Mystifier – Profanus

Il lavoro va via che è un piacere, magari non lasciando ricordi indimenticabili, ma mostrando un efficace spaccato di quello che era la scena estrema brasiliana nell’ultimo decennio del secolo scorso.

La Vic Records, etichetta olandese specializzata in ristampe, continua la sua meritoria opera di “archeologia metallica”.

Ad essere riportato alla luce è in quest’occasione il quarto e ultimo full length dei brasiliani Mystifier, una delle band seminali della scena estrema della nazione che ha dato i natali ai Sepultura.
In particolare, la band guidata da Armando da Silva Conceição, in arte Beelzeebubth, è stata tra le prime in quel continente a far proprie le pulsioni black provenienti dal Nord Europa, anche se il tutto è sempre stato incanalato in una forma di thrash dai tratti molto oscuri e, ovviamente, al 100% intriso di tematiche occulte e sataniste.
Rispetti ai primi tre lavori, Profanus mostrava una maggiore propensione alla forma canzone, riducendo il minutaggio dei vari brani e risultando molto più diretto ed essenziale, privo quindi di quegli elementi distintivi in grado di rendere affascinante o grottesco (a seconda dei punti di vista) l’operato del gruppo brasiliano.
Il lavoro va via che è un piacere, magari non lasciando ricordi indimenticabili, ma mostrando un efficace spaccato di quello che era la scena estrema da quelle parti nell’ultimo decennio del secolo scorso: infatti, pur essendo datato 2001, Profanus sembra in tutto e per tutto un lavoro più datato (detto in senso buono), non tanto per la produzione, che anzi è decisamente apprezzabile se rapportata a lavori della stessa epoca, ma piuttosto per l’approccio naif alla materia da parte dei Mystifier.
La differenza tra i brani contenuti in Profanus e quelli dei primi anni novanta si può cogliere facilmente grazie alle tre bous track registrate live a Recife nel 2015 che mostrano, invece, una maggiore enfasi dal punto di vista vocale e lirico ed una struttura molto più diluita e sfaccettata.
Questo suggerisce anche, a chi se lo fosse chiesto, che i Mystifier sono tuttora attivi, nonostante non pubblichino un disco di inediti da oltre sedici anni; a quanto pare il buon Beelzeebubth, uno dei non pochi che nella loro carriera hanno speso più tempo ad inseguire musicisti per completare la band che a scrivere musica , sta lavorando all’uscita di un atteso nuovo full length e, francamente, sono molto curioso di vedere cosa sarà in grado di offrire questo benemerito veterano della scena metal sudamericana.

Tracklist:
1. Unspeakable Dementia (Utter Nonsense)
2. Dare to Face the Beast
3. Supreme Power of Suffering
4. Born from Mens’ Dreams
5. Superstitious Predictions of Misfortune
6. Je$$us Immolation
7. Beyond the Rivers of Hade
8. Thus Demystifier Spoke
9. Free Spirit Flight
10. Celebrate the Antichristian Millenium
11. Sowing the Evil in Our Hearts
12. Hangman’s Noose (Ending Mortal Existence)
13. Atheistic Prelude to Immortality
14. An Elizabethan Devil Worshipper’s Prayer Book (Live)
15. Alesteir Crowley (Live)
16. Osculum Obscenum (Live)

Line-up:
Beelzeebubth – Guitars, Bass, Lyrics
Brunno Rheys – Bass, Vocals (backing)
Asmoodeeus – Vocals
Leandros – Keyboards, Vocals (backing)
Louis Bear – Drums

MYSTIFIER – Facebook

Antiquus Scriptum – Antologia

Un pagan/epic black metal con potenziale qualità ma che di chiaro ha ben poco. Da parte degli amanti del genere, comunque, può meritare una possibilità.

Il pagan black metal di Antiquus Scriptum, one-man band portoghese con alle spalle una carriera ormai quasi ventennale, torna con il nuovo album Antologia che, dopo una breve intro soft con dei suoni della natura (nella stessa maniera si chiuderà), si catapulta nelle orecchie dell’ascoltatore con il massimo della violenza possibile, in chiave totalmente nichilista e senza alcuna traccia di benevolenza.

Ogni traccia di Antologia è intrisa, già dai titoli, di dissacrazione e malattia. Questa rimane una costante imprescindibile per tutta la durata del disco. Il musicista e compositore portoghese tira fuori un sound che ha anche tanto di epico e sinfonico, ma che comunque non cozza con la natura distorta dell’album.
Il risultato è, tutto sommato, una discreta miscela tra più stili, con qualche intermezzo come A shape of space & time che, in confronto al ritmo incessante dell’album, sembra quasi un pezzo pop.
Ad una valutazione complessiva, però, sono davvero molti i limiti del disco. Uno dei più importanti è senza dubbio la parte vocale, che qui naviga in maniera incerta tra frammenti death, voce pulita e raw. Proprio la voce, spesso ma non sempre, stona completamente con l’atmosfera musicale che si crea. È quasi come se fosse stata gettata in mezzo alla registrazione da un’altra fonte.
Anche sulla parte strumentale ci sono dei dubbi, infatti il ritmo eccessivamente forsennato dell’album sembra fine a sé stesso, confusionario e privo di criterio. Questo non aiuta certamente a capire cosa si sta ascoltando.
Insomma, c’è sicuramente del buono, ma c’è anche uno stile musicale ancora da comprendere.

Tracklist
1. Dance of the Sleepless Souls in a Dusk Called Night… (Intro)
2. In Pulverem Reverteris
3. Abi In Malam Pestem
4. Inner Depression (Syndromes of Fear)
5. I. N. R. I.: Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum
6. Thy Visionary
7. Den Nordiske Sjel Lever I Meg
8. Odi At Amo, Excrucior…
9. A Shape of Space & Time
10. In the Kingdom of Superstition
11. A Sea of Doubts
12. Dance of the Crying Souls in a Dusk Called Night… (Outro)

Line-up
Sacerdos Magus – Bass, Vocals, Guitars, Acoustics, Drums, Key Strokes

ANTIQUUS SCRIPTUM – Facebook

Häive – Iätön

E’ realmente necessario che ogni ascoltatore “open minded” trovi un po’ di tempo da dedicare ad un’opera così affascinante di dark/folk intriso di black metal.

