Get Killed or Try Dying segue dunque la strada intrapresa dai Ravens Creed, quella di suonare death metal minimale e old school, che non manca di farsi accompagnare da un’urgenza thrash di scuola slayerana per un altro esempio di metal estremo da consigliare ai fans del genere.
Death metal d’impatto e senza compromessi, assolutamente old school nella forma e nelle intenzioni è quanto offerto dai Ravens Creed.
Il gruppo britannico, nato per volere di due vecchie conoscenze della scena come Steve Watson (Iron Monkey / Cerebral Fix) e Jay Graham (Skyclad / Return to the Sabbat / Undergroove), torna sul mercato con il quarto full length della propria carriera, nata tra i vicoli e i locali londinesi nel 2006, a distanza di tre anni dal precedente Ravens Krieg, di cui ci eravamo occupati al momento dell’uscita.
Il sound del gruppo non si discosta da quello che avevamo potuto ascoltare tre anni fa, trattandosi di un death metal feroce, battagliero e minimale, con tredici brani sparati come cannonate in appena mezzora scarsa di guerra totale. Get Killed or Try Dying segue dunque la strada intrapresa dai Ravens Creed, quella di suonare death metal minimale e old school, che non manca di farsi accompagnare da un’urgenza thrash di scuola slayerana per un altro esempio di metal estremo da consigliare ai fans del genere. Dead Bird On Winchester Street arriva come una tempesta dopo l’intro ed inizia così il massacro a colpi di death/thrash metal, dove una dopo l’altra le tracce si susseguono veloci come tempeste di fuoco in mezzo alla battaglia.
Jay Graham è il solito martello ritmico, una macchina da guerra senza soluzione di continuità, il growl di Al Osta segue l’evoluzione dei brani che non disdegnano potentissimi rallentamenti o ritmi cadenzati e marziali come nella tellurica title track.
Il resto dell’album segue questa strada che porta allo scontro finale, confermando l’assoluta attitudine old school ed underground del combo londinese, il quali non lascia spazio a facili compromessi risultando una garanzia per i fans più duri e puri di queste sonorità.
Tracklist
1.Intro – Unrelenting Supremacy
2.Dead Bird on Winchester Street
3.Death on a Rival
4.Get Killed or Try Dying
5.Hymn & Hearse
6.Off with their Legs
7.Treacherous Rector
8.Rats Beneath Our Feet
9.Remember the Hammer
10.Sound of Sirens
11.When a Deaf Man Goes Blind
12.The Trauma of Being Hunted
13.Outro
Line-up
Rod Boston – Bass
Jay Graham – Drums
Steve Watson – Guitars
Al Osta – Vocals
I Cemetery Urn si posizionano esattamente a metà tra la tradizione europea e quella statunitense, aggiungendoci dosi massicce di personalità deviata e dall’impatto mortifero.
Tornano i catacombali Cemetery Urn, una delle più stimate realtà dell’underground estremo australiano.
La band taglia il traguardo del quarto album in una dozzina d’anni di attività, confermando la tradizione che la vede come portavoce del famigerato australian barbaric death metal.
Quattro full length hanno portato in casa Cemetery Urn uno zoccolo duro di fans e l’etichetta di band di culto, almeno per quanto riguarda il death metal old school.
Anche con questo ultimo lavoro, intitolato Barbaric Retribution, l’atmosfera è quella soffocante e putrida di una catacomba, da centinaia di anni dimenticata sotto il livello del suolo, dove per chissà quale sordida maledizione i morti si aggirano famelici e crudeli in cerca di anime da donare al signore degli inferi.
Malato e crudele, il sound dell’urna cimiteriale sfoga tutta la sua barbarica e malvagia violenza in nove episodi di death metal classico, old school anche e soprattutto nell’attitudine, confermata dalla copertina, straordinario manifesto della musica inclusa in Barbaric Retribution.
Soffocante e putrescente, l’album alterna momenti veloci e cattivi ad altri atmosfericamente più oscuri e doom, con Manifesto Putrefactio (appunto) posta a metà lavoro ad esprimere perfettamente il credo musicale del gruppo dei deathsters di Melbourne.
I Cemetery Urn si posizionano esattamente a metà tra la tradizione europea e quella statunitense, aggiungendoci dosi massicce di personalità deviata e dall’impatto mortifero.
Tracklist
1.Victim Defiled
2.Ghost of Suicide
3.Deathmask Preserver
4.Down the Path of the Dead
5.Manifesto Putrefactio
6.Barbaric Retribution
7.Semblance of Malignant Mastery
8.Putrefied Living Flesh
9.Tendrils of Defilement
Line-up
M.Crossingham – Drums
A.Gillon – Guitarz
D.Maccioni – Guitars
T.Rentos – Bass
Marea è un altro ottimo lavoro di un artista in continua evoluzione, un musicista che riesce a valorizzare le sue influenze ed ispirazioni proponendo un sound maturo e melodicamente progressivo.
Continua il viaggio di Hitwood, il vecchio uomo protagonista con i suoi perché ed i suoi viaggi del concept creato da Antonio Boccellari, polistrumentista nostrano al suo quarto lavoro tra full length ed ep.
Dopo i primi due album di natura strumentale (When Youngness … Fly Away …e As A Season Bloom) la one man band tricolore ha inserito nel precedente Detriti la parte vocale, indispensabile per raccontare in modo completo le avventure di Hitwood e del suo viaggio mistico.
In Marea, dunque, oltre a Boccellari, che si è occupato di tutti gli strumenti, del mixaggio e della masterizzazione, troviamo quattro cantanti che si danno il cambio in quella che risulta ancora una volta un’opera melodic death metal di assoluto valore.
Oltre al fido Carlos Timaure, protagonista principale nella maggioranza dei brani, fanno la loro importante comparsa dietro al microfono Rikk Wolf, Laurhell e Gary Glays, intenti a valorizzare i capitoli del nuovo episodio della saga. Hitwood ci dona la sua personale rivisitazione del melodic death scandinavo, arricchendolo di elementi progressivi ancora più accentuati in questa ultima prova, alzando l’asticella della qualità di un songwriting ispirato. Marea non trova ostacoli sul suo cammino, il lavoro chitarristico e di ottimo livello, le atmosfere hanno sempre quel qualcosa di mistico e sognante che ormai è il marchio di fabbrica del musicista piacentino, le sfuriate estreme sono limitate, lasciando che l’anima progressiva sia la base importante per questa raccolta di splendide tracce.
