genova il 22 aprile 2017. I Semiramis riannodano con eleganza e maestria i fili con il proprio passato, riproponendo con efficacia i classici – tali sono, ormai – del loro album di debutto. Possiamo pertanto riapprezzare interessanti intrecci strumentali e trascinanti dialoghi fra chitarra e tastiere, con liriche davvero suggestive e pregevoli. La bottega del rigattiere, Luna Park e Zoo di vetro, in particolare, risplendono ancora in tutta la loro bellezza, con intensi assoli ed aperture prog a trama concept – non senza, quindi, la giusta dose di enfasi teatrale – omogenei e privi di qualsivoglia punto debole. Lo stesso vale per gli altri pezzi, eseguiti in maniera tanto ottima quanto convincente. Il live è dedicato alla memoria di Maurizio Zarrillo, che purtroppo ci ha nel frattempo lasciati.

Track list
1 Quattro fili
2 La bottega del rigattiere
3 Fragile involucro
4 Luna Park
5 Ombre di ritorno
6 Zoo di vetro
7 Foglio bianco
8 Per una strada affollata
9 Il silenzio e i bambini
10 Dietro una porta di carta
11 La verità non serve
12 Frazz
13 Circo Universo
14 Clown
15 La fine non esiste
16 Morire per guarire
17 Mille universi

Line up
Pino Amato – Piano / Synth / Programming
Maurizio Zarrillo – Keyboards / Eminent / Synthesizer
Vito Ardito – Lead Vocals / Acoustic Guitar
Giampiero Artegiani – Guitars
Antonio Trapani – Guitars
Ivo Mileto – Bass
Paolo Faenza – Drums

SEMIRAMIS – Facebook

Rhapsody Of Fire – The Eight Mountain

L’album è bellissimo, esaltante ed epico, del resto Staropoli questo tipo di sonorità le ha portate alla fama oltre vent’anni fa e si sente, con il sound 100% Rhapsody Of Fire che si sviluppa in un’ora di fughe velocissime, magniloquenti sinfonie epiche, atmosfere cinematografiche e cori che arrivano fino al cielo.

Una delle più importanti band italiane di sempre, e sicuramente la più conosciuta all’estero (se si parla di symphonic power metal), torna con un nuovo album a dare lustro a questo inizio anno, almeno per quanto riguarda il genere.

La storica band, accantonati i due assi Alex Turilli e Fabio Lione, si ripresenta con un Giacomo Voli in più, vero mattatore di questo ultimo lavoro, ed un songwriting che mantiene una buona qualità, anche se la formula è più che collaudata e il gruppo ne esce comunque alla grande, aiutato dal talento e dal mestiere dei protagonisti.
The Eight Mountain per i fans del gruppo nostrano risulta ancora una volta un’opera imperdibile: i Rhapsody Of Fire non deludono e chi li aspettava al varco si metta tranquillamente l’anima in pace perché Staropoli ed i suoi fidi scudieri sono ancora ben stabili sul trono del symphonic power metal.
La Bulgarian National Symphony Orchestra di Sofia, un coro con più di venti cantanti, l’uso di strumenti medievali, la produzione di Staropoli, più il mix e mastering lasciato a Sebastian “Seeb” Levermann (Orden Ogan) sono i dettagli che fanno di questo lavoro un nuovo importante tassello, nonché primo capitolo di una nuova saga (Nephilim’s Empire Saga) e sorta quindi di un nuovo inizio per la storica band tricolore.
Non riconoscere ai Rhapsody Of Fire l’importanza avuta sulla scena metal italiana e lo status di gruppo internazionale (alla pari con i Lacuna Coil) sarebbe ingiusto; la popolarità e, quindi, l’aspettativa creata da una nuova uscita della band è pari alla sua reputazione e la formula, anche se rimane pressoché inalterata, è assolutamente marchio di fabbrica del gruppo.
L’album è bellissimo, esaltante ed epico, del resto Staropoli questo tipo di sonorità le ha portate alla fama oltre vent’anni fa e si sente, con il sound 100% Rhapsody Of Fire che si sviluppa in un’ora di fughe velocissime, magniloquenti sinfonie epiche, atmosfere cinematografiche e cori che arrivano fino al cielo.
Voli fa il bello e cattivo tempo, risultando il perfetto cantore della nuova saga targata Rhapsody Of Fire, ed il consiglio è di lasciarvi conquistare da una tracklist che non trova ostacoli e che ha in Seven Heroic Deeds, nella folk ballad Warrior Heart, in March Against The Tyrant e nella conclusiva Tales Of A Hero’s Fate i brani più significativi.

