Soilwork – Verkligheten

I Soilwork odierni sono un gruppo che si è saputo ricostruire un’identità artistica album dopo album, pagando qualcosa sotto forma di un paio di passaggi a vuoto, ma ora libero di esprimersi nel modo più congeniale.

Nati con qualche anno di ritardo rispetto ad In Flames, Dark Tranquillity e altre icone del death metal melodico nord europeo, i Soilwork si sono ritrovati a regnare sul genere, dopo qualche piccolo passo falso ma con una costanza che li ha portati all’undicesimo lavoro sulla lunga distanza ed una discografia che si completa con live, compilation ed ep a getto continuo.

I Soilwork targati 2019 non sono più quelli dei primi quattro album, tra il 1998 ed il 2002 artefici di un’immissione di aria fresca nel genere, restando fedeli ad una formula da cui si errano ormai allontanati i loro colleghi.
Di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, nel frattempo il leader maximum Speed Strid, ha avuto il tempo di sperimentare nuove soluzioni melodiche con gli imperdibili The Night Flight Orchestra, nuove ovviamente per chi si è sempre nutrito solo di metal estremo, ma famigliari per i reduci del pop rock settanta/ottanta.
Da qui si parte inevitabilmente per descrivere questo nuovo album intitolato Verkligheten, un’opera che farà sicuramente discutere per la sua accentuata impronta melodica che molto deve appunto al sound dei The Night Flight Orchestra, ma che rimane legato comunque ed indissolubilmente all’ormai storico genere creato nei primi anni novanta nella penisola scandinava.
Non manca la novità in sede di line up, con Bastian Thusgaard che si siede dietro al drumkit al posto dello storico Dirk Verbeuren, passato alla corte di Dave Mustaine.
Verkligheten, come avrete capito, è un album in cui le melodie di stampo hard rock diventano le assolute protagoniste, prendendo il sopravvento sull’anima death metal del gruppo; Strid, sempre più leader incontrastato, è protagonista di una prova eccezionale e questo la dice lunga su quello che troverete in queste dodici tracce, visto che il canto pulito domina sullo scream in tutto l’album.
Musicalmente la band picchia come sa, ma solo a tratti, il resto è costruito sulla dote che il cantante si porta dietro dai The Night Flight Orchestra, una virtù che porta il nuovo lavoro a risultare fresco, straordinario per quanto riguarda refrain, chorus ed arrangiamenti ed assolutamente irresistibile.
Un album che ovviamente non piacerà ai fans del sound che come una tempesta attraversa gli anni a cavallo del nuovo millennio, ma è indubbio che When The Universe Spoke, Stålfågel, Witan e The Ageless Whisper risultino tracce dal tiro micidiale e dall’appeal davvero micidiale.
I Soilwork odierni sono un gruppo che si è saputo ricostruire un’identità artistica album dopo album, pagando qualcosa sotto forma di un paio di passaggi a vuoto, ma ora libero di esprimersi nel modo più congeniale.

Tracklist
1.Verkligheten
2.Arrival
3.Bleeder Despoiler
4.Full Moon Shoals
5.The Nurturing Glance
6.When the Universe Spoke
7.Stålfågel
8.The Wolves Are Back in Town
9.Witan
10.The Ageless Whisper
11.Needles and Kin
12.You Aquiver

Line-up
Björn “Speed” Strid – Vocals
Sven Karlsson – Keyboards
Sylvain Coudret – Guitars
David Andersson – Guitars
Bastian Thusgaard – Drums

SOILWORK – Facebook

Festerday – Iihtallan

Licenziato dalla Season Of Mist, il primo colpo sparato ad altezza d’uomo dal metal estremo nord europeo si chiama Iihtallan, se il buongiorno si vede dal mattino in questo nuovo anno ci sarà da divertirsi.

Il 2019 è appena iniziato e dalla lontana Finlandia arriva la prima bomba che sulla fiancata porta la scritta death metal.

Il primo album dei Festerday non è in effetti un debutto, visto che la band risulta attiva dall’alba degli anni novanta e in realtà per diversi anni ha sfornato grandi lavori con il monicker di tutto rispetto …And Oceans.
Così, dopo i primi demo ed il ritorno nel 2015 alla piena attività licenziando un paio di ep, è giunto il momento anche per l’originaria incarnazione degli …And Oceans di dare alle stampe il suo primo lavoro, e anche se ci sono voluti trent’anni si può tranquillamente dire che ne è valsa la pena.
Iihtallan è un album eccellente nel quale il gruppo finlandese (che prende il nome da un brano dei Carcass contenuto in Reek Of Putrefaction), raccoglie tre decenni di metal estremo di matrice death e li fonde in un pesantissimo e malato sound su cui si basano questa quindicina di tracce che compongono l’opera.
Death metal scandinavo, brutal death metal, doom e progressione estreme in stile Death (la band) si fondono in un’unica detonazione che libera liquami putrescenti sul fondo di un pozzo cimiteriale al suono di Edible Excrement, Dreaming For The Dead e Into The Void, spettacolare e quanto mai maligno mid tempo strutturato su un riff proveniente da una cripta millenaria.
Licenziato dalla Season Of Mist, il primo colpo sparato ad altezza d’uomo dal metal estremo nord europeo si chiama Iihtallan, se il buongiorno si vede dal mattino in questo nuovo anno ci sarà da divertirsi.

Tracklist
1.The Last Night of the Earth
2.Edible Excrement
3.Tongues for Rotten Kisses
4.Kill Your Truth
5.Control Not Your Soul
6.Dreaming for the Dead
7.Vomiting Pestilence
8.Flowers of Bones
9.Flowers of Stone
10.Into the Void
11.Constructive Decomposition
12.Gravelove
13.The Human Race Disgrace
14.Your Saliva My Vagina
15.Let Me Entertain Your Entrails
16.Let Me Entertain Your Entrails (Redux)

Line-up
Timo Kontio – Guitar
Teemu Saari – Guitar
Kena Strömsholm – Vocals
Antti Räisälä – Bass
Jani Kuoppamaa – Drums

FESTERDAY – Facebook

Homo Macabrus – Homo Macabrus

Il musicista greco, ispirato e convincente, non lascia nulla al caso, le sue ispirazioni si perdono nella scena death metal e brutal e le tracce risultano una serie di mazzate dove gli ospiti al microfono non mancano di dare il loro prezioso contributo.