Composto da dieci brani, tra i quali spiccano Apocalyptic Omen, oscura ed emozionante traccia in cui si respira aria death/doom, il singolo Our Street e i due splendidi brani che formano il suo cuore pulsante (Venus of my Dreams II: Her Passage e Where Unreality Becomes True), Marea è un altro ottimo lavoro di un artista in continua evoluzione, un musicista che riesce a valorizzare le sue influenze ed ispirazioni proponendo un sound maturo e melodicamente progressivo.
Tracklist
1.Intro: Last Day of Gaia
2.Apocalyptic Omen
3.Polished Sense of Nothingness
4.Our Streets
5.This Picture
6.Venus of my Dreams II: Her Passage
7.Where Unreality Becomes True
8.The Scene you Could See
9.I’ll Wait for you, Near the Lighthouse
10.Harakiri
Line-up
Antonio Boccellari – Songwriting, All Instruments, Mixing and Mastering
Carlos Timaure – Vocals on tracks 3-5-6-8-10
Rikk Wolf – Vocals on track 7 & Songwriting/Lyrics
Laurhell – Vocals on track 2
Gary Glays – Vocals on track 4
Un’ora abbondante alle prese con questa macchina da guerra musicale che non si ferma crogiolandosi con i personaggi che la compongono, ma ci investe con tutta la sua maligna forza brutale e regala perle estreme di notevole spessore.
Il metal estremo non smette di stupire e regala con notevole generosità perle musicali per i propri fans attraverso nuove band, vecchie glorie e super gruppi, alleanze artistiche delle più varie e neanche immaginate.
I Sinsaenum in verità avevano già procurato non pochi danni con il primo album uscito un paio di anni fa (Echoes of the Tortured), quindi si ritornano a sentire in lontananza le grida delle vittime lacerate dalle ferite inflitte da questo manipolo di musicisti internazionali che, per presentarli per benino, sarebbe necessario un volume enciclopedico.
Joey Jordison (ex-Slipknot, ex-Murderdolls, Vimic), Frédéric Leclercq (Dragonforce), Sean Zatorsky (Dååth), Attila Csihar (Mayhem), Stephane Buriez (Loudblast) e Heimoth Seth tornano con il secondo lavoro a nome Sinsaenum intitolato Repulsion for Humanity: un mostro estremo che fagocita tutte le nefandezze del mondo per esplodere in un sound marcissimo, un black/death personale, devastante e pesantissimo.
Un’ora abbondante alle prese con questa macchina da guerra musicale che non si ferma crogiolandosi con i personaggi che la compongono, ma ci investe con tutta la sua maligna forza brutale e regala perle estreme di notevole spessore.
Non solo assalti sonori death/black con la variante thrash metal di matrice slayerana ad estremizzare ancora di più le atmosfere da girone infernale, ma death metal atmosferico e dark (I Stand Alone) e doom/death di scuola Asphyx (Manifestation Of Ignorance), per un’opera che gioca con il metal estremo come farebbe Lucifero con un chierichetto.
Stupenda è My Swan Song una lunga jam black metal che ricorda vecchie rovine perse tra i boschi norvegesi, mentre le citazioni ai generi che compongono l’oscuro universo del metal estremo continuano a valorizzare una track list sontuosa.
I protagonisti si mettono tutti al servizio dei brani, così che i Sinsaenum risultano una band a tutti gli effetti, compatta e feroce, malvagia e potentissima e Repulsion For Humanity uno degli lavori più interessanti dell’anno in corso, e quindi da non perdere assolutamente.
Tracklist
1. Final Resolve
2. Sworn To Hell
3. I Stand Alone
4. Rise Of The Lightbearer
5. Manifestation Of Ignorance
6. Sacred Martyr feat. Lauren Hart
7. My Swan Song
8. Nuit Noire
9. Insects
10. Forsaken
La straordinaria bellezza di questo lavoro pone gli Omnium Gatherum come assoluti protagonisti di questo anno metallico, almeno per quanto riguarda quel genere che, ricordiamolo, nasce proprio dalla loro terra e continua a donarci imperdibili emozioni fuori dal tempo.
Se non bastavano gli splendidi ultimi lavori di Amorphis e Barren Earth, la Finlandia melodic death metal ci regala un altro straordinario album da parte una delle sue band più rappresentative: gli Omnium Gatherum.
Arrivato dopo più di vent’anni di attività, l’ottavo album del gruppo di Karhula sale sul podio insieme alle due opere licenziate quest’anno dai gruppi citati e forma, così, una sorta di sacra triade finnica del genere; quello che viene offerto è un melodic death dalle splendide trame progressive, magari più diretto e classicamente metal, ma vorticoso nei mille cambi di atmosfere, tra una vena sinfonica poetica e commovente, ed esaltanti fughe metalliche su tappeti di tastiere che ricordano nei momenti più veloci i Dream Theater.
Mixato e masterizzato da Dan Swanö, ulteriore garanzia di qualità, The Burning Cold risulta un’opera di una bellezza disarmante, l’ennesimo in arrivo dalla terra dei mille laghi che lascia senza fiato per magnificenza strutturale, emozioni regalate e la sagacia nell’uso di trame progressive in un sound che rimane solidamente estremo.
Melodie melanconiche, cavalcate metalliche, un’aura magica che attraversa straordinari episodi come Gods Go First, le aperture progressive di Over The Battlefield, l’arcana melodia al centro della tempesta metallica di Be The Sky, l’epico incedere del capolavoro The Frontline, caratterizzano un susseguirsi di guizzi sul pentagramma che non fanno prigionieri.
La straordinaria bellezza di questo lavoro pone gli Omnium Gatherum come assoluti protagonisti di questo anno metallico, almeno per quanto riguarda quel genere che, ricordiamolo, nasce proprio dalla loro terra e continua a donarci imperdibili emozioni fuori dal tempo.