Tracklist
01 – Abyss Of Pain
02 – Seven Heroic Deeds
03 – Master Of Peace
04 – Rain Of Fury
05 – White Wizard
06 – Warrior Heart
07 – The Courage To Forgive
08 – March Against The Tyrant
09 – Clash Of Times
10 – The Legend Goes On
11 -The Wind, The Rain And The Moon
12 – Tales Of A Hero’s Fate

Line-up
Giacomo Voli – Vocals
Alex Staropoli – Keyboards
Roby De Micheli – Guitars
Alessandro Sala – Bass
Manu Lottner – Drums

RHAPSODY OF FIRE – Facebook

London Underground – Four

Ottimo ritorno della space prog band italiana, sempre abilissima nel riportarci sul finire degli anni Sessanta, quando tutto o quasi cominciò.

Sottobosco londinese. Con questo nome – da oltre vent’anni, oramai – il gruppo fiorentino è di certo tra i protagonisti di quel retrorock – come oggi lo si chiama, con un termine forse non felice – che si rivolge alla grande tradizione analogica, vintage e valvolare del progressive britannico di fine anni Sessanta e primissimi Settanta (Traffic, Pink Floyd, Argent e Atomic Rooster), accentuandone, sotto tutti i punti di vista, la componente spaziale e psichedelica.

Caldo ed avvolgente, il loro sound resta inconfondibile e, se i tardi Sixties – con tutto quanto ciò comporta, anche a livello lirico, visuale ed iconografico – sono da un po’ di tempo tornati in auge, lo dobbiamo certamente anche e soprattutto ai London Underground, tra i primi in assoluto (il loro esordio data, infatti, 2000) a far sì che il prog sia opportunamente ritornato sui propri passi. Questo quarto lavoro della band di Firenze, che segue a otto anni di distanza il predecessore, Honey Drops, conferma tutto quanto di buono fatto sin a oggi dai London Underground. Anzi, Four è con tutta probabilità il loro capolavoro, l’opera della piena e felicemente raggiunta maturità artistico-musicale. Le dieci tracce di questo nuovo lavoro sono assai liquide e compatte, nel medesimo tempo, ispirate ad astronomia e astrologia, con la lunga e cosmica improvvisazione di jam che supera abbondantemente i sette minuti. Un vero manifesto di pensiero e di integrità esecutiva. Il fatto che chitarra, viola (vagamente alla Velvet Underground) e sax (molto vandergraafiano) siano strumenti suonati da ospiti rafforza poi un’identità di trio per tastiera, basso e batteria che tanto ha dato alla musica progressiva inglese durante la sua golden age.

Track list
1 Billy Silver
2 Ray Ban
3 At Home
4 The Comete
5 What I Say
6 Three Men Job
7 Tropic of Capricorn
8 Jam
9 Mercy Mercy Mercy
10 Bumpin’ on Sunset

Line up
Gianluca Gerlini – Keyboards / Piano / Mellotron / Moog
Alessandro Gimignani – Drums
Stefano Gabbiani – Bass

LONDON UNDERGROUND – Facebook

Prehistoric Pigs – Dai

Ascoltare per godere dovrebbe essere scontato ma non lo è affatto in questi tempi plastici, e Dai è un massaggio per orecchie e mente, un luogo dove si sta bene per davvero.

Piacevolissimo terzo disco di questo trio composto da due fratelli ed un cugino che, con molta semplicità, suonano da anni musica strumentale dal potente potere evocativo.

