Hornwood Fell – My Body My Time

Il black metal è un genere molto difficile al quale approcciarsi e con il quale stringere amicizia. Una band con potenzialità e voglia di fare, ma che ancora non ha trovato la sua quadratura del cerchio.

Eccoci al terzo album degli Hornwood Fell, My Body My Time. Un duo tutto italiano e molto volenteroso, in continua evoluzione e ricerca della propria identità. È evidente questo percorso nel nuovo lavoro della band, che presenta davvero tutte le caratteristiche della ricerca e del cambiamento.

Se da una parte, dunque, c’è sempre una scintilla di curiosità e novità nell’ascoltare le loro produzioni, si possono trovare anche diversi lati negativi, che inevitabilmente qui non mancano.
Ripartendo da quello che probabilmente, fino ad adesso, è il loro album più riuscito, ovvero Yheri, dove già abbiamo trovato l’alternanza tra growl/scream e clean vocals, qui la band decide di concentrarsi al 100% sulla voce pulita. Scelta sempre azzardata e che richiede molto coraggio all’interno di un genere necessariamente (a volte troppo) elitario e chiuso come il black metal.
Grandi band si erano già cimentate in questo esperimento, su tutti Agalloch o Urfaust, senza dimenticare ovviamente gli immensi Ulver. C’erano riuscite in maniera sopraffina, sapendo portare anche della tiepida brezza in mezzo ai boschi folti, scuri e innevati dello scenario black.
Ascoltando questo album si ha, ahimè, l’idea che questo grintoso duo non sia ancora pronto per una sfida così delicata, infatti la parte vocale dà spesso la sensazione che ci sia un’altra traccia sovrapposta a quella che stiamo ascoltando, come una voce fuori campo. Non si viene a creare, anche per questo importante motivo, quell’atmosfera di agghiacciante solitudine mista ad un elegante e fiero odio che caratterizza il genere.
La parte strumentale ha ottime potenzialità, e lo vediamo per esempio in un pezzo come Passage: anche quella però, manca di un po’ di inventiva, elemento che però questi ragazzi hanno nelle loro corde, come ci hanno mostrato nei loro album precedenti, rispetto ai quali quest’ultimo rappresenta forse una regressione. Ma il cambiamento implica sempre lo smarrimento.

Tracklist
1. The Returned
2. Her Name
3. Dark Cloak
4. Passage
5. Run Through
6. The Livid Body
7. Hidden Land

Line-up
Marco Basili: Vocals, Guitars, bass and Synth
Andrea Basili: Batteria, Backing Vocals and Synth

HORNWOOD FELL – Facebook

Helvetestromb – Demonic Excrements Cursed With Life

Un album più che mai ad uso e consumo dei soli amanti del genere, che troveranno di che trastullarsi tra le blasfemie che caratterizzano il verbo malefico degli Helvetestromb.

Questo trio proveniente da Stoccolma si fa chiamare Helvetestromb è composto da tre luciferini personaggi che di metal estremo si nutrono e lo sparano in un delirio ritmico, un massacro diabolico perpetuato in mezzora di metallo incandescente: black metal old school, pregno di attitudine speed/thrash ma pur sempre legato al black di origine scandinava, quello storico, marcio, demoniaco e fuori da ogni compromesso.

Demonic Excrements Cursed With Life non lascia scampo, la sua natura fa tornare alla mente la vecchia scena estrema ed i suoi temibili eroi, attitudine ed impatto fanno dell’album una mazzata black/thrash dove i prigionieri sono torturati senza pietà e la morte è l’unica soluzione per riposare in pace.
Blasfemie varie fanno da contorno al sound che alterna parti veloci a pesanti mid tempo, un’anima punk aleggia sui brani, il cantato risulta uno scream sguaiato e alcolico, mentre Darkthrone e Carpathian Forest si alleano con Venom e Motorhead per avere la meglio sulla moltitudine di indifesi sostenitori del vivere comune.
Un armageddon, un girone dantesco che dall’opener, Tempesta di Merda (A legion of Jesus Christs), proseguendo con l’inno Restless Satan, porta all’inevitabile conclusione, dopo aver assaporato tutto il liquame diabolico che il trio ci riversa addosso, con Morningstar-Whore Crusher.
Un album più che mai ad uso e consumo dei soli amanti del genere, che troveranno di che trastullarsi tra le blasfemie che caratterizzano il verbo malefico degli Helvetestromb.

Tracklist
1.Tempesta di Merda (A legion of Jesus Christs)
2.Restless Satan
3.Skitberget
4.Holy Christian Airstrike
5.The Demon Bell
6.Kloakerna under Hel
7.Bog of Eternal Stench
8.Warmongo
9.Tormentive Retribution
10.Sifting Excrements (Through the Teeth)
11.Morningstar:Whore crusher

Line-up
Anal Desekrator – Guttural Screams ov Hate / Ass-opening Bass
Grym Ejakulator (ov Doom) – 666 Stringed
Chainsaw Überführer (ov Sado-Violations) – Gnawed Leper Bones

HELVETESTROMB – Facebook

Taake – Kong Vinter

Dopo tanti anni l’arte di Hoest, sempre sincera ed appassionata, convince ancora. con un’opera potente e ricca di inventiva.

Puntuale, ogni tre anni, ritorna Hoest, alias Taake , a deliziare i nostri padiglioni auricolari con la sua idea personale di black metal, ora con Kong Winter a livelli più consoni alla qualità dei suoi primi tre dischi veramente fondamentali per comprendere appieno la “second wave”dell’arte nera.