Sotto il monicker Homo Macabrus si cela il polistrumentista greco Teo Kakouris il quale, aiutato da un gruppo di vocalist della scena estrema mondiale (uno per ogni brano), ha dato vita a questo brutale lavoro omonimo.

Si tratta di un album di death metal violento ed appunto brutale, diviso tra devastanti e velocissime tracce e mid tempo potentissimi, nel quale gli otto vocalist si danno il cambio, dando vita ad un’opera varia e a suo modo affascinate.
Kakouris ha fatto le cose per bene, quindi vi troverete al cospetto di un’opera soddisfacente sotto tutti i punti di vista; il musicista greco, ispirato e convincente, non lascia nulla al caso: le sue influenze si perdono nella scena death metal e brutal e le tracce risultano una serie di mazzate dove gli ospiti al microfono non mancano di dare il loro prezioso contributo.
Da segnalare le notevoli Mental Disorder, con la presenza di Nathan Kleinclauss dei Voraphilya, e Misanthropy, dove a vomitare odio troviamo Supratim Sen degli immensi deathsters indiani Fragarak, ma è comunque tutto l’album che merita la giusta attenzione da parte dei fans di queste sonorità.

Tracklist
1. Stained By Blood
2. Bestial Savagery
3. Exctinction of Mankind
4.The Last Trace of Hope
5.Mental Disorder
6.Slaughter The Seeds
7.Misanthropy
8. Betrayed

Line-up
Teo Kakouris – Guitars/Bass/DrumProgramming/Mixing/Mastering

Guests
Amadeus Laub in Stained By Blood
Edwin Haroutonian (Nyctophile) in Bestial Savagery
Fabrizio Presente in Exctinction of Mankind
Katrin Brunier (Cyclocosmia) in The Last Trace of Hope
Nathan Kleinclauss (Voraphilya) in Mental Disorder
Christopher Roche (Möltar, ex-Aepoch) in Slaughter The Seeds
Supratim Sen (Fragarak) in Misanthropy
Cameron Aldrich in Betrayed

HOMO MACABRUS – Facebook

Corpsessed – Impetus Of Death

Il ritorno dopo quattro anni si chiama Impetus Of Death, una terribile e marcissima colata di fango mortifero, composto da otto brani che risultano assolutamente estremi ed inattaccabili.

La Finlandia non è solo terra di metal estremo progressivo e folk, perché anche il death metal classico è ben radicato, come in tutte le terre del nord, e il nuovo lavoro dei Corpsessed arriva come un uragano a dimostrarlo.

La band di Järvenpää aveva già dato un bel scossone alla scena con il primo full length Abysmal Thresholds, un fiume in piena composto di melma e cadaveri, strappati a cimiteri distrutti dall’uragano Corpsessed.
Il ritorno dopo quattro anni si chiama Impetus Of Death, una terribile e marcissima colata di fango mortifero, composto da otto brani che risultano assolutamente estremi ed inattaccabili.
Difficile non provare un sentore di nefasta atmosfera, ed il lento incedere doom/death che a tratti si alterna con il bombardamento ritmico a cui la band ci sottopone è di quanto più terrificante si possa ascoltare, un monolite mostruoso e micidiale che si sposta come una tempesta provocando disastri biblici.
In questa atmosfera da inferno sulla terra si muovono con disinvoltura Matti Mäkelä e soci, mostruosi assassini al soldo del metal estremo di scuola Abhorrence/Incantation che la band amalgama con rilevanti forme di death metal scandinavo, in uno tsunami vorticoso e letale.
La torbida fiumana porta con sé monolitici brani come l’opener Impetus Of The Dead, la devastante e macabra Sortilege, la vulcanica Graveborne e i dieci minuti di putrescente doom/death della conclusiva Starless Event Horizon.
Estremo, brutale e devastante, Impetus Of Death non lascia scampo e ci consegna una band da considerare tra le punte nel vasto panorama del death metal europeo.

Tracklist
1. Impetus Of The Dead
2. Sortilege
3. Endless Plains Of Dust
4. Graveborne
5. Paroxysmal
6. Forlorn Burial
7. Begetter Of Doom
8. Starless Event Horizon

Line-up
N. Matilainen – vocals
M. Mäkelä – guitars
J. Lustig – guitars
J-P. Manner – drums
T. Kulmala – bass

CORPSESSED – Facebook

Nailed To Obscurity – Black Frost

Un album come Black Frost, pur nel suo peccare in originalità, resta in ogni caso un ascolto fortemente consigliato agli amanti di un genere che riesce sempre a toccare le corde emotive giuste.

Accasatisi alla Nuclear Blast dopo una dozzina d’anni di gavetta, tornano sul mercato i Nailed To Obscurity, band tedesca che rilascia il suo quarto lavoro in studio intitolato Black Frost.

La formula che contraddistingue il quintetto è quella ormai nota del progressive melodic death metal dalle atmosfere doom dark, qui esibita in una delle sue vesti più convincenti.
I Nailed To Obscurity, inutile negarlo, si ispirano a Opeth e Katatonia, immettono nel loro sound momenti di poetico doom che ricorda i My Dying Bride e a tratti spingono sull’acceleratore sconfinando nel death metal melodico.
Da qui si parte per un ascolto di questo nuovo Black Frost che, se mostra dei limiti di personalità, soddisfa sicuramente i fans del genere, con un’ora abbondante di suoni ed atmosfere oscure e melanconiche, dure e romantiche, perfettamente gestite nel corso dell’intero album.
Tra suoni ed arrangiamenti sugli scudi, il buon Raimund Ennenga si erge a protagonista con una performance varie ed ottima sia nelle tonalità estreme che in quelle pulite, interpretando un lotto di brani che, tra possenti parti death, atmosferici e dilatati momenti oscuri e tratti progressivamente intensi, portano con loro echi delle opere gothic doom di primi anni novanta.
Un album come Black Frost, pur nel suo essere evidentemente derivativo, resta in ogni caso un ascolto fortemente consigliato agli amanti di un genere che riesce sempre a toccare le corde emotive giuste; quindi, se da un lato in brani come la title track, Feardom, Cipher o Road To Perdition le influenze ed un certo manierismo tendono ad affiorare maggiormente, dall’altro la bellezza di questa raccolta di tracce, la sua oscura melanconia e le toccanti melodie doom/dark rendono l’album meritevole della massima attenzione.