Dopo uno iato temporale di dieci anni, dopo una meraviglia come Mieli Maassa, uscito nel 2007, riemerge Häive, la creatura con cui esplora il suo mondo musicale il musicista finnico Janne ‘Varjosielu’ Väätäinen, che suona ogni strumento ed è accompagnato in alcune session vocali da Noitavasara.

Fin dalla cover, veramente splendida e particolare, siamo introdotti in un mondo magico di suoni e oscurità, dove l’artista esplora temi come la natura, la disperazione e l’oblio attraverso un intenso suono folk immerso in note black metal evocative e ricche di atmosfera. Otto brani, quaranta minuti di musica fuori dal tempo che non ha bisogno di furia e di tempi veloci per sviluppare il viaggio dell’artista; qui ci sono cristalline melodie folk, che si appoggiano su mid tempo intensi, fluidi e carichi di energia. Chi ha conosciuto e apprezzato la precedente release rimarrà, ancora una volta, estasiato, come il sottoscritto, di fronte alla grande capacità compositiva dell’artista, capace di variare le atmosfere all’interno dei brani, come nel terzo brano Lapin Kula, dove uno scream deciso accompagna una tersa melodia pregna di oscurità per poi, dopo un solo con aromi heavy metal, sfrangiarsi in note dark folk e aprirsi in note di chitarra molto evocative e desolate.
Le vocals sono in finnico e aggiungono un fascino peculiare ed arcano all’intero lavoro, donando quell’unicità, quella sensazione di un lavoro fuori dal tempo; qui non ci sono segnali di suoni classicamente atmosferici o parti post black, ma solo il viaggio di un musicista unico, dotato di classe cristallina, alla ricerca di una personale via per esprimere la sua visione della natura: la copertina interna del cd è esplicativa, con il musicista che ammira l’invernale natura incontaminata della sua terra. E’ realmente necessario che ogni ascoltatore “open minded” trovi un po’ di tempo da dedicare ad un’opera così affascinante, perché non resterà assolutamente deluso e attenderà pazientemente altri dieci anni per riassaporare queste emozioni uniche.

Tracklist
1. Iätön (Ageless)
2. Turma (Ruin)
3. Lapin Kouta (Kouta from Lapland)
4. Kuku, kultainen käkeni (Sing My Golden Bird)
5. Tuulen sanat (The Spell of Wind)
6. Salojen saari (Esoteric Isle)
7. Tuonen lehto, öinen lehto (Grove of Tuoni, Grove of Evening)
8. Virsi tammikuinen (Song of January)

Line-up
Varjosielu – Vocals, Guitars, Bass, Drums, Mouth harp, Kantele

HÄIVE – Facebook

Sartegos / Balmog – Split 7″

Uno split che mette in luce due realtà interessanti, contigue per appartenenza geografica ma differenti per l’approccio al black metal.

Uno split album dallo spirito ben poco natalizio, questo edito dalla Caverna Abismal: l’etichetta portoghese attinge dai vicini confini spagnoli proponendo l’accoppiata galiziana formata da Sartegos e Balmog.

I primi sono una one man band guidata da Rou Sartegos, con all’attivo un ep ed un altro split, e la traccia presente sul lato A del 7”, Lume do Visitante – Morrer no Nas, mette in mostra il black death che ci si aspetta da queste uscite che provengono dagli strati più profondi dell’underground metal: un growl rantolante sovrasta ritmiche martellanti che si aprono però, sorprendentemente, allorché la chitarra solista prende campo, regalando intuizioni tutt’altro che banali e una certa imprevedibilità all’interno di un mood tanto naif quanto oscuro.
I Balmog sono invee un trio afferente in maniera più ortodossa al black metal, quindi risultando di maggiore impatto nell’immediato ma leggermente più prevedibile alla lunga rispetto a Sartegos; Venomous è comunque un bel brano dal pregevole sviluppo melodico, che conferma quanto di buono già fatto da una band dalla storia abbastanza lunga e disseminata di uscite, inclusi due full length nel 2012 e nel 2015.
In sostanza, questo split mette in luce due realtà interessanti, contigue per appartenenza geografica ma differenti per l’approccio al genere: due aspetti che, nonostante la sua brevità, rendono il lavoro appetibile agli estimatori di un black iberico che mostra da tempo un certo fermento.

Tracklist:
Side A
1. Sartegos – Lume do Visitante – Morrer no Nas
Side B
2. Balmog – Venomous

Line-up:
SARTEGOS
Rou Sartegos – Everything

BALMOG
Morg – Bass
Virus – Drums
Balc – Vocals, Guitars

BALMOG – Facebook

Mhönos – LXXXVII

Per poco più di quaranta minuti tutto il dolore ed il male che ci scrolliamo dalle spalle, considerandolo solo frutto di paure ancestrali, viene evocato dai Mhönos fino a mostracelo con il suo sinistro carico di ineluttabile morte e disfacimento.

Per i francesi Mhönos si ripropone l’eterno dilemma che attanaglia chi deve esprimere un parere su musica decisamente fuori dagli schemi, che è quello di capire se si tratta di vera genialità oppure di un’accozzaglia di suoni messi assieme senza un’apparente logica.

