Kåabalh – Kåabalh

Un album capace di creare un immaginario fatto di luoghi inesplorati forieri di orrori lovecraftiani, che è più o meno ciò che si attende di ascoltare chi predilige tali sonorità.

Questa nuova band francese, nata dopo la fine dei Torture Throne, raggiunge risultati che con il marchio Kåabalh vanno ben oltre quelli raggiunti precedentemente.

Il death metal catacombale offerto in questo debutto omonimo è, contrariamente alle abitudini dei gruppi transalpini, del tutti privo di impulsi innovativi o di commistioni tra generi: quanto viene servito è un monolitico death i cui rallentamenti lo fanno sconfinare sovente nel doom per finire in scia di Incantantion e morbosa compagnia.
Per quanto sia difficile da credere, però, l’operato dei Kåabalh non risulta affatto derivativo perché il quintetto normanno non si limita a premere sull’acceleratore in maniera indiscriminata, né a riversare una spessa coltre di pece sull’ascoltatore (cosa che peraltro viene eseguita benissimo), ma prova a rendere il proprio prodotto relativamente meno ostico pur senza smarrire l’impatto primitivo del genere.
La pesantezza dei riff viene attenuata così da assoli piuttosto ficcanti e ben delineati melodicamente (Acheron, Dark Wrath Of A New God) ma va detto che quando la componente doom intacca la muraglia sonora creata dai Kåabalh si possono ascoltare i momenti più coinvolgenti del lavoro, come accade nel finale della notevole Death’s Ovation.
Un album capace di creare un immaginario fatto di luoghi inesplorati forieri di orrori lovecraftiani, che è più o meno ciò che si attende di ascoltare chi predilige tali sonorità.

Tracklist:
1. Cabal
2. Acheron
3. Wrath of a New God
4. The Complete Darkness
5. Heavy Boredom Death
6. Death’s Ovation

Line-up:
Damned – Vocals, Lead Guitars
Pierre – Guitars
Marco – Bass:
Fab Dodsmetal – Drums

KAABALH – Facebook

Hate Eternal – Upon Desolate Sands

Severo, epico e monumentale, Upon Desolate Sands non manca mai di mettere in primo piano una potenza devastante che rende i brani dei veri e propri abomini sonori, tra efferata violenza e tecnica eccellente.

Questa è una di quelle recensioni a forte rischio di sconfinamento nel banale, essendo troppo importante il nome coinvolto, un leggendario e storico monicker sinonimo di grande musica estrema e delle conseguenti aspettative da parte dei fans, andate creandosi man mano che si avvicinava il giorno di uscita dell’album.

Gli Hate Eternal di Erik Rutan, d’altronde, sono da oltre vent’anni nell’olimpo del death metal mondiale, uno dei nomi più importanti usciti da quel nido di mostri musicali che è la Florida..
Il leader (ex Morbid Angel) arriva con la sua creatura al settimo lavoro, un monolite di violenza intitolato Upon Desolate Sands, accompagnato da una copertina che è una vera e propria opera d’arte e dall’importante novità alla batteria, ora seviziata dal monumentale batterista tedesco Hannes Grossman (ex di una miriade di band tra cui Obscura e Necrophagist).
Sotto una coltre di oscura e temibile atmosfera, l’album risulta quindi un pesantissimo, marziale e violento esempio di death metal floridiano, tecnicamente ineccepibile senza sconfinare nella parte più cervellotica del genere ma mantenendo un’encomiabile legame con la tradizione per un risultato fresco ed assolutamente devastante.
Severo, epico e monumentale, Upon Desolate Sands non manca mai di mettere in primo piano la potenza accompagnata da un songwriting che fa di brani come l’opener The Violent Fury, All Hopes Destroyed o Portal Of Myriad autentici abomini sonori, tra efferata violenza e tecnica eccellente.
Prodotto dallo stesso Erik Rutan, l’album è un imprescindibile manifesto del death metal made in Florida firmato Hate Eternal.

Tracklist
1. The Violent Fury
2. What Lies Beyond
3. Vengeance Striketh
4. Nothingness of Being
5. All Hope Destroyed
6. Portal of Myriad
7. Dark Age of Ruin
8. Upon Desolate Sands
9. For Whom We Have Lost

Line-up
Erik Rutan – Guitar, Vocals
JJ Hrubovcak – Bass Guitar
Hannes Grossmann – Drums

HATE ETERNAL – Facebook

Cor Serpentii – Phenomankind

I Cor Serpentii si dimostrano un macchina ben oliata, perfetta nell’esecuzione vocale e strumentale ma molto meno algida di quanto il tipo di sound offerto potrebbe far supporre; in definitiva, Phenomankind è un lavoro indicato a chi vuole ascoltare musica complessa ma al contempo non aridamente intrisa di solo tecnicismo.

Phenomankind è il primo frutto discografico di questa nuova band composta da tre musicisti gravitanti nella scena estrema francese, con agganci a band come i Savage Annihilation, i disciolti Insain e gli Orakle.

Ed è proprio il mastermind di questi ultimi, Frédéric Gervais, ad offrire le ottime parti vocali in questo album che potrebbe apparire anche sorprendente, se non fossimo ormai da tempo tutti ben consci dell’obliquo incedere del death metal in certi ambiti della scena transalpina.
I Cor Serpentii si rivelano così un entità in grado di offrire il genere nelle sue sembianze più tecniche e progressive nel senso vero del termine, andando ad abbracciare molteplici sfumature che partono dai Nevermore più nervosi spingendosi fino alla sperimentazione folle di Devin Townsend e a quella più ragionata di Ihsahn, senza neppure tralasciare nei passaggi più estremi gli influssi dei connazionali Gojira. Tutto ciò serve per fornire un’idea di massima per inquadrare un lavoro che sfugge comunque ad un preciso tentativo di catalogazione, risultando naturalmente di assimilazione non semplice ma anche meno cervellotico rispetto a quanto fatto da Gervais con i suoi pur ottimi Orakle.
A Phenomankind manca solo un brano capace di catturare l’attenzione per fissarsi più saldamente nella memoria di un ascoltatore che viene, comunque, circondato e sopraffatto da un sound in costante cambiamento ma non privo di passaggi melodici, subito dopo spazzati via da arcigne progressioni strumentali.
I Cor Serpentii si dimostrano un macchina ben oliata, perfetta nell’esecuzione vocale e strumentale ma molto meno algida di quanto il tipo di sound offerto potrebbe far supporre; in definitiva, Phenomankind è un lavoro indicato a chi vuole ascoltare musica complessa ma al contempo non aridamente intrisa di solo tecnicismo.