Tracklist
01. Black Frost
02. Tears Of The Eyeless
03. The Aberrant Host
04. Feardom
05. Cipher
06. Resonance
07. Road To Perdition

Line-up
Raimund Ennenga: vocals
Volker Dieken: guitars
Jan-Ole Lamberti: guitars
Carsten Schorn: bass
Jann Hillrichs: drums

NAILED TO OBSCURITY – Facebook

Geostygma – The Die Is Cast

Ritmiche intricate ma perfettamente leggibili, uno spirito estremo indomito che non lascia spazio a cedimenti ed ovviamente una grande tecnica strumentale fanno di questi quattro brani una partenza sorprendente per i Geostygma.

Venti minuti di musica tecnicissima, estrema e brutale è quello che ci propongono i francesi Geostygma con il loro primo ep autoprodotto composto da quattro brani molto interessanti.

Non si tratta solo di death metal tecnico per gareggiare con altre band della scena su di chi sia il più bravo, ma di metal estremo progressivo di indubbio valore, su cui il gruppo parigino punta per ottenere la giusta attenzione da parte degli appassionati, grazie ad un ottimo songwriting che si destreggia tra scale e saliscendi velocissimi e labirintici sui manici degli strumenti e un uso di growl e scream vario e personale.
The Die Is Cast parte a bomba con la spettacolare Enqweentine 2.0 e non si ferma più, passando per la prima traccia realizzata dal gruppo ed intitolata Fanatic’s Chant e la clamorosa Withering Breath.
Ritmiche intricate ma perfettamente leggibili, uno spirito estremo indomito che non lascia spazio a cedimenti ed ovviamente una grande tecnica strumentale fanno di questi quattro brani una partenza sorprendente per i Geostygma, che chiudono le ostilità con Formatted Rain, altro straordinario esempio del detonante sound presente su The Die Is Cast.
Consigliato agli amanti della parte più estrema del death metal e di chi non rinuncia all’ascolto di ricami tecnici di classe.

Tracklist
1.Enqweentine 2.0
2.Fanatic’s Chant
3.Withering Breath
4.Formatted Rain

Line-up
Kevin
Nikus
Bryan

GEOSTYGMA – Facebook

Serocs – The Phobos/Deimos Suite

I Serocs danno vita ad un lavoro in grado di mettere d’accordo sia gli amanti della tecnica che quelli del metal estremo più diretto, con una serie di belluine soluzioni musicale che vedono gli Spawn Of Possession come loro massimi ispiratori.

I Serocs sono il progetto solista del chitarrista messicano Antonio Freyre, che ad ogni album si contorna di ottimi esponenti della scena internazionale per dar vita ai suoi incubi musicali all’insegna di un technical death violento e brutale ma appunto valorizzato dalla bravura strumentale dei musicisti.

The Phobos/Deimos Suite è il quarto lavoro sulla lunga distanza, un album che a livello concettuale prende spunto dalla Divina Commedia, Christmas Carol ed altre opere nelle quali sono protagoniste solitudine, follia e paura, sensazioni espresse dai Serocs attraverso un death metal che non lascia scampo tra violenza e smisurata tecnica.
Laurent Bellamare al growl, Phil Tougas alla chitarra, Antoine Daigneault al basso e Kevin Paradis alla batteria sono i musicisti che accompagnano Freyre in questa nuova avventura tra i meandri del metal estremo più tecnico e brutale.
Di linee progressive neanche a parlarne, perché in The Phobos/Deimos Suite si parla la lingua del metal estremo roccioso e granitico, una colata di note appese sul filo di una tecnica sopraffina che non inficia un impatto da brutal death metal band.
I Serocs danno vita ad un lavoro in grado di mettere d’accordo sia gli amanti della tecnica che quelli del metal estremo più diretto, con una serie di belluine soluzioni musicale che vedono gli Spawn Of Possession come loro massimi ispiratori.
La band di Antonio Freyre appare oggi ormai un punto fermo al quale chi ama il genere non dovrebbe in alcun modo rinunciare.

Tracklist
1.Being
2.Nihilus
3.Thanatophobia
4.(REM)nants
5.Oneirology
6.Revenants
7.Lethe
8.SCP-106
9.Nonbeing
10.Deimos

Line-up
Laurent Bellemare – Vocals
Antonio Freyre – Guitars
Phil Tougas – Guitars
Antoine Daigneault – Bass, Baglama, Acoustic Guitars, Synths
Kevin Paradis – Drums

SEROCS – Facebook

Electrocution – Psychonolatry

Gli Electrocution sono tornati portandoci una ventata di odio e brutalità da respirare a pieni polmoni.

Questo inizio anno porta in dote un lavoro attesissimo dagli amanti del metal estremo; il nuovo album dei leggendari deathsters nostrani Electrocution.

Il quintetto bolognese, tramite la GoreGoreCords (sublabel di Aural Music) ritorna e pianta un altro tassello di musica estrema in cui la tecnica è messa al servizio di un death metal al quale non manca l’apporto di quelle sonorità thrash che ne alzano il livello di devastazione sonora.
Psychonolatry è un lavoro curato nei minimi dettagli dal respiro internazionale, da parte di una band che riprende il suo posto tra le migliori realtà del genere e confrontandosi alla pari con i colleghi di un tempo tornati nell’ultimo periodo a ribadire la loro superiorità nel genere.
Raccontare, anche in poche righe, la storia del gruppo e l’importanza per il movimento tricolore di un lavoro come Inside the Unreal, uscito nel lontano 1993, sembra superfluo anche perché chi legge queste righe non può non conoscere la band e quello che per lungo tempo è rimasto il suo unico lavoro su lunga distanza prima del ritorno, nel 2014, con l’ottimo Metaphysincarnation.
Di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, la band nel corso degli anni non si è fatta mancare nulla tra lunghi silenzi, lavori minori che inciampavano nei trend del momento (Acid But Suckable ep del 1997) e cambi di line up, ma rimane il fatto che Psychonolatry sia album imperdibile per gli amanti del death metal.
Accompagnato dall’artwork realizzato da Gustavo Sazes (Arch Enemy e Morbid Angel) l’album è composto da dieci brani più la versione riregistrata di Premature Burial, brano che apriva lo storico lavoro del ‘93.
Psychonolatry è un assalto sonoro di notevole impatto inferto da una macchina macina riff che non conosce tregua come sono gli Electrocution bel 2019, una band che non risparmia violenza ma incastona melodie tra le sfuriate di brani devastanti come la title track, la seguente Hallucinatory Breed, mid tempo potentissimo che accelera nel finale e lascia spazio alla terremotante Bulåggna (Bologna), a Warped e a Misanthropic Carnage.
Gli Electrocution sono tornati portandoci una ventata di odio e brutalità da respirare a pieni polmoni.

