Reapter – Cymatics

Un lavoro riuscito e perfettamente in grado di soddisfare non solo gli amanti del thrash ma in generale chiunque ami il metal

Un’altra ottima band proveniente dalla capitale, ancora una volta rapita dagli artigli della Revalve, si presente con un gran bel esempio di thrash metal dalle venature progressive, ottimamente suonato e prodotto così da farne un lavoro completo e professionale.

In poche parole Cymatics sta tutto qui e non è poco direi, la band romana sa il fatto suo e lo dimostra fin dal titolo, incentrato sulla teoria dello studioso svizzero Hans Jenny, riguardo al potere del suono in grado di strutturare la materia.
I Reapter si formano a Roma nel 2005, quindi sono più di dieci anni che il quintetto di thrashers nostrani è attivo, accompagnato da una discografia che vede, oltre a quest’ultimo lavoro, il precedente full lenght M.I.N.D., uscito sei anni fa e precedentemente due mini cd.
La firma con Revalve è un traguardo importante e meritato per la band ed il nuovo album conferma che la label nostrana ci ha visto giusto.
Thrash metal che si valorizza con una prova strumentale sopra le righe, ritmiche aggressive e che non mancano di groove moderno, enorme lavoro delle sei corde e brani che nel loro insieme creano un massiccio esempio di metallo, duro come l’acciaio ma progressivamente elaborato.
Le influenze del gruppo sono, di base, da riscontrare nella scena statunitense (Testament e Megadeth), ma nel sound dei Reapter c’è di più e, tra le trame di Cymatics, echi di Mekong Delta elevano l’opera a qualcosa di più di un semplice thrash metal album.
Il bello cè he i brani si fanno apprezzare al primo ascolto, l’appeal sprigionato è alto così come il gran lavoro strumentale che ha in Behind The Mask la sua massima espressione.
Così veniamo investiti da questo tripudio di sonorità metalliche, tra brani più diretti (l’opener Repeat) ed altri dove la vena progressiva prende il sopravvento (la notevole The Alchemist); la prova dei musicisti, sommata ad un ottimo songwriting, fa in modo che Cymatics mantenga una qualità molto alta per tutta la sua durata, con la mazzata Life And Horror a tributare i Metallica e con  la devastante Useless, la più estrema di tutto il lotto.
Cymatics risulta un lavoro riuscito e perfettamente in grado di soddisfare non solo gli amanti del thrash ma in generale chiunque ami il metal: magari non sarà originalissimo, ma è sicuramente maturo e suonato in maniera ineccepibile, a creare un thrash metal di un’altra categoria.

TRACKLIST
01 – Repeat
02 – Tsunami
03 – Time Lapse
04 – The Alchemist
05 – Life and Horror
06 – Behind a Mask
07 – Useless
08 – Fallen Angels
09 – Tram Out
10 – Omega Revolution

LINE-UP
Claudio Arduini – Vocals
Max Pellicciotta – Guitars
Daniele Bulzoni – Guitars
Jury Pergolini – Bass
Emiliano Niro – Drums

REAPTER – Facebook

The Burning Dogma – No Shores Of Hope

No Shores Of Hope è un album di grande pregio, che in un mondo normale porterebbe alla ribalta della scena i The Burning Dogma … ma del resto sono proprio loro i primi ad affermare, con il loro concept, che di normale, in questo mondo, c’è rimasto ormai ben poco.

Uno pensa: chi te lo fa fare di passare gran parte del tempo libero a tenere in piedi, assieme a qualche altro malato di mente, una webzine dalla quale non ci si guadagna nulla ?

La risposa sta, come il veleno, nella coda: chi l’ha detto che non ci si guadagna? Per esempio, se non fossero stati gli stessi The Burning Dogma ad inviarmi il promo del loro disco ai fini di una recensione, quante probabilità avrei avuto di ascoltarlo? Diciamo ben poche.
Ecco, la vera ricompensa di chi si dedica ad un (non) lavoro come questo è proprio quella di scoprire e godersi realtà ai più sconosciute ma capaci di produrre musica del tutto all’altezza di nomi ben più pubblicizzati.
No Shores Of Hope è il primo full length di questa band bolognese che, già da qualche anno, prova ad agitare i sonni dell’apparentemente placida Emilia con un death metal dai tratti progressivi e sinfonici e, probabilmente, l‘essere giunti alla prova della lunga distanza senza aver affrettato i tempi deve aver giovato non poco alla resa finale del lavoro.
Il sound dei The Burning Dogma è nervoso, oscuro e cangiante, a volte quasi in maniera eccessiva a causa di fulminei cambi di tempo che possono disorientare l’ascoltatore meno scafato o, comunque, meno propenso ad approfondire i contenuti di un album complesso ma dotato di grande fascino.
Un umore disturbante che si addice a No Shores Of Hope, un concept che affronta temi magari non nuovissimi ma sempre attuali, come il degrado dell’umanità e la necessità di lottare affinché tale deriva si arresti, in modo da poter trascorrere al meglio un esistenza destinata prima o poi ad una fine ineluttabile: la rappresentazione di tutto questo avviene tramite un death metal tecnico, che si sviluppa tra pulsioni melodico/sinfoniche e rallentamenti di matrice doom, arricchito da inserti elettronici presenti per lo più nei brevi intermezzi strumentali.
Lo screaming quasi di matrice black esibito da Andrea Montefiori viene talvolta alternato ad un più canonico robusto growl, ed anche questa varietà vocale finisce per costituire un ulteriore elemento di discontinuità in un album che è ricco di sorprese e di spunti eccellenti, oltre che di una serie di brani la cui pesantezza è stemperata sia dalla tecnica, che i musicisti mettono al servizio del songrwriting (e non viceversa), sia dagli spunti melodici che segnano un po’ tutti brani.
Spiccano, in una tracklist priva di punti deboli, la più catchy Skies Of Grey, ammorbidita da una bella voce femminile, la spigolosa Nemesis e No Heroes Dawn, parte centrale della trilogia Dawn Yet To Come, dove viene riproposto un frammento tratto da Inpropagation, traccia d’apertura della pietra miliare Necroticism …, quale doveroso omaggio ad una band come i Carcass alla quale sicuramente i The Burning Down si ispirano, specie nelle piuttosto ricercate evoluzioni chitarristiche.
No Shores Of Hope, quindi, si rivela un album di grande pregio, che in un mondo normale porterebbe alla ribalta della scena i The Burning Dogma … ma del resto sono proprio loro i primi ad affermare, con il loro concept, che di normale, in questo mondo, c’è rimasto ormai ben poco.

Tracklist:
01. Waves Of Solitude
02. The Breach
03. Enigma Of The Unknown
04. Skies Of Grey
05. Feast For Crows
06. Burning Times
7. Distant Echoes
08. Hopeless
09. Dying Sun
10. Nemesis
11. Dawn Yet To Come – 1. Drowning
12. Dawn Yet To Come – 2. No Heroes Dawn
13. Dawn Yet To Come – 3. Uscimmo A Riveder Le Stelle

Line-up:
Maurizio Cremonini – Lead Guitar
Diego Luccarini – Rhythm Guitar
Giovanni Esposito – Keys
Antero Villaverde – Drums
Simone Esperti – Bass
Andrea Montefiori – Vocals

THE BURNING DOGMA – Facebook

Path Of Sorrow – Fearytales

Se questo album fosse stato pubblicato da una band svedese un po’ di anni fa, i Path Of Sorrow sarebbero comparsi sulle copertine delle riviste di settore al fianco di At The Gates, In Flames, Dark Tranquillity, ecc. tutto qui … e non è poco.