Come al solito, Hoest suona tutti gli strumenti e letteralmente riempie ogni brano con una miriade di riff tesi, simili a rasoiate; le sue idee melodiche sono sempre particolari e nel primo brano Sverdets Vei, potente e veloce, la parte centrale si apre in una parte melodica avvincente ed evocativa che cambia in toto la prospettiva del brano. Le intricate e serrate parti di Intrenger hanno un forte potere ipnotico nella loro ripetitività e danno un tocco molto groove, tipico della ricerca sonora intrapresa dall’artista, che memore delle radici del genere, cerca sempre di innestare un approccio progressivo nel tessuto sonoro dei suoi brani. Il suo non è un black metal atmosferico come è inteso oggi, spesso intriso di suoni post-metal, ma l’atmosfera che riesce a creare rimane gelida, carica come il miglior suono estremo scandinavo; potrà non piacere ai classici ricercatori del vero “true”, ma il sacro fuoco creativo non può non lasciare indifferente chi ricerca un’opera black, ben suonata e colma di inventiva. Hoest è sempre stato un personaggio controverso, un po’ una voce fuori dal coro ma la sua onestà artistica non può essere assolutamente messa in discussione. I primi tre dischi, che consiglio di riascoltare, sono dei veri classici e sono tasselli importanti nella evoluzione dell’arte nera; quest’ultimo album, accompagnata da una cover classica ma affascinante, non raggiunge i livelli qualitativi di quelle opere ma è lo sforzo sincero di un’artista che ha ancora molto da dire. A me il disco è piaciuto molto e consiglio di ascoltare con molta attenzione le cangianti atmosfere dell’ ultimo lungo brano Fra Bjoergegrend mot Glemselen per comprendere fino in fondo la magia dell’arte di Hoest.

Tracklist
1. Sverdets vei
2. Inntrenger
3. Huset i havet
4. Havet i huset
5. Jernhaand
6. Maanebrent
7. Fra bjoergegrend mot glemselen

Line-up
Hoest – All instruments, Vocals

TAAKE – Facebook

Cadaveria – Far Away From Conformity

Bellissima e fondamentale riedizione del secondo full length dei Cadaveria, edita dalla Sleaszy Rider con una nuova veste grafica, rimasterizzato e remixato: Far Away From Conformity ne esce rivitalizzato, confermando la band come una delle più importanti realtà estreme del nostro paese e l’album come un passo importante nello sviluppo del suo sound.

Era l’ormai lontano 2004 quando i Cadaveria diedero alle stampe Far Away From Conformity, secondo full length dopo l’ uscita della vocalist Cadaveria e di Flegias dagli Opera IX.

La band, capitanata dalla storica signora del metal estremo tricolore, ha deciso di riprendere in mano questo bellissimo lavoro per rivestirlo, grazie alla Sleaszy Rider, di una nuova veste grafica, con un booklet di dodici pagine nella versione digipack, e l’uscita di un vinile colorato limitato a 300 copie che vedrà la luce a quattordici anni esatti dalla prima versione (il 18 Gennaio 2018).
Ma le novità non si fermano qui, infatti la band ha completamente remixato e rimasterizzato i brani e, a causa di un contrattempo tecnico, Cadaveria ha inciso ex novo la voce per Blood And Confusion e The Divine Rapture, due delle nove tracce presenti più la cover di Call Me dei Blondie.
Far Away From Conformity esce rivitalizzato dall’operazione, confermando la band come una delle più importanti realtà estreme del nostro paese e l’album come un passo importante nello sviluppo del suo sound.
Molto più thrash oriented rispetto agli ultimi lavori, incentrati su un black metal teatrale e gotico, e più vicino, a mio parere, al sound dei Necrodeath (compagni d’avventura nel recente ottimo split/ep Mondoscuro), l’album meritava una seconda chance, ora che il metal italiano è tenuto in maggiore considerazione rispetto agli anni passati.
E i Cadaveria fanno parte a pieno titolo della storia del metal tricolore e la qualità di questi brani lo confermano in toto: un thrash metal ricamato di un drappo oscuro e maligno, una sfumatura heavy doom che, a tratti, prende in mano il sound trasformando i brani in lunghe e cadenzate marce funebri (Omen Of Delirium e la cover di Call Me lasciano senza fiato) mentre la vocalist è protagonista di una grande prestazione, perfetta sia nelle parti estreme che nelle sofferte parti pulite.
Far Away From Conformity nella sua nuova veste non appare mai datato, anche se negli anni seguire il gruppo ha abbandonato in parte il sound diretto che caratterizza molti dei brani presenti, ma tracce di categoria superiore come Blood And Confusion, Irreverent Elegy o Out Body Experience valgono da soli il prezzo di questa bellissima riedizione.

Tracklist
01 – Blood And Confusion
02 – Eleven Three O Three
03 – Irreverent Elegy
04 – The Divine Rapture
05 – Omen Of Delirium
06 – A Different Way
07 – Call Me
08 – Out Body Experience
09 – Prayer Of Sorrow
10 – Vox Of Anti-Time

Line-up
Cadaveria – vocals
Marçelo Santos – drums
Peter Dayton – bass

CADAVERIA – Facebook

Zgard – Within The Swirl Of Black Vigor

Within The Swirl Of Black Vigor è un album caldamente consigliato agli estimatori del pagan folk black.

Zgard è uno dei molti progetti solisti gestiti da musicisti dalla prolificità superiore alla norma, in quanto tale si può considerare la media di un full length pubblicato per ogni anno di attività, anche se come abbiamo constatato in questi anni c’è chi riesce a produrre musica in maniera ben più compulsiva.