Tracklist
1.Psychonolatry (The Icons of God and the Mirror of the Souls)
2.Hallucinatory Breed
3.Bulåggna
4.Warped
5.Of Blood and Flesh
6.Misanthropic Carnage
7.Malum Intra Nos Est (Seneca I century AD)
8.Divine Retribution
9.Organic Desease of the Sensory Organs
10.Bologna 11 – Premature Burial (re recorded)

Line-up
Mick Montaguti – Voice
Vellacifer – Drums
Mat Lehmann – Bass
Neil Grotti – Guitar
Alessio terzi – Guitar

ELECTROCUTION – Facebook

Ad Patres – A Brief Introduction to Human Experiments

Le band storiche del death metal di stampo americano sono le ispirazioni del combo francese, tornato in forma con questa raccolta di brani che creano un muro sonoro di notevole spessore, ben suonato e prodotto.

Rimboccatevi le maniche e fate schioccare le nocche, perché l’incontro con i francesi Ad Patres è di una forza d’urto notevole e lascia sicuramente il segno.

Di death metal si parla, molto vicino al brutal, per questo quintetto transalpino in arrivo da Bordeaux, al secondo full length dopo che l’esordio (Scorn Aesthetics) uscì nel 2012 per poi essere ristampato due anni dopo dalla Kaotoxin.
Il nuovo album, intitolato A Brief Introduction to Human Experiments e licenziato dalla XenoKorp (che di quell’etichetta è di fatto la prosecuzione), nulla toglie e nulla aggiunge a quello chi i deathsters transalpini hanno suonato in passato; il sound di questo nuovo lavoro risulta un devastante e quanto mai violento metal estremo di matrice death, ancora una volta potenziato da un’attitudine brutal nella quale vige un’atmosfera opprimente, lasciando questa volta più campo ad un attacco frontale e riducendo i rallentamenti ad attimi di tensione prima delle inevitabili esplosioni estreme.
Le band storiche del death metal di stampo americano sono le ispirazioni del combo francese, tornato in forma con questa raccolta di brani che creano un muro sonoro di notevole spessore, ben suonato e prodotto, assolutamente senza compromessi e con un paio di tracce che non fanno prigionieri come The Disappearance Of I e Spellbound.
Un ritorno di tutto rispetto per gli Ad Patres, i quali confermano le buone impressioni suscitate con il debutto e sono pertanto raccomandati ai deathsters dai gusti brutali e old school.

Tracklist
1.Shock Therapy
2.Mechanical Enlightenment
3.The Disappearance of I
4.Led by Flesh
5.Symbiosick
6.Sermon
7.Verses Void
8.Spellbound
9.Enclosing Terror
10.The Floating Point

Line-up
Arnaud Pecoste – Bass
Alsvid – Drums
Olivier Bousquet – Guitars
Axel Doussaud – Vocals
PY Marani – Guitars

AD PATRES – Facebook

Bane – Esoteric Formulae

Quello contenuto in Esoteric Formulae è un black death melodico che non va a scombinare le gerarchie del genere ma piazza i Bane in una posizione privilegiata, almeno se si vede il tutto nella prospettiva di spiccare un balzo decisivo verso i piani superiori occupati dalle band più famose.

I Bane sono una band nata in Serbia circa a metà dello scorso decennio e, fino al precedente full length The Acausal Fire, tutti i musicisti coinvolti provenivano da quella nazione.

Il trasferimento del leader Branislav Panić a Montreal ha fatto sì che il musicista si prendesse una pausa di cinque anni prima di ritornare con un nuovo album, il terzo della sua band, intitolato Esoteric Formulae.
Per l’occasione il musicista originario di Novi Sad ha fatto quasi tutto da solo, avvalendosi della collaborazione in studio del batterista ceco Honza Kapák (Master’s Hammer), della canadese Ophélie Gingras a curare le orchestrazioni e di due ospiti come l’italiano Giulio Moschini (Hour Of Penance), alla chitarra in Wretched Feast, e del francese Amduscias (Temple Of Baal), alla voce in Into Oblivion.
L’album fa uno strano effetto al primo approccio, visto che il suo ascolto scorre decisamente bene ma alla fine si ha la sensazione di non aver ascoltato nulla di particolare se non un black death melodico e decisamente ben eseguito; poi, pian piano, i brani fanno breccia in virtù di un’intensità spesso sconosciuta a molti degli epigoni di Dissection e Behemoth, ai quali i Bane possono essere in modo lecito associati.
La bravura di Panić risiede soprattutto nel grande equilibrio che sa donare alle proprie composizioni, facendo sì che la componente estrema e quella melodica non finiscano per fagocitarsi a vicenda e anche, forse ancora di più, per aver proposto un set di vere e proprie canzoni, dieci staffilate dalla durata per lo più contenuta entro i quattro minuti, tempo entro il quale non c’è modo di perdersi in ghirigori o diluizioni di alcun genere.
Quello contenuto in Esoteric Formulae è un black death melodico che non va a scombinare le gerarchie del genere ma piazza la band e il musicista serbo in una posizione privilegiata, almeno se si vede il tutto nella prospettiva di spiccare un balzo decisivo verso i piani superiori occupati dalle band più famose; privo davvero di punti deboli, con menzione per le notevoli Wretched Feast e Burning The Remains, il lavoro va gustato dall’inizio alla fine lasciandosi trasportare da un impatto adrenalinico, utile senz’altro per liberarsi più facilmente dai postumi delle festività e dai conseguenti surplus di melassa dalla quale si è stati inevitabilmente sommersi.

Tracklist:
1.Invocation Of The Nameless One
2.The Calling Of The Eleven Angles
3.Beneath The Black Earth
4.Bringer Of Pandimensional Disorder
5.Wretched Feast” (feat. Giulio from Hour Of Penance)
6.Into Oblivion” (feat. Amduscias from Temple Of Baal)
7.Burning The Remains
8.Reign In Chaos
9.Acosmic Forces Of The Nightside
10.Wrathful Reflections

Line-up:
Branislav Panić – Vocals, Guitars, Bass, Keyboards

Guests:
Honza Kapák – Drums
Giulio Moschini – Guitars (lead) (track 5)
Amduscias – Vocals (additional) (track 6)
Ophélie Gingras – Orchestrations

BANE – Facebook

Chapel of Disease – .​.​.​And As We Have Seen The Storm, We Have Embraced The Eye

Ormai il mondo death si sta evolvendo verso forme che un tempo sarebbero state impensabili, l’old school rappresenta sempre la base di partenza ma giustamente molte band hanno il coraggio di osare, sfidando le convenzioni di un genere e ampliando gli orizzonti sonori con forza e personalità.