Sono passate due settimane da quando mi sono seduto alla scrivania per tentare di raccontare i contenuti dell’ultimo album degli In Flames.

La mia recensione la potete trovare qui su MetalEyes e chi l’ha già letta sa che la delusione del sottoscritto per un gruppo storico che, di fatto non esiste più, è stata tanta ed è alta la sensazione che il canto del cigno per un certo tipo di death metal melodico sia alle porte.
Fortunatamente ci pensa la scena underground a tenere alta la bandiera di un genere che, in barba agli imbolsiti protagonisti dell’ultimo decennio del secolo scorso, carica il suo cannone metallico di bombe devastanti (qualitativamente parlando) e mira al cuore degli amanti del metal estremo melodico centrandoli in pieno.
Dai vicoli che scendono a mare, tra gli anfratti e gli angoli dimenticati dal tempo di un centro storico che pompa sangue metallico in una Genova che, per una volta, si veste da Göteborg, arrivano i Path Of Sorrow, al debutto su lunga distanza con questo splendido esempio di death metal melodico come lo hanno voluto e creato i maestri svedesi più di vent’anni fa, irrobustito da letali dosi di thrash metal, ed impreziosito da una vena melodica entusiasmante.
Attiva dal 2012, la band arriva a questo primo episodio dopo tanta gavetta a suon di concerti (con Necrodeath, Electrocution, The Modern Age Slavery, Epitaph, The Vision Bleak) e vari cambi di line up che portano alla formazione attuale, alla firma con Buil2Kill Records e alla porta dei Blackwave Studio di Fabio Palombi (Nerve), che si chiude alle loro spalle per riaprirsi solo quando Fearytales è pronto per travolgervi con undici spettacolari brani in cui melodic death, thrash, sfumature ed atmosfere dark gothic, vi confonderanno facendovi smarrire tra le anguste vie della Superba che, d’incanto, si trasformano in una foresta magica, oscura e pericolosissima.
Chiariamolo subito, se siete in cerca di chissà quale chimera dell’originalità, tornate sui vostri passi perché rischiereste di inoltrarvi nel sottobosco e non uscirne più: Fearytales rimane un ‘opera che del death metal melodico made in Svezia si nutre, nel thrash trova la dirompente forza estrema e nelle atmosfere oscure e dark ci sguazza, mentre i nomi storici del genere sono tutti li sulla balconata ad applaudire.
Prodotto alla perfezione e suonato ancora meglio, l’album non concede cedimenti, i brani si susseguono uno più bello dell’altro alternando sfuriate ad  atmosfere molto suggestive, ottimi momenti di metallo cadenzato e fughe sui manici delle asce da brividi.
L’ottima prova dei musicisti valorizza un songwriting ispirato e l’impressione di essere al cospetto di un combo sopra la media è altissimo, mentre Under The Mark Of Evil toglie il respiro dandoci il suo benvenuto in Fearytales.
La muscolosa Survive The Dead è solo l’antipasto alla maligna e cattivissima Martyrs Of Hell, mentre il gran lavoro delle sei corde nella melodica Nobody Alive (addio In Flames), ci porta dritti nella boscaglia e a The Crawling Chaos, capolavoro dell’album insieme alla stupenda thrash-folk- epic metal Sea Of Blood: The March For Morrigan, fulgido esempio dell’ispirato songwriting del gruppo ligure.
This Is The Entrance mette la parola fine a questo bellissimo lavoro, la luce del sole si fa spazio tra i rami e dopo i primi passi fuori dalla foresta, la voglia di tornare indietro è tanta, così come quella di ripremere il tasto play.
Se questo album fosse stato pubblicato da una band svedese un po’ di anni fa, i Path Of Sorrow sarebbero comparsi sulle copertine delle riviste di settore al fianco di At The Gates, In Flames, Dark Tranquillity, ecc. tutto qui … e non è poco.

TRACKLIST
1. Into The Path
2. Under The Mark Of Evil
3. Survive The Dead
4. Martyrs Of Hell
5. Lords Of Darkned Skies
6. Nobody Alive
7. Umbrages…
8. …Where Nothing Gathers
9. The Crawling Chaos
10. Sea Of Blood : The March For Morrigan
11. This Is The Entrance

LINE-UP
Attila – Drums
Robert Lucifer – Bass
Mat – Vocals
Davi – Electric,Acoustic & Classical Guitars,Mandolin,Piano
Jacopo – Electric Guitars

PATH OF SORROW – Facebook

Vanexa – Too Heavy To Fly

I nuovi Vanexa, a giudicare da questo lavoro, appaiono tutto fuorché che un gruppo con quarant’anni di musica metal sul groppone.

Si torna a parlare dei Vanexa, dunque di storia dell’heavy metal made in Italy.

La band ligure ritorna dopo più di vent’anni con un nuovo lavoro, una line up nuova di zecca e tanto heavy rock, magari non agguerrito come negli storici lavori degli anni ottanta, ma dalla classe di un’altra categoria ed un lotto di canzoni ispirate.
La storia del gruppo è conosciuta a memoria, almeno da chi ha nel cuore le sorti dell’heavy metal ed in particolare di quello suonato nello stivale: partiti sul finire degli anni settanta con l’esordio omonimo targato 1983, il gruppo del duo ritmico Sergio Pagnacco (basso) e Silvano Bottari (batteria), i soli rimasti della formazione originale, hanno scritto pagine importanti per il metallo tricolore ed i loro pochi, ma bellissimi lavori, hanno creato intorno al gruppo un aura leggendaria.
Oggi, affiancati dall’ottimo vocalist Andrea “Ranfa” Ranfagni singer di razza e vero portento al microfono, e con una coppia d’asce sontuosa con Artan Selishta a far danni in compagnia del talentuoso Pier Gonella (Necrodeath, Mastercastle), ci regalano questo ottimo Too Heavy To Fly, licenziato dalla Punishment 18 Records.
Heavy rock più che metal, è bene chiarirlo, la rabbia giovanile ha lasciato il posto ad un più ragionato approccio alla nostra musica preferita che, al netto di prestazioni sugli scudi dei protagonisti, equivale a dieci perle hard & heavy, ruvide, melodiche ma soprattutto elevate da una forma canzone che non lascia indifferenti.
Sotto questa nuova veste, diciamo più patinata, i Vanexa trovano le fonte della giovinezza con una serie di brani freschi, dalle ariose atmosfere, rinvigoriti da chitarre adrenaliniche, ma deliziati pure da molte parti melodiche che si manifestano non solo nelle ballad e nei molti mid tempo, ma anche quando sono la grinta ed i watt a guidare il suono.
Brani dalle ritmiche serrate, un gran lavoro delle sei corde ed una prestazione esemplare del singer, impreziosiscono le canzoni dei nuovi Vanexa che, a giudicare da questo lavoro, appaiono tutto fuorché che un gruppo con quarant’anni di musica metal sul groppone.
Tutte ottime canzoni, su cui spiccano la robusta title track e la seguente 007, per una partenza tutta potenza e classe, di un’ altra categoria Rain, mentre The Traveller conclude alla grande l’album con Ken Hensley degli Uriah Heep a valorizzare il brano con i suoi tasti d’avorio.
Nel mezzo, come detto, tanto ottimo heavy rock, non solo per nostalgici, ma assolutamente protagonista anche in questi disgraziati anni del nuovo millennio.
Noi siamo di passaggio, le leggende restano…

TRACKLIST
1. Too Heavy To Fly
2. 007
3. Life Is A War
4. Rain
5. It’s Illusion
6. Tarantino Theme
7. In The Dark
8. Kiss In The Dark
9. Paradox
10. The Traveller

LINE-UP
Andrea “Ranfa” Ranfagni – vocals
Pier Gonella – guitars
Artan Selishta – guitars
Sergio Pagnacco– bass
Silvano Bottari – drums

VANEXA – Facebook

Glory Of The Supervenient – Glory Of The Supervenient

Un progetto estremamente interessante e potente, un ponte lanciato fra diversi stili di musica, con in comune la volontà di progressione musicale ed umana, verso ciò che abbiamo sopra e sotto di noi.