Tracklist:
1. Retrieval
2. A Closer Signal
3. The Serpent’s Stratagem
4. Sand Storm
5. Theomachia
6. Rise of the Blind
7. Waves of Wrath
8. Reversed Evolution
9. Phenomankind
10. Ubik

Line-up:
Benoît Jean – bass
Nicolas Becuwe – guitars
Frédéric Gervais – vocals

COR SERPENTII – Facebook

Feral – Flesh For Funerals Eternal

I Feral non tradiscono e ci investono con tutta la loro inumana violenza tra ritmiche velocissime, solos, ripartenze, e melodie che fanno capolino tra la forza di un’onda d’urto che si alza inesorabile.

Torna a ruggire una delle band che ultimamente ha convinto di più nel riproporre lo storico sound nato all’alba degli anni novanta nel Nord Europa.

Stiamo parlando di swedish death e dei massacratori seriali chiamati Feral, che licenziano tramite la Transcending Obscurity il loro nuovo mortale lavoro, Flesh For Funerals Eternal.
A tre anni di distanza dall’ultimo bellissimo full length (Where Dead Dreams Dwell) e ad un paio dall’ep From The Mortuary, i cinque orchi svedesi tornano dunque con un altro mostruoso album nel quale lo storico genere viene glorificato da una decina di brani travolgenti.
I capisaldi ci sono tutti, perché i Feral sotto questo punto di vista non fanno mancare niente e aggrediscono mirando dritti alla giugulare, con il sangue che sprizza copioso mentre una cascata di riff vi sepellirà.
Flesh For Funerals Eternal non lascia respirare, la band è in piena forma e grazie ad un songwriting sopra la media sferra una serie ganci che stendono al tappeto, veloci, potentissimi ed assolutamente old school.
Questo è death metal scandinavo di origine controllata, valorizzato da un gruppo formidabile e da una raccolta di brani che da Vaults Of Undead Horror e passando per Gathering Their Bones, Of Gods No Longer Invoked e Buried colpiscono al cuore degli amanti del genere.
I Feral non tradiscono e ci investono con tutta la loro inumana violenza tra ritmiche velocissime, solos, ripartenze e melodie che fanno capolino tra la forza di un’onda d’urto che si alza inesorabile al passaggio di questo ennesimo mastodontico esempio di death metal scandinavo.

Tracklist
1.Vaults Of Undead Horror
2.Black Coven Secrets
3.Gathering Their Bones
4.Dormant Disease
5.Of Gods No Longer Onvoked
6.Accursed
7.Horrendous Sight
8. Stygian Void
9.Buried
10. Bled Dry

Line-up
Viktor Kingstedt – Bass
Sebastian Lejon – Guitars
David Nilsson – Vocals
Markus Lindahl – Guitars
Roger Markstrom – Drums

FERAL – Facebook

LIFELOST – Dialogues From Beyond

Phlegeton dimostra d’essere un ottimo musicista e Dialogues From Beyond rappresenta il miglior esordio possibile per il suo nuovo progetto, non a caso finito nelle grinfie di una delle etichette mondiali più attente all’underground estremo come l’indiana Transcending Obscurity.

Dialogues From Beyond è il primo album con il marchio Lifelost per il musicista basco Phlegeton, attivo nella scena iberica già da diverso tempo con molti altri progetti.

Questo, che è l’ultimo attivato in ordine di tempo, si rivela un’interpretazione di spessore della materia estrema, grazie ad un black death cupo e incalzante, ben eseguito e dall’assimilazione facilitata da una registrazione in linea con le aspettative.
I dialoghi con l’aldilà avvengono così in maniera aspra, esplorando i meandri più oscuri del genere per aprirsi leggermente solo con le due magnifiche Metanoia e Incorporeal Gate, non meno urticanti rispetto alle pur buone Malign Emanatio, Sepulchral Vault e Released from Life ma segnate da una parvenza melodica che consente al sound targato Lifelost di imprimersi con maggior successo.
Molte sono le band di un certo nome citate tra i possibili riferimenti stilistici, ma tutto sommato nell’album si rinviene una buona dose di personalità che lo sottrae al rischio di finire archiviato nel cospicuo novero delle copie sbiadite del già sentito.
Phlegeton dimostra d’essere un ottimo musicista e Dialogues From Beyond rappresenta il miglior esordio possibile per il suo nuovo progetto, non a caso finito nelle grinfie di una delle etichette mondiali più attente all’underground estremo come l’indiana Transcending Obscurity.

Tracklist:
1. Malign Emanatio
2. Sepulchral Vault
3. Released from Life
4. Metanoia
5. Incorporeal Gate

Line-up:
Phlegeton – Everything

LIFELOST – Facebook

Armageddon Death Squad – Necrosmose

La Francia è sempre più terra di covate metalliche estreme di ottimo livello, sia per quanto riguarda le sonorità death che quelle più diaboliche del black, e gli Armageddon Death Squad con il loro debutto non fanno che confermare questo trend positivo.

