Earth And Pillars – Pillars I

Si rimane attoniti e piacevolmente allibiti nell’ascoltare canzoni di oltre quindici minuti, che come un vento impetuoso ci sradicano dall’abituale sradicamento del tempo come lo conosciamo, per portarci lontano, ma anche molto vicini alla nostra anima.

Il black metal è uno dei linguaggi musicali più ricchi e vari che siano mai esistiti.

Come in un laboratorio si possono acquisire elementi e conoscenze standard per poi fare qualcosa di completamente nuovo, una fotografia di un angolo ancora sconosciuto. Gli Earth And Pillars fanno proprio questo, inventano un qualcosa che non c’era prima, seppur usando elementi conosciuti. Si potrebbe definire per facilità il loro black metal come atmosferico, mentre sarebbe più appropriato dire che lo suonano nell’atmosfera, poiché la loro musica porta lontano, molto lontano. Pillars I è un disco di valore assoluto, incredibile dalla prima all’ultima nota, contenente un miliardo di emozioni, di lacrime e voli radenti su foreste innevate, ma soprattutto di libertà, sia di creare che di immaginare. Il gruppo fa una musica che è in parte suono, ma in gran parte sentimento, un sentire diverso rispetto a quello che possiamo provare. Nelle loro lunghe canzoni si alternano sfuriate e pezzi quasi elettro ambient, per poi riprendere il viaggio, mischiando sudore, freddo e morte. L’atmosfera che pervade il disco, il suo nucleo più nascosto è un magma che brucia incessantemente, un continuo cercare, un sublimare il nostro destino di sofferenza. Da molto tempo non si ascoltava un disco come Pillars I in ambito black metal atmosferico, come in altri ambiti. Si rimane attoniti e piacevolmente allibiti nell’ascoltare canzoni di oltre quindici minuti, che come un vento impetuoso ci sradicano dall’abituale sradicamento del tempo come lo conosciamo, per portarci lontano, ma anche molto vicini alla nostra anima. Ognuno qui deve aggiungere qualcosa di suo, lasciando il suo io, perché qui c’è di meglio. Tastiere, chitarre distorte, caverne e radure incontaminate.
Chiudere gli occhi ed ascoltare.
Stupefacente, sognante e tremendamente vivo.

TRACKLIST
1.Pillars
2.Myth
3.Solemnity
4.Penn

EARTH AND PILLARS – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Klee Project – The Long Way

Un’ opera rock moderna, a tratti sontuosa e dall’affascinante mood teatrale e, soprattutto, originale nel miscelare generi agli antipodi come per esempio il southern e l’elettronica .

Un’altra opera da annoverare tra le migliori uscite dell’anno in campo hard rock, anche questa volta nata nei nostri patri confini.

I Klee Project sono una sorta di super gruppo che vede unire i talenti di Roberto Sterpetti, cantante, ed Enrico “Erk” Scutti (ex Cheope, ex Figure of Six) ai cori e testi, a diversi musicisti di livello internazionale come Marco Sfogli (Pfm, James La Brie) alla chitarra, Lorenzo Poli (Vasco Rossi, Nek) al basso ed Antonio Aronne (Pavic, Figure Of Six) alla batteria, come se non bastasse l’importante contributo dell’orchestra sinfonica condotta da Francesco Santucci e di Tina Guo (Foo Fighters, Cirque Du Soleil, John Legend).
The Long Way è un concept basato su un viaggio, il sogno che si avvera di un musicista che attraversa l’ America sulla leggendaria Route 66 e da Memphis arriva nella città degli Angeli dove troverà l’amore , il successo, gli eccessi e la consapevolezza di dover ricominciare daccapo per ritrovare l’equilibrio perduto.
La musica che accompagna il protagonista attraverso le vicende narrate è un hard rock/alternative che spazia da bellissime ed emozionati note southern rock ad armonie orchestrali, dal metallo moderno ed alternativo all’ elettronica.
Un lavoro importante questo The Long Way, un’ opera rock moderna, a tratti sontuosa e dall’ affascinante mood teatrale, perfetta a mio parere da portare live come fatto per le storiche opere che hanno attraversato indenni più di quarant’anni di musica rock e, soprattutto,originale nel miscelare generi agli antipodi come per esempio il southern e l’elettronica .
Seguendo la trama e le varie vicende, il sound risulta vario, ma allo stesso tempo facile da seguire senza perdersi tra i generi e le moltitudini di sfumature.
Cantato, suonato e prodotto come e meglio di un top album internazionale, The Long Way vive di rock tradizionale e moderno, sudista e pop, metallico e melodico, duro come i riff forgiati nell’acciaio delle sei corde, delicato come il suono degli strumenti classici.
Tutte queste varianti e contraddizioni creano un suono entusiasmante ed è un attimo perdersi nella storia e nei vari capitoli che compongono l’opera.
Non ci sono brani migliori di altri, questo lavoro ha tutti i crismi dell’opera rock e come un’opera va ascoltata, capita e fatta propria. Bellissimo ed emozionante.

TRACKLIST
1.Everybody Knows
2.Southern Boy
3.The Long Way
4.If You Want
5.The Prisoner
6.Hereafter
7.Time Is Over
8.Your Sacrifice
9.Close To Me
10.You Should Be Mine
11.This Game
12.Lucrezia’s Night
13.Lucrezia’s Night (Reprise)

LINE-UP
Roberto Sterpetti – vocals
Enrico “Erk” Scutti – Chorus
Marco Sfogli – Guitars
Lorenzo Poli Bass
Antonio Aronne – Drums

KLEE PROJECT – Facebook

Noise Pollution – Unreal

Tutto è a suo posto e funziona, molto radiofonico e godibile, quasi troppo pulito.

Secondo disco per questo gruppo italiano di metal moderno.

Metal per l’appunto, con l’aggiunta di un piglio punk e reminiscenze di crossover. Tutto è a suo posto e funziona, molto radiofonico e godibile, quasi troppo pulito. La produzione è molto buona e fa risaltare il gruppo, ma su questo disco non c’è molto da dire. Ascoltare Unreal è un qualcosa che potrebbe piacervi, soprattutto se vi piace il metal che non fa male, ma è anche qualcosa che lascia indifferenti. I Noise Pollution sono bravi, suonano bene e hanno genuina passione, ma evidenziano il lato debole del metal cosiddetto moderno, ovvero quello di essere radiofonico ma in fondo vacuo, evanescente.
Questa recensione non è una stroncatura e nemmeno un elogio, ma una semplice constatazione. Se fossero americani venderebbero molto di più, perché questo suono oltre oceano è particolarmente apprezzato. Il consiglio è sempre lo stesso, ed è quello che dovrebbe sottinteso ad ogni recensione: ascoltate con orecchie vostre, fatevi un’idea, date a tutti una possibilità, le recensioni sono indicazioni e nella maggior parte dei casi sono indicazioni sbagliate, l’importante è stare sulla strada.