Quando la musica si fonde con il pensiero, e le note seguono e svolgono fili e curve allora siamo di fronte a qualcosa di nuovo e straordinario.

La prima fatica dei Glory Of The Supervenient è un disco molto vario e con tante cose dentro. La struttura è quasi impro, con un grande sentimento di prog , e nelle canzoni possiamo trovare metal, post rock, elettronica e anche minimalismo di scuola italica. Il gruppo nasce dalla mente del batterista milanese Andrea Bruzzone, che agli albori del 2015 comincia a scrivere i brani che andranno a comporre il disco. Il disco è un bel labirinto di suoni ed immagini sonore, con lo scopo di compiere un viaggio verso entità diverse rispetto al normale. Bruzzone si è dichiaratamente ispirato all’opera di Severino, un filosofo fondamentale per il nostro tempo, che ha aperto nuove vie nel pensiero umano, ed infatti questo disco è molto incline a far pensare, ad azionare leve ed ingranaggi del nostro cervello che raramente usiamo. La stimolazione neuronale è data dalla forza immaginativa di questa musica che traccia linee nello spazio, dopo qualsiasi accordo ci veniamo a trovare di fronte a sorprese che rendono il disco davvero ricco e da ascoltare più e più volte. La calma, la rabbia, il progredire ed il trovarsi in altri panni, la necessità di ritrovare la Gioia, che abbiamo perduto a causa di pensieri sbagliati.
Un progetto estremamente interessante e potente, un ponte lanciato fra diversi stili di musica, con in comune la volontà di progressione musicale ed umana, verso ciò che abbiamo sopra e sotto di noi.

TRACKLIST
1. I: The Destiny
2. Flexing The Inflexible
3. Identites
4. Infinte Tangles
5. Through The Circles
6. Encoutering The Encouterer
7. Firewood \ Ash
8. Isolated Earth
9. The Background
10. Connections
11. Path Of The Night

LINE-UP
Andrea Bruzzone – Drums, Virtual Instruments Programming.
Angelo ” Otus Dei “Girardello – Bass.
Mauro Scarfia – Sound Design.

GLORY OF THE SUPERVENIENT – Facebook

Under The Bed – Two Is A Lie

Una piacevole sorpresa in un genere dove gli standard sono ben consolidati e molte volte la noia prende il sopravvento.

Non più siamo così lontani come si può pensare da quell’America patria del metal moderno e la conferma arriva da Two Is A Lie, secondo album del gruppo toscano Under The Bed.

La band poggia il proprio sound su fondamenta che richiamano il metalcore, ma le manipola a suo piacimento inglobando più generi, ed il risultato, oltre ad apparire vario e mai prevedibile, riesce ad essere personale quel tanto da non finire nel solito calderone di quei gruppi che cavalcano l’onda prima che la tempesta si plachi.
Il quintetto originario di Montecatini alterna aggressive sferzate metalliche ad atmosfere rock (che qualcuno continua a chiamare post grunge), inserendo ottimi interventi elettronici e lasciando che il growl tipico del genere si alterni alle clean vocals: niente di nuovo direte voi, ma il tutto funziona, anche grazie alla bravura di Armando (voce pulita oltre che chitarra e programming) e Joshua, alle prese con le tonalità estreme.
Disperato, rabbioso, intimista, furioso, delicato, sono tutte le sensazioni derivanti dall’ascolto della musica del combo nostrano e che si susseguono nei vari passaggi di Two Is A Lie e dei suoi vari capitoli, di cui Something In The River Of Blood!, il rock cantautorale della sognante Keep Daydreaming, il rock’ n’n roll nascosto tra le pieghe di Florence On Friday e la rabbia a stento trattenuta di Crack A Selfish Open (brano che sprigiona ispirazione crossover da tutti i pori), sono i migliori esempi del credo compositivo degli Under The Bed.
Una piacevole sorpresa questo lavoro, in un genere dove ormai gli standard sono ben consolidati e molte volte la noia prende il sopravvento: una ventata di freschezza compositiva da parte di un gruppo italiano era quello che ci voleva.

TRACKLIST
01. Diatryma Paddock
02. Hatespeare
03. Something In The River Of Blood!
04. The Time
05. Aphelion / Perihelion
06. Keep Daydreaming (’til You Make It Real)
07. Florence On Friday
08. One Plus One
09. Crack A Selfish Open
10. Golden Railings

LINE-UP
Armando Marchetti – vocals, guitar, programming
Federico Morandi – bass, backing vocals
Joshua Pettinicchio – raw and backing vocals
Michele Bertocchini – guitar, backing vocals
Andrea Bruciati – drums, backing vocals

UNDER THE BED – Facebook

Node – Cowards Empire

I Node del 2016 sono un gruppo da cui non si può prescindere, non solo se si ha a cuore la scena italica, ma tutto il movimento estremo di stampo death

I Node sono e resteranno un pezzo di storia del metal estremo nazionale, il loro anno di nascita (1994) ed i loro lavori, che hanno marchiato a fuoco la scena metal dello stivale, sono lì a dimostrarlo, anche se le tante vicissitudini ed una carriera a singhiozzo hanno in parte frenato il gruppo lombardo.

Tornano quest’anno con un nuovo lavoro e una line up in parte rinnovata, con in sella come sempre dal 1995 Gary D’Eramo ed un nuovo cantante, CN Sid.
Cowards Empire si sviluppa su quasi un’ora di musica divisa in dodici devastanti brani, compresa la riedizione di Children, pescata dallo storico Technical Crime, album licenziato dal combo nell’ormai lontano 1998.
L’album non delude chi ha sempre seguito i Node: il loro death metal, sempre molto attento alla tecnica, si pregia in questo lavoro di soluzioni ritmiche colme di groove, velocità e massacro sonoro, con studiata perizia nei solos davvero intriganti e ben congegnati, gustose soluzione melodiche e un tocco di appeal moderno in più che mantiene alta l’attenzione dell’ascoltatore.
Non ci si annoia lungo il percorso musicale di Cowards Empire, passando agilmente dalle bordate potentissime e cadenzate dell’opener Stagnation alle sfumature melodiche di Lambs, traccia spettacolare che alterna devastante furia estrema ad arpeggi melodici di gran classe, mentre si continua a correre veloci come il vento e cattivi come una fiera con Average Voter, No Reason e la splendida Money Machine, a parere di chi scrive picco dell’intero lavoro con un mood melodic death metal entusiasmante.
Ottima la prova del nuovo arrivato dietro al microfono, maligno, cangiante ed assolutamente sul pezzo nel dare una voce alla musica dei Node.
Prima della bonus track arriva a chiudere l’opera il bellissimo strumentale The Plot Survives, dove il gruppo dà sfoggio della sua tecnica sopraffina senza perdere un grammo in emozionalità, soprattutto per l’intervento di una deliziosa voce femminile.
I Node del 2016 sono un gruppo da cui non si può prescindere, non solo se si ha a cuore la scena italica, ma tutto il movimento estremo di stampo death, perciò non pensateci neppure un attimo e fate vostro Cowards Empire.