Debutto sulla lunga distanza per gli Armageddon Death Squad, ennesima proposta estrema in arrivo dalla Francia, terra che negli ultimi tempi sta regalando soddisfazioni agli amanti del death metal underground.

Necrosmose è il primo parto del quartetto proveniente da Strasburgo, un’opera di death metal classico, molto ben suonato e strutturato su molteplici cambi di ritmo.
La band transalpina scarica dodici mitragliate dal buon tiro, il sound richiama il genere di stampo americano, quindi tra le trame delle tracce troverete influenze e passaggi di scuola Bay Area in un contesto di livello per quanto riguarda la parte più tecnica; una botta di adrenalina lunga cinquanta minuti, pervasa da un’atmosfera estrema moderna, pur rimanendo legata a soluzioni che potremo definire senz’altro old school.
Il singolo A Last Sacrifice è un buon esempio di quello che gli Armageddon Death Squad hanno da offrire agli amanti del death metal, così come Mask Of The Dead Witch e la title track.
La Francia è sempre più terra di covate metalliche estreme di ottimo livello, sia per quanto riguarda le sonorità death che quelle più diaboliche del black, e gli Armageddon Death Squad con il loro debutto non fanno che confermare questo trend positivo.

Tracklist
1.Demons
2.Annihilation
3.Dust and Blood
4.A Last Sacrifice
5.One More Explosion
6.Mask of the Dead Witch
7.Dead Cold Planet
8.Necrosmose
9.Skeleton Satellite
10.Whispers of Supernova
11.Requiem
12.Guttural Romance

Line-up
Sylvain – Guitar, Vocals
Alain – Battery
Alexis – Guitar
Jo – Bass (session)

ARMAGEDDON DEATH SQUAD – Facebook

Haiduk – Exomancer

Haiduk offre un lavoro decisamente interessante e che non è rivolto esclusivamente a chi apprezza i virtuosi delle sei corde: qui alla base c’è una solida matrice estrema che conferisce al tutto un peso specifico in grado di trasportare Exomancer al di là di una semplice esibizione di tecnica strumentale.

Il progetto solista Haiduk, nonostante il monicker rimandi alla storia bellica della Serbia, fa capo al musicista canadese Luka Milojica, il cui cognome fa trasparire comunque origini slave.

Gli “haiduk” erano guerriglieri balcanici che lottarono contro la dominazione ottomana tra il XV ed il XIX secolo e, tutto sommato, anche la musica contenuta in Exomancer dimostra tratti decisamente bellicosi essendo improntata su un death black tecnico e melodico, nel quale la chitarra tesse in maniera pressoché incessante trame sonore intricate e talvolta dissonanti ma dallo scorrimento piuttosto fluido.
La proposta targata Haiduk non è comunque di facile assimilazione per la sua natura prevalentemente strumentale e anche per una certa reiterazione degli schemi che, però, non inficia in maniera determinante la bontà dell’operato del musicista di Calgary.
Le progressioni chitarristiche si susseguono incalzanti senza soluzione di continuità e ciò costituisce lo spartiacque che definisce il gradimento o meno del lavoro da parte dell’ascoltatore: Luka è indubbiamente uno strumentista di alto livello e già abbastanza rodato (questo è il terzo full length a nome Haiduk) e ciò gli consente di perseguire il proprio obiettivo con la necessaria disinvoltura unita ad un’apprezzabile sintesi.
La durata di Exomancer, infatti, è opportunamente contenuta in circa mezz’ora, il tempo giusto per apprezzare il susseguirsi vorticoso del lavoro strumentale di Milojica concentrato in dieci brani intensi e concisi; nonostante sia strutturato in maniera a suo modo rischiosa, Exomancer è un lavoro che riesce a non risultare mai tedioso e tale risultato sicuramente contribuisce il fatto che l’autore non si specchia nella propria bravura optando per un approccio molto diretto e saturando gli spazi con un incedere martellante che non lascia spazio a passaggi interlocutori.
Il nostro “haiduk” offre così un lavoro decisamente interessante e che non è rivolto esclusivamente a chi apprezza i virtuosi delle sei corde: qui alla base c’è una solida matrice estrema che conferisce al tutto un peso specifico in grado di trasportare Exomancer al di là di una semplice esibizione di tecnica strumentale.

Tracklist:
1. Death Portent
2. Unsummon
3. Evil Art
4. Subverse
5. Icevoid Nemesis
6. Doom Seer
7. Pulsar
8. Blood Ripple
9. Once Flesh
10. Crypternity

Line-up:
Luka Milojica – all instruments (guitars, vocals, drum programming)

HAIDUK – Facebook

Beyond Creation – Algorythm

Il quartetto dà alle stampe un lavoro molto interessante, cercando la giusta via di mezzo tra lo sfoggio tecnico ed il songwriting che, valorizzato da una parte progressiva sempre legata a quella estrema, dà vita ad un’ora di musica di ottimo livello per il genere suonato.

Se pensate di mettervi all’ascolto di questo bellissimo lavoro con la chimera di trovarvi al cospetto di qualcosa di mai sentito prima, allora lasciate perdere, ma se invece il technical death metal è una delle frange del metal estremo che più vi piace, allora i Beyond Creation ed il loro nuovo album intitolato Algorythm diventeranno uno dei vostri acsolti preferiti di questo ultimo scampolo d’anno.