A mio modo di vedere, ogni forma di sperimentazione musicale deve anche mantenersi in un alveo entro il quale l’ascoltatore possa percepire un qualche disegno che consenta di assimilare opere, altrimenti, a forte rischio d’essere considerate un’esibizione di rumore fine a sé stesso.
LXXXVII oscilla pericolosamente su questo confine e immagino che la sua collocazione, dall’una o dall’altra parte, dipenda non solo dalla predisposizione dei diversi soggetti a simili ascolti ma, addirittura, dall’umore specifico di una stessa persona nel momento in cui il sound dei Mhönos viene si fa strada  senza alcuna misericordia.
Cercando d’essere asettici ed obiettivi il giusto, credo che questo sia un lavoro di notevole spessore, perché qui il male cessa d’esser un qualcosa che ci accompagna in maniera subliminale per proporsi in uno stato quasi solido, tramite una forma di black metal stravolta da un approccio rituale che porta il tutto su un piano ambient drone, con l’aggiunta di vocals quanto mai malevole a completare il quadro.
I Mhönos offrono un’opera che rischia seriamente di finire derubricata a sottobicchiere se acquistata in formato cd da qualcuno che non ha ben chiaro quali siano le finalità di questi misteriosi “frati” transalpini; viceversa, se si possiede un minimo di masochistica familiarità con certi suoni, è difficile restare indifferenti a questa esibizione di velenosa ed oscura follia musicale.
Per poco più di quaranta minuti tutto il dolore ed il male che ci scrolliamo dalle spalle, considerandolo solo frutto di paure ancestrali, viene evocato dai Mhönos fino a mostracelo con il suo sinistro carico di ineluttabile morte e disfacimento: il tutto senza fare neppure troppo rumore, ma affidandolo a sonorità minimali ed artifici vocali che da sgradevoli si fanno via via insinuanti fino a non poter essere più scacciati dalla memoria.
LXXXVII va sicuramente ascoltato, sia pure a proprio rischio e pericolo …

Tracklist:
1. I
2. II
3. III
4. IV

Line-up:
Frater Erwan: basso, cori
Frater Nikaos: percussioni
Frater Samuel: percussioni
Frater Nehluj: basso, coro
Frater Alexandre: basso, cori
Necropiss: voce

MHÖNOS – Facebook

Degial – Predator Reign

Un sound infernale creato per destabilizzare e rubare anime da portare all’oscuro signore in un’atmosfera di indicibile caos.

Se verrete risucchiati nel vorticoso maelstrom creato dai Degial, difficilmente riuscirete a tornare indietro restando imprigionati in un oscuro e personale inferno.

I Degial sono un quartetto svedese attivo da ormai più di dieci anni, hanno dato alle stampe un ep e due full length (Death’s Striking Wings uscito nel 2012 e Svage Mutiny licenziato un paio di anni fa), e tornano con il terzo album sotto Sepulchral Voice Records, questo massacro sonoro dal titolo Predator Reign, fatto di corse lungo i binari del black metal e cavalcate sul destriero death, in un’atmosfera apocalittica e rigorosamente old school.
Riff che creano vortici di male in musica, ritmiche devastanti, scream/growl da orco ferito e dunque (come un animale) ancora più rabbioso e crudele, vanno a comporre un sound infernale creato per destabilizzare e rubare anime da portare all’oscuro signore.
La title track, posta in apertura, e la successiva Thousand Spears Impale, vi danno il benvenuto nel regno della violenza e del caos primordiale, dove non ci sono rallentamenti o aperture a qualsivoglia melodia, solo terrore e rabbia, un massacro che continua imperterrito con Devil Spawn Hellstorm, cuore nero dell’album che pulsa al ritmo inumano di un sound bestiale e senza compromessi.
Clangor Of Subjugation mette la parola fine al massacro con sei minuti di black death epico ed oscuro che trascina a forza verso il fondo dell’inesorabile gorgo.

Tracklist
1.Predator Reign
2.Thousand Spears Impale
3.The Savage Covenant
4.Crown Of Fire
5.Devil Spawn
6.Hellstorm
7.Heretical Repugnance
8.Annihilation Banner
9.Triumphant Extinction
10.Clangor Of Subjugation

Line-up
H. Death – Vocals/Guitar
R. Meresin – Guitar
E. Forcas – Drums
P.J. Vorum – Bass

DEGIAL – Facebook

Begerith – A.D.A.M.

Chi ama il death metal più intenso e veloce qui troverà davvero un bel disco.

In fondo al 2017 arriva questo gran disco di death metal dei Begerith.

Questi ultimi sono dei russi di Vladivostok che si sono trasferiti in Polonia, ed effettivamente il loro suono è molto influenzato dalla scuola polacca del death metal, fatta conoscere nel mondo da gruppi come Behemoth, Vader e Hate, per citare quelli maggiormente conosciuti.
I Begerith sono al loro secondo lavoro sulla lunga distanza, e con A.D.A.M. Mettono in mostra tutte le loro qualità. Il suono, come detto sopra, è un death metal molto polacco, e ci sono anche forti influenze black metal, quello delle origini. Trovano anche molto spazio dei virtuosismi chitarristici mai fini a loro stessi, che potenziano la struttura dei brani. I Begerith mettono al centro di tutto la musica e ciò che veicolano con essa, infatti non si sanno i nomi dei componenti del gruppo, che sono indicati come Begerith e numerati da 1 a 4. Non si perde nemmeno tempo con i titoli delle canzoni, come potete notare. Il disco funziona davvero molto bene, è molto potente e bilanciato, ha un’ottima produzione e riesce a tenere sempre alta la tensione. Pur venendo da un ambiente musicale ben preciso i Begerith sono unici e il loro death è molto personale e devastante. Il disco è incentrato sulla figura di Adamo, scagliato da Dio sulla Terra, mostrando tutta la sua tracotanza. I testi sono molto interessanti, come spesso succede nel death metal, e non sono solo un contorno. I Begerith sono un gruppo affermato nella scena death metal, ed impressioneranno ancora di più grazie a questa prova, che è davvero buona.
Chi ama il death metal più intenso e veloce qui troverà davvero un bel disco.