TRACKLIST
01. StagNation
02. Death Redeems
03. Lambs
04. Average Voter
05. Locked In
06. No Reason
07. Money Machine
08. The Truck
09. Still the Same
10. Liar.com
11. The Plot Survives

LINE-UP
CN Sid – Vocals
Gary D’Eramo – Guitars, Vocals
Rudy Gonella Diaza – Guitars
Davide “Dero” De Robertis – Bass
Pietro Battanta – Drums

NODE – Facebook

Riti Occulti – Tetragrammaton

La prestazione dei Riti Occulti è superba e mi costringe a ripetere (anche a chi non vuole sentire) che in Italia l’arte gravitante attorno alla scena metal è più che mai viva e ricca di musicisti ricchi di ispirazione e piglio innovativo.

Il terzo album dei Riti Occulti è la dimostrazione, per la band romana, di un’impressionante coerenza nei confronti del monicker prescelto, cosa non sempre scontata.

Chi si avvicinasse all’opera del gruppo laziale, infatti, si sorprenderebbe solo per la qualità musicale esibita, perché le sonorità non lasciano spazio a dubbi riguardo alla sincerità e alla competenza con la quale la materia occulta viene maneggiata.
E’ altresì vero che l’approccio dei Riti Occulti non possiede le connotazioni orrorifiche di molti che si cimentano in territori contigui e, del resto, anche la conformazione strumentale prescelta fornisce indizi di grande discontinuità: la rinuncia alla chitarra e l’utilizzo di due voci femminili, una affidata alle tonalità stentoree di Elisabetta Marchetti e l’altra allo spietato growl di Serena Mastracco (che ben conosciamo per la sua militanza nei Consummatum Est e nei Vidharr), costituiscono un indizio eloquente su quanto la band si muova con traiettorie oblique che attraversano le diverse sfumature della musica più oscura.
Non a caso mi trovo in seria difficoltà nel definire od avvicinare Tetragrammaton ad uno stile musicale ben preciso: probabilmente la base predominante è il doom, ma l’indole progressive e l’elemento psichedelico mescolano costantemente le carte in tavola, sicché l’album finisce per essere, come desiderato dai propri autori, un costante flusso sonoro in cui il basso martellante diviene un minaccioso rombo che, assieme a tastiere dal sapore antico e ad un drumming molto asciutto, funge da sottofondo alle evoluzioni delle due cantanti.
Tetragrammaton trova il suo fulcro nella quarta parte di Adonai, dove in avvio il basso di Niccolò Tricarico ricorda non poco quello di Waters nel finale di Echoes, e nell’intensità spasmodica della conclusiva Yetzirah, essendo i due brani che maggiormente colpiscono, pur essendo tutt’altro che di semplice fruibilità.
Il lavoro, infatti, costringe l’ascoltatore a non abbassare mai la soglia dell’attenzione, perché anche nei rari momenti in cui l’album pare assumere uno schema compositivo più tradizionale, avvicinandosi al doom con voce femminile in stile Jex Thoth, aleggia sempre un sottofondo sonoro che non lascia respiro, tra dissonanze ritmiche e atmosfere cariche di tensione che trova sublimazione nell’efferato growl della Mastracco.
La prestazione dei Riti Occulti è superba e mi costringe a ripetere (non che mi dispiaccia, ma ho sempre più netta la sensazione che sia fatica sprecata) che in Italia l’arte che gravita attorno alla scena metal è più che mai viva e ricca di musicisti ricchi di ispirazione e piglio innovativo. Poi sarò smentito, e ne sarò felice, ma sono sicuro che fuori dai nostri confini una band come questa si è già guadagnata una buona fetta di estimatori, mentre dalle nostre parti lo si può solo sperare .…

Tracklist:
01 – Invocation of the Protective Angels
02 – Adonai I
03 – Adonai II
04 – Adonai III
05 – Adonai IV
06 – Atziluth
07 – Beri’Ah
08 – Yetzirah
09 – Assiah

Line-up:
Serena Mastracco: Harsh Vocals
Elisabetta Marchetti: Clean Vocals
Niccolò Tricarico: Bass
Francesco Romano: Drums
Giulio Valeri: Synthesizers

RITI OCCULTI – Facebook

Aeternal Seprium – Doominance

Non annoiano di sicuro gli Aeternal Seprium: ogni brano ha una sua anima, ben salda nella tradizione metallica ma dalle atmosfere cangianti, tra epicità, assalti sonori che si riassumono in buone cavalcate heavy power thrash ed echi di battaglie, eroi, dei e re.

Tra la moltitudine di metal band che il nostro amato stivale può vantare, sicuramente gli Aeternal Seprium, con questo nuovo album, si ritagliano il loro spazio, specialmente se si guarda all’anima più pura e old school della nostra musica preferita.

Un gruppo che, come tanti altri, è passato nel corso degli anni tra cambi di line up e label, iniziando la sua attività sul finire degli anni novanta e proseguendo il cammino in questi primi anni del nuovo millennio.
Dopo il primo album uscito nel 2012 (Against Oblivion’s Shade) e che vedeva il gruppo cimentarsi sulla lunga distanza dopo due demo d’ordinanza, arriva l’importante cambio (almeno per una metal band) dietro al microfono con l’ottimo singer Fabio Privitera (Bejelit,Sound Storm), a prendere il posto di Stefano Silvestrini e la firma per DeathStorm Records che si occupa di licenziare questo Doominance.
Heavy metal duro e puro, con tratti epici a rendere la proposta orgogliosamente metallica, una vena ritmica da thrash metal band, chitarre che si rendono protagoniste di solos melodici e intensi e la voce del singer che si scaglia come un lampo nel cielo tempestoso, sono le prime impressioni che suscita il nuovo lavoro, nella sua interezza molto ben congegnato.
Non annoiano sicuro gli Aeternal Seprium: ogni brano ha una sua anima, ben salda nella tradizione metallica, ma dalle atmosfere cangianti, tra epicità, assalti sonori che si riassumono in buone cavalcate heavy power thrash tra echi di battaglie, eroi, dei e re.
Non mancano mid tempo pesanti come macigni ma dalle accentuate melodie (Artemisia) e furiose accelerazioni (Unawaken, Fuck The Narcisism), travolgenti heavy metal songs (l’opener I Will Dance On Your Tombs) e bellissime ballate folk, dal sapore cantautorale (Angelo Branduardi) eseguite in lingua madre come la splendida Il Rifugio.
I nomi che ispirano il gruppo nostrano sono quelli che hanno fatto la storia dell’heavy metal dai tratti epici, aggiungendo sicuramente una dose letale di power/thrash per un lavoro tutto da ascoltare. Non perdetelo.