La band canadese licenzia per Season Of Mist quest’opera tecnica e progressiva, assolutamente legata da un sottile quanto indistruttibile filo al death metal classico, ma valorizzato da un’ovvia tecnica sopraffina e da una forma canzone che non perde mai la strada di un’ottima fruibilità.
I Beyond Creation arrivano al terzo full length dopo i buoni riscontri ottenuti con il debutto The Aura e con il secondo album Earthborn Evolution, uscito quattro anni fa.
Il quartetto dà alle stampe un lavoro molto interessante, cercando la giusta via di mezzo tra lo sfoggio tecnico ed il songwriting che, valorizzato da una parte progressiva sempre legata a quella estrema, dà vita ad un’ora di musica di ottimo livello per il genere suonato.
Da Entre Suffrage Et Mirage in poi l’album è un susseguirsi di virtuosismi strumentali in un contesto in cui i brani hanno una loro precisa identità, tra parti ritmiche chirurgiche, accelerazioni, cambi di tempo ed atmosfere perfettamente bilanciate.
La title track risulta un brano da incorniciare: tecnica ed estrema gioca meravigliosamente con la doppia voce (growl e scream) e mantiene un mood progressivo incastonato nel furioso death metal dei Beyond Creation.
Le influenze sono quelle che troverete nella quasi totalità dei gruppi dediti al genere, ma brani come The Inversion sottolineano l’ottima vena del gruppo del Quebec, che ci tempesta di note progressive di matrice death metal.

Tracklist
1. Disenthrall
2. Entre Suffrage Et Mirage
3. Surface’s Echoes
4. Ethereal Kingdom
5. Algorythm
6. À Travers Le Temps Et L’Oubli
7. In Adversity
8. The Inversion
9. Binomial Structures
10. The Afterlife
Bonus tracks
11. Surface’s Echoes (Instr)
12. The Afterlife (Instr)

Line-up
Simon Girard – Vocals & Guitars
Kevin Chartré – Guitars & Back Vocals
Hugo Doyon-Karout – Bass
Philippe Boucher – Drums

BEYOND CREATION – Facebook

Siege of Power – Warning Blast

Il disco di crust punk dell’anno, un perfetto e feroce incrocio di hardcore anglo-americano e di death metal old school, eseguito da musicisti che sono autentici e noti maestri.

A volte da un progetto nato quasi per gioco o per semplice divertimento estemporaneo, può nascere bella musica.

Così è stato per Schmier dei Destruction con i suoi Panzer (già due dischi), così è per i Siege of Power, creati da musicisti americani (Chris Reifert degli Autopsy) ed olandesi (l’ex Asphyx Bob Bagchius), di chiara fama ed apprezzate qualità. I Siege of Power non fanno, peraltro, death – a parte le linee vocali, simili, nello stile, ai Morbid Angel di Abomination of Desolations (1986) – ma uno strepitoso crust-core con venti canzoni al fulmicotone, che si assestano più o meno tutte intorno ai due minuti, ad eccezione della più elaborata (e con qualche rallentamento doom) The Cold Room, sul finire del lavoro. E i suoni e lo stile sono pertanto molto anni Ottanta, ovviamente aggiornati dal quartetto in maniera attenta ed implacabile. Non vi è infatti un attimo di tregua nei solchi laser delle songs che vanno a comporre questo magistrale Storming Blast, quasi un omaggio alla tradizione di New York (leggasi Carnivore e SOD) e soprattutto anglo-britannica (i seminali Discharge ed anche gli indimenticati Amebix, dello storico capolavoro Arise, targato 1985), con opportuni inserti speed di classica matrice venomiana. Il disco è formidabile, tra i migliori dell’anno: non soltanto – si badi bene – un tributo al passato, ma un omaggio sincero quanto sentitissimo ad un approccio musicale e ad una visione della vita che non si estingueranno mai.

Tracklist
1- Conquest For What?
2- For the Pain
3- Bulldozing Skulls
4- Born Into Hate
5- Torture Lab
6- Uglification
7- Trapped and Blinded
8- Diatribe
9- Wraning Blast
10- Mushroom Cloud Altar
11- Lost and Insane
12- Bleeding For the Cause
13- Escalation ‘til Extermination
14- Privileged Prick
15- Short Fuse
16- Violence in the Air
17- It Will Never Happen
18- The Cold Room
19- Servant of Nothing
20- Mushroom Cloud Altar (bonus version)

Line-up
Chris Reifert – Vocals
Bob Bagchius – Drums
Paul Baayens – Guitars
Theo Van Eekelen – Bass

SIEGE OF POWER – Facebook

Vanhelgd – Deimos Sanktuarium

Suoni death intinti in aromi doom per i gli svedesi Vanhelgd: quinto ottimo disco per una band che non deve dimostrare più niente ed essere ascoltata con attenzione.

Prosegue incessante il viaggio artistico del quartetto svedese, attivo dal 2009 con Cult of Lazarus e giunto con Deimos Sanktuarium al quinto full length.

La band non ha mai disperso le proprie energie compositive in formati minori, tranne un EP nel 2010, preferendo il formato sulla lunga distanza per farci apprezzare il proprio suono. Ogni due anni, corredati sempre da belle cover create da Mattias Frisk, i Vanhelgd ci regalano momenti di grande musica death, intinta nel doom; non fa eccezione anche quest’opera, sette brani di medio lunga durata, dove si rimane intrappolati in un mondo sonoro disperato, angosciante e catacombale. Nel tempo la band ha rilassato i propri ritmi, non perdendo nulla in ferocia e in tensione, anzi mortifere cadenze death doom ci fanno piombare in mondi tetri e sinistri dove le chitarre tessono atmosfere opprimenti senza aver bisogno di correre all’impazzata. L’andamento sinistro e maligno di Profaned is the blood of the covenant è raggelante e velenoso fino alla paralisi completa dei nostri sensi. La band non reinventa la ruota ma conosce molto bene la materia death e sa plasmare con assoluta ispirazione un proprio suono, dove tutto è mirato al lento disfacimento organo sensoriale; tutto è più subdolo, non troviamo violenza gratuita o ritmi forsennati ma atmosfere claustrofobiche che attanagliano le viscere con il growl mefitico di Mattias e Jimmy Johansson a condurre le danze. I brani hanno tutti delle peculiarità: in The ashes of our defeat un pesante suono di organo ci porta indietro nel tempo, regalandoci momenti maestosi e disperati, mentre in The silent observer i ritmi più propriamente death si stemperano nella coda a più voci dal forte sapore epico. Ottimo disco da parte di una band ispirata che non deve dimostrare più niente ed essere ascoltata con attenzione..