TRACKLIST
1.Breaking Down
2.MAD
3.Gone Forever
4.Shame
5.Unreal
6.God of Sadness
7.Hole inside me
8.Two Faced
9.We Can’t forget
10.Full of dreams

LINE-UP
Amedeo ‘Ame’ Mongiorgi – vocals
Tony Cristiano – guitar
John ‘Line’ Virzì – guitar, vocals
Lorenzo ‘Wynny’ Magni – bass, vocals
Chris ‘Labo’ Albante – drums

NOISE POLLUTION – Facebook

Mojuba – Astral Sand

Dimenticatevi lo stoner da classifica, in Astral Sand si picchia duro e si viaggia in un’atmosfera sabbatica

Da un’idea di Francesco Mascitti nel 2014 si formano i Mojuba, che arrivano all’esordio con Astral Sand tramite Red Sound Records.

La band, oltre al chitarrista e fondatore, vede Pierpaolo Cistola dietro al microfono e la sezione ritmica composta da Alfonso Bentivoglio alle pelli e Fabrizio Rosati al basso.
Un richiamo alle origini del blues nel nome (il “Mojuba” è una preghiera africana di lode e ringraziamento, da cui deriva il termine Mojo, l’amuleto magico che accompagnava i bluesman delle origini) ed una voglia matta di jammare sulle ali dello stoner rock, pescando ispirazioni dalle varie scene che si sono succedute nei decenni prima della fine del secolo scorso e lasciandole fluire in un sound dal clima psichedelico e rituale.
Dimenticatevi lo stoner da classifica dunque, in Astral Sand si picchia duro e si viaggia in un atmosfera sabbatica, in una lunga e messianica jam dove, nella coltre di nebbia causata da fumi illegali, hard rock settantiano, doom psichedelico e stoner rock si alleano per farvi perdere nei meandri di note che formano questo intrigante rito.
Atmosfere dilatate si alternano a bordate elettriche pesanti come incudini, la voce grezza ci accompagna tra le note che prendono forma nella nostra mente come fantasmi o spiriti danzanti, mentre la chitarra disegna riff di scuola Rise Above e di quei gruppi che si unirono alla famiglia di Lee Dorrian.
Un album che va assaporato fino all’ultima nota, in un crescendo che ha il suo picco proprio nell’ultimo brano, La Morte Nera: quattordici minuti di stoner doom che ipnotizza, destabilizza e porta all’inevitabile debacle psichica. Da avere.

TRACKLIST
1. Wawa Aba Tree
2. Drowning Slowly
3. Musuyidee
4. Lost in the Sky
5. Adobe Santann
6. Astral Sand
7. Sesa Woruban
8. La Morte Nera

LINE-UP
Francesco Mascitti – Guitars
Pierpaolo Cistola – Vocals
Alfonso Bentivoglio – Drums
Fabrizio Rosati – Bass

MOJUBA – Facebook

Oh My Dog! – Silent Scream

Primo ep per hard rockers lombardi Oh My Dog!, dal monicker simpatico ed originale ma con un sound che non scherza affatto.

Dopo i primi anni del nuovo millennio in cui i suoni moderni sembravano aver soffocato le sonorità classiche, in questo ultimo periodo le sonorità old school e vintage hanno ripreso il loro cammino sempre più alla luce del sole, anche se nelle sconosciute (ai più) strade dell’underground.

Nel nostro paese la scena hard rock può contare di numerose ed ottime band, dalle sonorità varie che vanno dal classico rock settantiano a quello street/sleazy degli anni ottanta, molte delle quali lo potenziano con dosi alquanto esplosive di groove dall’impatto moderno e catchy.
Tornando a sonorità più classiche vi presento il primo ep degli hard rockers lombardi Oh My Dog!, dal monicker simpatico ed originale (al sottoscritto ricorda Black Dog degli Zep), ma dal sound che non scherza affatto.
Il quintetto nasce sei anni fa per volere del chitarrista Sean Danzante e del batterista Stefano Ceriotti a cui si aggiungono il vocalist Anthony, la chitarra ritmica di Taia ed il basso di Alessandro, ed inizia la sua avventura nel mondo delle sette note suonando cover dei gruppi storici del rock; la voglia di cimentarsi con brani propri però è tanta e, finalmente, in questo fine anno giungono al traguardo del primo lavoro, un ep di tre brani dal titolo Silent Scream.
E’ una chitarra dal retrogusto blues che ci dà il benvenuto nel mondo musicale del gruppo: Atlantis, primo brano in scaletta, alterna atmosfere sofisticate a refrain di potente hard rock con l’ugola del singer in primo piano ed un più grintoso finale in crescendo.
Sfumature ed armonie orientali soni quelle che rinveniamo nella splendida From Alexandria To Istanbul (la Kashmir del gruppo), molto suggestiva nel suo andamento da viaggio epico, dove non mancano ottimi cambi di tempo e un bell’assolo, il tutto impreziosito da una intrigante vena prog.
Lady Godiva torna ad arricchirsi di atmosfere hard blues, tra Led Zeppelin e Deep Purple, concludendo questi quindici minuti di hard rock classico e davvero ben congegnato.
Una bella sorpresa: date un ascolto a Silent Scream e mettetevi comodi ad aspettare con me l’auspicabile primo full lenght, passo decisivo per la carriera degli Oh My Dog!

TRACKLIST
1.Atlantis
2.From Alexandria To Istambul
3.Lady Godiva

LINE-UP
Anthony – Vocals
Sean – Guitars
Taia – Guitars
Alessandro – Bass
Stefano – Drums

OH MY DOG! – Facebook

Deceit Machine – Resilience

Finalmente un album moderno nel quale viene data la giusta importanza al lavoro della chitarra solista, qualità non così scontata oggigiorno, che nella musica dei Deceit Machine torna (insieme alla voce) ad essere protagonista.

Ecco ci risiamo, mi ritrovo con un’altra bomba pronta ad esplodere nei vostri padiglioni auricolari, una deflagrazione di hard rock metal, moderno e coinvolgente, cantato, suonato e prodotto come meglio non si potrebbe e che non presenta la minima pecca … a parte forse il fatto che il gruppo, essendo italiano, rischia sempre di non essere presentato e supportato a dovere.