I Prehistoric Pigs possono sembrare un gruppo come tanti, ma appena si mette su il disco si ascoltano cose per nulla comuni. Il loro nucleo musicale è uno stoner psych strumentale con una forte influenza desert. Il trio fa sostanzialmente musica libera da schemi ed è un gran piacere da ascoltare. Slegati da ogni laccio di appartenenza ad una qualche scena musicale i Prehistoric Pigs vagano liberi e compongono bellissimi racconti di viaggio musicale e non solo. Nella loro proposta sonora ci sono molte reminiscenze hendrixiane e della psichedelia anni sessanta e settanta, con il fondamentale tocco del krautrock che è uno strato importantissimo. Ma poi che importa dei generi quando si è lanciati nello spazio a folle velocità ? Una delle cose che impressiona maggiormente di questo gruppo è la totale naturalezza delle loro composizioni, tutto ciò che succede dentro queste canzoni è bello e godibile, non ci sono pezzi noiosi, e anche gli assoli di chitarra sono piacevoli e nel contesto di totale libertà. Il viaggio è composto da musica caleidoscopica ma al contempo con quella ruvidezza e pesantezza che piace davvero molto. Tutto ciò è frutto del grande lavoro che compie il trio, con un basso notevolissimo, la chitarra che ricama senza mai fermarsi ed una batteria che compie evoluzioni su evoluzioni, e tutti contribuiscono a rendere pazzesco il tutto. Di gruppi strumentali in giro ce ne sono, ma nessuno ha questa scioltezza, questa esatta consequenzialità di scelte sonore e questa godibilità sonora. L’unico difetto di questo disco è che dovrebbe essere un doppio, e pure un triplo, ma se mettete la ripetizione passerete delle belle ore in compagnia di questo trio. Ascoltare per godere dovrebbe essere scontato ma non lo è affatto in questi tempi plastici, e Dai è un massaggio per orecchie e mente, un luogo dove si sta bene per davvero.

Tracklist
1 Hasenjio
2 Pest
3 Geppetto M24
4 Soft-Shell Grab
5 No Means No

PREHISTORIC PIGS – Facebook

Fabio Gremo – Don’t Be Scared of Trying

Lavoro d’esordio del musicista che si è fatto brillantemente conoscere con Il Tempio delle Clessidre.

Una delle anime del Tempio delle Clessidre, parafrasando il bel titolo di questo disco, non si perita di osare: Don’t Be Scared of Trying è infatti il disco solista del nostro Fabio Gremo, che qui, oltre a cantare, suona chitarra classica, basso ed altri strumenti, accompagnato da vari amici e musicisti in veste di ospiti (al piano, alle percussioni, agli archi e fiati, al mellotron, alla steel guitar).

Fabio, dal suo gruppo-madre, si porta dietro per questa riuscita avventura un po’ dei toni foschi e scuri che han fatto grande il Tempio e contribuito alla sua edificazione: malinconia, atmosfere brumose, sapore di maestosa decadenza (realmente ben orchestrata da queste dieci composizioni), umori ancestrali. In altre parole, l’ascendenza dark prog non si dissolve di certo. Tuttavia, abbiamo anche altri elementi: sound talora più rarefatti, intimismo canoro, ricerca di introspezione musicale, echi cantautorali ed a tratti quasi folk (reso palese dall’uso delle parti acustiche), un sobrio e misurato classicismo. Quello che ne viene fuori è quindi, in definitiva, l’autoritratto di un artista a tutto tondo, dei suoi umori ed amori musicali. Una silloge di belle canzoni, sfuggenti e presenti insieme.

Tracklist
1 Breeze
2 Over the Rainbow
3 By the Fire
4 Dance of Hope
5 Ballad of the Good Ones
6 Hypersailor
7 Lullabite
8 Odd Boy
9 Don’t Be Scared of Trying

FABIO GREMO – Facebook

Eddie Bunker – Diffidia

Il debutto degli Eddie Bunker è scaricabile ad offerta libera sul loro bandcamp ed è un’opera notevole, che li pone sulla mappa e apre nuove prospettive all’hc italiano che non vuole morire e che scorre sempre sotterraneo.

Hardcore in quota mathcore e blackened da Vicenza: gli Eddie Bunker sono in giro da poco, ma con questo debutto si fanno notare molto bene.