Tracklist
01.The Burning
02.Gods Go First
03.Refining Fire
04.Rest In Your Heart
05.Over The Battlefield
06.The Fearless Entity
07.Be The Sky
08.Driven By Conflict
09.The Frontline
10.Planet Scale
11.Cold
Line-up
Jukka Pelkonen – Vocals
Markus Vanhala – Guitar
Tuomo Latvala – Drums
Aapo Koivisto – Keyboards
Joonas Koto – Guitar
Erkki Silvennoinen – Bass
Annihilation arriva come un devastante fulmine nordico a ribadire la forza espressiva di questa band, e speriamo davvero che un prossimo full length sia tra le priorità di Micke Broberg e compagni.
Tra le grandi band del panorama death black scandinavo non ci si può certo dimenticare degli Unanimated, un quintetto di diabolici misantropi del metal estremo che dal 1988 lascia a noi mortali poche ma notevoli opere di metallo dannato ed oscuro.
Il vivere nell’ombra di un mercato lontano dal loro pensare li ha portati in tutti questi anni a licenziare solo tre full length, un paio di demo nei primi anni novanta e questo nuovo ep che sancisce il patto con la Century Media e un ritorno (si spera) a lungo termine.
Il capolavoro Ancient God Of Evil, uscito un paio di anni dopo il debutto In the Forest of the Dreaming Dead, aveva incendiato la scena svedese nella prima metà degli anni novanta, periodo in cui nella fredda Scandinavia si creavano opere immortali, poi il lungo silenzio durato quattordici anni, l’uscita del bellissimo In the Light of Darkness nel 2009 e la band a ritornare nell’ombra, con i suoi componenti a lasciare marchi diabolici importanti con altre realtà. Annihilation, accompagnato da una fantastica copertina old school, presenta gli Unanimated versione 2018 con Richard Cabeza al basso, Micke Broberg alla voce, Johan Bohlin e Jonas Deroueche alle chitarre e Anders Schultz alla batteria.
I quattro brani dimostrano che, quando questi cinque musicisti si riuniscono sotto il monicker Unanimated, non c’è ne per nessuno: Adversarial Fire torna come se il tempo si fosse fermato a glorificare il male con il più puro death/black di matrice swedish, genere che il gruppo di Stoccolma sa suonare come pochi. From A Throne Below è un brano dal flavour epico, la band si avvicina al sound dei Watain con cui divise il palco poco tempo fa, tra di cambi di tempo, parti velocissime e thrashy ed altre più cadenzate.
L’atmosfera funerea di Of Fire And Obliteration ed il suo andamento acustico porta alla title track, un monumento al genere, swedish death metal alimentato dalla nera fiamma così come vuole la tradizione.
Gli Unanimated sono tornati, Annihilation arriva come un devastante fulmine nordico a ribadire la forza espressiva di questa band, e speriamo davvero che un prossimo full length sia tra le priorità di Micke Broberg e compagni.
Tracklist
1.Adversarial Fire
2.From a Throne Below
3.Of Fire and Obliteration
4.Annihilation
Line-up
Richard Cabeza – Bass Guitar
Jojje Bohlin – Guitars
Micke Broberg – Vocals
Jonas Derouche – Guitars
Anders Schultz – Drums
Una scarica di adrenalina hardcore, resa ancora più estrema da un’anima grind, spogliata da inutili orpelli e rivestita di attitudine stoner per una jam assurda tra gli Entombed di Wolverine Blues e i Corrosion of Conformity del sottovalutato IX, il tutto proveniente da un’umida cantina veneta.
Quando si preme il tasto play si viene investiti da una scarica di adrenalina hardcore, resa ancora più estrema da un’anima grind, urgente e senza compromessi, spogliata da inutili orpelli e rivestita di attitudine stoner per una jam assurda tra gli Entombed di Wolverine Blues e i Corrosion of Conformity del sottovalutato IX, il tutto proveniente da un’umida cantina veneta.
Ovviamente i The Mild ci aggiungono un’attitudine underground ancora più accentuata, per mezzora di calci e pugni in pieno volto, rabbiosi e devastanti; la band carica il fucile di micidiali pallettoni che, fin dall’opener The Lord Has Fallen, provocano enormi crateri.
Il loro modo di esprimersi è volutamente scorretto, diretto e brutale, i riff di cui si compongono i brani sono torturati ed alternano il classico mood stoner, potente e rallentato da attimi di sludge/doom a ferali e veloci esempi di metal estremo tra hardcore e grind.
Il bello è che Coffin Tree, nel suo essere estremamente underground, si fa ascoltare che è un piacere, quindi non allarmatevi se il vostro ultimo dito rimasto ancora intatto premerà di nuovo quel maledetto tasto, perché la voglia di farsi male supera il dolore inferto dai colpi che, impietosi, si abbattono al suono di Forced Detention, Undeserving Entities e The Complaint Daily Press.
I The Mild picchiano come dei fabbri intenti a lavorare una lega indistruttibile di metal estremo: il fuoco arde ed il liquido incandescente provoca reazioni stoner/hardcore/grind metal potentissime e devastanti, e in più pare che dal vivo siano assolutamente letali …
Tracklist
1.The Lord Has Fallen
2.Slow Decay
3.Forced Detention
4.The Letter
5.Human Roots
6.Undeserving Entities
7.Against You
8.Endless Misunderstanding
9.Catharsis
10.The Complaint Daily Press
E’ un oscuro macigno estremo quanto viene offerto da questi olandesi, il cui sound si sporca di sangue, risultando micidiale ed epico come la migliore tradizione insegna.
Nuovo ep per i Bodyfarm, dal 2009 in perenne guerra con il mondo attraverso un death metal old school potente e senza compromessi.
E’ un oscuro macigno estremo quanto viene offerto da questi olandesi, il cui sound si sporca di sangue, risultando micidiale ed epico come la migliore tradizione insegna.
Un primo ep omonimo e poi tre full length nel giro di quattro anni sono le mine anti uomo seppellite dal gruppo di Amersfoort, prima che l’arrivo di questo nuovo Into Battle tornasse a far lucidare i cannoni con Bolt Thrower scritto in rilievo sulla lunga bocca di fuoco.