Il quartetto in questione si chiama Deceit Machine, arriva da Milano ed il suo debutta si intitola Resilience.
L’album è stato registrato da Larsen Premoli presso i Rec Lab Studios e vede la partecipazione dietro alle pelli di Federico Paulovich dei Destrage.
Il gruppo viene presentato come un’alternative metal band e se, si pensa al metal classico, l ‘accostamento ci può stare, ma a sentir bene è forse più giusto descrivere il sound del gruppo nostrano come un hard rock moderno che alterna aggressione metallica e vincenti melodie rock, grazie soprattutto all’enorme potenziale della voce di Michela Di Mauro, così come deii vari brani che compongono Resilience.
Si diceva hard rock, pregno di groove, metallizzato da un lavoro chitarristico eccellente (Gabriele Ghezzi), con assoli che a tratti richiamano la scuola classica, per poi seviziarci con riff che sputano sangue americano, alternando feeling hard rock e potenti muri di suono alternative.
La sezione ritmica concede poche ma significative tregue (nell’elegante e raffinata Here Now), per poi bombardarci senza pietà e, mentre il cd gira nel lettore, siamo arrivati alla sesta traccia (la devastante Watchdog) e la qualità continua a rimanere altissima.
Resilience è, finalmente, un album moderno nel quale viene data la giusta importanza al lavoro della chitarra solista, qualità non così scontata oggigiorno, mentre nella musica dei Deceit Machine torna (insieme alla voce) ad essere protagonista, virtù che piacerà non poco anche agli amanti dei suoni più classicheggianti ma con l’orecchio attento ai suoni del nuovo millennio.
Un album che raccoglie una serie di hit e li spara a cannone, mentre la Di Mauro fa scintille nella splendida Absence che, con la devastante Wonderland, fa da preludio al brano più bello di Resilience, Flow ispirata a mio avviso ai primi Soundgarden, quelli ancora selvaggi e veraci del capolavoro Louder The Love.
Dunque, che vi piaccia alternative metal o modern hard rock , poco importa, l’album è davvero bello e merita la vostra attenzione: band da supportare senza se e senza ma.

TRACKLIST
1. Shinigami
2. Garden
3. K.A.R.M.A.
4. Here Now
5. My Raven
6. Watchdog
7. Absence
8. Wonderland
9. Flow
10. Awakening

LINE-UP
Michela Di Mauro – Vocals
Gabriele Ghezzi – Guitar
Stefano Paolillo – Bass
Davide Ferrario – Drums

DECEIT MACHINE – Facebook

Søndag – Bright Things

I Søndag hanno un suono riconoscibile, anche grazie alla presenza di due chitarre con otto corde, e quindi accordature molto ribassate che danno un tono più corposo al tutto.

Band di Piacenza che fa un rock metal di gran lunga migliore di molti analoghi e decantati gruppi di oltreoceano.

La loro prima apparizione musicale è di quest’anno, con un omonimo ep di tre tracce, promosso dal videoclip No. Il gruppo non è debuttante, poiché è stato fondato sulle ceneri degli Edema, che avevano già una discreta esperienza. Il loro suono è molto americano, attingendo alla fonte sempre viva del metal rock, ma i Søndag dalla loro hanno una composizione superiore ed molto talento, e tutto ciò fa in maniera che il disco scorra molto bene, veloce e preciso, gustoso e pulsante. Certamente a tutto ciò ha giovato la registrazione ed il missaggio di Riccardo Demarosi, valorizzato dalla masterizzazione di Alan Douches negli States, uno che ha avuto fra le mani gruppi del calibro di Converge, Swans, Mastodon ed altri. I Søndag hanno un suono riconoscibile, anche grazie alla presenza di due chitarre con otto corde, e quindi accordature molto ribassate che danno un tono più corposo al tutto. Questo accorgimento riesce a dare un tocco decisivo, perché i Søndag portano il rock metal ad un livello più alto, ascoltare per credere.
Il gruppo piacentino mette in musica la cronaca dei giorni difficili e la voglia di vederne di più luminosi, con forza e con talento.

TRACKLIST
1. Sweet
2. Back In Town
3. Polite Rebel
4. Viper
5. Wax
6. Bright Things
7. Leftover
8. Spitfire
9. Time Has Come

LINE-UP
Marcello Lega – Guitars
Riccardo Lovati – Drums
Marco Benedetti – Guitars
Riccardo Demarosi – Voice, Bass

SONDAG – Facebook

Vicolo Inferno – Stray Ideals

Stray Ideals conferma l’ottima forma che sta attraversando l’hard rock made in Italy, la bravura dei Vicolo Inferno ed il fiuto della Logic(il)logic Records.

Lo street metal in quel di Los Angeles, ed il grunge di Seattle due generi agli antipodi, in questi ultimi tempi sono stati presi come ispirazione da molti dei gruppi di ultima generazione che, con sagacia, ne hanno manipolato atmosfere e sfumature e, con personalità ed una buona dose di talento, hanno creato un ibrido molto interessante, così da prendere per mano il rock e portarlo con dignità e forza nel nuovo millennio.

Nel nostro paese il genere ha trovato non poche ottime realtà a cui si aggiungono i Vicolo Inferno, combo proveniente dalla zona di Imola al secondo full length, successore del debutto Hourglass uscito sempre per Logic(il)Logic nel 2013 e di un primo demo (Hell’s Alley).
Prodotto da Riccardo Pasini ai Studio 73, ed accompagnato dal bellissimo artwork creato da Simone Bertozzi (The Heartwork), Stray Ideals è un altro ottimo esempio di hard rock moderno proveniente dal nostro paese, aggressivo quanto basta per non sfigurare al cospetto dei fans dai gusti metallici, pregno di quel groove che risulta marchio di fabbrica del sound odierno, valorizzato da una vena sudista che lo colloca tra migliori esempi di quel rock americano che regna sulla musica del diavolo.
Stray Ideals è tutto qui e non è poco, aggiungo, visto l’ottimo songwriting, con una produzione che spinge sulle ritmiche (Wallace al basso e Michele “Gollo” Gollini alle pelli) , la sei corde che non sbaglia un solo (Marco Campoli) tra urlanti suoni metal stoner, sanguigni passaggi dal retrogusto southern ed atmosfere rock’n’roll/post grunge da sogno americano.
La voce perfettamente in linea con le atmosfere dei vari brani, calda, aggressiva e cangiante di Igor Piattesi, fa il resto e tralasciando Two Matches, traccia leggermente fuori contesto dove il singer duetta con l’ospite Caterina Minguzzi, Stray Ideals è un susseguirsi di emozioni forti sulla route che collega Los Angeles a Seattle in compagnia del quartetto e delle varie Gray Matter Brain, Unnameables, la title track, la stupenda Ambush e l’hard rock arrabbiato di Noise Of Silence.
Stray Ideals conferma l’ottima forma che sta attraversando l’hard rock made in Italy, la bravura dei Vicolo Inferno, ed il fiuto della label nostrana, una garanzia per i suoni hard rock melodici, tradizionali o come in questo caso, moderni.

TRACKLIST
01. Gray Matter Brain
02. Dirty Magazzeno
03. Rude Soul
04. Stray Ideals
05. Two Matches
06. Unneameables
07. Ambush
08. Heartwoofer
09. On Road’s Edge (Intro)
10. The Rough Hills
11. Noise Of Silence
12. Crosses Market
13. Blood Mist

LINE-UP
Igor Piattesi – Vocals
Marco Campoli – Guitar
Wallace – Bass
Michele “Gollo” Gollini – Drums

VICOLO INFERNO – Facebook

Grodek – Downfall Of Time

Il disegno artistico dei Grodek trova già una propria parziale concretizzazione, esibendo in maniera convincente la robustezza delle trame death ed il senso di drammatica ineluttabilità del doom.

Secondo Ep per gli abruzzesi Grodek , band davvero interessante che si muove in bilico tra death melodico e doom in maniera, mantenendo sempre un invidiabile equilibro tra le varie componenti del sound.