Tracklist
1.Nome Fatas Hiss Mortus
2.A.D.A.M. I
3.A.D.A.M. II
4.A.D.A.M. III
5.A.D.A.M. IV
6.A.D.A.M. V
7.A.D.A.M. VI
8.A.D.A.M. VII
9.A.D.A.M. VIII
10.A.D.A.M. IX
11.A.D.A.M. X

Line-up
Begerith I – vocals, guitars
Begerith II – guitars
Begerith III – bass
Begerith IV – drums

BEGERITH – Facebook

Blaze Of Perdition – Conscious Darkness

Il quarto full length dei Blaze Of Perdition è un qualcosa che va oltre il concetto puramente estetico di black metal: qui si percepisce in maniera quasi tattile il turbinio di sensazioni che stanno alla base di un lavoro compositivo e lirico stupefacente, per qualità e profondità.

La storia dei Blaze Of Perdition è stata indubbiamente segnata dal tragico incidente stradale che vide coinvolta la band sulle strade austriache nel 2013, causando la morte del bassista Ikaroz e gravi conseguenze al vocalist Sonneillon ed al batterista Vizun.

Dopo simili eventi la vita non può essere più la stessa, nel bene e nel male: diciamo che, musicalmente parlando, il gruppo polacco pare aver acquisito una maggiore consapevolezza e, se questo era già stato palesato nel precedente album, ancor più tale aspetto emerge in questo contesto.
La scelta stessa di proporre un album strutturato su quattro lunghi brani la dice lunga: i Blaze Of Perdition hanno sentito evidentemente la necessità di prendersi maggiore tempo e spazio per sviluppare la propria idea di black metal; questo consente ad un brano magistrale come Ashes Remain di oscillare senza rischi tra le sfuriate in blast beat e passaggi più rarefatti ed oscuri che ricordano, in alcuni momenti, addirittura i Fields of the Nephilim, grazie anche alla profonda timbrica recitativa di Sonneillon.
Se questo episodio è a suo modo emblematico dello spessore odierno della band di Lublino, tutto il resto del lavoro si mantiene su livelli eccelsi per merito di una approccio che è senz’altro conforme ai dettami di base della consolidata scena estrema polacca e che, quale valore aggiunto, vede una naturale propensione melodica pur se racchiusa all’interno di un’atmosfera per lo più plumbea.
L’opener A Glimpse of God apre come meglio non potrebbe le ostilità, facendo intuire fin dalla prima nota di quale spessore sia il livello artistico di questa band, che non spreca un solo secondo in passaggi interlocutori o in altri artifici riempitivi: diciamo solo che Weight of the Shadow è forse il brano che presenta la maggiori dissonanze, le quali restano del tutto funzionali al mantenimento della tensione al suo massimo livello, cosa che viene puntualmente confermata dalla magnifica e conclusiva Detachment Brings Serenity, il cui finale sigla un approccio musicale privo di vincoli ma, nel contempo, anche di divagazioni fine a a sé stesse
Il quarto full length dei  Blaze Of Perdition è un qualcosa che va oltre il concetto puramente estetico di black metal: qui si percepisce in maniera quasi tattile il turbinio di sensazioni che stanno alla base di un lavoro compositivo e lirico stupefacente, per qualità e profondità.
Volendolo incasellare comunque alla voce black metal, Conscious Darkness è con ogni probabilità uno dei candidati al titolo di album dell’anno in questo settore, anche se le trame oscure ed incalzanti che ne pervadono i brani sono del tutto indicate per l’ascolto anche da parte degli appassionati di doom o dark metal.

Tracklist:
1. A Glimpse of God
2. Ashes Remain
3. Weight of the Shadow
4. Detachment Brings Serenity

Line-up
XCIII – Guitars
Sonneillon – Vocals
Vizun – Drums

BLAZE OF PERDITION – Facebook

Devlsy – Private Suite

Ascoltando Private Suite si capisce che è un disco di caratura superiore, che unisce vari linguaggi musicali in una miscela di qualità superiore.

Nella continua ed inarrestabile avanzata e crescita del black metal arriva questa seconda opera dei lituani Devlsy , fautori di un post black metal molto interessante.

In realtà si può parlare di opera black metal tout court, anche se l’impostazione è sicuramente diversa rispetto a quella classica. Le chitarre molto ribassate ed un ritmica pulsante ci portano in giro per mondi distorti, dove menti lontane nello spazio hanno rinchiuso le nostre anime, e non è prevista la salvezza. I Devlsy sono un gruppo dalla grande fantasia sonora, ed infatti i signori dell’ATMF, etichetta triestina con un catalogo di gran valore, non hanno perso l’occasione per pubblicare questo disco. Lo scopo di Private Suite è di creare un labirinto sonoro che ci metta in contatto con dimensioni che sono oltre la nostra comprensione, perché dischi come questo non sono mera musica, ma rituali per andare da qualche altra parte. Ancora una volta il black metal è un contenitore incredibile, sorgente che fa scaturire molteplici codici diversissimi fra loro, in grado di far ragionare le menti che lo vogliano. Il distorto universo sonoro dei Devlsy è un qualcosa che va esplorato, sono moltissimi gli angoli molto notevoli, e su tutto aleggia un disegno superiore. Ascoltando Private Suite si capisce che è un disco di caratura superiore, che unisce vari linguaggi musicali in una miscela di alta qualità. Questi lituani fanno piangere e sognare, abbeverandoci alla fonte del nostro eterno dolore, là dove si può solo lenire con la fuga, senza mai curare. Il disegno sonoro dei Devlsy è di gran valore e traccia una traiettoria che crescerà ancora, e già questo è un disco assai notevole. Nella traccia sonora Bring MyWord canta anche un certo Dave Ed dei Neurosis, che non necessitano certo di presentazione.

Tracklist
1.Corridors
2.Hatching Tomb
3.Bring My Word
4.Patient #6
5.Porta Formica
6.Horizon Attached

DEVLSY – Facebook

Minas Morgul – Kult

Un prepotente nuovo ritorno di questa duttile ma sopraffina band tedesca. Nuovi canoni,forse, ma sicuramente vecchia maestria: il loro valore è nuovamente assicurato.

Aspettavamo i Minas Morgul, a 5 anni dall’ultimo album di discreto successo Ära.