Il mini album è composto da quattro brani (più intro) assolutamente old school, con il vocione di Thomas Wouters a dettare le condizioni della resa davanti all’esercito completamente distrutto dai colpi inferti dai Bodyfarm.
Non è certo una proposta originale questa, ma con un death metal dall’impatto potentissimo il gruppo olandese non lascia spazio a tentennamenti, si posiziona sulla trincea e spara cannonate ad altezza uomo spazzando via tutto con le note di Bodyfarm, della marziale Final Redemption, della veloce Heartraped e del macigno finale Slaves Of War.
Ep che potrebbe essere un succoso anticipo del full length che verrà, Into Battlerappresenta il grido disumano che invita alla battaglia.
Tracklist
1.Into Battle
2.Bodyfarm
3.Final redemption
4.Heartraped
5.Slaves Of War
Line-up
Quint Meerbeek – Drums
Thomas Wouters – Guitars, Vocals
Alex Seegers – Bass
Bram Hilhorst – Guitars
Il genere offerto è death metal scandinavo, debitore delle storiche band che fecero fuoco e fiamme nei primi anni novanta, con un tocco melodico che per ispirazione non esce dai confini della penisola.
I deathsters slovacchi Surgery sono nati all’alba del nuovo millennio e ci hanno messo quasi dieci anni per licenziare il loro primo lavoro, l’ep Pulled by the Rope.
Dopo due anni, esattamente nel 2012 i cinque musicisti provenienti da Poprad debuttarono sulla lunga distanza con l’album Descent seguito sei anni dopo da questa fialetta di nitroglicerina old school chiamata Absorbing Roots.
Il genere offerto è death metal scandinavo, debitore delle storiche band che fecero fuoco e fiamme nei primi anni novanta, con un tocco melodico che per ispirazione non esce dai confini della penisola: Absorbing Roots è servito in tutta la sua carica estrema, esplosivo, a tratti un vero tornado di note da far battere il piedino a gente come Entombed ed At The Gates.
La title track mette subito in chiaro la natura assolutamente devota al genere dei Surgery, quindi niente di innovativo, ma perfettamente in grado di far rivivere l’impatto dei primi leggendari lavori usciti venticinque anni fa dalla scena svedese.
Il refrain lo si canta dopo il primo minuto, mentre Clinic Death, il riff melodico di Paradise su cui il gruppo costruisce un brano in stile Edge Of Sanity, Hands In Chains, potente e dal micidiale groove entombiano, valorizzano un lavoro sicuramente di nicchia ma da scoprire se siete amanti di queste sonorità.
Peccato per la copertina, brutta in verità, ma a noi interessa la musica, quindi Absorbing Roots è assolutamente promosso e consigliato.
Tracklist
1.Absorbing Roots
2.Clinic Death
3.Image in the Mirror
4.Paradise
5.River in Silence
6.Hands in Chains
7.Mental Demise
8.Grime
9.Depressive Reality
Line-up
Rastislav Šelleng – Vocals
Rado Body – Guitars
Miroslav Tatranský – Guitars
Peter Mikolaj- Drums
Robo “Hrdza” Hanečák – Bass
I Pentarium licenziano un lavoro convincente, ispirato dalla scena scandinava e pregno di atmosfere ombrose, che nei brani cantati in tedesco accentuano la vena gotica e marziale di cui si ammantano le varie tracce.
Con i Pentarium siamo al cospetto di un melodic death metal scandinavo ma in arrivo dalla Germania, cantato sia in lingua madre che nel classico idioma inglese: un concentrato di metal estremo nel quale melodie oscure, cavalcate selvagge e più moderni synth costituiscono la struttura portante del sound di Zwischenwelt, secondo album della band in uscita per Boersma Records.
Il gruppo licenzia così un lavoro convincente, ispirato come scritto dalla scena scandinava e pregno di atmosfere ombrose, che nei brani cantati in tedesco accentuano la vena gotica e marziale di cui si ammantano le varie tracce.
Buono l’uso della doppia voce, con un growl profondo a giocare con lo scream, mentre si viaggia ad andatura sostenuta con synth e tastiere che fanno da tappeto alle scorribande death metal del sestetto.
Dark Tranquillity e Scar Symmetry sono le band che più si avvicinano al combo tedesco, sia come impatto che nell’uso delle atmosfere che non lasciano trapelare un raggio di luce dall’oscurità che avvolge l’album.
Tra i brani spiccano l’opener 13, Abschied, le melodie tragiche di Wo Worte Wersagen, con i tasti d’avorio a ricamare armonie melanconiche, mentre in Dämon il synth porta con sé un’anima black, prima che il refrain torni sui binari del death melodico. Vor Dem Sturm, cantata in tedesco e con la voce pulita, è la degna chiusura dark rock di questo gioiellino oscuro che consigliamo a tutti gli amanti del metal estremo, melodico e dalle tinte dark/gothic, bellissimo nei momenti in cui l’anima melodrammatica insita nella tradizione germanica prenda il sopravvento sulla parte più ispirata al melodic death metal.
Tracklist
1.13
2.Nekropolis
3.Flames
4.Rise of the Outer Gods
5.Abschied
6.Stare into Darkness
7.Wo worte versagen
8.Memoria
9.Dämon
10.Beyond
11.Nordlicht
12.Vor dem Sturm
Line-up
Carsten Linhs – Vocals
Hendrik Voss – Guitars
Florian Jahn – Guitars
Fabian Laurentzsch – Bass
Philip Burkhard – Keyboards/Synths
Max Peev – Drums
Un lavoro che affiora come una piacevole sorpresa dall’underground estremo e che merita di non essere ignorato.
Nell’ultimo anno le uscite estreme di stampo progressivo ed ultra tecnico non mi avevano impressionato un gran che.
A parte i lavori sempre più importanti della frangia progressiva del metal estremo scandinavo, come Barren Earth o Leprous, o quelle che hanno investito il mercato di sublime qualità e provenienti dalla lontana India (Demonic Resurrection e Fragarak), le tante opere che sono arrivate in redazione per quanto riguarda il genere hanno lasciato l’amaro in bocca per un songwriting soffocato dalla ossessiva ricerca del funambolico tecnicismo fine a se stesso.