Tracklist
1. A Plea for Divine Necromancy
2. Så förgås världens härlighet
3. Vi föddes i samma grav
4. Profaned Is the Blood of the Covenant
5. The Ashes of Our Defeat
6. The Silent Observer
7. Här finns ingen nåd

Line-up
Jimmy Johansson Guitars, Vocals
Mattias Frisk Guitars, Vocals
Jonas Albrektsson Bass
Mathias Westman Drums

VANHELGD – Facebook

Benighted – Dogs Always Bite Harder Than Their Master

Furia, velocità violenza, ritmiche indiavolate, scream e growl direttamente dal buco più profondo dell’inferno creano un sound personalissimo e di una brutalità stordente, confermando i Benighted come un mostro metallico abominevole.

La Francia estrema non manca di stupire con band e album notevoli, sempre all’insegna di una qualità che stupisce sia per quanto riguarda i suoni death che quelli black metal.

I Benighted sono da considerarsi dei veterani della scena transalpina, essendo nati nel 1998 dall’unione di un manipolo di musicisti provenienti da band death e black come Dishumanized, Darkness Fire e Osgiliath: tali forze, unite, provocano una serie di terremoti brutal death che invadono il mercato dall’alba del nuovo millennio con il primo devastante lavoro omonimo per continuare la loro micidiale missione con altri sette full length, di cui Necrobreed risulta l’ultimo malefico parto dello scorso anno.
I cinque brutal deathsters transalpini tornano con questo nuovo macello sonoro composto da tre tracce inedite, la cover della storica Slaughter Of The Soul degli At The Gates e sei brani live, per un totale di trentatré minuti di brutal/grind/black/death metal entusiasmante.
Furia, velocità violenza, ritmiche indiavolate, scream e growl direttamente dal buco più profondo dell’inferno creano un sound personalissimo e di una brutalità stordente, confermando i Benighted come un mostro metallico abominevole.
Le sei tracce live, poi, confermano la bravura del gruppo in quel contesto, tanto che la voglia di vederli in un concerto, magari in qualche locale del nord Italia, aumenta man mano che la musica deflagra dalle casse dello stereo ormai allo stremo.
I Benighted sono una delle più convincenti realtà underground del metal estremo, non solo transalpino, fate vostro questo lavoro e non potrete fare a meno di recuperare anche gli album precedenti.

Tracklist
1.Teeth and Hatred
2.Martyr
3.Dogs Always Bite Harder than Their Master
4.Slaughter of the Soul (At the Gates cover)
5.Reptilian (live)
6.Cum with Disgust (live)
7.Spit (live)
8.Necrobreed (live)
9.Unborn Infected Children (live)
10.Foetus (live)

Line-up
Julien Truchan – Vocals (lead)
Emmanuel Dalle – Guitars
Fabien “Fack” Desgardins – Guitars
Pierre Arnoux – Bass, Vocals (backing)
Kévin Paradis – Drums

BENIGHTED – Facebook

Deathcrush – Hell

Un favoloso disco di brutal death italiano, per amanti ed affezionati di Incantation, Morbid Angel e Vader, con pregevoli tocchi black.

Chiamarsi Deathcrush è senz’altro impegnativo, visto che fu il titolo del primo disco dei Mayhem.

I sardi non temono comunque confronti, con oramai quindici anni di vita e varie uscite discografiche, tra demo, singoli e split, oltre a vari concerti, con Obituary e Hour of Penance. Questo loro secondo lavoro è un fantastico disco di brutal-black, in linea con le migliori cose di Immolation, Acheron ed Angel Corpse. Nei brani più tecnici ed epici, magniloquenti e marziali, ci possono altresì venire in mente i Nile e i Behemoth. Ma i Deathcrush sono i Deathcrush: devastanti e brutali, con un basso ed una voce realmente da paura. L’interplay chitarre-batteria è poi davvero da applausi, con riff ottimi e molto floridiani. King of Rats è, inoltre, puro e gelido black metal di alta scuola, mentre nella conclusiva Deny the Crucifix aleggia potente il fantasma dei Deicide del masterpiece Legion (1992). Hell è un disco fenomenale e i Deathcrush sono una grandissima band, null’altro da dire. Da avere senza se e senza ma.

Tracklist
1- Incest Of The Wretched
2- Eucharisty Of Worms
3- Lost In The Vortex Of Heretics
4- Blasphemik Souls
5- Dethroned Arcangels
6- Mors Mori 3002
7- Crowning The Beast
8- Spreading The Chaos
9- King Of Rats
10- Deny The Crucifix

Line-up
Luigi Cara – Vocals / Bass
Andrea Sechi – Guitars
Giampiero Serra – Drums

DEATHCRUSH – Facebook

Grind Zero – Concealed in the Shadow

Ottima conferma da parte della band lombarda, la cui proposta rivede con gusto e buona personalità la tradizione del miglior death di marca svedese.

Tornano a farsi sentire gli ottimi deathgrinders milanesi Grind Zero, a quattro anni di distanza dal debutto Mass Distraction.

In quaranta minuti, questo nuovo Concealed in the Shadow migliora in modo ulteriore le quotazioni del quintetto lombardo, ora con un nuovo e preparatissimo batterista. Il sound s’è fatto più ricco e professionale, del resto a masterizzare il CD è stato il grande Dan Swanö. Concealed in the Shadow aggiorna, si può dire, lo Swedish Death più old school, con chitarre grattugiate, sorrette da una passione posta al servizio dell’impatto complessivo dei singoli brani. In particolare, songs come Corrosion e Sodomizing The Sun palesano con forti vibrazioni sonore tutta la carica, l’enfasi e l’entusiasmo di questi ragazzi. Anche in Lost Shrine, dalla verve più melodica, i Grind Zero di certo non deludono. La strada imboccata è pertanto quella giusta ed il prodotto finale è ottimo, sotto tutti i punti di vista. Impeccabile la registrazione.