TRACKLIST
1.I Will Dance on Your Tombs
2.Grieving April
3.Unawaken
4.Rock My Name
5.Artemisia
6.Fuck the Narcissism
7.Il rifugio
8.Devil Pray
9.End Is Far … or Else?
10.The Refuge

LINE-UP
Fabio Privitera- Vocals
Leonardo “Unto” Filace – Guitar
Adriano Colombo – Guitar
Santino Talarico – Bass
Matteo Tommasini – Drums

AETERNAL SEPRIUM – Facebook

Abysmal Grief – Reveal Nothing…

Una raccolta irrinunciabile per i fans degli Abysmal Grief, nonché una maniera ideale di approcciarsi alla loro funerea arte per chi ancora colpevolmente non li conoscesse.

Sono già passati vent’anni da quando, in qualche anfratto di Genova, qualcuno decideva di mettere in musica la rappresentazione della morte, rendendo la materia doom un qualcosa di profondamente liturgico e sviscerando tutto quanto sia connesso con il momento del trapasso, senza lasciare da parte, però, una sottile vena di humor nero.

Gli Abysmal Grief sarebbero diventati in seguito i veri sacerdoti dell’horror/occult metal tricolore nel nuovo millennio, acquisendo uno status di culto riconosciuto anche fuori dai confini, in virtù di un sound peculiare che unisce il gothic alla Fields of the Nephilim alle ritmiche cadenzate del doom, con la decisiva immissione di quella gustosa componente horror che in Italia non ha eguali grazie a nomi quali Death SS e Antonius Rex, tra gli altri.
La ricorrenza viene così festeggiata con la pubblicazione (il 2 novembre …) di un box a forma di bara, contenente il cd Reveal Nothing… e la cassetta Mors Te Audit, contenente il secondo demo realizzato all’epoca in versione limitata di 13 copie.
L’operazione si rivela quanto mai esaustiva, in quanto il cd contiene di fatto tutti i brani incisi dagli Abysmal Grief che non sono mai stati inseriti in un loro full length: troviamo, quindi, una spettacolare sequela di tracce riconducibili alla miriade di singoli e split album che i nostri non hanno mai lesinato in tutti questi anni.
Un vero godimento per chi ama questa particolare forma musicale ed è irresistibilmente attratto da quanto, normalmente, nelle persone comuni provoca terrore o repulsione; e, in fondo, il trucco sta tutto qui: giocare con la morte per esorcizzarne il naturale timore e in qualche modo rendere più accettabile il suo incombere.
Detto questo, non resta che rendere onore a questa band facendo proprio questo prezioso prodotto che, oltre all’originale confezione, consente di godere dell’ascolto di una serie di brani magnifici, a partire dall’inedito Cursed Be The Rite, perfettamente in linea con la produzione recente, dai ritmi più incalzanti e meno doom nella sua impronta, una differenza che si coglie peraltro, in maniera evidente, ascoltando subito dopo Exsequia Occulta, alla superba traccia risalente al 2000, passando per il climax orrorifico corrispondente a Creatures Fron The Grave (tratta dallo split del 2004 con Tony Tears).
Insomma, una raccolta irrinunciabile per i fans degli Abysmal Grief, nonché una maniera ideale di approcciarsi alla loro funerea arte per chi ancora colpevolmente non li conoscesse.

Tracklist:
1. Cursed Be The Rite (Bonus Track – recorded in 2016)
2. Exsequia Occulta (2000 – Exsequia Occulta MCD)
3. Sepulchre Of Misfotune(2000 – Exsequia Occulta MCD)
4. Hearse (2002 – Hearse 7”EP)
5. Borgo Pass (2002 – Hearse 7”EP)
6. Creatures From The Grave (2004 – Split W/Tony Tears 7”EP)
7. Brides Of The Goat (2009 – Split W/Denial Of God 7”EP)
8. The Samhain Feast (2009 – The Smhain Feast 7”EP)
9. Grimorium Verum (2009 – The Smhain Feast 7”EP)
10. Celebrate What They Fear (2012 – Celebrate What They Fear 7”EP)
11. Chains Of Death (2012 – Celebrate What They Fear 7”EP)

Tape
1. Intro
2. Open Sepulchre
3. Ignis Fatuus
4. Hearse
5. Grimorium Verum

Line-up:
Lord Alastair – Bass
Lord of Fog – Drums
Regen Graves – Guitars
Labes C. Necrothytus – Keyboards, Vocals

Widow Queen – A Matter Of Time

Tutto viene esposto con una maturità sorprendente, conquistando al primo ascolto, mentre echi post grunge continuano a giocare con il metal alternativo

Mi sono trovato recentemente davanti ad una delle tante deliranti affermazioni (fatta da un musicista) secondo cui il grunge avrebbe distrutto il rock ‘n’ roll ed il metal, assurdità che negli anni novanta era prassi leggere sulla carta stampata dell’epoca.

Questa immane stupidata riesce sempre, anche a distanza di anni, a farmi arrabbiare non poco, anche perché chi ha vissuto l’ultimo decennio del millennio scorso sa che forse solo negli anni ottanta si è potuto godere di così tanto rock sui canali musicali e non solo.
Sono i primi anni novanta, da Seattle una bomba rock viene lanciata sul mondo, ed il grunge diventa in poco tempo il genere di punta del rock americano e del mercato mondiale.
Dopo la fiammata durata qualche anno, un’altra ondata di gruppi segue la strada tracciata dal Seattle sound, con l’alternative che ora regna incontrastato, ma questo scontro finisce in una alleanza che porta ad un rock ancora più malinconico, destabilizzato da umori alternativi e crossover, anche se i gruppi che fanno la voce grossa mantengono un legame forte con i loro predecessori: nasce così il post grunge genere che continua ancora oggi a deliziare il palato degli amanti del rock moderno made in U.S.A.
E di post grunge si parla per la musica creata dai napoletani Widow Queen, trio formato dai fratelli Pellegrino, Amedeo (voce e basso) e Rosario (chitarra), con il fondamentale contributo di Riccardo Bottone alle pelli.
La band, tramite la Volcano Records debutta sulla lunga distanza con A Matter Of Time, album maturo e ben congegnato che si muove tra i meandri del rock che ha fatto storia aldilà dell’Atlantico, tra grunge e alternative, potente ma con un’anima intimista che si avvicina alle produzioni a cavallo dei due millenni: più solari degli Staind ma molto più oscuri dei Nickelback, per esempio, con il metal a guidare la sei corde ed il groove a potenziare le parti più energiche.
Partono alla grande i Widow Queen, con una label in ascesa nel panorama rock/metal nazionale e la presenza di Mark Basile dei DGM sulla bellissima Watch Over Me, brano che (sarà un caso) si assume l’onere di presentare tutte le sfaccettature del sound del gruppo campano.
Momenti acustici dai tratti intimisti lasciano spazio ad esplosioni di metallo moderno e potente, ariosi arpeggi che non mancano di emozionalità fanno preludio all’entrata in campo della voce, perfetta e e dagli umori a tratti rabbiosi e drammatici, con il trio che infiamma l’ascolto creando atmosfere di rock alternativo che, nel piccolo capolavoro Moments, si avvicinano ai System Of A Down.
Tutto viene esposto con una maturità sorprendente, conquistando al primo ascolto, mentre echi post grunge continuano a giocare con il metal alternativo, con l’opener Faith e Before the Day Falls che non mancheranno di fare breccia nei cuori dei rockers con ancora almeno una camicia di flanella nell’armadio.
Ottimo lavoro in barba a chi ancora nel 2016 vuole costruire assurdi muri ed imprigionare le sette note, noi saremo sempre dalla parte della buona musica da qualunque genere essa provenga.