Questa one man band statunitense chiamata ISA, realtà progressiva appannaggio del polistrumentista e compositore Dan Curhan, invece, riesce nel non facile intento di regalare agli amanti del metal estremo progressivo un’opera che torna a dare importanza alla forma canzone, in un’emozionante saliscendi di note estreme, jazz e deliberatamente psichedeliche.
Nove movimenti più intro ed outro, nove brani costruiti su stratificazioni musicali che vedono il death metal come base solida su cui lavorare, tra sperimentazioni e psychedelic rock d’avanguardia, un sodalizio riuscito tra metal estremo e un unione di stili che si può sicuramente chiamare rock, ma che trova nell’anima sperimentale dei Cynic la sua naturale ispirazione.
Si sale sull’ottovolante ISA per non fermarsi più, almeno per una quarantina di minuti, tra tecnica sopraffina ma elegante, sfuriate ritmiche ed atmosfere che alleggeriscono la pressione, ma non la tensione come se si aspettasse che qualcosa accada, da un momento all’altro (Freedom).
Splendidi i ricami progressivi sulla notevole Heathens e spettacolari le corse sullo spartito della feroce Evil, un paio di brani che risultano il perfetto sunto di quello che ha composto Dan Curhan.
Un lavoro che affiora come una piacevole sorpresa dall’underground estremo e che merita di non essere ignorato.
Tracklist
1.[dusk]
2.STAGE I – Descent
3.STAGE II – Fear
4.STAGE III – Heathens
5.STAGE IV – Evil
6.STAGE V – Reflection
7.STAGE VI – Lust
8.STAGE VII – Freedom
9.STAGE VIII – Ocean
10.STAGE IX – Recursion
11.[dawn]
Un ep di tre brani incentrato sulla storia del Friuli in epoca romana, raccontata tramite un metal estremo epico e melodico, senza rinunciare a sfumature atmosferiche che vanno dal folk all’acustico per poi travolgerci con furiose impennate death/black.
Epic melodic death metal molto suggestivo quello dei nostrani Gates Of Doom, quintetto ispirato dalla scena svedese, in particolare dagli Amon Amarth, anche se il gruppo friulano scaglia frecce dalle piume di diversi colori, rendendo il sound piacevolmente vario e personale il giusto per distinguersi dagli storici esponenti nord europei.
Nata nel 2012 per volere del chitarrista Manuel Scapinello e del batterista Davide Zago, la band ha subito negli anni molti cambi di line up dando vita al primo ep omonimo nel 2015e tornando, quindi, dopo tre anni con Forvm Ivlii, ep di tre brani incentrato sulla storia della nascita del Friuli in epoca romana, raccontata tramite un metal estremo epico e melodico, senza rinunciare a sfumature atmosferiche che vanno dal folk all’acustico per poi travolgerci con furiose impennate death/black degne di una tempesta di neve sulle Alpi Carniche.
Una ventina di minuti registrati, mixati e prodotti da Davide Zago, un assalto sonoro che ha nelle melodie sempre presenti l’arma in più dei Gates Of Doom, notevoli quando le due chitarre affilano le lame e affondano il colpo con cavalcate epiche che ricordano ovviamente gli Amon Amarth; perfetto l’uso della voce , con il growl e lo scream a penetrare gli scudi nemici e parti recitate ed evocative a rendere l’atmosfera ancora più epica e solenne.
Così si sviluppano i tre brani presenti, tutti molto ben strutturati e di notevole impatto: ora manca solo per la band di tuffarsi nella mischia e per poi alzare sulla cime delle montagne il primo album su lunga distanza, un passaggio naturale per entrare di prepotenza nella scena estrema nostrana per la porta principale.
Tracklist
1. Forvm Ivlii
2. Under the grey Mountains
3. Limes
Intergalactic Armageddon è un album ad uso e consumo dei fans più estremisti, un macigno violento che tra veloci scorrerie ritmiche, cadenzate e malate cavalcate brutal, lascia qualcosa per quanto riguarda la produzione e in una formula ripetuta all’infinito.
L’invasione aliena di cui i Necroexophilia si fanno portavoce non è senza dubbio pacifica: le creature venute dallo spazio profondo hanno conquistato il pianeta e schiavizzato gli esseri umani, annientati da tanta violenza e crudeltà.
Il duo proveniente dagli States racconta le atrocità riservate agli uomini da parte degli alieni, una carneficina raccontata al suono brutale di un slamming death metal senza compromessi, dove il growl è un abominio vocale proveniente da un abisso in chissà quale sperduto pianeta.
Secondo full length, dunque, per questo duo formato da Tommy Rouse al microfono e Justin McNeil che si divide tra batteria e chitarra, attivo da quattro anni e con il debutto (Frantic Visions Of A Xenogod) licenziato nel 2014, anno di inizio dell’invasione aliena.
Brutal death metal e grind si fondono per portare dolore e morte tra un’umanità ormai allo stremo, i rumori gutturali che accompagnano la musica estrema del combo vomitano blasfemie e crudeli racconti di sofferenza, dall’intro Multiverse Demolishment, passando per le nove tracce che compongono Intergalactic Armageddon: un album ad uso e consumo dei fans più estremisti, un macigno violento che tra veloci scorrerie ritmiche, cadenzate e malate cavalcate brutal, lascia qualcosa per quanto riguarda la produzione e in una formula ripetuta all’infinito.
Vero che il genere è questo, ma il duo appare leggermente statico nel seguire le alterne atmosfere con l’album che fatica a decollare, risultando sufficiente solo per i gusti di qualche fan del brutal death.
Tracklist
1.Multiverse Demolishment
2.Amongst The Cosmic Carnage
3.Intergalactic Armageddon
4.Imploding Sphere Of Mass Deformation
5.Hyperspace Homicide
6.Interstellar Universal Overpopulation
7.Abysmal Empyreal Upheaval
8.Ebullism Asphyxiation
9.Erupting Seas Of Noxius Plasma
10.Quantum Catastrophe
Line-up
Tommy Rouse – Vocals
Justin McNeil – Drums, Guitars
Il mini album “Visioni” dei Bergamaschi Veratrum, ci dimostra per l’ennesima volta – senza per forza fare del puerile campanilismo – quanto il nostro paese non abbia nulla da invidiare nel campo del black metal, in termini di capacità strumentali e di creatività musicale, a nazioni simbolo quali Norvegia, Svezia e Grecia.