Tracklist
1- Soul Collected
2- Corrosion
3- See You in Hell
4- Master’s Pleasure
5- Sodomizing the Sun
6- A Shadow
7- Lost Shrine
8- Buried Deception
9- The Horde
10- Cursed By My Path

Line-up
Alex Colombo – Bass
Marco Piras – Vocals
Udo Usvardi – Guitars
Mr. D. – Guitars
Emanuele Prandoni – Drums

GRIND ZERO – Facebook

Balance Of Terror – World Laboratory

I Balance Of Terror non conoscono limiti, sono brutali e feroci, passano con disinvoltura dal brutal death al grind, in un delirio metallico valorizzato a dovere da un’ottima produzione, che lascia percepire ogni sfumatura e nota di cui sono composte le sette tracce più intro presenti sull’album.

Questo devastante lavoro è stato licenziato lo scorso anno, ma la qualità altissima della musica prodotta dai francesi Balance Of Terror merita sicuramente di essere condivisa con i lettori dai gusti estremi della nostra webzine.

Il gruppo transalpino ha iniziato la sua estrema missione nel 2014 e World Laboratory rimane, per ora, l’unica testimonianza del massacro sonoro creato da questa mostruosa creatura.
Mezzora di death/grind tecnico e devastante, una bomba atomica che esplode e distrugge con il suo micidiale vento, formato da blast beat al limite dell’umano, uso della voce che passa dal growl profondo allo scream di matrice hardcore, fino alla timbrica gutturale e animalesca classica del grind e del brutal, con chitarre portate sulla soglia dell’implosione.
I Balance Of Terror non conoscono limiti, sono brutali e feroci, passano con disinvoltura dal brutal death al grind, in un delirio metallico valorizzato a dovere da un’ottima produzione, che lascia percepire ogni sfumatura e nota di cui sono composte le sette tracce più intro presenti sull’album.
Non c’è pace ne speranza per chi si imbatte in Gap o nella title track, i Balance Of Terror con questo ottimo lavoro corrono verso il disfacimento totale con una serie di mitragliate estreme da far impallidire Napalm Death, Brutal Truth e compagnia.

Tracklist
1.Intro
2.Gap
3.Erase
4.Intelligence Failure
5.Rest In Beast
6.Wave Of Panic
7.World Laboratory
8.Ecclesiastical Putridity

Line-up
Quentin Guilluy – Bass
Mat Trak – Drums
Gaz Oil – Guitars
Flo Butcher – Vocals
Jean Gui – Guitars

BALANCE OF TERROR – Facebook

Ur Tid – Toward Dark Endless

La prima prova targata Ur Tid si rivela senza dubbio positiva, in quanto regala quasi mezz’ora di musica godibile, anche se indubbiamente il prossimo step per Sjöblom dovrà necessariamente essere quello di donare al proprio sound una pizzico di peculiarità in più.

Altro giro altro progetto solista di un musicista alle prese con la propria interpretazione del black death metal.

Questa volta è il turno dello svedese Johann Sjöblom (membro dei validi In My Embrace) che con il marchio Ur Tid propone l’ep d’esordio intitolato Toward Dark Endless.
Siamo ovviamente nell’ordine dello stile ampiamente consolidato all’interno della scena scandinava, quindi troviamo ritmiche incalzanti, un gran gusto melodico ed una padronanza del genere che consente a Sjöblom di offrire sei brani interessanti nonostante si muova all’interno di un solco ampiamente sfruttato.
Il black death che troviamo in Toward Dark Endless possiede una venatura folk che ne favorisce la fruizione senza farne smarrire la connotazione estrema: il risultato è più che soddisfacente, con il picco rinvenibile in un bellissimo brano come Skuggfolket, trascinante ed incisivo, in linea con l’operato delle migliori band nordiche del settore.
La prima prova targata Ur Tid si rivela senza dubbio positiva, in quanto regala quasi mezz’ora di musica godibile, anche se indubbiamente il prossimo step per Sjöblom dovrà necessariamente essere quello di donare al proprio sound una pizzico di peculiarità in più, per evitare di finire nell’ampio calderone nel quale confluiscono realtà valide ma prive di quel quid in grado di farle emergere.

Tracklist:
1.Towards Dark Endless
2.Into Oblivion
3.A World In Darkness
4.Skuggfolket
5.Ur Tid
6.The Preacher And The Prophet

Line-up:
Johann Sjoblom

UR TID – Facebook

Blasphemy – Blood Upon The Soundspace

La ristampa ci fa vedere i Blasphemy nella loro dimensione migliore, quella della saletta prove, il loro territorio di caccia, con un tipo di registrazione che si può far anche oggi, ma che non avrebbe quella potenza che aveva e che possiamo ascoltare qui.

Ristampa del primo satanico lavoro dei canadesi Blasphemy, vera a propria band di culto del black death metal.