Nello specifico l’ucraino Yaromisl è appunto uno tra quelli che si segnala per la non troppo scontata capacità di coniugare quantità e qualità: il primo incontro con l’operato degli Zgard risale al 2012 con l’uscita di Astral Glow, nel quale veniva esibito un pagan folk black di assoluta sostanza ed oggi li ritroviamo con Within The Swirl Of Black Vigor, che giunge dopo altri due full length, Contemplation e Totem.
Il percorso stilistico di Yaromisl si va a comporre così di un nuovo tassello che mostra anche alcune differenze rispetto al passato, assumendo sembianze maggiormente orientate al pagan pur senza perdere le proprie connotazioni folk: il tutto pare giovare ulteriormente per quanto riguarda la resa finale, in quanto favorisce l’approdo ad un sound che fa proprie le pulsioni derivanti da gradi interpreti del genere come Moonsorrow e Negura Bunget, infondendovi però caratteristiche peculiari delle tradizione musicale ucraina, grazia anche al ricorso a diversi strumenti tradizionali (oltre a quelli a corde, troviamo un particolare flauto denominato sopilka, e la drymba, che è un po’ l’equivalente del nostro scacciapensieri).
Per questo lavoro Yaromisl si fa aiutare dal vocalist Dusk e dal batterista Lycane, andando a formare un trio capace di imprimere ritmo ed intensità ai vari brani; basti sentire a tale proposito una traccia come Confession of Voiceless, dal crescendo furioso e coinvolgente, oppure la “moonsorrowiana” e splendida Where the Stones Drone, per rendersi conto di quanto Within The Swirl Of Black Vigor sia un album imperdibile per gli estimatori del pagan folk black.
Se Astral Glow era già un album interessante ma che mostrava ancora ampi margini di miglioramento, quanto fatto da Yaromisl in questi cinque anni ha reso gli Zgard una tra le migliori realtà del genere, rendendola una credibile alternativa alle grandi band citate quali riferimento.

Tracklist:
1. Dive into the night (intro) [Занурення в ніч]
2. Forgotten [Забутий]
3. Confession of voiceless [Сповідь німого]
4. Frozen space [Замерзлий простір]
5. Where the stones drone [Там де камні гудуть]
6. KoloSlovo [КолоСлово]
7. Cold bonfire [Холодна ватра]
8. Winter lullaby [Колискова зими

Line-up:
Yaromisl – rhythm, solo, bass and acoustic guitar, sopilka, drymba, keyboards, back and clean vocals

Guests:
Dusk – vocals, clean vocals
Lycane – drums

ZGARD – Facebook

L’Infinito Abisso Dell’Anima – In Viva Morte Morta Vita Vivo

Ciò che viene offerto dalla coppia di musicisti è un black atmosferico e depressivo dalla notevole intensità, cantato in italiano, e con un senso melodico sempre ben presente anche quando i ritmi si fanno più incalzanti.

L’Infinito Abisso Dell’Anima è un duo bergamasco formato da Ivan Bonomi e Vito Burini, al passo d’esordio con questo ottimo In Viva Morte Morta Vita Vivo.

Ciò che viene offerto dalla coppia di musicisti è un black atmosferico e depressivo dalla notevole intensità, cantato in italiano e quindi dai testi più facilmente comprensibili nonostante siano declamati per lo più tramite uno screaming in linea con il genere, alternato sovente ad un declamatoria voce pulita.
Se a livello lirico il lavoro talvolta tende ad eccedere in enfasi, nel tentativo di descrivere in maniera quanto mai esplicita un male di vivere che sfocia infine in una morte dai connotati liberatori, l’aspetto musicale è oltremodo convincente perché vengono superati brillantemente certi minimalismi del depressive black, pur mantenendone le linee guida essenziali.
E’ appunto grazie a questo che l’operato dei due spicca sulla concorrenza, proprio perché la tensione nel lavoro è costantemente alta, grazie al contributo di un senso melodico sempre ben presente anche quando i ritmi si fanno più incalzanti.
L’aforisma di Giordano Bruno che dà il titolo all’album ben inquadra gli intenti ed il sentire che vengono riversati senza pausa nel lavoro e, alla fine, i cinque brani attestati su nove minuti medi di durata coinvolgono adeguatamente, restituendo tutto il disagio che viene espresso tramite il suo genere musicale d’elezione, del quale vengono esaltate, come detto, le caratteristiche salienti, incluso il ricorso ad una produzione non limpidissima.
A livello personale ritengo che il lavoro offra il meglio all’inizio ed alla fine, con l’apertura di grande impatto affidata a Condannato All’Oblio e la chiusura improntata sul cupo e più rallentato incedere di Vertigini, dove l’intensità creata dal connubio tra le due voci raggiunge picchi notevoli, ma gli episodi centrali si rivelano tutt’altro che marginali od inferiori, essendo ovviamente fondamentali per comprensione e la condivisone della poetica che pervade l’intero album.
Chi ama questo tipo di approccio e di sonorità si può avvicinare, quindi, senza indugi a questa prima opera firmata L’Infinito Abisso Dell’Anima.

Tracklist:
1. Condannato All’Oblio
2. Spiragli D’Ombra
3. Quello Che Resta
4. Nenia
5. Vertigini

Line-up:
Ivan Bonomi: vocals, desperation, keyboards and lyrics
Vito Burini: guitars, bass, vocals and lyrics

L’INFINITO ABISSO DELL’ANIMA – Facebook

Hyrgal – Serpentine

La fertile scena black metal francese fa scaturire dai suoi più reconditi anfratti gli Hyrgal, al loro esordio con questo interessante Serpentine.

La fertile scena black metal francese fa scaturire dai suoi più reconditi anfratti gli Hyrgal, al loro esordio con questo interessante Serpentine.