Gli italiani Veratrum (death/blacksters con già all’attivo un demo, due album e due ep, compreso l’oggetto di questa recensione) devono il loro nome ad una particolare pianta (il Veratro, dal latino ‘vere’ – veramente e ‘atrum’ – nero) molto tossica, che annovera, tra le sue principali caratteristiche, quella di possedere il rizoma, una sorta di radice che si sviluppa (in genere orizzontalmente e quindi non in profondità) sotto terra.
Il rizoma permette la nascita di nuove gemme, anche se, in superficie, la pianta al termine del suo flusso vitale, muore.
Jung metaforizzò il rizoma:
“La vita mi ha sempre fatto pensare a una pianta che vive del suo rizoma: la sua vera vita è invisibile, nascosta nel rizoma. Ciò che appare alla superficie della terra dura solo un’estate e poi appassisce, apparizione effimera.” (Da sogni, ricordi e riflessioni).
Parafrasando, la vera natura dell’esistenza è inaccessibile (nel sottosuolo, eterna ed insondabile), mentre ciò che vediamo e viviamo giornalmente, risulta effimero e forse troppo spesso illusorio.
È questa, a mio modo di vedere, la chiave di lettura, di questo ep autoprodotto (uscito al momento unicamente in formato digitale): ricondurre il tutto ad un semplice album black death risulterebbe ingiustamente riduttivo per il quartetto di Bergamo.
Qui il sapore visionario (Visioni, appunto) ed onirico della vera essenza della vita universale, viene espresso in maniera ermeticamente sublime. Il messaggio che assimiliamo durante l’ascolto (il cantato in lingua madre, ci permette di assaporarne le mille sfumature) è di un qualcosa di non detto, di non visto, di metaforicamente sotterraneo, ma che ogni essere umano sa che esiste, e semplicemente lo disconosce, volutamente, forse per ignoranza, forse per atavico terrore.
“La verità non è sempre ciò che appare”- ci dice Tim Burton; occorre andare oltre, oltre il vero.
E allora ci immergiamo nel magistrale black death sinfonico del brano Oltre il Vero, dove i nostri ci accompagnano attraverso profezie di mondi sconosciuti, insegnandoci a vedere ad occhi chiusi. Musicalmente, un armonico mix di mid tempo death, intervallato da pesantissimi cadenzati tempi thrash, fa da cornice ad un black sinfonico, imponente, maestoso, mentre lo scream e il growl duettano alla perfezione, dettandone i ritmi sino alla fine, quasi facciano parte della base ritmica, e non delle parti vocali. Un bell’assolo, arricchito da un coro strepitoso e da synth tanto imponenti da sembrare suonati a quattro mani, ci conducono alla fine del brano: “Oltre il vero, Oltre il cosmo”. Dopo la breve Per Antares, più che un brano, un vero e proprio rituale cosmico dedicato alla Gigante Rossa della Costellazione dello Scorpione – Antares, ci godiamo L’Alchimista, brano essente di un Universo, al di là degli Universi conosciuti, che irrompe con un blast beat quasi perfetto, veloce, d’effetto, ed un scream malignamente oscuro; qui si va oltre il semplice tremolo, denotando una buona padronanza delle chitarre da parte di Haiwas e Rimmon. Non tarda a subentrare l’influsso death, che rallenta sì il brano, ma che ne orchestra divinamente la struttura. Ed è proprio l’alternanza di black e death, armoniosamente miscelati dai synth e da antiche salmodie, ad arricchire un brano mai monotono, da assaporare, ad occhi chiusi, godendone le visioni, che esso ci provoca. “Vedrò lo Scorpione, il suo occhio rosso…” cantano i nostri, ed il viaggio verso verità inimmaginabili, al di là del mondo conosciuto, è quasi terminato. Visioni ed onirico, riferimenti ad Antichi Dei ancestrali, di un testo che pare scritto da (o in omaggio di) H.P.Lovecraft, rappresentano il corpo del brano La Stella Imperitura, la cui anima musicale, maestosamente sinfonica, si solidifica, diventando un tutt’uno con il corpo. Clean, growl e scream danzano, al ritmo di un meraviglioso black, a tratti terribilmente veloce, ed oramai pregno di basi death metal che rendono il sound dei Veratrum, uno splendido connubio di due stili musicali, simili tra loro, ma che, solo se sapientemente armonizzati, come in Visioni, sanno dispensare linfa vitale e musicale. “Qui siamo pronti per salire…” prima strofa del brano che ci prepara al lungo viaggio, fermi sulla soglia, di Limen Operis, ultima chicca strumentale, leggiadro e soave accompagnamento, verso verità sconosciute.
Resta la speranza di veder uscire Visioni anche su cd, il digitale non mi appaga… scusate se sono un tradizionalista, vecchio o meglio antico, almeno quanto Cthulhu.
Tracklist
1.Oltre il Vero
2.Per Antares
3.L’Alchimista
4.La Stella Imperitura
5.Limen Operis
Il gruppo suona molto bene, le canzoni però faticano a decollare soffrendo di una leggera prolissità che porta a quasi un’ora di metal cristallino e potente, ma che non arriva mai al dunque.
I catalani Pànico Al Miedo debuttano sulla lunga distanza con Formador, lavoro che segue di tre anni l’ep omonimo.
L’album si presenta con tutti i crismi di un’opera a cui non manca davvero nulla per solleticare i fans del genere: produzione nelle mani di Juan Orteaga (Testament, Exodus, Machine Head), il master lasciato a Jens Brogen (Kreator, Opeth, Amon Amarth) e cover creata da Ed Repka (Death, Megadeth, Venom).
Il quintetto di Barcellona aggiunge di suo una buona tecnica ed un songwriting in linea con le produzioni di genere, l’anima death rimane confinata nell’uso del tono estremo tra scream e growl, neanche troppo indicato per il sound creato dal gruppo che, valorizzato dal gran lavoro in studio, corrisponde ad un thrash metal di matrice americana.