Il loro incedere ricorda gruppi che in Italia hanno dato molto, come i La Crisi e tutto quell’hc anni novanta e primi duemila che sembrava dovesse diventare devastanti e invece ha poi balbettato. Colmano questo vuoto questi giovani ragazzi che hanno molte idee e tutte chiare, su cosa si deve fare per incendiare un palco o le nostre orecchie. Il cantato in italiano rende molto bene, con testi che sono importanti e che danno l’idea di cosa sia questo gruppo, in primis una gran bella sorpresa. Scorrendo il disco non ci sono solo assalti all’arma bianca, anzi, i ragazzi preferiscono ricamare belle melodie pesanti, dando la precedenza all’intensità ma anche importanza ad una certa ricerca sia musicale che tecnica. Il disco inizia con il botto, con un pezzo come Il Gioco Perfetto, che è una traccia paradigmatica per conoscere gli Eddie Bunker. Era da tempo che non si sentiva un gruppo hardcore così completo cantare in italiano. Le trame musicali sono sinuose e non lasciano tregua all’ascoltatore, sono credibili e non diventano mai noiose. Certamente l’esempio portato da gruppi come Converge e tutta quella genia hardcore tinta di nero è stata fondamentale per i vicentini, ma quel suono ha radici profonde nel loro territorio con gruppi come gli Strange Corner, che uscirono su Vacation House nel 1998 con Schism, un disco che può essere considerato come uno dei parenti di Diffidia, anche se quest’ultimo è differente, più maturo e ben strutturato. Alienazione, difficoltà di comprendere questa società assetata di sangue, voglia di pensare in maniera diversa e capire le cose a fondo, grazie ad un mezzo formidabile come l’hardcore, che è molto più di una valvola di sfogo, un genere iperrealista che dipinge cose importanti in mano di chi lo sa fare. Il debutto degli Eddie Bunker è scaricabile ad offerta libera sul loro bandcamp ed è un’opera notevole, che li pone sulla mappa e apre nuove prospettive all’hc italiano che non vuole morire e che scorre sempre sotterraneo.

Tracklist
1.Il Gioco Perfetto
2.Trauma
3.Polonia
4.Interlude
5.Pandora
6.Tarantola

Line-up
Michele – vocals
Alberto – guitar
Jacopo – guitar
francesco – bass
Marco – drums

EDDIE BUNKER – Facebook

A Vintage Death – Acrid Death Fragrance

Trattandosi di un demo, ovviamente, non siamo in presenza di suoni ottimali, ma tale aspetto passa in secondo piano rispetto a questa ventina di minuti abbondanti ricchi di spunti pregevoli che necessitano appunto solo di una rifinitura a livello formale per essere al 100% competitivi.

Acrid Death Fragrance è il demo che porta a conoscenza degli appassionati di metal estremo il nome A Vintage Death, one man band creata dal musicista abruzzese Carmine D’Annibale.

Carmine è stato in passato batterista in diversi gruppi, tra i quali i Rising Moon sono stati i più rilevanti, ma qui si occupa dell’intera strumentazione svincolandosi dal death melodico di quella band per approdare ad un’intrigante forma di metal che ingloba elementi black, death e doom.
Trattandosi di un demo, ovviamente, non siamo in presenza di suoni ottimali, ma tale aspetto passa in secondo piano rispetto a questa ventina di minuti abbondanti ricchi di spunti pregevoli che necessitano appunto solo di una rifinitura a livello formale per essere al 100% competitivi.
Se un brano come When the Spirit Smell His Corpse, posto in apertura del lavoro, si dimostra già abbastanza esaustivo riguardo la bontà della proposta, con il suo incedere dolente e allo stesso tempo melodico, in Gloomy Tombs è invece una componente black metal non distante da quella dei Forgotten Tomb a prendere il sopravvento, mentre Ominous Dream possiede diversi cambi di ritmo e di scenario passando da repentine sfuriate a momenti più evocativi; la title track esibisce un’indole più sognante e melodica, con la chitarra a tessere linee dal buon impatto emotivo, e infine Lume chiude il demo con sonorità piuttosto rarefatte nella sua prima parte ed un’indole complessivamente più atmosferica e sperimentale.
Fatte le debite tarature, il passo d’esordio targato A Vintage Death è senz’altro positivo, in quanto il sound esibito appare decisamente affascinante ancorché piacevolmente naif e genuino: mi piace pensare che Carmine abbia tentato di far proprio l’approccio diretto e privo di orpelli del suo illustre conterraneo Mario Di Donato, rivestendolo di una struttura decisamente più robusta e metallica.
In prospettiva di una possibile uscita di più lunga durata da immettere con tutti i crismi sul mercato discografico, ritengo che l’aspetto sul quale il musicista di Ortona debba lavorare maggiormente sia il comparto vocale, in quanto sia il growl sia le clean vocals sono decisamente perfettibili, all’interno di una struttura compositiva che di suo appare già abbastanza rilevante.