Questa breve prova, intitolata Downfall Of Time (che si avvale, in copertina, di una splendida fotografia di Francesco Delli Benedetti), si lega in maniera ancora più esplicita al concept che sta alla base dell’opera dei quattro ragazzi di Vasto, ovvero quello di “cantare la decadenza, il vuoto ed il fango della nostra realtà, trasformando l’ansia e l’orrore in esperienza estetica”.
Un modo di definire la propria musica intrigante e sicuramente impegnativo, ma va detto che il sound dei Grodek non smentisce tale dichiarazione di intenti; i quattro brani, infatti, sono piuttosto nervosi e pervasi da una certa inquietudine e, dovendo trovare un possibile riferimento per inquadrare le sfumature musicali proposte, direi che, specialmente in From The Fog I Rose e Time And Black Tides, il primo nome che viene in mente sono i Novembers Doom.
Da sempre ritengo la band di Paul Kuhr piuttosto sottovalutata, pur essendo fautrice di un sound piuttosto peculiare e riconoscibile: il fatto che i Grodek in qualche modo li richiamino alla memoria, nello stile vocale di Matteo Colantonio e in diverse soluzioni sonore, è senz’altro un fattore positivo che non deve far pensare al contenuto di Downfall Of Time come un qualcosa di derivativo, semplicemente è normale per un gruppo alle prime uscite ricordarne, anche inconsciamente, altri già conosciuti.
Resta il fatto che, in questi 25 minuti, il disegno artistico dei Grodek trova già una propria parziale concretizzazione, perché oltre ai due brani citati, anche Naiade e The Pale Dame esibiscono in maniera convincente la robustezza delle trame death ed il tocco di drammatica ineluttabilità del doom.
Un’ottima prova per un gruppo che sembra già avere tutte le carte in regola per provare l’avventura su lunga distanza, proprio perché è netta la sensazione che questo sia solo l’inizio di un percorso musicale tutt’altro che banale.

Tracklist:
1. From The Fog I Rose
2. Naiade
3. The Pale Dame
4. Time And Black Tides

Line-up:
Matteo Colantonio – Vocals, Guitars
Tiziano De Cristofaro – Guitars
Alessandro Leone – Drums
Matteo Sputore – Bass

GRODEK – Facebook

Art X – The Redemption Of Cain

The Redemption Of Cain è un’opera bellissima e coinvolgente, a conferma del livello altissimo raggiunto dalla scena italiana che ci regala un altro lavoro di cui andare fieri.

Un’opera mastodontica quella che andiamo a presentarvi e che si può definire, a buon diritto, di proporzioni bibliche.

Infatti, in The Redemption Of Cain, è sulla vicenda di Caino e Abele che si sviluppa questa ennesima metal opera, creata in tutto e per tutto dal nostro Gabriele Bernasconi, singer degli heavy metallers Clairvoyants, un passato da tribute band degli Iron Maiden, e negli ultimi anni protagonista di un paio di ottimi album, prima dello scioglimento.
Il singer comasco non si è perso d’animo e, con l’aiuto di un nugolo di eccellenze del panorama hard & heavy mondiale, ha creato questo bellissimo lavoro che richiama chiaramente le opere degli Avantasia, ma vive di un songwriting eccelso, impreziosito da un numero impressionante di ospiti da lasciare a bocca aperta i maestri Sammet e Lucassen, e scrivendo un’altra sontuosa pagina di musica nobilmente metallica.
Andrè Matos, Roberto Tiranti, Amanda Sommerville, Zachary Stevens, Blaze Bayley, Steve Di Giorgio,Tim Aymar e Giuseppe Orlando, insieme a molti altri musicisti, fanno parte del cast di The Redemption Of Cain, sontuoso anche nell’artwork, ad opera di Eliran Kantor (Sodom, Testament, Iced Earth).
I sensi di colpa e la redenzione di Caino dopo l’omicidio perpetuato ai danni del fratello Abele, fanno da sfondo a questa opera epica, teatrale e tragica, splendidamente metallica nel suo incedere, contornata da un’aura di leggendaria epicità e che apprezzerete nel suo insieme, come nelle migliori opere musicali, pur non mancando di esaltare nei momenti più aggressivi.
Oltre alle varie interpretazioni, che vedono Tiranti nel ruolo di Abele, Matos nell’Aangelo di Dio, lo stesso Bernasconi in quello di Caino e poi la Sommerville in quella di Lilith, è Tim Aymar a strappare applausi nella velenosa Lucifer, confermando l’impegno che i vari artisti hanno messo per rendere The Redemption Of Cain qualcosa di unico.
Il sound alterna spettacolari e rocciose heavy power song ad atmosfere da rock opera, intrise di epica orchestralità in un susseguirsi di colpi di scena ed attimi dove si rasenta la perfezione interpretativa e creativa.
The First & The Second Sacrifice, con Matos e Tiranti sugli scudi, la già citata Lucifer, The Keeper Of Eden con l’ugola di Zachary Stevens a regalare brividi e la conclusiva e magnifica Eden, Finally…., dieci minuti di pura arte metallica, sono i brani che suggellano un’opera bellissima e coinvolgente, confermando il livello altissimo raggiunto dalla scena italiana e regalando un altro capolavoro di cui andare fieri.

TRACKLIST
1. Memoriae
2. Knowledge & Death
3. The First Sacrifice
4. The Second Sacrifice
5. Crime, Pain and Penance
6. Lilith
7. Lucifer
8. A Wife’s Love
9. The Keeper
10.Eden, Finally…

LINE-UP
Gabriele Bernasconi: music & lyrics, voice of Cain
Luca Princiotta: lead, rhythm and acoustic guitars
Oliver Palotai: keyboards, orchestral arrangements and FX
Steve Di Giorgio: bass
Giuseppe Orlando: drums

The Vocalists:
Blaze Bailey as Adam
Selina Lusich as Eve
Roberto Tiranti as Abel
André Matos as The Angel of God
Amanda Sommerville as Lilith
Tim Aymar as Lucifer
Lucia Emmanueli as Cain’s Wife
Zachary Stevens as The Keeper of Eden

ART X – Facebook

Insonus – Nemo Optavit Vivere

La capacità di variare le sfumature stilistiche da parte degli Insonus, rende Nemo Optavit Vivere un lavoro di un certo interesse.

Ep d’esordio per gli Insonus, duo italiano che va ad inserirsi nell’affolata scena black metal.