Crescita di personalità esponenziale per i tedeschi Chapel Of Disease, i quali nell’arco di sei anni hanno evoluto il loro suono dal death metal legato alle origini di Summoning Black Gods (2012), acerbo e senza particolari spunti, fino all’attuale opera .​.​.​And As We Have Seen The Storm, We Have Embraced The Eye, in cui un suono caleidoscopico e vario impregna tutte i brani.

Già nell’opera del 2015, The Misterious Way Of Repetitive Art, i musicisti di Colonia avevano intrapreso un percorso verso una propria identità, ampliando il loro raggio sonoro con un tocco gotico e meno old school, ma ora ci conducono su sentieri peculiari innestando su un base death, neanche particolarmente estrema, sonorità metal classiche e non solo. L’opener Void of Words mette subito in chiaro che il viaggio sonoro sarà ricco di perturbazioni affascinanti e inaspettate, con un lavoro chitarristico di primo ordine, ora atmosferico ora più dinamico, sempre ispirato in fase solistica; nella parte finale il solismo si lascia andare in direzione classic rock rimembrando addirittura Mark Knopfler! I musicisti non temono la sfida e con sincera ispirazione compongono sei canzoni che necessitano di essere ascoltate con attenzione, tante sono le variazioni atmosferiche presenti; nulla di avanguardistico o sperimentale, gli ingredienti sono noti ma l’amalgama non risulta forzata, tutto fluisce spontaneo e il piacere è garantito. Intensi profumi lisergici e acidi fuoriescono, come se fossimo a fine anni ’60, dalla splendida Song of the Gods che procede spedita e potente su un canovaccio che trascende il comune suono death, per approdare nel suo florilegio chitarristico in lidi metal. Pur non essendo avanguardistici, il termine di paragone non appare semplice tante sono le varianti innestate nella struttura delle tracce (Null) e ormai anche il nome della band creato in omaggio dei Morbid Angel (Chapel of Ghouls e Angel of Disease) non li identifica più come semplici “cloni” della band floridiana. Ormai il mondo death si sta evolvendo verso forme che un tempo sarebbero state impensabili, l’old school rappresenta sempre la base di partenza ma giustamente molte band (Horrendous, Venenum, Obliteration ed altre) hanno il coraggio di osare, sfidando le convenzioni di un genere, ampliando gli orizzonti sonori con forza e personalità.

Tracklist
1. Void of Words
2. Oblivious – Obnoxious – Defiant
3. Song of the Gods
4. Null
5. 1.000 Different Paths
6. The Sound of Shallow Grey

Line-up
Christian Krieger – Bass
David Dankert – Drums
Cedric Teubl – Guitars
Laurent Teubl – Vocals, Guitars

CHAPEL OF DISEASE – Facebook

Descrizione Breve

Weight Of Emptiness – Anfractuous Moments for Redemption

Gli Weight Of Emptiness sapranno guidarvi nella loro musica schivando i pericoli del già sentito con una prova personale e che dà spazio ad una buona scrittura nella quale la tecnica viene utilizzata per valorizzare un lotto di brani oscuri e melodici, estremi e progressivi.

In ritardo di qualche mese sulla data di uscita vi presentiamo questa notevole realtà estrema proveniente dal Cile, gli Weight Of Emptiness.

Il quintetto proveniente da Santiago arriva al debutto sulla lunga distanza con Anfractuous Moments for Redemption, album composto da sette tracce più intro ed outro di melodic death metal tecnico e progressivo, con qualche rallentamento doom qua e là a rendere il tutto molto suggestivo, alternando così parti più orientate al death metal di stampo melodico ed europeo, nelle quali il gruppo mette in campo tutta le sue doti strumentali, ad altre invece in cui atmosfere oscure spostano gli equilibri verso un più emozionante doom/death.
Nel complesso Anfractuous Moments for Redemption funziona, i brani si mantengono tutti su una qualità abbastanza alta tanto da consigliare il lavoro agli amanti del death melodico e progressivo, elemento quest’ultimo che valorizza brani come Behind The Mask, The Silence e la lunga Inner Chaos, sunto di nove minuti di quello che avrete ascoltato sull’album, posto prima dell’outro.
Gli Weight Of Emptiness sapranno guidarvi nella loro musica schivando i pericoli del già sentito con una prova personale e che dà spazio ad una buona scrittura nella quale la tecnica viene utilizzata per valorizzare un lotto di brani oscuri e melodici, estremi e progressivi.

Tracklist
1.Anfractuous (Intro)
2.Behind the Masks
3.Unbreakable
4.The Silence
5.Holy Death
6.Cancer
7.Weight of Emptiness
8.Inner Chaos
9.Redemption (Outro)

Line-up
Alejandro Ruiz – Vocals
Juan Acevedo – Guitar
Alejandro Bravo – Guitar
Manuel Villarroel – Bass
Mauricio Basso – Drums

Guest musicians:
Eduardo P. Ocampo – Synths on “Anfractuous” & “Redemption”
Jorge Pinochet – Additional Vocals on “The Silence”
Juan Daniel Barrera – Additional Vocals on “Weight Of Emptiness”

WEIGHT OF EMPTINESS – Facebook

Necroart – Caino

I Necroart ci vanno giù piuttosto pesanti senza però mai inserire il pilota automatico, provando lodevolmente a disseminare ogni traccia di cambi di ritmo per non far scemare la tensione.

I Necroart tornano a quattro anni di distanza dal precedente album Lamma Sabactani con Caino, quarto full length di una carriera iniziata al tramonto del secolo scorso.