Tracklist:
1. When the Spirit Smell His Corpse
2. Gloomy Tombs
3. Ominous Dream
4. Acrid Death Fragrance
5. Lume

Line-up:
Carmine – Everything

A VINTAGE DEATH – Facebook

Stalker – Vertebre

Piccolo capolavoro al crocevia di tanti generi ed emozioni, un sentire qualcosa che è stato declinato in molte maniere, un sentimento che parte da lontano e arriva dove siamo noi, che pensavamo potesse andare meglio, ma non è una sconfitta perché ne possiamo parlare.

Rumori che vengono da dentro, esplosioni attese da anni che scoppiano in faccia, giri di chitarra che sembrano abitare nel nostro cervello, un attendere che sembra infinito per poi planare su corpi che non hanno bisogno di te ma che sono gli unici che possono capirti.

Apnea che fortifica l’orgasmo di sapere che non c’è godimento, finire sopra a dei nastri che ti tranciano le vertebre. Parlare di musica con alcuni dischi è davvero senza senso, bisogna solo sentire quelle note, quelle canzoni che ti fanno nascere vortici dentro, quei rari slanci musicali come questo Vertebre degli Stalker, in apparenza quattro pezzi di musica che spazia dall’hardcore al post hardcore, dal punk all’emo, dal post metal all’oltre tutto. Dentro questo ep ci sono tantissime cose, ci sono varie vite, prima di tutto di quelli che lo hanno fatto, e poi le nostre che lo stiamo ascoltando ed infine quelle che ci passano davanti. Il ritorno degli Stalker è un qualcosa che aspettavamo in tanti e loro stessi sono un qualcosa che assume mille mutazioni diverse: da una possibile evoluzione degli immensi Kafka, al gruppo dopo gli Ex Otago del cantante Alberto, ma in realtà l’unica cosa che sono è il loro nome e questa musica che suona come suonavano certi dischi anni fa. Forse nel passato le cose andavano meglio anche per la musica, ma un disco come questo in quella supposta età dell’oro non sarebbe potuto nascere, perché in quei giorni la speranza c’era ancora. Qui no, qui sta andando tutto a puttane, e Vertebre non è affatto un disco consolatorio, ma è un disco che grida e noi con lui. Hardcore, post, prima o durante metal, i generi non sono affatto importanti, perché qui è la totalità ad emergere, a picchiarti contro, musica come un’onda che tutto travolge. Siamo cambiati, gli Stalker con noi, e dopo il meraviglioso debutto omonimo del 2008, che conteneva già in nuce Vertebre, hanno fatto un capolavoro, la perfetta descrizione del naufragio di pirati che hanno provato a conquistare qualcosa di troppo difficile per loro. Quei pirati che forse siamo noi, ora sono naufragati e si sono rotti le ossa, forse anche le Vertebre, e non rimane loro altro che gridare. Sequenze di vita, immagini di momenti che portano tutti alle sconfitte, e quello forse è il nostro destino. Però nel buio le Vertebre risplendono come nessun’altra cosa, e le grida che salgono insieme al rumore sono splendide. Oceani aperti che ci inghiottiscono e allora ricompariremo da altre parti, dove forse affonderemo nuovamente. Piccolo capolavoro al crocevia di tanti generi ed emozioni, un sentire qualcosa che è stato declinato in molte maniere, un sentimento che parte da lontano e arriva dove siamo noi, che pensavamo potesse andare meglio, ma non è una sconfitta perché ne possiamo parlare.

Tracklist
1. Tornado
2. Vertebre
3. Masonic Youth
4. Mai più

Line-up
Mauro – Guitar
Michele – Drums
Luca V. – Bass
Alberto – Vocals
Matteo – Gui

STALKER – Facebook

Timoria – Viaggio Senza Vento (25th Anniversary Edition)

La 25th Anniversary Edition è il giusto tributo ad uno degli album di rock italiano più belli di sempre: Joe vi aspetta per raccontarvi ancora il suo Viaggio senza Vento, accompagnato dal rock dei Timoria.

Probabilmente per capire del tutto lo spirito che animò i Timoria nel periodo dell’uscita del loro capolavoro, bisognerebbe tornare sotto il palco di un qualunque teatro italiano nel quale i cinque musicisti bresciani ultimarono la loro trasformazione da classica rock band tricolore a gruppo dal piglio internazionale, ispirato dal rock degli anni 60/70 e rapito dalle sonorità che arrivavano dalla Seattle di quel periodo.