L’indomita band tedesca, direttamente dal lato oscuro dell’immaginario di Tolkien, non può far altro che riportarci alla mente uno scenario energico, esplosivo, condito di disprezzo continuo che ha il suo apice nell’album Eisengott, del 2009, forse il loro lavoro più riuscito nonché di grande fortuna presso i fans.
In questo nuovo album, dal titolo Kult, trascorre davvero poco tempo prima di renderci conto di cosa è cambiato nei progetti sonori dei tedeschi. E allora schiacciamo il tasto play ed apriamo la porta alla prima traccia Einleitung , che funge anche da intro per il disco, nella quale sembra di camminare in un corridoio buio che si fa poco a poco meno rassicurante fino a diventare pressante.
Sensazione che sembra essere alleggerita in certi frangenti, come nell’intro di Ein teil von mir , ma l’universo fantasy dei Minas Morgul, pur puntando meno sull’aggressività devastante, stavolta ha più aderenza con la realtà. Questo album trasuda sentimenti di dissacrazione pura al 100%, che spesso sfocia nell’amarezza. Ne scaturisce un sound che raggiunge i suoi scopi senza danneggiare o ammorbidire (anzi, forse rafforzandola) l’immagine che sempre ha contraddistinto questa band.
La frenesia rimane, e così la batteria a tratti sempre infernale, ma l’atmosfera è più sottile e richiede più sensibilità anche al metallaro più apatico e pesante. Il tratto malinconico è aggiunto ad arte dai Minas Morgul, che anche stavolta ci hanno deliziato.

Tracklist
1. Einleitung
2. Kult
3. Ein Tell von mir
4. Abschied
5. Leere
6. Bevor ich gehe
7. Nur eine Kugel
8. Scherben
9. Was bleibt
10. XX

Line-up
13R13: singing
Saule: guitar
Herr Ewald: guitar
Bobby B.: Bass
Berserk: drums
Jen: Keyboards

MINAS MORGUL – Facebook

Cold Cell – Those

Un’opera intensa, gelida carica di odio verso il genere umano dove…the lowliness of man is inviolable.

Band svizzera di Basilea, relativamente conosciuta, i Cold Cell giungono in quattro anni di attività al loro terzo full length e suonano, con sempre maggiore convinzione, un black metal molto dark, atmosferico e moderno.

Sono cinque musicisti che, pur non avendo una grande storia, tranne il batterista attivo nei Schammasch, splendida entità con un suo personale suono, hanno le idee chiare e ci propongono un’opera intensa, ben composta e ben suonata dispiegando un sound gelido, carico di malsane atmosfere e sferzato da taglienti chitarre molto ispirate. Il suono dei Cold Cell evolve in atmosfere plumbee, grigie, rimembranti desolati paesaggi metropolitani derivanti, secondo me, anche da alcuni oscuri aromi darkwave. Le vocals in scream sono molte, decise, cariche di odio e accompagnano perfettamente il suono di piccole perle come la lunga Tainted Thoughts dove toni incompromissori rappresentano la base per una violenta cavalcata piena di furore e ferocia; i brevi momenti in cui le chitarre si calmano sono carichi di tensione e lasciano l’ascoltatore atterrito di fronte a tanta cattiveria. La faccia moderna del black si nutre di concetti, come la perdita della coscienza, la morte della spiritualità, la disumana ferocia dell’ uomo e colpisce in modo profondo con un sound freddo che lacera e taglia con lame gelide ciò che rimane dell’animo umano; un brano disturbante come Sleep of Reason lascia una cupa disperazione e un mondo senza speranza alcuna di redenzione. L’angosciante Drought in the Heart annichilisce con una tangibile disperazione e ci fa apprezzare lo sforzo compositivo di questi musicisti provenienti da una stato che tanto ha dato e dà ancora alla musica estrema.

Tracklist
1. Growing Girth
2. Entity I
3. Seize the Whole
4. Tainted Thoughts
5. Sleep of Reason
6. Entity II
7. Drought in the Heart
8. Heritage

Line-up
In Bass, Vocals (backing), Keyboards
aW Drums
Ath Guitars
S Vocals
W4 Guitars

COLD CELL – Facebook

In Twilight’s Embrace – Vanitas

Gli In Twilight’s Embrace hanno lasciato in parte la strada che li portava verso la Scandinavia per rimanere nel loro paese (la Polonia) e scovare sentieri ancora più estremi ed oscuri, una piccola svolta per il gruppo che non deluderà i loro ascoltatori.

The Grim Muse, licenziato un paio d’anni fa, mi aveva piacevolmente impressionato, dandomi la possibilità di conoscere gli In Twilight’s Embrace, gruppo polacco dal sound a metà strada tra il death metal scandinavo e il black metal suonato dalle loro parti.

Il quintetto di Poznań torna con un nuovo lavoro, questo oscuro esempio di death/black metal dalle melodie che accentuano la parte melanconica dell’anima del gruppo, intitolato Vanitas.
Un altro centro dopo l’ottimo album precedente, a mio parere più pesante e oscuro rispetto al death metal melodico dalle sfuriate black di The Grim Muse, in poche parole più estremo ed incentrato sul black death metal alla Behemoth.
Vanitas non mancherà di soddisfare chi già aveva apprezzato il lavoro precedente: la componente black si è fatta più presente, lasciando nell’ombra quella più melodica e mettendo l’ascoltatore al cospetto di un’opera dove l’oscurità è accentuata in maniera più decisa, mentre le melodie incorniciano brani pressanti come As Future Evaporates o Flesh Falls No Ghost Lift.
In conclusione, gli In Twilight’s Embrace hanno lasciato in parte la strada che li portava verso la Scandinavia per rimanere nel loro paese (la Polonia) e scovare sentieri ancora più estremi ed oscuri, una piccola svolta per il gruppo che non deluderà i loro ascoltatori.