Questo disco raccoglie i primi lavori in sala prove del gruppo nel lontano 1984. La Nuclear War Now ! Productions ha riportato alla luce la devastazione dal vivo in sala prove che i nostri registrarono su nastro in poche copie; una di queste fu inviata nel maggio 1989 dal bassista Black Winds a Metalion di Slayer Magazine, ed è stata poi masterizzata molto bene da James Plotkin. La cassetta si pone tra il demo Blood Upon The Altar e il debutto su lunga distanza Fallen Angel Of Doom, infatti tutte le canzoni ad eccezione di War Command entreranno nel disco, destinato a diventare di culto. Questa ristampa è l’occasione più unica che rara di ascoltare tutta la potenza devastatrice dei Blasphemy praticamente come se fossimo in saletta con loro. Il primo brano, Darkness Prevails, è molto disturbato e saturato, ma poi in seguito l’audio migliora, anche grazie al grande lavoro di Plotkin, ed è così che deve essere, perché forse questo è il documento che attesta al meglio il vero suono di un gruppo che è passato alla storia forse più per gli atteggiamenti che per la sua musica. E quest’ultima è, come ben riprodotto qui, un’orgia di devastazione e velocità, rendendo questa cassetta una testimonianza di come era un certo metal a fine anni ottanta. I Blasphemy indicheranno la via a molti gruppi, ed infatti i canadesi sono indicati come influenza da moltissime band odierne. Blood Upon The Soundspace è un disco che va a mille, con un suono che farà la gioia di chi ama il war metal più selvaggio e a tratti scomposto, esagerato come lo fu la band canadese, e come lo è ancora dato che sono in attività tuttora, ma senza quella verve degli anni che furono. Ascoltando queste registrazioni non si dovrebbe fare il confronto con la loro versione su Fallen Angel Of Doom, perché sono di natura differente. Anche su disco sono valide, sicuramente molto più complete e prodotte meglio, ma qui hanno una carica selvaggia, una potenza primordiale veramente devastante. La ristampa ci fa vedere i Blasphemy nella loro dimensione migliore, quella della saletta prove, il loro territorio di caccia, con un tipo di registrazione che si può far anche oggi, ma che non avrebbe quella potenza che aveva e che possiamo ascoltare qui. Oltre che un documento molto importante, una dimostrazione di cosa possa essere il metal realmente selvatico.

Tracklist
1.Darkness Prevails
2.Hording of Evil Vengeance
3.Desecration
4.Goddess of Perversity
5.War Command

Symphony of Symbols – Historiocriticism

Oscurità e soffocanti atmosfere regnano sovrane in questo Historiocriticism, nuovo e mastodontico lavoro in cui atmosfere glaciali e liquide e metal estremo brutale e devastante creano un sound vorticoso, violento ed abissale.

MetalEyes vola virtualmente in Ungheria per fare la conoscenza dei Symphony Of Symbols, band che del death metal oscuro possente e brutale fa il suo credo.

Fondata dal chitarrista Sándor Hajnali e dal batterista István Forró nel 1997, il gruppo inizia la sua avventura nel mondo del metal estremo come death/black metal band; il suo esordio infatti (Fall of Enigma licenziato nel 2002) si avvale di un sound ispirato alla scena polacca, storica in questo tipo di sonorità.
Dieci anni e vari assestamenti di line up portano al secondo lavoro targato 2012 (Stupefying Beliefs) sotto l’ala della Metal Scrap, con il sound proposto che si avvicina a quello offerto in questo ultimo album, ovvero un death metal brutale, tecnico e progressivo.
Oscurità e soffocanti atmosfere regnano sovrane in questo Historiocriticism, nuovo e mastodontico lavoro in cui atmosfere glaciali e liquide (Gates) e metal estremo brutale e devastante (Verity In The Legends), creano un sound vorticoso, violento ed abissale.
Il growl di matrice brutal estremizza se è possibile ancora di più il concept musicale di questo macigno sonoro, ad opera di un quartetto che a livello tecnico sa il fatto suo, risultando apprezzabile anche sotto l’aspetto creativo.
Un’ora secca di scale musicali ed atmosfere chirurgiche, pervase da un’atmosfera terrificante (Giant Signs, In The Serve Of Evil), che sfumano su brani di progressive death metal pregno di sana pesantezza estrema, che non lascia trasparire debolezze ma ci travolge compatta come un carro armato in Pyramid Cities e The First Nation, The Last Survivor.
Morbid Angel e Suffocation sono le maggiori fonti di ispirazione per il gruppo ungherese, da considerare una sorpresa anche se il nome circola dal lontano 1997: se non li conoscete, recuperate il tempo perso, non ve ne pentirete.

Tracklist
1.Flood
2.Dispersion
3.Gates
4.Pyramid Cities
5.Rings
6.Verity in the Legends
7.Giant Signs
8.Beyond Earth
9.In the Serve of Evil
10.The First Natoin, the Last Survivor
11.Everything Reveals

Line-up
Kovács Zoltán Frigyes – Vocals
Sándor Szalkai – Guitar
Tamás Mezey – Bass
István Forró – Drums

SYMPHONY OF SYMBOLS – Facebook

Mongol – The Return

Il gruppo canadese celebra in maniera possente le gesta dei mongoli e del loro estesissimo impero, con un folk metal molto ben composto ed eseguito con vigore.

Il folk metal è un linguaggio musicale dalla grande varietà e forza, che può essere declinato in molte maniere e lascia molta libertà a chi lo adotta.

I canadesi Mongol lo usano per narrare le gesta degli antichi mongoli e di Dschinghis Khan, il mitico condottiero che li condusse ad avere un impero di grandi dimensioni, ma soprattutto ad entrare nella storia come popolo guerriero, anche se erano molto più di ciò. Le dominazioni mongole arrivarono alla porte dell’Europa, e stupisce vedere quanto conquistarono, specialmente nel medio e nell’estremo Oriente, diventando uno degli imperi più estesi della storia, ma anche uno dei meno conosciuti, almeno in occidente. Il gruppo canadese celebra in maniera possente le loro gesta, con un folk metal molto ben composto ed eseguito con vigore. Le parti migliori delle loro canzoni sono quando avanzano compatti e cantano coralmente, dando vita a momenti molto intensi e di grande presa. Il lavoro è generalmente di buona qualità, confermando e superando quanto fatto in precedenza, mettendo maggiormente l’accento sulla velocità e sulla potenza, sempre ben presenti. Ben strutturato è anche l’uso degli strumenti tipici, ma i Mongol rimangono più metal che folk. Molti pezzi saranno devastanti dal vivo, perché si sente che sono stati studiati per la quella dimensione che è quella naturale per questi barbari. In certi frangenti si è maggiormente vicini al black death che al folk, ma poi si torna sempre all’ovile, dimostrando una non comune versatilità nel cambiare registro. Uno dei gruppi più interessanti del folk metal nordamericano e non solo.