Infatti era abitudine di Pedrini e compagni tributare nel corso dei loro live band come Who e Temple Of The Dog, esempi fulgidi di quel rock di cui Viaggio Senza Vento è pregno.
Dopo l’acerbo debutto Colori Che Esplodono, la band diede subito dimostrazione del suo talento con il seguente Ritmo e Dolore, un album d’autore, enormemente più maturo del suo predecessore e che al suo interno ha uno dei brani più belli della discografia, L’Uomo Che Ride, presentata con (prevedibile) scarso successo all’inutile festival della canzone italiana in quel di Sanremo.
Storie Per Vivere fu piccolo passo falso, ma forse necessario alla trasformazione che avverrà esattamente un anno dopo con l’uscita del magnifico Viaggio Senza Vento.
I Timoria assunsero le sembianze di una rock band all’interno della quale tutti i suoi componenti esprimevano al meglio le loro potenzialità: Pedrini e Renga formavano la classica coppia come tante nella storia del rock, cantante e chitarrista sempre in primo piano, uno con la sua straordinaria voce, tra Daltrey, Cornell e Plant e l’altro compositore e anima della band, così come Carlo Alberto Pellegrini, sorta di John Paul Jones al basso, Diego Caleri alla batteria ed Enrico Ghedi alle tastiere.
L’album è un concept sul viaggio e sulla redenzione di Joe, una sorta di versione novantiana di Tommy, eroe degli Who ed opera che influenza non poco il lavoro del gruppo, accompagnato da ospiti importanti come Eugenio Finardi, Mauro Pagani ed il percussionista colombiano Candelo Cabezas, già al lavoro con i Litfiba.
Hard rock, folk, rap, suggestioni psichedeliche e grunge riempiono di grande musica questo straordinario lavoro, in un susseguirsi di colpi di scena compositivi che fanno di Viaggio Senza Vento uno degli album rock più belli scritti nel nostro paese.
Diversi generi confluiscono nello spartito di brani dal grande appeal che mantengono un approccio diretto ma assolutamente fuori da qualsiasi intento commerciale, in un genere difficile come il rock duro cantato in italiano: un vocalist eccezionale ed una storia che legava vita e drammi giovanili ad un’aura mistica di viaggio e completezza interiore, rendono la title track, Sangue Impazzito, La Cura Giusta, Verso Oriente, Piove ed Il Guerriero (ma sarebbe da citare l’intera tracklist) inni di un generazione che in Italia continuava a faticare per uscire dall’anonimato, soffocata dall’assoluta mancanza di una vera e propria cultura rock.
Questa nuova versione vede l’intero lavoro rimasterizzato sul primo cd e alcune versioni demo più l’inedito Angel e la cover di I Can’t Explain degli Who sul secondo, mentre nella configurazione super deluxe il tutto viene arricchito da un doppio vinile giallo, dal poster raffigurante la band e da un libretto con i commenti dei protagonisti: Joe vi aspetta per raccontarvi ancora il suo Viaggio senza Vento, accompagnato dal rock dei Timoria.

Tracklist
CD 1:
01. Senza Vento
02. Joe
03. Sangue Impazzito
04. Lasciami In Down
05. Il Guardiano Di Cani
06. La Cura Giusta
07. La Fuga
08. Verso Oriente
09. Lombardia
10. Campo Dei Fiori Jazz Band
11. Freedom
12. Il Mercante Dei Sogni
13. La Città Del Sole
14. La Città Della Guerra
15. Piove – Remastered
16. Il Sogno – Remastered
17. Come Serpenti In Amore
18.Frankenstein
19. La Città Di Eva
20. Freiheit
21. Il Guerriero

CD 2:
01. Angel
02. I Can’t Explain
03. Senza Vento
04. Sangue Impazzito
05. La Cura Giusta
06. Verso Oriente
07. Lombardia
08. Freedom
09. La Città Del Sole
10. Piove
11. Il Sogno
12. Come Serpenti In Amore
13. Taruni Taruni

Line-up
Omar Pedrini
Francesco Renga
Diego Galeri
Carlo Aberto Pellegrini
Enrico Ghedi

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