TRACKLIST
1.Faith
2.Truth
3.By Your Side
4.Alive
5.Watch Over Me (feat. Mark Basile)
6.Moments
7.Liar King
8.Oxygen
9.Before the Day Falls
10.What Else Remains

LINE-UP
Amedeo Pellegrino – Bass, guitars, voice
Rosario Pellegrino – Guitars, voice
Riccardo Bottone – Drums

WIDOW QUEEN – Facebook

Macaria – A Strings’ Dramedy

Un’opera di death melodico sinfonico ben suonato e ben composto, con molte divagazioni di sapore classico che rendono in maniera ottimale la storia raccontata.

La rappresentazione della realtà può avere, come il suo modello, molte facce e molti momenti diversi.

Ad esempio il teatro nasce per l’esigenza di poter modellare la realtà secondo il bisogno della creazione di storie alternative. La drammatizzazione della vita ha diversi scopi, e può essere un modo migliore per spiegare la realtà. E questo che fanno i Macaria in questo debutto, che è in effetti un album concettuale basato su un pupazzo che prende vita durante la rappresentazione teatrale. La marionetta comincia così ad esplorare il mondo, vedendolo con occhi e parametri di giudizio molto diversi dagli uomini e trovando molte convenzioni sociali assai grottesche ed inutili, per arrivare infine chiedersi chi sia sbagliato, se la società o lui. I Macaria dipingono tutto ciò con un death metal sinfonico con intarsi folk, lascito della loro passata vita come Finntroll, poiché sono nati nei dintorni di Lecce nel 2009 come band folk metal, e hanno mantenuto un certo gusto per la teatralità, evolvendosi però musicalmente. Il disco è ben suonato e ben composto, con molte divagazioni di sapore classico che rendono in maniera ottimale la storia raccontata. Un debutto che colpisce per maturità ed originalità.

TRACKLIST
01. Suden Break
02. The Puppets Theater
03. Outside
04. Shaped Water
05. The Hidden Filth
06. Tar Nectar
07. Carnival Of Pigs
08. Midday Strangers
09. A Strings’ Dramedy
10 .The Knot Of Wills

LINE-UP
LORENZO MANCO – Vocals
MARCO CARANGELO – Guitar
DAVIDE PASTORE – Guitar
FEDERICO MAURO – Keyboards
LUCA DE MARCO – Bass
LUCA CASTO – Drums

MACARIA – Facebook

Degrees of Truth – The Reins of Life

La raffinatezza e l’eleganza delle orchestrazioni e della chitarra immette direttamente The Reins Of Life nel novero delle opere senza tempo.

Esporre un articolo che non ricalchi pensieri ampiamente elaborati in altre occasioni rimane un’impresa, così come essere del tutto originali suonando musica che da anni è una delle più seguite del panorama metallico, ma i Degrees Of Truth sono l’ennesima band nostrana che, con un songwriting di alto livello e una preparazione strumentale adeguata al genere, aggiunge un pizzico di elettronica al symphonic prog metal e consegna agli amanti di queste sonorità un gioiello di valore assoluto.
La band milanese, formata da Gianluca Parnisari solo lo scorso anno, debutta con The Reins Of Life, opera che non delude, ci presenta un altra singer dall’ugola d’oro (Claudia Nora Pezzotta) e ci ammalia con un metal progressivo elegante e raffinato, mai troppo debordante e sinfonico quanto basta per mandare in brodo di giuggiole i fans di orchestrazioni, musica classica ed altre diavolerie.
L’elettronica conferisce al sound un tocco moderno così che l’album possa tranquillamente posarsi sugli scaffali dei negozi, in un millennio in cui il mercato dimentica in fretta band e album, anche quelli che meriterebbero più tempo per essere apprezzati, mentre la raffinatezza e l’eleganza sia delle orchestrazioni che della sei corde immette  direttamente The Reins Of Life nel novero delle opere senza tempo.
L’album si presenta con il bellissimo lavoro di Gustavo Sazes (Kamelot, Angra, Arch Enemy, Temperance) sull’artwork, la benedizione della storica label Underground Symphony e un lotto di brani molto belli con picchi qualitativi altissimi, magari leggermente prolisso, ma assolutamente da godere di tutte le sue atmosfere, sfumature e melodie.
Benché l’elettronica tenga l’opera ben salda nel presente, la mia sensazione all’ascolto di brani come la title track, Civilization e Pillar Of Hope è stata quella di entrare in una elegante corte del diciassettesimo secolo, al cospetto di dame eleganti, sfarzose tavole imbandite, signorotti dai modi raffinati e dalle voglie peccaminose, duelli dove il male fa capolino tra i pizzi e merletti (Fine Art Of Havoc, estremizzata dalla voce in growl), in un’apoteosi di suoni progressivi, dove il metal è nobilitato come nella migliore tradizione sinfonica.
Un altra opera tutta made in Italy che non deve essere ignorata.

TRACKLIST
01. Pattern
02. Finite Infinite
03. The Reins Of Life
04. Evolution
05. Civilization
06. Subtle Borderline
07. The World Beneath My Feet
08. Fine Art Of Havoc
09. The Grim Lesson
10. Deep Six
11. Pillar Of Hope

LINE-UP
Claudia Nora Pezzotta – vocals
Gianluca Parnisari – keyboards
Graziano Franchetti – guitars
Luca Ravezzani – drums
Matteo Clark – bass

DEGREES OF TRUTH – Facebook

Hastur – The Black River

L’impressione e quella d’essere al cospetto di un gruppo esperto, che va subito al sodo e spara nove mazzate estreme con la facilità di chi nelle torbide acque del death metal ci sguazza già da un po’.

Tornano a far parlare di loro gli Hastur, dal 1993 realtà estrema della scena genovese che, dopo una storia travagliata arrivano al debutto su lunga distanza a quasi vent’anni dall’ep Dance Macabre dove, dietro al microfono, si posizionò in tutta la sua mole Trevor, ormai da anni vocalist degli storici Sadist ed uno dei personaggi più importanti di tutta la scena estrema nazionale.

Con il solo batterista Hayzmann a rappresentare la line up originale, il gruppo torna con The Black River, licenziato dalla Black Tears ed una formazione che vede anche il chitarrista Docdeath, il bassista Grinder ed il vocalist-chitarrista Napalm, in questo che ha tutti i crismi di un nuovo inizio.
The Black River è una devastante opera estrema, che della scuola classica prende impatto ed attitudine, un monolite di death metal old school dal songwriting fresco, perfettamente in linea con le produzioni dai richiami alla scena statunitense, ma senza perdere un’oncia in personalità.
E questa è la maggior virtù dell’album, l’impressione d’essere al cospetto di un gruppo esperto, che va subito al sodo e spara nove mazzate estreme con la facilità di chi nelle torbide acque del death metal ci sguazza già da un po’.
E The Black River, con queste premesse, non può che risultare un album potentissimo, un massacro senza compromessi con più di un brano che nel suo feroce estremismo si fa ascoltare con grande piacere.
Le sei corde garantiscono solos efficaci, perfettamente inseriti su di una struttura portante che non fa prigionieri, con la batteria protagonista e ben supportate da un basso pieno e vario.
Il growl cattivo e aggressivo è perfettamente inserito nel sound, che alterna velocità e parti più moderate, dove assoli gustosamente melodici fanno la differenza rispetto ad interpretazioni del genere più ripetitive.
Un death metal d’alta scuola, dunque, con almeno la metà dei brani davvero entusiasmanti (l’opener Black River, Infamous, l’eccezionale The Clock Of Evil e la devastante Prisoner Of Christ), ma è tutto l’insieme che gira alla perfezione e ci consegna una band rinata ed un lavoro sopra le righe.
Come già scritto ci troviamo in ambito death metal classico, con la scena statunitense come punto di riferimento e la Riviera Ligure a sostituirsi alla Bay Area: per gli amanti del genere un album imperdibile.