Il trio di Bordeaux si muove nei solchi tracciati dai principali gruppi transalpini, nel senso che ben difficilmente in quelle lande troveremo un’adesione fedele ai dettami originari del genere, bensì un approccio più obliquo e talvolta (anche troppo) sperimentale.
Gli Hyrgal provano con successo a intraprendere una via intermedia, non rinnegando le basi canoniche del genere ma infiorettandole  delle giuste atmosfere senza disdegnare declivi che portano con successo a certo post black o, comunque, a sonorità più aperte e sognanti che sono caratteristica rinvenibile più facilmente al di là dell’Atlantico.
Ma tutto sommato gli scenari offerti dalle foreste del Canada o degli stati più settentrionali degli USA non sono così dissimili dai paesaggi alpini che entrano con forza nell’immaginario lirico e musicale dei nostri: in tal senso questa vicinanza produce gli effetti desiderati, grazie anche ad un prestazione complessiva di grande spessore che trova, per esempio, una testimonianza eloquente nella splendida Mouroir, traccia contraddistinta da un constante crescendo ritmico ed emotivo, ma non è certo da sottovalutare l’impatto di una Aux Diktats de l’Instinct, incalzante quasi fino all’asfissia.
Il trio aquitano convince con una prestazione solida e puntuale, dalla base ritmica incessante (Quentin Aberne,  basso, ed Emmanuel Zuccaro, batteria) alla prova del vocalist e chitarrista Clément Flandrois, capace di offrire pregevoli assoli nel brano di punta Etrusca Discipina, posto in chiusura del lavoro a suggellare la bontà dell’operato degli Hyrgal con un’apprezzabile varietà ritmica ed atmosferica; del resto la combinazione tra il genere, la provenienza geografica e l’etichetta responsabile dell’immissione sul mercato (la Naturmacht) era già di per sé garanzia di qualità per un buon 50%, per il resto tutto il merito va ai bravi e consigliati Hyrgal.

Tracklist:
I – L’Appel
II – Mouroir
III- Till
IV – Représailles
V – Aux Diktats de l’Instinct
VI – Rite
VII – Etrusca Disciplina

Line-up
Clément Flandrois – Vocals, Guitars
Quentin Aberne – Bass
Emmanuel Zuccaro – Drums

HYRGAL – Facebook

Urarv – AURUM

Aldrahn, il carismatico leader, afferma “we’re traveling to remote regions of metal music and mental space with this music”. Sono sicuramente sulla buona strada!

La faccia moderna del black metal è quella mostrata dai norvegesi Urarv che esordiscono, dopo un demo del 2016, con Aurum per la Svart Records: band nuova, ma capitanata da una “vecchia” conoscenza come Aldrahn, con illustre passato alle vocals e alle chitarre in Thorns, Dodheimsgard di Kronet Till Longe, Monumental Possession, A Umbra Omega senza dimenticare gli Zyklon-B.

Tutte band di alto livello alle prese con le diverse sfaccettature del black, dall’avantgarde all’ industrial e anche il nuovo progetto proclama con fierezza che l’arte nera ha sempre e ancora molto da dire. Opera potente, a suo modo visionaria, che in otto brani devastanti mostra sotto la superficie tante particolarità che possono essere colte dopo ripetute frequentazioni del disco; i ritmi martellanti carichi di tensione di Ancient DNA fanno da impalcatura per le linee melodiche nervose e spigolose della chitarra e le vocals, vero trademark, passano da veri e propri ululati a scenari deliranti, scagliando invettive piene di sinistro odio. Aldrahn ha un suo particolare stile, non è uno scream classico, ha una capacità interpretativa magnetica che identifica e rende peculiare ogni brano; in Broken Wand le linee vocali sono malevole e per niente rassicuranti, trascinando l’ascoltatore verso un abisso profondo, mentre la musica prodotta dal trio (Sturt al basso e Trish alla batteria) cavalca impetuosa per ricercare “uncharted territories”.
L’ inizio terremotante di Guru, nel suo impressionante divenire, scaglia proiettili incandescenti che annichiliscono il non prudente ascoltatore; le atmosfere gelide di Valens Tempel ricordano pagine indelebili del miglior black nordico, ma proiettano anche il suono verso spazi inesplorati, con vocals istrioniche e cangianti.
I nove minuti della finale Red Circle sublimano la ricerca sonora della band, con un suono teso, carico, dove la linea melodica si deve ricercare nel profondo della struttura e non affiora mai in superficie.
Band strana al di fuori dei normali canoni del genere, ma affascinante nella sua ricerca di un suono personale: credo però che il meglio debba ancora arrivare!

Tracklist
1. Forvitringstid
2. Ancient DNA
3. The Retortion
4. Broken Wand
5. Guru
6. Valens Tempel
7. Fancy Daggers
8. Red Circle

Line-up
Aldrahn – Guitars, Vocals
Sturt – Bass
Trish – Drums

URARV – Facebook

Talv – Entering a Timeless Winter

Entering a Timeless Winter è un lavoro intenso e profondo nel quale i punti di forza e quelli di debolezza si sovrappongono costantemente lasciando, come è normale che sia, l’ultima parola all’ascoltatore.

Entering a Timeless Winter è il primo lavoro a firma Talv, one man band italiana appartenente all’affollata cerchia del black metal atmosferico.

L’interpretazione fornita dal musicista milanese A. presenta in effetti diversi richiami che possono ricondurre al depressive e all’ambient e, fondamentalmente, è dotata di una sua efficacia, con il trascinarsi dolente del sound lungo brani piuttosto lunghi, all’interno dei quali una sottile linea melodica viene sporcata da uno screaming disperato che la canonica produzione lo-fi colloca in un riverberato sottofondo.
Allo stesso tempo, la ripetitività ossessiva a livello di ritmiche e di soluzioni compositive rischia di penalizzare sul lungo termine un lavoro comunque interessante, ma indirizzato ad ascoltatori dalla consolidata propensione per queste sonorità. La più breve cover di Winterreise dei Coldworld di Georg Börner chiude un album che sicuramente esprime in maniera efficace il misantropico sentire dell’autore ma che, nel contempo, mostra come sia necessario anche, da parte sua,  compiere un passo avanti a livello di registrazione, visto che linee melodiche mai banali  (quelle in A Sad Moon Concealed by Pines, su tutte) restano spesso soffocate dall’opprimente incedere del sound nel suo insieme.
Probabilmente si tratta una scelta ben precisa di A. il quale, nonostante un’attività iniziata come Talv solo da pochi anni, ha già all’attivo numerose uscite discografiche, per cui non può essere sicuramente l’esperienza a fargli difetto; è altresì vero che il tutto corrisponde ampiamente all’idea di black metal che sta dietro a questo monicker: a partire dalla copertina, fino ad arrivare all’ultima nota di Entering a Timeless Winter, tutto è pervaso da un’ostinata purezza che si traduce in un’ortodossia compositiva capace di comunicare un senso di gelo ed estraniazione dell’animo umano, al cospetto di una realtà che, mai come al giorno d’oggi, pare scorrerci dinnanzi alla stregua di un interminabile film in bianco e nero.
Entering a Timeless Winter è un lavoro intenso e profondo nel quale i punti di forza e quelli di debolezza si sovrappongono costantemente lasciando, come è normale che sia, l’ultima parola all’ascoltatore.