Il gruppo suona molto bene, le canzoni però faticano a decollare soffrendo di una leggera prolissità che porta a quasi un’ora di metal cristallino e potente, ma che non arriva mai al dunque.
E’ comunque notevole il lavoro delle due chitarre, sia in fase ritmica che solista, precisa senza mai strafare la sezione ritmica, mentre la voce come scritto in precedenza non rispecchia il sound di cui si compone Formador.
Megadeth, ed Exodus sono le band che più ispirano il combo catalano e la sua musica, sulla quale sicuramente ci sarà da lavorare in futuro se si vorrà giustificare il dispiego di forze esibito in questo lavoro che vede come ospiti due chitarristi leggendari come James Murphy (Formador) e Bobby Koelbe (Cebos Vivos, Formador).
Tracklist
1.Intro-Popol Vuh
2.Formador
3.La Fuente
4.Hermanos De Sangre
5.Cebos Vivos
6.Rompe El Cepo
7.Bautizado Por La Arrogancia
8.Punos
9.No Voy A Perder
10.Asfixiar Con Verbo
11.El Final De la Grandeza
12.Outro-Popul Vuh
13.Formador
Line-up
Marc Jufrè – Vocals
Jordi Creus – Guitars
Pep Bruguera – Guitars
Al Drumer – Drums
Chiri Lopez – Bass
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Coffin Birth è un album di duro e puro metal estremo di stampo death, in cui l’attitudine e l’impatto giocano un ruolo fondamentale e per questo verrà sicuramente amato dai fans del genere.
Da Oakland, cittadina bruciata dal sole californiano, ma che a giudicare da Coffin Birth offre segni di vita anche nei profondi abissi sotto le sue strade, arrivano gli Extremity, death metal band dall’animo crust e dalle influenze old school.
Formata da musicisti provenienti da una manciata di gruppi estremi attivi sul territorio (Vastum, Ludicra, Agalloch, Repulsion, Cretin), la band licenzia il primo full length, una mazzata estrema che coniuga una bella fetta del death metal mondiale pescando a piene mani sia dalla scuola americana che da quella europea, e rende il tutto ancora più potente e senza compromessi con dosi massicce di attitudine crust/punk, e una cascata di riff che fanno trasparire anche qualche trovata melodica, incastonata tre le trame di un sound diretto ed ignorante. Coffin Birth / A Million Witches apre le ostilità, l’approccio è fin da subito devastante, si sente che l’esperienza accumulata in anni di metal estremo porta i musicisti a non sbagliare un colpo, anche se quello che conta è la forza d’impatto.
Ottimi sono i tanti rallentamenti al limite dei doom, che la band sciorina tra terremoti ritmici (Umbilicus,Like Father Like Son) e sfuriate belligeranti, in un delirio estremo ispirato a Exhumed, Repulsion, Autopsy, Bolt Thrower e Asphyx. Coffin Birth è un album di duro e puro metal estremo di stampo death, in cui l’attitudine e l’impatto giocano un ruolo fondamentale e per questo verrà sicuramente amato dai fans del genere ed è a loro che viene quindi consigliato.
Tracklist
1. Coffin Birth / A Million Witches
2. Where Evil Dwells
3. Grave Mistake
4. Umbilicus
5. For Want Of A Nail
6. Occision
7. Like Father Like Son
8. Misbegotten / Coffin Death
Line-up
Solo nove minuti di musica bastano per confermare l’ottimo livello raggiunto dai Carnal Decay, band magari poco conosciuta se non ai fans accaniti del brutal death meatl, ma meritevole di maggiore attenzione.
Attivi da una quindicina d’anni, i Carnal Decay sono una delle band di punta della scena svizzera per quanto riguarda le sonorità brutal death.
Una discografia che conta quattro full length, di cui l’ultimo You Owe You Pain uscito lo scorso anno, più un paio di lavori minori, ha contribuito ad accrescere la reputazione del combo che, anche con questi tre nuovi brani, conferma di essere una band in forma smagliante, compatta e perfettamente calata nei panni di caterpillar metallico.
Brani che non lasciano respiro, assolutamente granitici, costruiti come un muro invalicabile di note estreme, con le atmosfere che seguono i ritmi da carneficina metallica; da notare il grande appeal che sprigionano, a tratti esaltanti e spettacolari come Food For Thought, un monolite brutale che alterna potentissime parti cadenzate a violente ripartenze e cantata a due voci con l’ospite Igor Fil dei Katalepsy ad affiancare l’orco Michael Kern.
Non sono da meno la title track, che funge da opener al lavoro, e We All Be Red, altro brano violentissimo ma, grazie anche ad una produzione cristallina, assolutamente in grado di risvegliare antichi istinti omicidi.
Solo nove minuti di musica bastano per confermare l’ottimo livello raggiunto dai Carnal Decay, band magari poco conosciuta se non ai fans accaniti del brutal death, ma meritevole di maggiore attenzione.
Tracklist
1. When Push Comes To Shove
2. Food For Thought (feat. Igor Fil of Katalepsy)
3. We All Bleed Red
Line-up
Sebastian Mantel – Drums
Nasar Skripitskij – Bass
Isabelle Iten – Guitars
Michael Kern – Vocals
Prendete i Melechesh, irrobustiteli se possibile con dosi letali di brutal e death/black di estrazione est europea ed otterrete una bomba sonora pari a quella confezionata dai Lelahell.
Per chi ci segue ancor prima della nascita di MetalEyes, il monicker Lelahell non è certo una novità.
Il gruppo, proveniente da una terra insolita per il metal estremo come l’Algeria , fece la sua comparsa sulle pagine dedicate al metal di Iyezine, all’uscita del suo primo full length, il devastante e tellurico Al Insane… The (Re)Birth of Abderrahmane, ed in seguito per una piacevole intervsita con il leader Redouane Aouameur (in arte Lelahel).