TRACKLIST
1. Black River
2. Consumer of Souls
3. Infamous
4. Possessed
5. The Clock of Evil
6. Hate Christians
7. Brain Buried
8. Prisoner of Christ
9. Purgatory

LINE-UP
Napalm – Vocal, guitar
Docdeath – guitar
Grinder – Bass
Hayzmann – Drums

HASTUR – Facebook

Elemento – Io

Un gran bel disco, fatto di grandi melodie e di un metal davvero progressivo.

Disco giustamente ambizioso che esplora i sentimenti umani, usando come sonda un metal progressivo unito a djent, mathcore e tanto altro.

In questo viaggio siamo guidati da Time, una figura umanoide che mostra al protagonista un’ampia gamma di sentimenti umani. Provenienti da una provincia italiana, e non serve sapere quale, gli Elemento parlano molto bene con la loro musica, che è un gran bel viaggio tra vari generi, rimanendo sempre nell’universo dello strumentale. Come i grandi dischi Io deve essere sentito molte volte, poiché si articola su diversi livelli, riuscendo ad esprimere molte emozioni, ricercando la natura profonda dell’uomo. Come in un processo alchemico la natura umana viene processata attraverso vari stadi, dove cambiando stato raggiunge il suo vero io. Gli Elemento riescono a rendere benissimo un discorso musicale che non è per nulla semplice, poiché oltre a trattare generi difficili, se non viene composto bene risulta confuso, mentre invece le loro melodie escono sgorgando come in una fresca sorgente. Un gran bel disco, fatto di grandi melodie e di un metal davvero progressivo.

TRACKLIST
1.Life – Izanagi
2.Violence – Vehement Mantra
3.Fear – Consuming The Light
4.Hate – Energy Flows
5.Wrath – The Eraser
6.Corruption – Infinite
7.Wrong – Paranoia
8.Death – Foreshadow
9.Nobility – In Reality
10.Courage – Create!
11.Love – Severance
12.Peace – Clear Mind, Clear Thoughts
13.Truth – Upside Now
14.Right – Old
15.Time – Spirit Of Fire

LINE-UP
Rick – Guitar
Nick -Guitar
Thomas -Drums

ELEMENTO – Facebook

VV.AA. – We Still Rock – The Compilation

Questa eccellente iniziativa non va assolutamente trascurata, il livello dei protagonisti e la bellezza delle canzoni contenute ne fanno un cd da custodire gelosamente

L’hard rock melodico ha sempre avuto scarsa fortuna nel nostro paese, sempre poco ricettivo nei confronti del metal/rock e confinato nell’underground in compagnia di tutti i generi che compongono la nostra musica preferita.

Eppure anche l’ Italia può contare su numerosi talenti che dell’anima melodica dell’hard rock fanno il loro credo, supportati dalle webzine di riferimento tra le quali i nostri colleghi di MelodicRock.it sono sicuramente i più accreditati.
Lo scorso anno, proprio in collaborazione con la famosa ‘zine, la label Tanzan Music ha prodotto il brano We Still Rock, creato e suonato da un gruppo di musicisti della scena nazionale sotto il monicker di I.F.O.R. (Italian Forces of Rock) proprio per omaggiare la webzine e tutti i fans della scena melodica mondiale.
A distanza di un anno questa splendida iniziativa è diventata qualcosa di più, grazie ad un concerto/evento il 1 Ottobre al Grindhouse di Padova, con i britannici Vega come headliners della serata.
Ora We Still Rock trova la chiusura del cerchio con questa compilation, che vede, oltre al brano degli I.F.O.R., una serie di inediti e versione rivisitate suonate da una buona fetta del meglio che la nostra scena può vantare in fatto di hard rock melodico, con i Vega a fare da padrini con la versione acustica di Every Little Monster.
Questa bellissima raccolta non poteva che partire con We Still Rock, stupendo brano da arena rock che vede come detto la partecipazione di musicisti dallo smisurato talento, ma il bello non finisce qui e farsi cullare dalle sontuose note di Together As One dei Laneslide o dalle trame dei tasti d’avorio di Love Nest dei Wheels Of Fire è un attimo.
Non mancano gruppi che per i lettori di MetalEyes (magari più indirizzati a sonorità estreme o metalliche ma che seguono i deliri del sottoscritto, amante della buona musica a prescindere dai generi) dovrebbero essere famigliari, come i clamorosi Soul Seller e la versione alternativa di Memories, tratta da quello scrigno di emozioni che risulta il loro ultimo Matter Of Faith, gli Alchemy con la grintosa Revolution e per concludere gli Highway Dream con Runaway.
Nel mezzo un apoteosi di classic hard rock, aor, arena rock e tanto talento che sprigiona da canzoni di rara bellezza come Gotta Get Away dei Charming Grace e Walk Away, emozionante tripudio di melodie dai grandiosi Danger Zone.
Questa eccellente iniziativa non va assolutamente trascurata, il livello dei protagonisti e la bellezza delle canzoni contenute ne fanno un cd da custodire gelosamente e imperdibile per gli amanti del genere, ma anche per quelli che hanno a cuore le sorti della scena underground.

TRACKLIST
01. I.F.O.R. – We Still Rock
02. Vega – Every Little Monster (Acoustic Version)
03. Laneslide – Together As One
04. Wheels Of Fire – Love Nest (Acoustic Version)
05. Alessandro Del Vecchio – Strange World
06. Charming Grace (feat. Nick Workman) – Gotta Get Away
07. Danger Zone – Walk Away (2016 Version)
08. Room Experience – No Time Yet For Lullaby (Alternative Vocals Version)
09. Soul Seller – Memories (Alternative Mix)
10. Hungryheart – Nothing But You (Acoustic Version)
11. Alchemy – Revolution
12. Highway Dream – Run Away

TANZAN MUSIC – Facebook

VV.AA. – Heavy Metal Eruption – The Italian Wave Of Heavy Metal

Un’opera di valore storico importantissimo per ogni appassionato della musica heavy metal

Eccoci a presentare una delle ristampe più importanti dell’ultimo periodo firmata dalla Jolly Roger Records.

La label nostrana ristampa in cd la storica compilation Heavy Metal Eruption-The Italian Wave Of Heavy Metal uscita nel 1983 per la Metal Eye di Claudio Sorge e curata da una firma illustre del giornalismo musicale italiano come Beppe Riva, all’epoca penna di Rockerilla e Hard’&’Heavy.
Stampata per problemi di budget in mille copie e divenuta in pochissimo tempo un Graal per i collezionisti, questa compilation si può considerare un documento storico per la scena metal che stava nascendo nel nostro paese, le band riunite dal giornalista a quel tempo ai primi passi nel mondo della musica dura, sono diventate monumenti della scena nazionale, ed in alcuni casi vere icone anche all’estero (Death SS).
Con i pochi mezzi a disposizione e tanta passione, Riva diede vita al primo esempio di come anche in Italia la musica Hard & Heavy, allora solo esclusiva dei gruppi stranieri, grazie al successo della New Wave Of British Heavy Metal cominciasse a parlare italiano.
La Jolly Roger licenzia la versione in cd, limitata a 500 copie, ed Heavy Metal Eruption torna a far risplendere le prime note metalliche di gruppi che in seguito si possono annoverare tra i padri del metal Made In Italy.
Dai Crying Steel e la loro Thundergods dalle sonorità vicine ai Judas Priest, all’horror metal dei maestri Death SS con la seminale Black And Violet, dalla Strana Officina e l’hard & heavy della loro Non Sei Normale, all’heavy metal scolpito nell’acciaio di Prisoners In The Box degli Steel Crown.
E poi ancora Halloween, i fenomenali Elektradrive di Lord Of The Ring, la super ballatona Freakish Footsteps degli Shining Blade, il mid tempo potente dei Revenge e della loro Angels In Leather, ed i meno conosciuti ma comunque importanti Rollerball e Ransackers.
Un’opera di valore storico importantissimo per ogni appassionato della musica heavy metal, almeno per chi ancora oggi segue in Italia le sorti della nostra musica preferita.