Tracklist
1.The Hell of Mediocrity
2.Fan the Flame
3.As Future Evaporates
4.Trembling
5.Flesh Falls, No Ghost Lifts
6.Futility
7.The Rift
8.The Great Leveller

Line-up
Leszek Szlenk – Guitars (lead)
Cyprian Łakomy – Vocals
Marcin Rybicki – Bass
Dawid Bytnar – Drums

URL Facebook
IN TWILIGHT’S EMBRACE – Facebook

Deinonychus – Ode To Acts Of Murder, Dystopia And Suicide

Il black doom dalle forti venature depressive dei Deinonychus torna ad inquietarci, sempre sotto l’egida della My Kingdom Music.

Dopo dieci anni di silenzio ritornano i Deinonychus , band che è di fatto il progetto solista del musicista olandese Marco Kehren, giunto con Ode To Acts Of Murder, Dystopia And Suicide all’ottavo full length in un quarto di secolo di attività.

Il black doom dalle forti venature depressive torna ad inquietarci, sempre sotto l’egida della My Kingdom: nell’occasione Kehren chiama a coadiuvarlo il batterista Steve Wolz (con il quale ha in comune la passata militanza nei Bethlehem) e Markus Stock che, oltre a contribuire con le proprie tastiere, ha curato anche la la registrazione dell’album.
Con la tavola apparecchiata per l’ottenimento di un risultato importante, Ode To Acts Of Murder, Dystopia And Suicide non delude le attese: le vocals disperate su stagliano su una forma di black ragionata, spesso caratterizzata da momenti più rarefatti ed evocativi nei quali lo screamjng di Kehren diviene quasi un recitato dai toni laceranti (Dead Horse).
La differenza tra l’essere impattante emotivamente e lo scadere nel grottesco sta tutta nella credibilità del nome Deinonychus e, conseguentemente, dei musicisti che hanno lavorato alla realizzazione dell’album; Ode To Acts Of Murder, Dystopia And Suicide non cala mai in intensità, piaccia o meno l’enfasi con la quale il malessere esistenziale viene veicolato, e francamente non resta nulla di diverso da chiedere a questo ritorno se non quello di rammentarci con forza quanto sia caduca la nostra vita e fragile la nostra psiche.
In copertina, la figura stilizzata in un’oscurità quasi totale cammina sui binari in attesa, forse, di un’inevitabile fine, ma può anche rappresentare una strada obbligata della quale non si conosce né la meta né il tempo necessario per raggiungerla.
Quest’ultimo lavoro segna il ritorno di un musicista ispirato e, se qualcuno dicesse nutrisse dei dubbi, ascolti con attenzione e predisposizione questi tre quarti d’ora di musica, sui quali si staglia il drammatico doom black di For This I Silence You, traccia che spinge ai massimi livelli il senso di alienazione dalla realtà e picco di una tracklist, comunque, complessivamente inattaccabile sotto ogni aspetto.

Tracklist:
1. Life Taker
2. For This I Silence You
3. The Weak Have Taken The Earth
4. Buried Under The Frangipanis
5. Dead Horse
6. Dusk
7. There Is No Eden
8. Silhouette

Line-up:
Marco Kehren – guitars, bass and vocals

Steve Wolz – drums
Markus Stock – keyboards

DEINONYCHUS – Facebook

Funeral Baptism – The Venom Of God

The Venom Of God è un lavoro senz’altro apprezzabile e riuscito nel proprio intento primario, che è quello di offrire un’interpretazione del genere onesta e coinvolgente, il che basta e avanza per renderlo un ascolto consigliato senza alcuna riserva.

I Funeral Baptism sono una nuova interessante realtà sbucata dalle brumose lande rumene.

Per essere precisi però, va detto i primi passi della band sono avvenuti in Argentina, patria del chitarrista e compositore Damian Batista, ma è solo dopo il suo trasferimento l’anno scorso a Bucarest che il progetto ha preso corpo trasformandosi in qualcosa di più vicino ad una band vera e propria.
Per questo primo full length, che arriva dopo due ep, il musicista sudamericano si avvale del vocalist Liviu Ustinescu, già noto nella scena nazionale per la sua militanza nei DinUmbră: il duo dà cosi vita ad un buon lavoro di black metal piuttosto diretto, ruvido il giusto ma ricco di belle melodie e sufficientemente vario nel suo attingere anche alle altre forme di metal estremo.
The Venom Of God di fatto dura poco più di un ep, regalando comunque mezz’ora scarsa di black convincente che vede il proprio apice nella parte centrale con due brani davvero di grande spessore come la trascinante Pale Rider, che brilla per una linea chitarristica dal grande senso melodico, e la title track, che dopo un inizio più ragionato si trasforma nella seconda metà in un’inarrestabile cavalcata.
La dote primaria dei Funeral Baptism è sostanzialmente la linearità che non va a discapito, però, dell’intensità e dell’impatto e questo fa di The Venom Of God un lavoro senz’altro apprezzabile e riuscito nel proprio intento primario, che è quello di offrire un’interpretazione del genere onesta e coinvolgente, il che basta e avanza per renderlo un ascolto consigliato senza alcuna riserva.

Tracklist:
1.Aleph
2.The Seething Spirit
3.The Gift
4.Pale Rider
5.The Venom of God
6.Return to the Void
7.My Last Whisper

Line-up
Damian – guitar/bass
Liviu – Vocals/lyrics

FUNERAL BAPTISM – Facebook

Thakandar – Sterbende Erde

I Thakandar riecono ad attingere il meglio da tutta la tradizione black del loro paese, riversandola in maniera sufficientemente personale e coinvolgente per ritagliarsi la meritata attenzione da parte degli appassionati.

I Thakandar sono l’ennesima band di spessore che sbuca dall’underground black tedesco.