Tracklist:
01 – Dreaming a Funeral in Another Life
02 – A Sad Moon Concealed by Pines
03 – An Eternal Snowfall Will Come
04 – Sidereal Hypothermia
05 – Winterreise (Coldworld cover)

Line up:
A.

TALV – Facebook

Tyakrah – Wintergedanken

Wintergedanken è a suo modo anomalo, in quanto disco di non facilissimo ascolto nonostante una propensione melodica piuttosto spiccata, nel senso che le partiture non appaiono mai banali ma frutto di una ricerca sonora da non sottovalutare.

I Tyakrah provengono da Münster, città natale anche degli ottimi Helrunar, e come loro sono un duo, composto dai misteriosi J.R. e I.XII.

Mai come in questo caso l’artwork ci fornisce un’indizio riferito a quanto ci dobbiamo attendere: l’aspro scenario invernale, infatti, viene trasposto in musica con grande cura e fedeltà, offrendo un’interpretazione del black metal tutto sommato neppure troppo convenzionale e decisamente più aperto a sonorità nordamericane rispetto alle abitudini delle band tedesche.
Così, oltre alla solennità e al glaciale rigore che caratterizzano le uscite black metal in terra germanica, rinveniamo anche quel senso di inquietudine e malinconia che non viene confinato solo alle tre tracce strumentali (Praeludium, Interludium e Postludium) ma trova un suo sfogo nelle notevoli e frequenti incursioni di chitarra solista di I.XII, il quale non si limita al solo tremolo come gran parte dei suoi colleghi ma si lascia andare lunghe ed efficaci progressioni dal tocco più morbido e diluito.
Wintergedanken (anche il titolo dice molto sullo spirito che aleggia sul lavoro) è a suo modo anomalo, in quanto disco non di facilissimo ascolto nonostante una propensione melodica piuttosto spiccata, nel senso che le partiture non appaiono mai banali ma frutto di una ricerca sonora da non sottovalutare: il risultato sono quattro brani di lunghezza media sui sette minuti dotati di una buona profondità e, soprattutto, molto focalizzati sul lato emotivo del sound.
Forse proprio l’utilizzo corposo della chitarra solista potrebbe non essere una buona notizia per i puristi del genere, ma lo è invece per chi vuole provare qualche brivido che non sia provocato solo dalle basse temperature evocate dalla copertina: a tale proposito è interessante notare come l’unico essere vivente, un cervo, sia raffigurato in una dimensione minuscola, quasi a voler rimarcare come tutte le forme di vita (uomo incluso) siano insignificanti di fronte alla maestosità della natura. Non so se effettivamente questo corrisponda all’intento dei Tyakrah, ma mi piace pensare che sia così, anche perché il sound della band tedesca si confà perfettamente a questo tipo di sentire.

Tracklist:
01. Praeludium – Auf kalten Wegen
02. Gefrorne Tränen
03. Wintergedanken
04. Interludium – Eisige Andacht
05. Fährten im Schnee
06. Erstarrende Nacht
07. Postludium – Ende des Weges

Line-up:
J.R. – vocals, drums, lyrics
I.XII – guitars, synths, bass

TYAKRAH – Facebook

Witchery – I Am Legion

In un’atmosfera di esaltante ed evocativo tributo agli inferi ed al suo signore, ci viene regalata una performance devastante, intrisa di perfida malignità e violentissima, perdendo in parte un po’ di sfumature speed/thrash old school per liberare la bestia insita da sempre nello spartito del gruppo di Linköping.

La copertina del nuovo album degli ormai storici Witchery esprime alla perfezione l’atmosfera maligna e pervasa da un’insana impronta black, mai così accentuata, che il nuovo album si porta dietro.

Ad un anno esatto dal ritorno con il già notevole In His Infernal Majesty’s Service, la band torna con il lavoro più malvagio della sua ormai lunga carriera, fatta di alti e bassi ma sempre all’insegna di un blackened thrash metal senza compromessi.
In un’atmosfera di esaltante ed evocativo tributo agli inferi ed al suo signore, ci viene regalata una performance devastante, intrisa di perfida malignità e violentissima, perdendo in parte un po’ di sfumature speed/thrash old school per liberare la bestia insita da sempre nello spartito del gruppo di Linköping.
Gli Witchery più invecchiano più diventano come il buon vino, magari allungato col sangue che da i brani di questo splendido lavoro estremo esce copioso, mentre Legion ci invita al massacro e True North ci offre la prima canzone sopra la media dell’album con un inizio solenne e terrorizzante da infarto.
Si parte a velocità della luce, una luce fioca che crea ombre diaboliche tra le note di Welcome, Night e Of Blackened Wing, fino al masterpiece Amun-Ra, dove Angus Norder sciorina a metà pezzo un growl profondo come l’inferno mentre la coppia Jensen/Rimfält ci incolla al muro con riff e solos dannatamente coinvolgenti.
D’Angelo e Barkensjö sono il solito motore ritmico instancabile, ma in I Am Legion è la putrida atmosfera che si respira tra i solchi dei brani a fare la differenza, come se i cinque musicisti fossero anch’essi demoni e ed allo stesso tempo piccoli pezzi di un puzzle vivente volto a riunirsi per evocare il male assoluto.
Il giro armonico del mid tempo che fa da tappeto a A Faustian Deal e la conclusiva The Alchemist sono gli ultimi botti di un album che conferma il grande ritorno del gruppo svedese, uno dei massimi esponenti del blackened/thrash metal internazionale, già sopra le righe con l’album precedente e qui perfetti e malvagi cantori estremi.