TRACKLIST
1 – Vikings (Halloween)
2 – Thundergods (Crying Steel)
3 – Black and Violet (Death SS)
4 – Non sei Normale (Strana Officina)
5 – Wild Town (Rollerball)
6 – Prisoners in the Box (Steel Crown)
7 – Lord of the Ring (Elektradrive)
8 – Angels in Leather (Revenge)
9 – Freakish Footsteps (Shining Blade)
10 – Death Line (Ransackers)

JOLLY ROGER RECORDS – Facebook

Carved – Kyrie Eleison

Un’ora di musica non è poco di questi tempi, ma la qualità è talmente alta che arrivare all’epilogo è un attimo e la voglia di ricominciare il viaggio insieme al protagonista è tanta.

La nostrana Revalve Records mostra i muscoli e ci regala in questo autunno che va a cominciare il secondo lavoro degli spezzini Carved, band di melodic death metal che già aveva ricevuto elogi con il precedente Dies Irae, uscito un paio di anni fa.

Kyrie Eleison segue il concept del primo lavoro, il racconto del viaggio del protagonista alle prese con figure mitologiche incontrate durante il suo peregrinare fino alla conclusiva battaglia finale.
Prodotto da Simone Mularoni ai Domination Studio, l’album conferma l’ottima proposta del gruppo ligure, un melodic death metal che non si ferma agli stilemi scandinavi ma si valorizza di atmosfere e sfumature orchestrali, portando un po’ di fresco vento italiano nel genere.
Infatti, oltre all’immancabile scena scandinava (Dark Tranquillity), sono i Dark Lunacy la band che più ispira il gruppo ligure, capace in questo secondo lavoro di toccare vette emotive veramente alte.
Inutile dire che i miglioramenti rispetto al primo lavoro sono tangibili e Kyrie Eleison risulta non solo un passo avanti deciso per la band, ma un lavoro che si piazza tra i migliori dell’anno nel genere.
Una vena progressiva prende a tratti il comando del songwriting e la musica del gruppo vola (Heart Of Gaia), quindi non solo con semplici melodie orchestrali che impreziosiscono il metal estremo, ma tramite bellissime parti dove, anche grazie alla tecnica dei musicisti, il sound si trasforma in una farfalla progressive, splendida protagonista di passaggi ariosi che, in un attimo si trasformano in perle estreme.
Perfette le due voci, specialmente quella pulita, non così facile da trovare nei gruppi che la usano, mentre nei Carved è emozionale e ben inserita nelle parti; spettacolari i passaggi orchestrali, capaci di offrire una certa enfasi al sound, così da rendere  Kyrie Eleison un lavoro completo sotto ogni punto di vista.
Un’ora di musica non è poco di questi tempi, ma la qualità è talmente alta che arrivare all’epilogo è un attimo e la voglia di ricominciare il viaggio insieme al protagonista è tanta.
Oltre alla già citata Heart Of Gaia, l’album è un susseguirsi di brani sopra la media con l’intensa Camlann, la carica Malice Stiker e i continui cambi atmosferici della sontuosa The Hidden Ones ad accompagnare l’album verso vette musicali molto alte.
Un album intenso, prodotto e suonato con tutti i crismi per non essere dimenticato tanto facilmente.

TRACKLIST
1.Viaticum
2.Malice Striker
3.Lilith
4.The Burning Joke
5.Heart of Gaia
6.Swamp
7.The Dividing Line
8.Absence
9.Faith
10.The Hidden Ones
11.Camlann
12.The Bad Touch

LINE-UP
Giulio Assente – Drums
Damiano Terzoni – Guitars
Alex Ross – Guitars
Lorenzo Nicoli – Vocals (backing), Bass
Cristian Guzzon – Vocals

CARVED – Facebook

Neravendetta – Magnum Chaos

La band sarda si dimostra capace di inanellare una serie di brani avvincenti, dalle sfumature epiche e spesso sconfinanti nel folk, che nulla hanno da invidiare ai gruppi del nordeuropa per intensità e credibilità

Ancora dalla Sardegna, ancora black metal, ancora di ottimo livello: dati di fatto che rappresentano un efficace indicatore del fermento regnante nella scena metal underground dell’ isola.

Questa volta sotto le nostre lenti di osservazione finiscono i Neravendetta, band cagliaritana che ruota attorno al duo Francesco Carboni – Marco Piu, coadiuvati dall’efficace operato di Giuseppe Novella alla voce.
Va detto subito che, rispetto ai corregionali dei quali ho avuto occasione di parlare recentemente (Solitvdo, Simulacro, VIII) i Neravendetta tralasciano, sia a livello sonoro che lirico, le pulsioni più introspettive o sperimentali per orientarsi decisamente verso il lato viking folk del genere, prendendo come ideale modello di riferimento gli imprescindibili Moonsorrow ma, ovviamente, personalizzando il sound immettendovi elementi melodici e tradizionali tipicamente mediterranei.
Magnum Chaos è il primo full length ed arriva, finalmente, dopo un decennio di attività intermittente che, quale altra traccia tangibile offre il solo demo autointitolato del 2009: un fatturato ridotto ma che, alla luce del valore di questo lavoro, diviene un elemento del tutto secondario.
La band sarda, infatti, si dimostra capace di inanellare una serie di brani avvincenti, dalle sfumature epiche e spesso sconfinanti nel folk, che nulla hanno da invidiare ai gruppi del nordeuropa per intensità e credibilità: spiccano, in una tracklist di grande solidità, Sirius e Sailing to Chaos, i due brani dai tratti più evocativi che sono quelli, forse non a caso, connotati maggiormente dall’efficace lavoro chitarristico di Carboni e dall’immissione, comunque misurata, di strumenti tradizionali, senza dimenticare i ritmi trascinanti dell’opener A Cosmic Journey.
Insomma, non c’è davvero nulla da eccepire sull’operato dei Neravendetta, ai quali non resta che augurare il crearsi di condizioni favorevoli affinché venga data continuità a quanto di buono è stato già fatto con Magnum Chaos, cosa che sarebbe senz’altro facilitata se alle loro spalle ci fosse un’etichetta in grado di valorizzarli.

Tracklist:
1. A Cosmic Journey
2. The Traveller
3. Sirius
4. Aldebaran
5. Polaris
6. Vega
7. Sailing to Chaos

Line-up:
Marco Piu – Bass
Francesco Carboni – Guitars, Keyboards, Drums
Giuseppe Novella – Vocals

NERAVENDETTA – Facebook