Non è semplicissimo inquadrare il sound della band pavese, in quanto rispetto ai primi lavori inseribili nel filone del death melodico, già conLamma Sabactani era stato possibile rinvenire una certa inquietudine compositiva all’interno della quale black, death, doom e pulsioni dark si andavano a sovrapporre creando un insieme potente e quanto mai oscuro.
Caino è un album il cui compito non è quello di accarezzare ma semmai di percuotere l’ascoltatore, concedendogli di tanto in tanto qualche pausa di riflessione, ma nel complesso i Necroart ci vanno giù piuttosto pesanti senza però mai inserire il pilota automatico, provando lodevolmente a disseminare ogni traccia di cambi di ritmo per non far scemare la tensione.
A livello esemplificativo, se Mastodon Rising e la title track sono ottimi esempi di black death, ruvido ma melodico il giusto grazie ad azzeccate soluzioni chitarristiche, con Wounds on Angels Wings e One Is All, All Is One i ritmi si rallentano non poco lasciando qualche spazio di manovra in più per inserire passaggi di una certa evocatività.
Caino è un buon album al quale mancano solo alcuni episodi realmente trainanti, quelli in grado di costituire il fulcro attorno al quale far ruotare le rimanenti composizioni per favorirne al massimo l’assimilazione; detto questo i Necroart si confermano band di valore all’interno di una scena come quelle estrema in cui, però, risalire le gerarchie dopo qualche anno di assenza può diventare impresa ardua.

Tracklist:
1. March of the Ghouls
2. An Invocation for the Horned
3. Mastodon Rising
4. Caino
5. Bringer of Light
6. Flames
7. Wounds on Angels Wings
8. One Is All, All Is One
9. Into the Maelstrom

Line-up:
Francesco Volpini – Bass
Marco Binda – Drums
Davide Zampa – Guitars
Filippo Galbusera – Guitars
Davide Quaroni – Keyboards
Massimo Finotello – Vocals

NECROART – Facebook

Bölthorn – Across The Human Path

Buttarsi nell’agone viking death metal non è cosa affatto facile, in questo caso lo si fa con molta qualità e bravura, riuscendo sempre a cogliere il punto. Across The Human Path è una delle migliori cose uscite in Italia in questo genere, e non solo.

In questo gran revival vichingo degli ultimi anni, fra serie tv e gruppi metal che si rifanno a questa epopea, arrivano da Parma come un colpo di Mjölnir i Bölthorn, semplicemente il miglior gruppo italiano di viking melodic death metal in circolazione.

Le influenze sono chiare e ci portano dalle parti degli asgardiani Amon Amarth, con quella mistura particolare di death metal melodico con influenze viking. La bellezza di Across The Human Path sta proprio nel groove incessante, nella capacità di creare una certa atmosfera, che non è solo derivativa, ma che porta in sé qualcosa di innovativo e di antico al tempo stesso. Il suono di questi parmensi non è inedito, ma lo fanno ad un livello molto superiore rispetto alla maggior parte dei gruppi del genere o sottogenere. Si parte con un’ottima produzione che fa risaltare la loro preparazione tecnica e la sapienza compositiva: i Bölthorn creano un pathos particolare, un sentire che ricorda i migliori dischi del genere, quel ritrovarsi fianco a fianco nella neve con i guerrieri durante una battaglia, o guardare il mare dagli scogli di un fiordo immaginando cosa ci possa essere al di là delle onde. In alcuni momenti l’assalto melodic death metal diventa struggente, compenetrando quella malinconia che ha contraddistinto i vichinghi, quella profonda conoscenza della vita che porta ad affrontarla a viso aperto, difficoltà per difficoltà, giorno per giorno. Il cantato è in growl, ma è molto chiaro e rende molto bene, il gruppo è preparato , preciso e con un’impronta personale e ben definita. Le canzoni sono quasi tutte di ampio respiro per sviluppare al meglio le profonde trame sonore. I Bölthorn nascono dalla volontà di Ivan (già nei Dust, Dream’s Echo ed Ironcross Project) di creare un progetto inizialmente da studio: Rob degli Angerfish e Drake dei Ny Mind si trovano subito in sintonia con lui e quindi il tutto avanza fino alla registrazione del disco presso l’Audicore Studio di Fontevivo in provincia di Parma. Il risultato è un lavoro mai scontato, ben suonato e ottimamente composto, che emoziona e che piacerà molto a chi ama queste sonorità e questo immaginario, ma anche molto fruibile per chi non le conoscesse ancora. Buttarsi nell’agone viking death metal non è cosa affatto facile, in questo caso lo si fa con molta qualità e bravura, riuscendo sempre a cogliere il punto. Across The Human Path è una delle migliori cose uscite in Italia in questo genere, e non solo.

Tracklist
1. Intro
2. Sentinel
3. For Honor
4. Thor
5. Curse of Time
6. Warriors
7. Midgaard
8. The Lair of the Beast
9. The Kaleidoscope

Line-up
Ironcross – Composer, Guitar, Bass and Drum
Drake – Vocals
Röb – Composer, Guitar

BOLTHORN – Facebook

Serrabulho – Porntugal (Portuguese Vagitarian Gastronomy)

Divertente, dissacratore, caotico, mai ovvio e con uno dei migliori titoli possibili, impossibile pretendere di più dai Serrabulho

La teoria del caos, che sembra governare molte più cose di quello che crediamo, si incontra con la musica e ne viene fuori il terzo disco dei portoghesi Serrabulho, Porntugal (Portuguese Vagitarian Gastronomy), un qualcosa dalle parti del grind e portoghese fino al midollo.

I Serrabulho sono all’apparenza un gruppo grind, in realtà sono dei propugnatori del caos e dei sovvertitori dei valori della cultura portoghese, e sono ossessionati dal culo e dai suoi prodotti. La struttura del disco è un grind abbastanza classico e ben suonato in linea con la tradizione lusitana che è simile a quella italiana. Detto ciò i Serrabulho sono la cosa più lontana che possiate immaginare dal gruppo grind triste e depresso, perché hanno un’ironia ed un’autoironia immensi. Nel disco ci sono inoltre una moltitudine di elementi del loro paese, che è come fosse un membro del gruppo, nel senso letterale della parola membro. Ci sono attacchi con le cornamuse e momenti suonati con strumenti tipici lusitani, il tutto al servizio del caos e della merda che vola spinta da un ventilatore potentissimo. Il gruppo portoghese utilizza anche frammenti di registrazione dell’etnomusicologo portoghese Tiago Pereira in collaborazione con A Música Portuguesa a Gostar Dela Própria, un interessantissimo progetto di registrazione audio e video della musica popolare portoghese. Porntugal è anche un invito ad imparare la lingua portoghese in modo da capire fino in fondo cosa dicono i Serrabulho perché ne vale assolutamente la pena. Il disco è un unicum nel panorama grindcore e va oltre la musica per investire molti ambiti che sembrano separati ma non lo sono. Divertente, dissacratore, caotico, mai ovvio e con uno dei migliori titoli possibili, impossibile pretendere di più dai Serrabulho.