La maniera per farsi notare in questo specifico settore, tralasciando la remota possibilità che qualcuno che riesca ad introdurre particolari elementi innovativi nel proprio sound, è sicuramente quella di intepretare la materia in maniera coerente e competente, anche se non sempre si rivela ugualmente utile a raggiungere lo scopo.
Gli Insonus, in ogni caso, il loro compito lo svolgono in maniera egregia, con la proposta di un black che in certe parti sembra spingere più sul versante depressive, mentre in altre rimane nell’alveo della tradzione, il tutto però sempre con una buona propensione nel creare linee melodiche capaci di attrarre l’attenzione del’ascoltatore.
Proprio la capacità di variare le sfumature stilistiche da parte del duo, rende Nemo Optavit Vivere un lavoro di un certo interesse, proprio perché offre la sensazione di una ricerca musicale che va oltre la ripoposizione fedele degli stlemi del genere.
Così, se The Solution è una bella traccia nello stile dei migliri Arckanum, Bury Me esplora n manira decisa il versante depressive, con un andatura più rallentata ed il canonico scraming disperato a fare da corollario; Nihist Manifesto è un brano che, dopo un’introduzione pacata, diviene inarrestabile quando le ritmiche si fanno a trati parossistiche, mentre Life Hurts A Lot More Than Death è un pregevole episodio di matrice ambient.
L’ep indica senz’altro buone doti compositive da parte degli Insonus e gli scostamenti stilistici denotano il lodevole tentativo di non apparire eccessivamente calligrafici, cosa che riesce loro piuttosto bene: a mio avviso il brano più focalizzato ed incisivo è The Solution, ma anche i restanti risultano degni di una certa attenzione. Un esordio decisamente positivo.

Tracklist:
1. The Solution
2.Bury Me
3.Nihilist Manifesto
4.Life Hurts A Lot More Than Death

Line-up:
R. – Guitars, Additional Vocals, Songwriting
A. – Vocals, Lead guitars, Bass, Programming, Arrangements

INSONUS – Facebook

Roxin’ Palace – Freaks Of Society

Tredici brani per far rivivere ancora una volta il rito del rock’n’roll, con i suoi eccessi, le sue contraddizioni, i suoi successi e gli inevitabili fallimenti, ma assolutamente consolidato anche nel nuovo millennio.

Nell’underground metal/rock il ritorno della sonorità street/hard rock è diventato un piacevole dato di fatto, così a MetalEyes non passa giorno senza che arrivino pacchi virtuali al cui interno sono pronte ad esplodere travolgenti bombe a base di nitroglicerina rock’n’roll direttamente dal Sunset Boulevard.

E così vi presentiamo i Roxin’ Palace, gruppo italiano che, tramite la Sleaszy Rider Records, ci fa partecipi del secondo e selvaggio party, dopo la prima festa omonima licenziata nel 2013.
Nato da un’idea del chitarrista Alex Corona dei Revoltons, il gruppo conferma con Freaks Of Society l’ottimo livello della scena hard rock dai richiami street e sleazy che si è formata lungo lo stivale, un migliaio e rotti di chilometri su e giù per l’Italia a botte di sguaiato hard rock, come una lunghissima strada ad attraversare una Los Angeles ottantiana, in questo caso facendo pure l’occhiolino alla più attuale scena scandinava.
Freaks Of Society sta tutto qui e non è poco, aggiungo, con tredici brani inclusa ballad d’ordinanza a far rivivere ancora una volta il rito del rock’n’roll, con i suoi eccessi, le sue contraddizioni, i suoi successi e gli inevitabili fallimenti, ma assolutamente consolidato anche nel nuovo millennio.
Anche se il genere difficilmente tornerà a far bella mostra di sé nelle classifiche radiofoniche, è indubbio che negli ultimi tempi la fiamma è tornata a scaldare i cuori dei rockers tutti chiodo, mascara e Jack Daniels, con il nostro paese che non si è fatto trovare impreparato dando i natali ad almeno una decina di band tranquillamente in grado di conquistarsi un posto d’onore nel panorama odierno.
L’album dei Roxin’ Palace si posiziona nella parte più alta dell’ideale classifica, con il suo sound che regala quegli intramontabili spunti per i quali continuiamo ad essere innamorati di questo genere musicale, e allora, via con chorus da urlare in piena notte tra le vie di una città ormai deserta, solos taglienti che vi bruceranno dentro peggio dell’alcool ingurgitato per tutta la sera, riff scolpiti sui muri del Sunset Strip e ballatone per smaltire notti brave.
Monsters Love, Thai Of Mine, Monkey Junkie, Fading Idol: provate voi stare fermi, se ci riuscite …

TRACKLIST
1. Freaks Of Society
2. Monsters Love
3. Gangs Eraser
4. Thai Of Mine
5. Postatomic Hotel
6. L.A. Mist
7. Monkey Junkie
8. Rockers Of The Eagle
9. Neighbourhood Stars
10. Fading Idol
11. Freak
12. F.A.N.
13. Little Lizzy (bonus track)

LINE-UP
Al – Vocals
Crown – Guitars
Riggs – Guitars
Gian Roxx – Bass
Hell – Drums

ROXIN’ PALACE – Facebook

Axioma – Monolith

Gli Axioma giungono al primo capitolo della loro carriera con le carte in regola per non sfigurare nel mondo della musica estrema progressiva

Negli ultimi anni l’evoluzione del progressive death metal sembra essersi arenata, lasciando al solo talento la possibilità di valorizzare opere di musica a 360°, virtù principale di chi di questo sound fa il suo credo.

Nella capitale, dove la scena estrema nazionale trova una buona fetta delle migliori realtà della stivale, nascono gli Axioma, dal monicker che richiama Axioma Ethica Odini, album dei seminali Enslaved, licenziato nel 2010 ma a cui i riferimenti si fermano al titolo.
Benché lo storico gruppo scandinavo, nato come viking black metal band, inglobi nel suo sound molte delle componenti che negli anni l’hanno trasformato in un fulgido esempio di prog band estrema, i ragazzi romani volgono lo sguardo più agli Opeth e al death metal old school.
Monolith (mai titolo fu più azzeccato) è difatti un monolite oscuro e drammatico, una lunga jam estrema dove il quintetto romano, mantenendo ben salda la struttura death metal del proprio sound, la valorizza con un lavoro ritmico vario e deciso.
La velocità rimane moderata, le armonie si susseguono, tragiche ed intimiste, il growl è pesante e sofferto e l’atmosfera che regna tra i vari capitoli risulta animata da un’aura tragicamente intimista.
Non mancano riff ripetuti dai rimandi settantiani ed una voce femminile che appare come un fantasma, delicata ed eterea per poi sparire nei meandri ritmici creati dal gruppo.
Monolith è un lavoro che vive di emozioni e la band, a mio parere giustamente, sceglie di non divagare troppo nel mero tecnicismo, puntando sulle atmosfere e sull’emozionalità.
L’opener Hierophant e la conclusiva Reminiscence sono i brani che più dimostrano il valore del giovane gruppo romano, anche se Monolith va assaporato in tutta la sua interezza, come se fosse una lunga suite.
Gli Axioma giungono al primo capitolo della loro carriera con le carte in regola per non sfigurare nel mondo della musica estrema progressiva: un’ottima partenza.