Il gruppo della bassa Sassonia interpreta il genere secondo i canoni consolidati della scuola germanica, quindi con ritmi mai forsennati ed una costante ricerca melodica senza disdegnare aperture verso il death e l’heavy metal.
Quello che ne scaturisce è Sterbende Erde, full length d’esordio per un combo attivo dalla fine dello scorso decennio e rimasto fino ad oggi un po’ sotto traccia causa una produttività piuttosto scarna.
Anche se l’unico tra i musicisti coinvolti ad avere una certa notorietà è il batterista Marlek, già membro degli storici Geist (poi Eis), la band dimostra una notevole padronanza districandosi abilmente in un ambito nel quale bisogna trovare il modo di penetrare nella memoria degli ascoltatori per sperare di ottenere un certo seguito: i Thakandar lo fanno con un mazzo di brani di buona orecchiabilità ed intensità, del tutto in linea appunto con gruppi come i citati Eis, concedendosi poi una deroga dai classici canoni, a partire dall’inserimento riuscito di voci femminili funzionali all’approdo a parti che possono richiamare anche il doom ( Hinter dem Schatten ma soprattitto Signal Of Sorrow).
Sterbende Erde è un’opera in linea con i dettami del genere in terra tedesca, quindi qualità al di sopra di ogni sospetto, con grande profondità e suoni molto curati in antitesi con la tendenza lo fi di gran parte degli interpreti abituali.
Ogni traccia presenta più di un buon motivo per essere ascoltata ed un tema portante incisivo, espresso sia tramite la robustezza del riffing (Todesmarsch I: Verdammnis) sia attraverso la solennità delle atmosfere (Todesmarsch II: Verbannung).
La lunga e superba title track suggella un album che sarebbe un peccato trascurare perché i Thakandar riecono ad attingere il meglio da tutta la tradizione black del loro paese, riversandola in maniera sufficientemente personale e coinvolgente per ritagliarsi la meritata attenzione da parte degli appassionati.

Tracklist:
1. Erbschuld
2. Hinter dem Schatten
3. Signal of Sorrow
4. Todesmarsch I: Verdammnis
5. In der Asche der Alten
6. Todesmarsch II: Verbannung
7. Sterbende Erde

Line-up:
Xorg – Vocals
Zavragor – Guitar + Vocals
Kelrath – Guitar
Argui – Bass
Marlek – Drums

THAKANDAR – Facebook

Dunkelnacht – Anthropocenia

I Dunkelnacht dimostrano ancora una volta di essere multiformi, ma senza mai dimenticare cosa significa la parola black. Per tutti gli amanti del genere, sicuramente una panacea.

È un mondo frenetico. Troppo. Lo scenario descritto dai Dunkelnacht è chiaro e spietato. L’uomo ha annientato ogni forma di pudore nei confronti di un mondo che non gli appartiene, ma che anzi lo possiede.

Il titolo di questo EP, il secondo di fila, è Anthropocenia: un termine adattissimo, che si riferisce proprio all’epoca moderna, nella quale l’essere umano è direttamente responsabile dei cambiamenti geologici nella loro totalità. Come al solito però, ne è responsabile in chiave negativa.
Quello presentatoci dai francesi è un sound letteralmente intriso di negatività e corrosione. Un pezzo emblematico come Extinction potrebbe farci pensare che ci sia concesso spazio per la riflessione, ma è presto chiaro che l’intento è piuttosto quello della pena per la stupidità umana, perché veniamo catapultati dentro una melma da cui è difficile uscire. E per farlo, certamente la band francese non ha bisogno di pretesti o giustificazioni. In passato abbiamo sentito, da parte loro, un black metal senza dubbio più forsennato e privo di catene, ma la scelta stilistica in Anthropocenia si rivela perfetta per evocare nella nostra mente esattamente ciò che i Dunkelnacht vogliono.
Durante l’ascolto, spesso si possono mescolare dentro di noi più stati d’animo, che però questi artisti riescono a far convivere. Anche gli spezzoni che potrebbero sembrare più clementi o romantici, hanno sempre una linea guida che, una volta compresa, ce li fa vedere sotto un’altra luce. È quella dell’ intolleranza, della pazienza finita, e di ogni altra energia negativa che si annida nei nostri corpi.
Insomma, un odio d’altri tempi che qualche lacrimuccia, forse, la fa scendere.

Tracklist
1. Anthropocenia
2. Extinction
3. Nenia
4. Ikonoklazt

Line-up
Heimdall – Guitars (lead), Programmings
Alkhemohr -Bass, Vocals (backing)
M.C. Abagor – Vocals (lead)
Tegaarst- Drums

DUNKELNACHT – Facebook

Verge – The Process Of Self-Becoming

Un suono a tratti scarno, opprimente ed oscuro, ma reso avvincente per gli amanti di queste sonorità da un fascino sinistro e depressivo, per un lavoro notevole ma sicuramente non di facile ascolto.

Un’altra oscura sinfonia estrema presentata dalla I,Voidhanger Records e licenziata in questo inizio autunno battente bandiera finlandese è The Process of Self-Becoming, nuovo album dei Verge.

Il gruppo, attivo da una decina d’anni, arriva al terzo full length, con il quale percorre le vie sinistre del black metal moderno, con lenti passaggi doom, armonie dissonanti, voci pulite che ricordano il prog alternativo suonato negli ultimi anni ed una disperata attitudine, depressiva e misantropica, che aleggia in tutto l’album.
Quindi con i Verge dimenticate l’urlo di battaglia delle truppe sataniste e concentratevi sui risvolti melanconici e filosofici di anime tormentate.
Lo screaming è tragicamente esasperato e la voce pulita accentua la vena depressiva di brani come Aesthetic II – The Futility of It All o la conclusiva Religious II – Grounding in the Unground, mentre il sound alterna lenti e trascinati andamenti che portano inevitabilmente al baratro a momenti in cui la mente si ribella e la musica segue il passo con accelerate di scarno e violento black metal di stampo classico.
L’album è diviso in tre parti, a loro volta divise nei tre capitoli di Aesthetic, i due di Moral e gli altrettanti di Religious, tre modi diversi di interpretare la drammatica condizione mentale, compressa tra depressione e negatività.
Un suono a tratti scarno, opprimente ed oscuro, ma reso avvincente per gli amanti di queste sonorità da un fascino sinistro e depressivo, per un lavoro notevole ma  sicuramente non di facile ascolto.