Tracklist
01. She Drinks Milk
02. Ela Fez-me um Grão de Bico
03. Fecal Torpedo
04. Pito Sem Penas
05. Os Tintins do Tintin
06. BBC Wild Life
07. Cagalhão Com Ovo a Cavalo
08. Gelado de Caganetas
09. Dingleberry Ice Cream
10. Tofu au Cu
11. Tomate Pelado

Line-up
Carlos Guerra – vocals, sampling
Paulo Ventura – guitar, vocals
Guilhermino Martins – bass, caixa, sampling, vocals
Ivan Saraiva – drums

SERRABULHO – Facebook

The Crawling – Wolves and the Hideous White

Wolves and the Hideous White non è affatto un’esibizione del death doom nella sua versione più tetragona o putrescente, ma trae correttamente linfa dalla fondamentale scuola britannica, mettendo da parte tentazioni gotiche per privilegiare un impatto più opprimente ma non scevro di appigli melodici.

Secondo full length per i nordirlandesi The Crawling, validi promulgatori del verbo del death doom più canonico.

Wolves and the Hideous White però non è affatto un’esibizione del genere nella sua versione più tetragona o putrescente, ma trae correttamente linfa dalla fondamentale scuola britannica, mettendo da parte tentazioni gotiche per privilegiare un impatto più opprimente ma non scevro di appigli melodici.
Fulcro del lavoro è il brano per certi versi più anomalo, Drowned In Shallow Water, che arriva a spezzare il più robusto incedere dell’iniziale title track e della notevole Still No Sun, traccia in quota primi Paradise Lost; qui affiorano pulsioni post metal che non snaturano affatto un sound sempre ben identificabile, anche quando il lavoro chitarristico esibisce inedite dissonanze.
Superato il breve e non particolarmente incisivo episodio A Time For BrokenThings, con Rancid Harmony il trio di Lisburn ritorna ad infierire con grande efficacia alternando riff micidiali ad aperture melodiche minime ma sempre significative; Promises and Parasites chiude senza sorprese negative questo ottimo lavoro che, come quasi sempre avviene rispetto a ciò che ci giunge dalle lande di oltremanica, gode di una buona produzione atta a valorizzare al meglio il crudo operato del chitarrista cantante Andy Clarke e dei suoi sodali Stuart Rainey (basso) e Gary Beattie (batteria).
Wolves and the Hideous White è una bella conferma per una band relativamente nuova ma già in grado di imporre un sound convincente e, nei limiti di quanto consentito dal genere affrontato, piuttosto personale.

Tracklist:
1. Wolves and the Hideous White
2. Still No Sun
3. Drowned In Shallow Water
4. A Time For Broken Things
5. Rancid Harmony
6. Promises and Parasites

Line-up:
Andy Clarke – Guitar/Vocals
Gary Beattie – Drums
Stuart Rainey – Bass/Backing Vocals

THE CRAWLING – Facebook

Sulphur Aeon – The Scythe Of Cosmic Chaos

Questo lavoro si colloca tra le migliori produzioni del genere, ad uso e consumo di chi ha storto il naso per la svolta “dark/gotica” dei sempre fondamentali Behemoth.

Dal più profondo abisso dell’inferno arriva ad oscurare il cielo di questa fine d’anno 2018 The Scythe Of Cosmic Chaos, ultimo di tre mostruosi parti estremi dei deathsters tedeschi Sulphur Aeon.

Un terremoto che a livello underground non lascia scampo, un death metal alimentato da maligne presenza black in un’atmosfera da girone infernale: questo lavoro si colloca tra le migliori produzioni del genere, ad uso e consumo di chi ha storto il naso per la svolta “dark/gotica” dei sempre fondamentali Behemoth.
The Scythe Of Cosmic Chaos porta in sé quell’attitudine senza compromessi che è di molte band che si muovono nei meandri del metal estremo, quindi ancora più violento, oscuro e diabolico degli ultimi spartiti dello storico gruppo polacco.
Il genere è quello, un minimo di confronto con la band di Nergal è quasi dovuto, ma i Sulphur Aeon non sono sicuramente un gruppo da archiviare come cloni di realtà più famose, in questi cinquantun minuti di musica esce prepotentemente il talento estremo del gruppo che si traduce in cascate di riff che bruciano nell’inferno, fiumi di note che creano vortici e mulinelli dove se si cade, si apre una porta per la casa del demonio intento a suonare un death metal maligno, tra potenti mid tempo, atmosfere blasfeme ed un tocco di oscura e gotica ispirazione che ne alza il valore compositivo.
Otto anni dopo l’inizio dell’attività e dopo due album che mettevano le basi per qualcosa di più grande (Swallowed by the Ocean’s Tide del 2013 e Gateway to the Antisphere del 2015) la band tedesca arriva al suo apice compositivo con The Scythe Of Cosmic Chaos, lavoro letteralmente da adorare e ricoo di autentiche perle estreme come Yuggothian Spell, Veneration Of The Lunar Orb e Lungs Into Gills e di magnifiche atmosfere morbose e diaboliche.

Tracklist
1.Cult of Starry Wisdom
2.Yuggothian Spell
3.The Summoning of Nyarlathotep
4.Veneration of the Lunar Orb
5.Sinister Sea Sabbath
6.The Oneironaut – Haunting Visions Within the Starlit Chambers of Seven Gates
7.Lungs into Gills
8.Thou Shalt Not Speak His Name (The Scythe of Cosmic Chaos)

Line-up
T. – Guitars, Bass
M. – Vocals
D. – Drums
S. – Bass
A. – Guitars

SULPHUR AEON – Facebook

Death Waltz – Born To Burn

I Death Waltz guardano avanti e, pur non nascondendo ispirazioni ed influenze, licenziano un buon lavoro provando a farsi spazio nella scena underground nostrana.

I bresciani Death Waltz si definiscono semplicemente una band “metal” e fanno bene, sarebbe forse troppo lungo etichettare il sound del loro primo lavoro come melodic death, thrash, heavy metal.