TRACKLIST
1.Hierophant
2.Monolith of Fire
3.Rinnegato
4.Deception
5.Veil of Paroketh
6.Reminiscence

LINE-UP
Riccardo Montecchiarini – vocals
Gabriel Luigi Lattanzio – guitars
Andrea Maria Augeri – guitars
Jacopo Greci – bass
Jamil Zidan – drums

AXIOMA – Facebook

The Meaning Under – Cenotaph

Nell’anima di Cenotaph vivono e si scontrano luce e buio, sogni ed incubi, drammi e speranze, in perfetta e sontuosa armonia

Il prog metal, passata la tempesta Dream Theater tra la metà degli anni novanta e l’inizio del nuovo millennio, si è attestato su un buon livello di popolarità anche grazie alla moltitudine di contaminazioni a cui è andato incontro, soprattutto con il metal estremo.

Le opere che si affacciano sul mercato negli ultimi tempi dimostrano la maturità artistica di chi si approccia al genere, non solo ridotto a  scusa per sfoggiare l’indubbia tecnica dei musicisti, ma scrigno di emozioni, molto spesso melanconiche, drammatiche ed intimiste.
La musica progressiva ormai a tutti gli effetti alleata con i suoni metallici è entrata nel nuovo millennio a testa alta, merito anche della scena underground, caldo nido di talenti dalle qualità espressive notevoli.
Il nostro paese, come ci ha ormai abituati, regge il passo delle scene d’oltralpe con gruppi dalle enormi potenzialità, ne è un esempio questo ottimo lavoro di debutto dei padovani The Meaning Under, intitolato Cenotaph.
La band veneta non manca di sorprendere con un lavoro maturo e molto professionale, sei anni dopo il primo ep, Overflow; tra le sue fila si agita l’anima oscura e teatrale di Claude Arcano, vocalist degli industrial gothic A Tear Beyond, qui in coppia con il singer Ben Moro tra bellissime parti pulite e sfuriate in growl, toni gotici e dark che suggellano una prova vocale molto sentita.
Il sound del gruppo si muove tra lo spartito della seconda fase del teatro di sogno, meno metallo classico dunque e più musica intimista, un drammatico ed emozionante viaggio tra il prog metal del nuovo millennio, come già detto molto più attento ad emozionare che non a specchiarsi in inutili ghirigori tecnici.
Il cuore dell’album è, a mio avviso, il più emozionante con almeno due tracce di prog metal dalle tinte dark che non lasceranno indifferenti come Deceaved By A Promise e The Tower Of The One (sulla seconda Arcano torna ai fasti estremi di Maze of Antipodes), mentre la title track riassume il concept lirico dell’album con undici minuti di musica sopra la media e splendidamente interpretata dai due singer.
Un ottimo debutto di un gruppo dalle potenzialità enormi e dalle ottime idee: Cenotaph è un opera tutta da ascoltare, perché nella sua anima vivono e si scontrano luce e buio, sogni ed incubi, drammi e speranze in perfetta e sontuosa armonia.

TRACKLIST
1.The New Perspective
2.Superstructure
3.Command: Abort
4.The End of Civilization
5.Sons of a Lie
6.Deceaved by a Promise
7.The Tower of the One
8.Cenotaph (Buried with No Name)
9.Confession (Of a Dictator)

LINE-UP
Matteo Rosin – Guitars, Bass
Filippo Galvanelli – Keyboards
Claude Arcano – Vocals
Ben Moro – Vocals

Manuel Vendramin – Drums (track 2)
Marco Sanguanini – Drums (tracks 4-5)
Andrea Bevilacqua – Bass (tracks 3, 6)
Alessandro Quarin – Bass (tracks 4-5)
Andrea Cancedda – Bass (track 7)
Andrea Scaramella – Violin
Francesco De Santi – Violin
Laura Giaretta – Viola
Maurizio Galvanelli – Cello
Roxanne Doerr – Vocals (track 2)
Chiara Badon – Vocals (choirs) (track 1)
Paolo Veronese – Drums (tracks 3, 6, 8)
Francesco Tresca – Drums (track 7)
Marco Costa – Bass (track 2)

THE MEANING UNDER – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=OQW5jz9FnbE

Smokey Fingers – Promised Land

Con Promised Land, gli Smokey Fingers continuano il loro elettrizzante viaggio nella musica a stelle e strisce.

Non capita spesso di scrivere di southern rock sulle pagine di MetalEyes, ma, come un temporale estivo, ecco che si palesano sulla mia scrivania tre album di rock americano ed il mio orgoglio sudista se ne giova assai.

Due statunitensi (e non potrebbe essere altrimenti) e, con grande sorpresa, una tutta italiana sono le band che in questo periodo mi hanno regalato un po’ di quella splendida musica che dalle terre rurali e dalla frontiera americana nasce e si rigenera.
Negli Stati Uniti il genere è una tradizione che, nella provincia, si tramanda di generazione in generazione, ma provateci voi a partire da Lodi e trasformare le pianure del nord Italia nelle assolate terre del sud.
Gli Smokey Fingers ci sono riusciti alla grande, e con passione e talento continuano il loro viaggio nella musica americana, tra southern, blues e country rock, iniziato con il primo lavoro (Columbus Way) e ora in continua marcia verso la terra promessa con questo bellissimo ed emozionante Promised Land.
E di viaggio si tratta per davvero, visto che molti dei brani inseriti nell’album sono stati pensati proprio nell’ottica di un percorso on the road lungo gli States e in quei paesi dove il genere è nato e trova la sua naturale collocazione.
Con queste premesse, Promised Land non può che risultare uno scrigno di emozioni per chi si allontana per cinquanta minuti dalla vita di tutti i giorni, con l’intento di assaporare il profumo delle vaste distese della frontiera, con la polvere ed il sole che brucia gli occhi, la fresca brezza di tramonti infiniti e l’odore del whisky che attanaglia le narici all’entrata nei bar persi per le routes, tra coyotes e serpenti a sonagli.
Questo è southern rock classico, tra poesia sudista, riff di incendiario hard blues che marchierebbe un cavallo ed atmosfere collaudate certo, ma assolutamente reali, tanto da non far rimpiangere gli album blasonati dei gruppi americani di nuova generazione.
Malinconico come solo il southern sa essere (Last Train), ruvido quanto basta per essere apprezzato anche dagli amanti dell’hard rock (Black Madame, Thunderstorm), intriso di blues rock (Damage Is Done, Turn It Up), Promised Land è il naturale proseguimento del viaggio degli Smokey Fingers nella musica americana: inutile farvi il solito elenco di band a cui i nostri rockers si ispirano, al primo accordo tutto vi sembrerà chiaro e limpido come l’acqua di fuoco fatta girare nel bicchiere in un polveroso saloon.

TRACKLIST
01. Black Madame
02. Rattlesnake Trail
03. The Road Is My Home
04. Damage Is Done
05. The Basement
06. Last Train
07. Floorwashing Machine Man
08. Stage
09. Turn It Up
10. Thunderstorm
11. Proud & Rebel
12. No More

LINE-UP
Gianluca “Luke” Paterniti – lead & backing vocals
Diego “Blef” Dragoni – electric & acoustic guitars, banjo
Fabrizio Costa – bass
Daniele Vacchini – drums & percussions

SMOKEY FINGERS – Facebook

Lucid Dream – Otherworldly

Un album coraggioso nel non fossilizzarsi su schemi collaudati e perfettamente in grado di reggere il confronto con le altre realtà di una scena nazionale ormai importantissima nello scenario metallico europeo.