Tracklist
1. Legion
2. True North
3. Welcome, Night
4. Of Blackened Wing
5. Dry Bones
6. Amun-Ra
7. Seraphic Terror
8. A Faustian Deal
9. An Unexpected Guest
10. Great Northern Plague
11. The Alchemist

Line-up
Angus Norder – Vocals
Jensen – Guitar
Rikard Rimfält – Lead guitar
Sharlee D’Angelo – Bass
Chris Barkensjö – Drums

WITCHERY – Facebook

Heir – Au Peuple De l’Abîme

Un black metal per amanti del genere in versione più moderna, ed imbastardita dall’accoppiamento con generi lontani dalla furia primigenia dei gruppi classici, ma oltremodo stupefacente per le atmosfere estreme create.

Abbiamo avuto a che fare con i blacksters francesi Heir, riguardo all’uscita del bellissimo split licenziato dalla Les Acteurs de l’Ombre lo scorso anno, dove i nostri dividevano la scena con Spectrale ed In Cauda Venenum.

Attivo da solo un paio d’anni in quel di Tolosa, il quintetto estremo rilascia il primo album, questo notevole pezzo di granito black/sludge dal titolo Au Peuple De l’Abîme, poco più di mezzora di black metal dai tratti atmosferici accentuati, violentati da chitarre torturate e portate al limite, accelerazioni e più lineari momenti dove le sfumature si fanno intimiste.
Black metal, post rock e sludge al servizio del metal estremo creato da questa giovane band che conferma le buone impressioni suscitate dallo split, con cinque brani medio lunghi nei quali  le caratteristiche peculiari del sound del gruppo sono ben rappresentate.
Un black metal per amanti del genere in versione più moderna, ed imbastardita dall’accoppiamento con generi lontani dalla furia primigenia dei gruppi classici, ma oltremodo stupefacente per le atmosfere estreme create.
Lo chiamerei black metal d’autore, non fosse che quando gli Heir decidono di distruggere lo fanno con una forza spaventosa e con brani d’impatto come Meltem o L’Ame Des Foules.
Un album che conferma le impressioni positive suscitate, quindi consigliato agli amanti di questa frangia del metallo nero.

Tracklist
1.Au Siècle des Siècles
2.L’Heure D’Helios
3.Meltem
4.L’Âme des Foules
5.Cendres

Line-up
F.B – Bass
D.D.A – Drums
L.H – Vocals
M.D – Guitars
M.S – Guitars

HEIR – Facebook

Solfernus – Neoantichrist

I quaranta minuti di Neoantichrist scorrono via infatti piuttosto fluidi, con brani più catchy e dai chorus maggiormente ficcanti o con accelerazioni repentine, lasciando così un buon retrogusto proprio grazie all’assenza di qualsiasi traccia di pretenziosità.

I Solfernus sono una band ceca che torna in pista dopo oltre un decennio di stop, guidata da Igor Hubik, attuale chitarrista degli storici Root.

Neoantichrist è un discreto lavoro, che denota venature heavy/thrash in fondo non lontane dal gruppo del grande vecchio della scena Big Boss, e comunque non aderisce in maniera totale ai dettami della scuola scandinava, approdando a una forma meno algida e solenne.
L’album è ben prodotto e suonato da musicisti che dimostrano padronanza del genere, pur senza un filo conduttore specifico e comunque di uno o più brani capaci di colpire in maniera indelebile, ma la sensazione è che comunque i Solfernus abbiano un approccio abbastanza disincantato e, nel complesso altrettanto diretto, senza propensioni sperimentali o modernismi assortiti.
Anche per questo i quaranta minuti di Neoantichrist scorrono via infatti piuttosto fluidi, con brani più catchy e dai chorus maggiormente ficcanti come la title track e Mistresserpent, o con le accelerazioni repentine contenute in Between Two Deaths, lasciando così un buon retrogusto proprio grazie all’assenza di qualsiasi traccia di pretenziosità.

Tracklist:
01. Ignis ~ Dominion
02. Glorifired
03. Mistresserpent
04. Pray For Chaos!
05. That One Night
06. Between Two Deaths
07. Once Upon A Time In The East
08. My Aurorae
09. Neoantichrist
10. Stone In A River

Line-up:
Khaablus – vocals
Igor – guitar, vocals
Paramba – bass
Paul Dread – drums

SOLFERNUS – Facebook

Cryostasium – Starbound

Siamo al cospetto di un’opera non deprecabile e nemmeno priva di spunti interessanti, ma caratterizzata dalla poca attrattiva, anche nei confronti dei più aperti alla fruizione di soluzioni sperimentali.

Cryostasium è il progetto solista di Cody Mallet, musicista di Boston decisamente prolifico.

Infatti, in poco meno di una quindicina d’anni di attività con questo monicker, Mallet ha assommato più di trenta uscite tra full length, split album ed ep, il che come sempre in questi casi lascia qualche dubbio sull’effettiva incisività di ciascuna di esse, stante il grande rischio di dispersione di idee.
Diciamo subito che il genere proposto dai Cryostasium è un black sperimentale, ritualistico e fortemente dissonante, il che non sarebbe affatto male se non fosse che lo schema compositivo è sempre piuttosto simile, con l’eccezione dell’incremento ritmico presente in The Eye.
Starbound è un ep indubbiamente coraggioso e anticonvenzionale ma è anche piuttosto difficile da digerire, perché diversamente dal canonico black ambient, la presenza di una base ritmica unita al tipico ronzio in sottofondo e di un vocalizzo lamentoso, riempie ben più del sopportabile i canali uditivi dell’ascoltatore.
In definitiva, siamo al cospetto di un’opera non deprecabile e nemmeno priva di spunti interessanti, ma caratterizzata dalla poca attrattiva, anche nei confronti dei più aperti alla fruizione di soluzioni sperimentali.