Tracklist
1. Prophecy of the Blind
2. The Return
3. Sacrificial Rites
4. Takhil
5. Amongst the Dead
6. To the Wind
7. Dschingis Khan
8. The Mountain Weeps
9. River Child
10. Warband

Line-up
Tev Tegri – Vocals
Zev – Lead Guitar, Folk Instruments, Clean Vocals
Zelme – Rhythm Guitar, Backup Vocals
Sorkhon Sharr – Bass
Sche-khe – Folk Instruments & Keyboards
Bourchi – Drums

MONGOL – Facebook

Burial Invocation – Abiogenesis

Ottimo debutto dei turchi Burial Invocation capaci di intrecciare tante nobili influenze death all’interno del loro suono. Old school proiettata nel futuro.

Ottimo affresco di death metal contemporaneo è il debutto dei turchi Burial Invocation che, dopo una attesa durata sette anni, rilasciano un notevolissimo disco che si nutre di old school ma si proietta nel futuro.

Attiva, per breve tempo, nel 2010 con Rituals of the grotesque EP e successivamente con uno split con i nipponici deathster Anatomia, nel 2011 la band si è poi sciolta, rientrando sulla scena solo nel 2014 e arrivando ora al debutto, per la benemerita Dark Descent che mi lascia sempre sbalordito per la qualità del suo catalogo.
Chi segue con attenzione le loro uscite difficilmente rimane deluso. Il terzetto turco ci propone cinque brani densi, impattanti sia come forza sia come atmosfera e fino dall’opener Revival si è proiettati in un sound caleidoscopico, cangiante, in cui la chitarra del principale compositore Cihan Akun crea momenti feroci alternati a variazioni allucinate e dal sapore psichedelico, infarcendo il tessuto sonoro con assoli acidi e ispirati. Non rientriamo in categorie technical, ma la band sa suonare dannatamente bene, conosce bene la materia death e ha voglia di dimostrarlo. Echi di Immolation, per la grande e naturale capacità di variare il riffing all’interno dei brani, senza perdere il filo e la tensione, ma soprattutto la scuola finnica, devota a sonorità anche di stampo doom, sono gli ingredienti principali di questo interessante opera che amalgama al suo interno anche interessanti misteriosi aromi orientali, come nel breve strumentale Tenebrous Horizons, dove un affascinante cello modula con la chitarra una armonia aperta, che potrebbe far presagire futuri sviluppi sonori. Si rimane stupiti dalla grande capacità evocativa del terzetto che, all’interno di ogni brano, riesce senza forzature ad alternare cavalcate feroci con il growl incisivo di Mustafa Yildiz, intrecciato perfettamente nello sviluppo strumentale, e momenti di quiete condotti dalla variegata chitarra di Cihan Akun: esempio assoluto è la title track, dodici minuti incredibili, in questo senso, che rammentano anche le traiettorie impazzite dei Blood Incantation del masterpiece Starspawn. Tante influenze all’interno dei brani, tanta capacità di amalgamare in modo fluido strutture e suoni fanno di questo debutto un ottimo album, si spera foriero di altri sviluppi.

Tracklist
1. Revival
2. Abiogenesis
3. Visions of the Hereafter
4. Phantasmagoric Transcendence
5. Tenebrous Horizons

Line-up
Cihan Akün – Guitars, Bass, Vocals (additional), Songwriting, Lyrics
Aberrant – Drums
Mustafa Yıldız – Vocals

BURIAL INVOCATION – Facebook

Worth – The Essence Of Life

The Essence Of Life arriva alla sufficienza per le buone intuizioni melodiche e gli interventi della voce pulita, sicuramente più convincente di quella estrema: un aspetto, quest’ultimo, sul quale le Worth devono necessariamente lavorare in futuro.

Le Worth sono un gruppo di ragazze attive dal 2014 nella zona di Barcellona all’esordio con The Essence Of Life, full length dal sound che si ispira al death metal melodico di matrice scandinava.

I Sentenced sono l’influenza massima delle Worth, anche se magari il sound delle musiciste iberiche è meno gotico e più incentrato su un metal/hard rock di sicura presa a livello strumentale, mentre la prestazione vocale in growl lascia molto a desiderare.
Peccato, perché l’album è piacevolmente melodico, le armonie chitarristiche si accompagnano con le tastiere che imprimono la loro anima dark su brani che, con un cantato, più incisivo avrebbero sicuramente aumentato di molto l’appeal sull’ascoltatore.
Il singolo Parting Ways, Last Recall, The Return, il mid tempo possente di Dead Mind (Chapter III) sono gli episodi migliori di un debutto con qualche luce e l’ombra di un growl forzato e poco incisivo.
The Essence Of Life arriva alla sufficienza per le buone intuizioni melodiche e gli interventi della voce pulita, sicuramente più convincente di quella estrema: un aspetto, quest’ultimo, sul quale le Worth devono necessariamente lavorare in futuro.

Tracklist
01. The Essence of Life
02. Last Recall
03. Lake of Time (Chapter IV)
04. The Return
05. Dead Mind (Chapter III)
06. Resign Their Fate
07. Into the Abyss (Chapter II)
08. She
09. Parting Ways
10. Stormy Tale (Chapter I)

Line-up
Anna Nadal – Drums
Francesca Missori – Bass
Gloria Falgueras – Guitars, Backing Vocals
Marta Monistrol – Guitars
Cri Jill – Vocals

WORTH – Facebook