Nata ormai quattro anni fa, la band lombarda arriva a licenziare il primo lavoro dopo alcuni cambi di line up e la solita gavetta in giro per i locali della provincia bresciana, prima che questo roccioso, metallico e melodico Born To Burn veda la luce e venga promosso dalla Ad Noctem Records.
Questi undici brani che formano quaranta minuti di musica, vedono la band impegnata nel proporre metal che prende ispirazione tanto dal melodic death metal, quanto dall’heavy, potenziando a tratti l’atmosfera con sferzate thrash che velocizzano le ritmiche ed estremizzano il sound.
Ne esce un lavoro piacevole, grezzo e melodico, attraversato da armonie che richiamano i Sentenced di Down, i Maiden ed in generale il thrash metal, ma che trovano una loro strada, sicuramente ancora più da personalizzare in futuro.
Born To Burn risulta quindi un buon ascolto, un tocco moderno in qualche arrangiamento non manca e dona a brani come Blood Moon, Dream e Samarra quel che basta per essere inserito nel metal del nuovo millennio.
I Death Waltz guardano avanti e, pur non nascondendo ispirazioni ed influenze, licenziano un buon lavoro provando a farsi spazio nella scena underground nostrana.

Tracklist
1.Intro
2.Juliet
3.Blood Moon
4.Beast
5.Death Waltz
6.Dream
7.This Is War
8.Samarra
9.Born to Burn
10.Riot
11.Asylum

Line-up
Jacopo “Jack” Polonioli – Drums
Mirko “J” Scarpellini – Guitars
Diego Dangolini – Bass
Stefano “Stef” Comensoli – Guitars
Alberto Scolari – Vocals

DEATH WALTZ – Facebook

Coffin Birth – The Serpent Insignia

I Coffin Birth sono una nuova formazione nata nel 2018 dalla collaborazione fra musicisti metal maltesi ed italiani.

Non deve stupire il fatto che vi siano dei componenti maltesi, perché la scena metal dell’isola, in special modo quella doom, è molto fiorente e valida. Il gruppo offre una potente miscela di death metal con un taglio vecchia scuola, con molte influenze punk e con incursioni nel groove metal. Il risultato è un disco di debutto molto potente, calibrato alla perfezione anche grazie alla grande esperienza degli attori coinvolti. I nostri sono Giulio Moschini (Hour of Penance), Marco Mastrobuono (Hour of Penance), Francesco Paoli (Fleshgod Apocalypse, ex-Hour of Penance), Davide Billia (Hour of Penance, Beheaded) e Frank Calleja (Beheaded). Visti i nomi ciò che viene fuori con i Coffin Birth non dovrebbe stupire più di tanto, ma si va ben oltre le aspettative. La media del disco è molto alta, l’intensità non viene mai meno, e con essa c’è una grande potenza di fondo che lega con una capacità compositiva importante. La musica è molto pesante e veloce, con dei mid tempo devastanti, e la produzione fa rendere al meglio il tutto. Era da tempo che non si ascoltava un disco come questo, in grado di partire dal death metal e spaziare in altri ambiti, senza creare steccati, ma anzi andando a ricercare aspetti differenti per creare un ottimo groove. Infatti The Serpent Insignia non sfigura nemmeno in quest’ultimo ambito, dove spesso ci sono lavori che segnano il passo mentre qui è tutto fresco e ben composto. I Coffin Birth sono ben al di sopra della media e il disco è un debutto che si proietta direttamente nelle migliori uscite dell’anno che volge al termine per i generi coinvolti.

Tracklist
01. Throne of Skulls
02. The 13th Apostle
03. Godless Wasteland
04. Red Sky Season
05. Christ infection Jesus Disease
06. From the Dead to the Dead
07. Casket Ritual
08. Sanguinary
09. The Serpent Insignia
10. Zombie Anarchy

Line-up
Frank Calleja – Lyrics & Vocals
Giulio Moschini – Guitars
Francesco Paoli – Guitars
Marco Mastrobuono – Bass
Davide Billia – Drums

COFFIN BIRTH – Facebook

Nattravnen – Kult Of The Raven

Kult Of The Raven è l’ennesimo gioiello estremo nato dal talento di questi due grandi musicisti uniti sotto il monicker Nattravnen.

Dall’unione di due loschi personaggi dal talento estremo come il vocalist Kam Lee (ex-Death, ex-Massacre, The Grotesquery) e il polistrumentista Jonny Pettersson (Heads For The Dead, Wombbath, Henry Kane) non poteva che uscire grande musica oscura dai rimandi death/black.

Ispirato dalla leggenda del Night Raven, Lee ha scritto il concept che sta dietro a questo bellissimo album, mentre Pettersson, confermando il suo immenso talento, sfoggiato nei mostruosi lavori di Heads For The Dead e Wombbath (usciti in questi ultimi mesi) ha dato vita ad un mostruoso esempio di metallo oscuro e terrificante.
Death metal, atmosfere black e doom, creano un’atmosfera pregna di malevolo metallo estremo, con l’oscurità che si tocca con mano in queste nove tracce che compongono quest’opera maligna e dannata.
Accompagnato dalla splendida copertina creata da Juanjo Castellano e licenziato dalla Transcending Obscurity di Kunal Choksi (anche ideatore del logo del gruppo), Kult Of The Raven è un album in cui l’oscurità e il terrore scorrono sulla pelle dell’ascoltatore, circondato ed avvolto dal maligno incedere di brani nei quali la potenza del death metal viene intrisa di orchestrazioni horror black e i momenti di matrice doom non fanno che aumentare il senso di oppressione che attanaglia capolavori di musica nera come la pece.
Kam Lee regala un’interpretazione spaventosa in tutti i sensi, mostruoso quando il growl prende il sopravvento, da brividi quando i toni si fanno atmosferici e malati.
Dal primo all’ultimo brano si entra in un mondo di malvagia oscurità, i corvi banchettano con le nostre anime al suono debordante delle varie The Night Of The Raven, Upon The Sound Of Her Wings e The Anger Of Despair When Coping With Your Death, picco e sunto compositivo di questo bellissimo lavoro.
Kult Of The Raven è l’ennesimo gioiello estremo nato dal talento di questi due grandi musicisti uniti sotto il monicker Nattravnen.

Tracklist
1.The Night Of The Raven
2.Suicidium, The Seductress Of Death
3.Corvus Corax Crown
4.Upon The Sound Of Her Wings
5.Return To Nevermore
6.From The Haunted Sea
7.The Anger Of Despair When Coping With Your Death
8.Kingdom Of The Nattravnen
9.Kult Av Ravnen

Line-up
Kam Lee – Vocals and lyrics
Jonny Pettersson – All instruments

NATTRAVNEN – Facebook