Dopo quattro anni la band nordafricana torna con un nuovo lavoro, questo intenso bombardamento sonoro dal titolo Alif, quaranta minuti durante i quali il death metal incontra atmosfere tradizionali, in un contesto che rimane violentissimo, ai confini con un brutal che si fa apprezzare per una perizia tecnica davvero notevole e più in evidenza rispetto al passato. Alif è un viaggio estremo di notevole spessore, nel sound si intrecciano come serpenti tra la sabbia del deserto elementi che vanno dal thrash metal, al death e al brutal, con le atmosfere tradizionali che valorizzano il tutto come nella splendida Insiraf/Martyr o nelle tempeste desertiche Paramnesia e Litham(The Reach of Kal asuf).
Come se non bastasse, Redouane Aouameur ci delizia con una serie di ospiti che alzano il livello tecnico di Alif, già di per se assolutamente alto, ma oltremodo valorizzato da Hannes Grossman alla batteria (Necrophagist e Obscura tra gli altri), Tom Geldschläger (ex Obscura), Yacine M. (Litham), Patrick Mameli (Pestilence), ed il bassista Hafid Saidi.
Con queste premesse Alif esploderà letteralmente dal vostro lettore, i riff neri come la pece si muovono mortali tra repentini cambi di tempo, a tratti un death/black feroce (Ignis Fatuus) prende a spallate per farsi spazio il suono più brutale, in uno scontro tra titani estremi nelle aride ed affascinati terre nordafricane.
Prendete i Melechesh, irrobustiteli se possibile con dosi letali di brutal e death/black di estrazione est europea ed otterrete una bomba sonora pari a quella confezionata dai Lelahell.
Tracklist
1.Paramnesia
2.Ignis Fatuus
3.Thou Shalt Not Kill
4.Ribat Essalem
5.Adam the First
6.The Fifth
7.Insiraf / Martyr
8.Litham (The Reach of Kal asuf)
9.Parasits
10.Impunity of the Mutants
Tornano gli storici deathsters nostrani Distruzione con Inumana, ep composto da due ottimi brani inediti e tre registrati dal vivo. a confermare lo stato di forma del gruppo e a solleticare gli appetiti dei fans in attesa di un nuovo full length.
Difficile non cadere nel retorico quando si parla di gruppi storici, accompagnati da un’aura leggendaria come i deathsters nostrani Distruzione, dai primi anni novanta band di culto nel panorama estremo tricolore.
L’ottimo album omonimo uscito nel 2015 e la ristampa del classico Endogena un anno dopo hanno confermato lo stato di salute dei Distruzione, i quali tornano sempre tramite la Jolly Roger con Inumana, ep che presenta il nuovo batterista Emanuele Collato (Bulldozer e Death Mechanism) ed il solito sound tellurico che nei due straordinari brani inediti dimostra la forza prorompente del combo parmigiano. Uomini contro Uomini e la sensazionale La Torre Della Muda (brano che racconta del conte Ugolino della Gherardesca, rinchiuso con i suoi figli e nipoti e condannato ad una fine orripilante) sono autentiche bordate estreme, dove i testi mai banali (nella prima traccia sono la figura del soldato e gli ultimi istanti della battaglia ad ispirare la band) sono accompagnati da un sound violento e senza compromessi, perfettamente prodotto così da evidenziare il gran lavoro strumentale dei cinque guerrieri metallici battenti bandiera tricolore.
Partendo dalla prestazione di Devid Roncai al microfono, della devastante sezione ritmica che vede il buon Dimitri Corradini affiancare il nuovo arrivato alle pelli e del massacro perpetuato dalle due chitarre ben salde tra le mani della coppia Massimiliano Falleri e Mike Chiari, non si può che mettersi comodi ed aspettare che la band rilasci il nuovo full length che non potrà che essere un altro monolite death metal, genere che i Distruzione coniugano magistralmente ad un sound dal respiro internazionale ma con il cantato in lingua madre ad aumentarne la peculiarità.
In Inumana trovano spazio anche tre brani dal vivo registrati al festival di MetalItalia del 2016, il primo (Stultifera Navis) tratto dall’omonimo album del 2015 e i restanti due (Ossessioni Funebri e Senza Futuro) dal monumentale Endogena.
I Distruzione sono tornati, confermano di essere uno dei gruppi di maggior spicco nel panorama estremo di stampo death metal classico (non solo nel nostro paese) e ci danno appuntamento al prossimo lavoro su lunga distanza.
Tracklist
1.Uomini Contro Uomini
2.La Torre della Muda
3.Stultifera Navis (live)
4.Ossessioni Funebri (live)
5.Senza Futuro (live)
Un’ora di musica estrema progressiva che unisce thrash, death e progressive sotto la stessa bandiera griffata Carchosa.
Carchosa è una nuova band scandinava al debutto con questo album omonimo autoprodotto.
Trattasi, di fatto, di una one man band creata dal polistrumentista e compositore Henrik Nygren che, dopo esperienze con band minori, ha deciso di mettersi in proprio creando quest’ora di musica estrema progressiva che unisce thrash, death e progressive sotto la stessa bandiera griffata Carchosa. Il musicista proveniente da Malmö sicuramente sa maneggiare la materia, soprattutto quando si parla di death metal che ovviamente fa riferimento alla scena storica del suo paese.
Il resto del sound è lasciato a veloci cavalcate thrash metal ed atmosfere progressive in brani dal lungo minutaggio, quindi soggetti a repentini cambi di tempo in un susseguirsi di cangianti sfumature prog.
Album di lunga durata e quindi da far proprio con il dovuto tempo, il debutto dei Carchosa ha nei solos melodici l’asso nella manica per rendere l’ascolto piacevole e mantenere l’attenzione su un buon livello; Nygren crea brani estremi nei quali le parti thrash sono di gran lunga le più sfruttate, mentre il melodic death metal viene raffinato dall’uso progressivo di certe atmosfere lungo brani dallo svolgimento di durata impervia (Damnation supera i dodici minuti)
La proposta dei Carchosa, al netto di qualche difetto e di un sound non sempre scorrevolissimo, non manca di offrire a tratti buona musica metal, quindi aspettiamo con fiducia il prossimo passo di Henrik Nygren.
Tracklist
1.Unfathomable
2.Rise of the Valkyries
3.The Wretched King
4.Within
5.Ghost Insidious
6.Disciples
7.Damnation