Col tempo stanno tornando con i propri nuovi lavori quelle band che, due o tre anni fa, licenziarono una serie di opere sopra la media e delle quali i liguri Lucid Dream fanno sicuramente parte, dopo la pubblicazione bellissimo The Eleventh Illusion.

La band capitanata dall’ axeman Simone Terigi, affiancato dal talentuoso vocalist Alessio Calandriello e dal buon Gianluca Eroico al basso, torna con il proprio terzo album (il primo, Visions From Cosmos11, uscì nel 2011) prodotto dallo stesso Terigi, mixato e masterizzato da Pier Gonella (Necrodeath, Mastercastle) ed accompagnato da un bellissimo digipack, .
Il trio di musicisti liguri (Paolo Raffo non fa più parte della line up sostituito alle pelli dall’ospite Paolo Tixi) riparte con rinnovata verve, cambiando le carte in tavola e lasciando da parte le sfumature hard blues che emergevano sul lavoro precedente, trovando nuove strade dove far viaggiare la propria musica che rimane di altissimo livello.
Otherworldy risulta un lavoro più diretto e metallico, prog hard rock metal d’alta scuola energizzato da una forte impronta heavy che concede, a tratti, qualche rifinitura più moderna sia nelle ritmiche che negli arrangiamenti.
Un disco diverso da predecessore, quindi, ma con il monicker del gruppo ben impresso sul sound, che non è cosa da tutti: le linee melodiche rimangono il piatto forte di Terigi e soci, sempre con un occhio ai Dream Theater e con un Calandriello meno sanguigno ma assolutamente sontuoso dove la melodia prende il sopravvento.
L’album parte diretto e metallico così che, appena lasciata l’intro, veniamo subito presi per il colletto da ritmiche serrate e riff metallici dal gustoso flavour moderno: Buried Treasure e The Ring Of Power riempiono la stanza di metal regale, con la seconda che si nutre del sangue maideniano e risulta la prima traccia da circoletto rosso dell’album.
Everything Dies torna a solcare le strade intricate del prog metal, mentre The Stonehunter chiude la prima parte del cd, quella dall’anima aggressiva e metallica, lasciando all’acustica di Terigi il compito di introdurci alla meravigliosa seconda parte, in un crescendo emozionale che inizia dalla splendida Magnitudes, continua con Broken Mirror (brano che evidenzia l’amore del gruppo per il teatro del sogno) e non trova fine, se non all’ultima nota della conclusiva The Theater Of Silence: una traccia strumentale da brividi che ci consegna una prestazione superba di Terigi alla sei corde, accompagnato sul finire del brano dai violini e dalla viola di Andrea Cardinale, Sylvia Trabucco e Sara Calabria, per un arrivederci alla prossima opera.
Un album che conferma quanto di buono i Lucid Dream avevano dimostrato con il precedente lavoro,  coraggioso nel non fossilizzarsi su schemi collaudati e perfettamente in grado di reggere il confronto con le altre realtà di una scena nazionale ormai importantissima nello scenario metallico europeo.

TRACKLIST
01. Intro
02. A blanket of stars
03. Broken mirror
04. Buried Treasure
05. Everything dies
06. Magnitudes
07. The ring of power
08. The stonehunter
09. The theater of silence

LINE-UP
Simone Terigi – Guitars, B. vocals
Alessio Calandriello – Vocals
Gianluca Eroico – Bass

Guests:
Paolo Tixi – Drums
Martina White – B. vocals
Andrea Cardinale – First Violin
Sylvia Trabucco – Second Violin
Sara Calabria – Viola

LUCID DREAM – Facebook

Peak – Into Your Veins

Un album da assaporare con attenzione per far vostre le atmosfere intrise di poetico disagio che i Peak riescono creano con maestria.

Tra la foschia notturna di una Torino grigia e malinconica nascono nel 2015 i Peak, quartetto alternative rock composto da quattro musicisti provenienti da diverse esperienze e generi musicali.

Riprendendo il titolo del loro debutto (Into Your Veins), nelle vene del gruppo scorre sangue infettato dal sound di Seattle, facendo assumere al corpo una posizione fetale, travolto da un mare di emozioni intimiste, tragiche e drammatiche.
Le scariche elettriche, a tratti rabbiose, non fanno che aumentare il senso di disagio interiore che si respira nei vari brani, facendone scaturire un’opera matura e molto personale.
Grunge e post grunge, troppo facile direte voi, ma non così scontato: il sound del gruppo si piazza perfettamente nel mezzo tra la prima ondata di gruppi partiti dalla piovosa Seattle e quella del post Kurt Cobain, con i mai troppo osannati Staind come ispirazione.
Into Your Veins vive di quelle atmosfere drammatiche e d’autore insite nella musica dei primi album di Mark Lanegan (Screaming Trees), mentre la potenza aumenta col in passare dei minuti prima del capitolo finale.
Non ci sono cali di tensione tra lo spartito dell’album e l’ alternanza tra parti intimiste e rabbiosi sfoghi alternative rock riempie di umori e colori sfocati la musica dei Peak.
Un disco molto sentito ed emozionale, con un paio di brani che il rock aggressivo rende  più agevoli all’ascolto (Fox 2: Anthem for a Doomed Youth e The Mole), ma che trova nel filone poetico e malinconico di matrice statunitense la sua massima ispirazione (A Life in a Breath e la title track).
Into Your Veins va assaporato con attenzione per far vostre le atmosfere intrise di poetico disagio che i Peak riescono creano con maestria.

TRACKLIST
1.Siren’s Silly Prayer
2.Into Your Veins
3.Dark Hour
4.A Life in a Breath
5.Fox 2: Anthem for a Doomed Youth
6.Waiting Over
7.White Stone
8.The Mole
9.Siren’s Silly Prayer (Acoustic)

LINE-UP
Simone Careglio – Vox & Guitar
Enrico Inri Lo Brutto – Guitar
Emanuel Tschopp – Bass
Roberto Cadoni – Drums

PEAK – Facebook
URL YouTube, Soundcloud, Bandcamp

Noveria – Forsaken

Trascurare questo secondo album dei Noveria sarebbe imperdonabile, non solo per gli amanti del prog metal, ma per tutti i cultori della buona musica.

Una band che al debutto licenzia uno straordinario lavoro come Risen (uscito un paio di anni fa e puntualmente recensito sulle pagine di iyezine) crea suo malgrado delle aspettative, almeno per chi ha avuto il piacere di imbattersi nelle evoluzioni power prog metal che il chitarrista Francesco Mattei e compagni aveavno riversato su quel splendido album.