Tracklist:
01. Starbound
02. Magnetic
03. Melancholera
04. The Eye
05. Adventurine

Line-up:
Cody Maillet – everything

CRYOSTASIUM – Facebook

Arkhon Infaustus – Passing The Nekromanteion

Death metal e black si uniscono per portare morte e distruzione, con un sound assolutamente estremo e senza compromessi: d’altronde le ispirazioni degli Arkhon Infaustus sono satanismo, perversione, oscenità e droghe, mentre il monumento al male che costruiscono avanza tra le macerie create da questi quattro terribili brani.

Tornano dopo dieci anni esatti dall’ultimo full length gli Arkhon Infaustus, band storica della scena estrema transalpina, con questo ep di quattro tracce dal titolo Passing The Nekromanteion.

Si ripresentano oggi come duo, composto da Deviant (voci, basso e chitarra) e Skvm (batteria), schiacciando gli ascoltatori con  la mole di questa cattedrale estrema ottimamente raffigurata in copertina, un’arma apocalittica che prende forza direttamente dall’inferno e distrugge senza pietà.
Death metal e black si uniscono per portare morte e distruzione, con un sound assolutamente estremo e senza compromessi: d’altronde le ispirazioni degli Arkhon Infaustus sono satanismo, perversione, oscenità e droghe, mentre il monumento al male che costruiscono avanza tra le macerie create da questi quattro terribili brani.
Il sound non è mai velocissimo e a tratti si fa marziale, ma in queste lunghe tracce è il caos a regnare, portato dalla terribile e drastica missione di morte ordita dalle truppe demoniache comandate dagli Arkhon Infaustus, in una guerra totale che Amphessatamine Nexion e, soprattutto, la conclusiva e malata Corruped Epignosis raccontano al meglio.
Un buon ritorno questo ep, che al giorno d’oggi si può certamente considerare come un full length, e che segna il ritorno di una band scomoda, consigliata con cautela agli amanti delle dissonanze black death.

Tracklist
1.Amphessatamine Nexion
2.The Precipice Where Souls Slither
3.Yesh Le-El Yadi
4.Corrupted Épignosis

Line-up
Deviant – All vocals, guitars and bass
Skvm – Drums

ARKHON INFAUSTUS – Facebook

Malphas – Incantation

Il pregio dei Malphas è quello di lasciar sfogare senza troppe remore una vena piuttosto orecchiabile, il che rende l’ascolto di Incantation molto fluido pur non risultano mai banale: un primo passo davvero incoraggiante per l’ottima band elvetica.

Anche se la Svizzera ha dato i natali ai Celtic Frost e, in subordine, ai Samael, non si può certo dire che sia una terra prolifica in quanto a band dedite al black metal.

Provano ad invertire questa tendenza i Malphas, gruppo di Losanna che esordisce su lunga distanza con Incantation: dopo in inizio un po’ farraginoso l’album prende decisamente quota con il procedere dei brani, grazie alla chitarre che iniziano a tessere con grande continuità melodie ben definite che fanno capo alla scuola scandinava, propendente a quella svedese, con gli Arckanum a fungere spesso quale potenziale termine di paragone. Ne deriva così un lavoro decisamente ispirato, con il quale i nostri esibiscono non solo grande padronanza del genere ma anche, a tratti, una sorprendente sensibilità melodica, inanellando uno dopo l’altro brani che avvolgono e avvincono sfuggendo tutto sommato anche al rischio della ripetitività.
Gli aspetti migliori dell’album vengono incarnati da una catchy title track, anche se il meglio i Malphas lo offrono nella magnifica e lunga Nahash Corruption, quasi nove minuti di black metal che si fa di volta in volta melodico, corrosivo ed evocativo nella sua parte conclusiva.
Il pregio dei Malphas è quello di lasciar sfogare senza troppe remore una vena piuttosto orecchiabile, il che rende l’ascolto di Incantation molto fluido pur non risultano mai banale: un primo passo davvero incoraggiante per l’ottima band elvetica.

Tracklist:
1. Contributor of the Light
2. Leviathan
3. Macabre Symphony Of Divine
4. Incantation
5. Nahash Corruption
6. Rebirth Of The Reign
7. Awaking Excelsi Lucifer

Line up:
Barbarian Whore – Bass
Machette – Drums
Xezbeth – Guitars
Raven – Guitars
Balaam Astaroth – Vocals

MALPHAS – Facebook

Voltumna – Dodecapoli

Per tutto Dodecapoli aleggia uno spirito antico che ha trovato il modo di esprimersi con una musica violenta e catartica, che ci mostra la magia e la forza di un popolo unico nella storia.

Nuovo e sempre più estremo assalto sonoro dei Voltumna, una delle band di punta del panorama black metal italiano.

Il gruppo viterbese usa il black death metal come linguaggio per raccontarci la storia di un popolo misterioso ai nostri occhi moderni ma molto più dentro di noi ai misteri che ci circondano. I Voltumna con Dodecapoli toccano, come dicono loro stessi, il punto più estremo della loro discografia, ma ne è sicuramente anche  la vetta più alta. Il disco possiede una bellissima furia black/death metal, spazza via tutto e accentra su di sé l’attenzione. Il percorso di questo gruppo non è mai stato comune o normale, con la musica e i testi ha sempre suscitato qualcosa di diverso: questa volta ci fa avventurare nella storia della federazione sacra delle dodici città etrusche, narrandoci avvenimenti ormai dimenticati di un’epoca che meriterebbe ben altra considerazione, perché gli Etruschi possedevano una sapienza che abbiamo perso, e questo è tra le cose all’origine della frattura fra noi e la nostra anima. La Dodecapoli etrusca è una storia davvero interessante e, narrata con la passione e la musica dei Voltumna, assume un significato ancora maggiore. Il disco è incredibile per intensità e forza di un black che si congiunge perfettamente con il death, e viceversa. Ci sono momenti di epicità notevoli, specialmente quando entrano in campo musiche tipiche del popolo etrusco, e il vortice dei Voltumna diventa un groviglio di magia antica. Per tutto Dodecapoli aleggia uno spirito antico che ha trovato il modo di esprimersi con una musica violenta e catartica che ci mostra la magia e la forza di un popolo unico nella storia. Semplicemente uno dei nostri migliori gruppi metal.