Tracklist
1. Aesthetic I – The Piety In Hatred
2. Aesthetic II – The Futility Of It All
3. Aesthetic III – The Ridiculous Difficulty Of Acceptance
4. Moral I – The Decision Beyond Calculation
5. Moral II – The Pride In Despair
6. Religious I – The Bedrock Gives Way
7. Religious II – Grounding In The Unground

Line-up
Wrong – Vocals, Bass
Not – Guitars
Never – Drums
Down – Guitars
Sandh – Bass

VERGE – Facebook

Paramnesia / Ultha – Split

I francesi Paramnesia ed i tedeschi Ultha si rivelano due ottime band che, in qualche modo, fotografano nitidamente le tendenze delle rispettive scuole nazionali in ambito black metal.

La Les Acteurs De L’Ombre Productions è un’altra etichetta che si sta facendo pazientemente largo, puntando sulla pubblicazione di album di qualità i cui autori sono spesso gruppi ancora relativamente poco conosciuti.

In quest’occasione le band portate all’attenzione del pubblico sono due, visto che l’oggetto dell’articolo è uno split album che accomuna i francesi Paramnesia ed i tedeschi Ultha.
La prima parte è appannaggio dei Paramnesia, autori di un post black dai connotati piuttosto cupi: VI è un brano decisamente elaborato che vive di qualche brusca accelerazione alternata a momenti di liquida calma, riuscendo con buona continuità a mantenere sempre alta la tensione. L’offerta del gruppo di Strasburgo va lavorata con pazienza perché non presenta grandi aperture melodiche vivendo, come detto, di una sorta di compressione sonora in un misto di rabbia e disperazione.
Se l’ambito stilistico, almeno a livello di assegnazione di un etichetta, può essere lo stesso per i teschi Ultha, in realtà l’approccio che rinveniamo è ben diverso e più canonicamente collocabile nel black metal, con ritmiche quasi sempre sostenute, chitarre che esprimono al meglio uno spiccato senso melodico con il ricorso al tradizionale tremolo e la differenza fatta da un’intensità non comune, che rende i diciotto minuti di The Seventh Sorrow un piccolo gioiello da maneggiare con estrema cura, confermando i riscontri entusiastici che la band di Colonia aveva ottenuto con il full length Converging Sins, uscito lo scorso anno.
Paramnesia e Ultha si rivelano due ottime band che, in qualche modo, fotografano nitidamente le tendenze delle rispettive scuole nazionali: se in Francia si prediligono spesso sonorità meno immediate e sovente intricate, con pulsioni estreme provenienti da altri sottogeneri, in Germnania il black metal possiede quel senso di solennità che si può esprimere sia con un mood malinconico sia come un senso di incombente minaccia.
Due maniere diverse, ma entrambe ugualmente apprezzabili, di interpretare il genere: per gusto personale preferisco gli Ultha, anche perché non posso nascondere la mia predilezione per il gusto con il quale il black viene maneggiato in terra tedesca, ma i Paramnesia non sono affatto da meno, anche se la loro proposta è naturalmente rivolta a chi preferisce un sound più disturbato ed obliquo.

Tracklist:
1. PARAMNESIA – VI
2. ULTHA – The Seventh Sorrow

Line-up
PARAMNESIA
Pierre Perichaud Drums
Antonin Gerard – Guitars
Simon Barth – Bass
Thibault Bapst – Vocals

ULTHA
Chris – Bass, Vocals
Ralph – Guitars, Vocals
Manu – Drums
Andy – Electronics
Ralf – Guitars

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ULTHA – Facebook

Deos – In Nomine Romae

In Nomine Romae è consigliato sia ai fans del black metal sinfonico che a quelli del death epico e guerresco.

L’impero romano glorificato a colpi di blackened death metal, orchestrale e melodico, epico e suggestivo, questo è In Nomine Romae secondo album dei francesi Deos.

Attiva da soli tre anni e con il precedente album licenziato due anni fa (Ghosts Of The Empire), la legione romana trapiantata in Francia strappa la firma con Buil2Kill Records e ci scaraventa in pieno impero, alla conquista del mondo all’epoca conosciuto, celebrando la sua grandezza ad ogni nota che compone l’opera divisa in tredici brani più intro.
Ovviamente epico, il sound dei Deos, a tratti davvero suggestivo, prende forza dal black metal, lo potenzia con il death che fa da fedele centurione e lo armonizza con tappeti orchestrali che tanto sanno di Emperor.
Dopo l’intro “italiana” L’armata Dei Coraggiosi, l’opera prende il via tra ritmiche veloci, orchestrazioni oscure ed un scream/growl che riempie di epica e guerresca cattiveria le atmosfere di brani come Caput Mundi, mentre le sfumature si fanno sempre più oscure e l’odore di morte più intenso all’ascolto di Memento Mori e Laudatio Funebris, un mid tempo funereo e molto suggestivo.
L’atmosfera dell’album non accenna a lasciare territori oscuri, mentre le conquiste si moltiplicano e così le lodi all’impero; le trame epiche si avvicinano agli Amon Amarth, ma sono le band fedeli alla storia dell’Urbe che tornano prepotentemente in auge all’ascolto dell’opera (Ex Deo ed i nostrani Ade, coi quali il gruppo partirà per un tour).
Più vicini al black metal, i Deos risultano sicuramente più oscuri e maligni: In Nomine Romae è quindi consigliato sia ai fans del black metal sinfonico che a quelli del death epico e guerresco, che troveranno di che esaltarsi tra le trame delle varie Cunctator e Delenda Carthago.

Tracklist
1.L’armatura dei coraggiosi
2.Pro Iovis Pro Mars
3.Caput Mundi
4.Sapere Aude
5.Oderint Dum Metuant
6.Memento Mori
7.Cincinnatus
8.Laudatio Funebris
9.Mylae
10.Post Tenebras Lux
11.Cunctator
12.Aut Vincere Aut Mori
13.Delenda Carthago

Line-up
Jack Graved – Bass, Vocals
Loïc Depauwe – Drums
François Giraud – Guitars
Fabio Battistella – Guitars
Harsh Wave – Keyboards

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