Due anni sno un arco di tempo perfetto per tornare ad incendiare gli impianti stereo dei fans del genere con Forsaken, album che non perde un’oncia dell’alta qualità di cui era rivestita l’opera precedente, anzi: alla perizia tecnica ed il talento compositivo, la band aggiunge un quid emozionale per cui Forsaken vola tra le migliori uscite del genere, almeno nella parte finale di questo drammatico 2016.
E di drammaticità è pregno un lavoro dal concept non facile da trasformare in musica, adulto e maturo, una sfida che la band romana vince alla grande.
Forsaken, infatti, tratta dei cinque stadi dell’elaborazione del lutto teorizzati dalla psichiatra svizzera Elisabeth Kübler Ross, ed è dedicato ad una ragazza morta per un male incurabile.
I Noveria trasformano queste drammatiche e tragiche tematiche in musica sontuosa, dura, aggressiva, ma assolutamente colma di emozionanti atmosfere intimiste, traumi psicologici, drammi interiori che prendono corpo in un travolgente power prog metal, prodotto e suonato con tutti i crismi della top band.
D’altronde che i Noveria non fossero un gruppo qualunque lo si era abbondantemente riscontrato nel primo album,: Francesco Corigliano conferma d’essere uno tra i migliori vocalist di genere e non solo nel panorama italiano, Mattei con la sei corde entra di forza nel cuore di chi ascolta, mentre le tastiere disegnano travagli interiori ed emozionano accompagnando una sezione ritmica ispiratissima.
Prog metal come nella migliore tradizione, ma con l’asticella emotiva alzata al massimo, questo è Forsaken, con Shock che esplode in fuochi d’artificio metallici, When Everything Falls, che ci delizia con il duetto di Corigliano con la cantante Kate Nord, Hatred che spara missili con sulla fiancata la scritta Symphony X e la conclusiva Archangel, che congeda il gruppo, e ci lascia tra le mani e le orecchie un monumento al metallo potente e progressivo.
Trascurare questo secondo album dei Noveria sarebbe imperdonabile, non solo per gli amanti del prog metal, ma per tutti i cultori della buona musica.

TRACKLIST
01.Lost
02.Shock
03.Denial
04.When Everything Falls
05.Hatred
06.If Only
07.Isolate
08.(W)hole
09.Regrets
10.Utopia
11.Acceptance
12.Archangel

LINE-UP
Francesco Corigliano – Vocals
Julien Spreutels – Keyboards
Omar Campitelli – Drums
Francesco Mattei – Guitar
Andrea Arcangeli – Bass

NOVERIA – Facebook

Cavernicular – Cavernicular Ep

La scena del capoluogo siciliano non si ferma mai e non contenta della fenomenale musica a cui ci hanno abituati, questi talenti musicali ci regalano un’altra entità, che suona come un’orda di zombie punk infatuati per il grindcore.

Immaginatevi un’apocalisse zombie in una delle nostre due isole maggiori, La Sicilia.

Il virus che riporta in vita i cadaveri viene svegliato da un’operaio al lavoro nelle catacombe dei cappuccini a Palermo, un cimitero sotterraneo famoso in tutto il mondo dove riposano centinaia di cadaveri.
I primi corpi ad essere risvegliati e che porteranno il contagio anche in superficie, vengono in contatto uditivo con quello che scatenerà la loro insaziabile fame di carne umana, il primo ep degli hardcore/grindsters Cavernicular.
La scena del capoluogo siciliano non si ferma mai e non contenta della fenomenale musica a cui ci hanno abituati, questi talenti musicali ci regalano un’altra entità, che suona come un’orda di zombie punk infatuati per il grindcore.
Sandro Di Girolamo e Giorgio Trombino dei mai troppo osannati Elevators To The Grateful Sky e di altre creature musicali dall’enorme qualità che negli ultimi anni hanno valorizzato la scena palermitana, hanno unito le forze con il batterista Giorgio Piparo (Shock Troopers, Learn e con Trombino nel progetto Funky Smuggler Brothers) e Totò, singer dei power hardcore ANF, dando vita a questo ep di quattordici minuti di caos primordiale, violento, scarno e purulento come le piaghe che si aprono ad ogni passo dei non morti.
Un morso letale di musica estrema, famelica e senza compromessi, pura violenza iconoclasta che si abbatte furiosa ed aggressiva, uno tsunami apocalittico che non lascerà indifferenti gli amanti dei generi sopracitati.
Chiaramente i musicisti sono di gran livello, così che la sezione ritmica che impazza a velocità della luce, per poi rallentare di colpo come il passo strascicato e dondolante di uno zombie, con l’uso della doppia voce (il growl di Di Girolamo e lo scream di Totò) non lasciano scampo e Cavernicular diventa un altro ottimo esempio della stoffa e creatività di questi splendidi musicisti nostrani.
Un esperimento o qualcosa di più?
Chi vivrà (o meglio) sopravviverà vedrà, nel frattempo godetevi questa bomba sonora in arrivo sul continente dalla terra del fuoco siciliana.

TRACKLIST
1.DetoNation-Annihilation Alert (Coupe D’Etat)
2.Wires
3.WreckAge
4.Stare Down-Balls Explode
5.Deprived
6.Intent
7.Vile Manipulation
8.Archaic game
9.Killing Bias
10.Doctrine Junkies
11.Fine day For A Bomb Ride
12.Equality
13.No Way To Start
14.Triggered To React

LINE-UP
Totò – yells
Sandro – grunts
Furious G. – guitar
Piparino – drums

http://www.facebook.com/Cavernicular/?fref=ts

HI-GH – We Hate You

Si oscilla la testa e ci si muove al ritmo, nulla di più semplice e divertente, ma non è così scontato.

Se fai la cover di Bomber dei Motorhead, e la fai in maniera personale, oltre a sapere cosa ci aspetta, siamo pure contenti di ricevere il pugno in faccia.

Gli HI-GH fanno metal punk o punk’n’roll con fortissime influenze del caro vecchio metallo inglese. Amanti della velocità senza controllo e dalla distorsione accompagnata dalla doppia cassa, non c’è solo questo nella loro musica, anzi, in questo ep un metallaro vecchia scuola troverà molti motivi di gioia pura, come quando si cavalca sui territori tracciati dagli Iron Maiden, sempre però con un forte dose di personalità ed originalità. Certamente non è un suono nuovo, ma la difficoltà sta nel proporlo con stile, e gli HI-GH ci riescono benissimo. L’ep è il formato giusto per gustare questo breve compendio del metal classico, di quello spirito che si è perso in questi tempi, ma ci sono gruppi come gli HI-GH che che sono a difesa di questo suono. Si oscilla la testa e ci si muove al ritmo, nulla di più semplice e divertente, ma non è così scontato. Il gruppo romano fa un ulteriore passo in avanti e ci regala un ottimo ep.

TRACKLIST
1. Burn The School Down
2. The Last Love’s Path
3. Hallefuckin’ Luja
4. We Hate You
5. Where All Hell Breaks Loose
6. Bomber (MOTÖRHEAD COVER)

LINE-UP
Tommaso “Slowly” – Bass Guitars & Lead Vocals
Marco “Psyki” – Rhythm/ Lead guitars & Background Vocals
Marco “RedEyes” – Lead/Rhythm Guitars & Background Vocals
El Tito “Oki” – Drums, Background Vocals & Synth

HI-GH – Facebook