Tracklist
1.The Lion, The Goat, The Serpent
2.Itinere Inferi
3.Reading The Flames
4.In Principium Tarquinii
5.Criterion Of The Groma
6.Fanum Voltumnae
7.Lars Porsenna
8.Perdidit Veii
9.Cyclopean Walls
10.War Of Supremacy
11.Vessels Of Rasna
12.The Path To Our Twilight

Line-up
Zilath Meklhum – Vocal
Haruspex – Guitar
Augur Veii – Drums
Fulgurator – Bass

VOLTUMNA Facebook

Harmdaud – Blinda Dödens Barn

Con il monicker Harmdaud, Stenlund offre una buona prova all’insegna di un black death atmosferico che riporta senz’altro dalle parti degli Amon Amarth, ma se l’originalità non è la caratteristica principale di questo esordio, è innegabile che il suo ascolto si riveli alquanto gradevole e a tratti molto coinvolgente.

Blinda Dödens Barn è la prima testimonianza discografica di questo progetto solista del musicista svedese Andreas Stenlund.

Con il monicker Harmdaud, Stenlund offre una buona prova all’insegna di un black death atmosferico che riporta senz’altro dalle parti degli Amon Amarth, ma se l’originalità non è la caratteristica principale di questo esordio, è innegabile che il suo ascolto si riveli alquanto gradevole e a tratti molto coinvolgente.
Del resto, benché non ne risulti una particolare attività negli ultimi anni, il nostro è personaggio abbastanza conosciuto nell’ambiente estremo svedese, essendo membro di diverse band ed avendo ricoperto per un certo periodo il ruolo di chitarrista dal vivo per Vintersorg, e proprio il magnifico vocalist, famoso anche per la sua militanza nei Borknagar, si è occupato della produzione di Blinda Dödens Barn.
E’ un sentore epico, quindi, quello che aleggia all’interno di questi otto brani tra i quali spiccano i primi due, Vägens Slut e Själens Vanmakt e, soprattutto, il più evocativo Andetag, ma nel complesso l’album si rivela piuttosto uniforme per valore e, pur non toccando vette epocali, si rivela senza dubbio un ascolto ideale per chi ama questo tipo di sonorità.

Tracklist:
1. Vägens slut
2. Själens Vanmakt
3. Blinda Dödens Barn
4. Slagregn
5. Andetag
6. Till Glömskan
7. Vemodet
8. Memento Mori

Line-up:
Andreas Stenlund – Guitars, vocals, bass, programming, synthesizers

HARMDAUD – Facebook

Nazghor – Infernal Aphorism

La band di Uppsala conferma quanto di buono fatto in passato, ribadisce l’approdo ad una tendenza maggiormente melodica già evidenziata nel precedente Death’s Withered Chants e, mirabilmente, continua a non deludere le attese, regalando un’altra ora di black inattaccabile per resa sonora, esecuzione e brillantezza compositiva.

Tenendo fede alle proprie ormai consolidate abitudini, gli svedesi Nazghor offrono al fans del black metal melodico di matrice svedese il loro annuale full length intitolato Infernal Aphorism.

Al sesto lavoro su lunga distanza in altrettanti anni di attività, i Nazghor si pongono quali ideali continuatori della tradizione del paese delle Tre Corone riguardo a questa derivazione del genere, che prende le mosse dagli imprescindibili Dissection, per arrivare fino ai giorni nostri ai Dark Funeral e ai Watain.
La band di Uppsala conferma quanto di buono fatto in passato, ribadisce l’approdo ad una tendenza maggiormente melodica già evidenziata nel precedente Death’s Withered Chants e, mirabilmente, continua a non deludere le attese, regalando un’altra ora di black inattaccabile per resa sonora, esecuzione e brillantezza compositiva.
Se l’originalità è qualcosa sulla quale, in determinati ambiti musicali, va messa sopra fin da subito una bella pietra (tombale), non si può fare a meno di salutare con favore un album come Infernal Aphorism, vero manifesto di un modo di interpretare il metal estremo in maniera impeccabile, con un brano emblematico quale The Darkness Of Eternity, esaltante nel suo incedere epico e solenne, con una magnifica impronta melodica che si staglia su ritmiche talvolta parossistiche.
Se vogliamo, queste sono le caratteristiche di tutti i brani, ma ciò non significa che il sound sia uniforme e senza variazioni sul tema: se il trademark resta comunque quello ampiamente descritto, troviamo comunque frequenti variazioni ritmiche e persino eleganti passaggi pianistici o tastieristici che, sovente, introducono i brani preparando sapientemente il terreno al deflagrare degli altri strumenti (emblematica in tal senso l’altra perla dell’album, Absence Of Light).
Nonostante i Nazghor si spingano oltre l’ora di durata, il loro Infernal Aphorism scorre via fluido e senza annoiare, facendosi al contrario ricordare per più di un episodio davvero riuscito: inutile dire che per i fans delle band citate quali termini di paragone o ispirazione, l’ascolto di quest’album è quanto meno doveroso.

Tracklist:
1. Opus Profanus
2. Malignant Possession
3. Decretion At Eschaton
4. The Darkness Of Eternity
5. Deathless Serpent
6. Rite Of Repugnant Fury
7. Ephemeral Hunger
8. Spawns Of All Evil
9. Absence Of Light
10. Infernal Aphorism

Line up:
Nekhrid – Vocals
Armageddor – Guitars
Angst – Guitars
Crowlech – Bass
Cosmarul – Drums

NAZGHOR – Facebook