Organic – Carved In Flesh

Prodotto benissimo, tanto che i dettagli compositivi sono perfettamente leggibili, ed accompagnato da una copertina dal fascino old school commovente, Carved In Flesh è un album che entusiasma, una vera sorpresa assolutamente imperdibile se siete amanti di queste immortali sonorità.

Certo che nel far suonare questo album sulle montagne dolomitiche che fanno da sfondo a Brunico si rischiano,  ad ogni nota, valanghe dovute alla potenza emanata da questa bomba death metal dal titolo Carved In Flesh.

La band che ha creato questo tsunami di metal estremo di matrice old school si chiama Organic, arriva all’esordio su lunga distanza dopo un ep licenziato quattro anni fa (Death Battalion) ed ora si appresta a conquistare i cuori dei deathsters dai gusti tradizionali con questo ottimo lavoro composto da nove brani, più le due tracce presenti nell’ep quali bonus track nella versione in vinile.
Il death metal degli altoatesini si ispira a quello svedese dei primi anni novanta, quando erano in piena azione creature musicali mostruose come Grave, Dismember ed Unleashed, con chitarre come motoseghe che abbattono alberi millenari, ritmiche scatenate che si stemperano in atmosferici momenti doom/death che ricordano gli Asphyx, e poi growl cavernoso, riff taglienti e melodie scaturite da death metal infernale.
Prodotto benissimo, tanto che i dettagli compositivi sono perfettamente leggibili, ed accompagnato da una copertina dal fascino old school commovente, Carved In Flesh è un album che entusiasma, una vera ed imperdibile se siete amanti di queste immortali sonorità.
Gli Organic offrono quasi quaranta minuti, che vorremmo non finissero mai, di immersione in quel sound che ha fatto la storia del metal estremo.

Tracklist
1. Suffocate In Blood
2. Shrouded In Darkness
3. Frozen Meat Medal
4. Macabre Rites
5. Der Fotzenknecht
6. I, Soulless
7. Carved In Flesh
8. Carnal Absolution (Behind The Altar)
9. From Beyond
10. Death Battalion (Vinyl Bonustrack)
11. The Result Is To Collapse (Vinyl Bonustrack)
Line-up

Maxi Careri – Vocals
Benni Leiter – Guitar
Markus Walder – Bass
Lukas Hofer – Drums

ORGANIC – Facebook

Madvice – Everything Comes To An End

Il sound non ha nulla a che vedere con quello dei Nameless Crime, ma rimane una sagacia compositiva che si respira nello spartito di queste devastanti nove esplosioni metalliche che racchiudono un impatto tradizionale, con un approccio moderno e progressivo e assolutamente diretto.

Quattro anni fa affrontavamo lo straordinario, ultimo lavoro dei Nameless Crime (il bellissimo Stone The Fool), un album metal che inglobava nel proprio sound una marea di intuizioni provenienti dai generi più disparati risultando un lavoro originale e sopra le righe.

Maddalena Bellini e Raffaele Lanzuise, rispettivamente chitarrista e bassista di quella band, tornano oggi con il nome Madvice: con Asator al microfono e Marco Moretti alla batteria, il gruppo debutta con Everything Comes To An End, licenziato dalla Time To Kill Records.
Nove brani, compresa la cover di Everybody Wants to Rule the World dei Tears For Fears, compongono questo notevole esempio di metal estremo, dai rimandi death/thrash.
Il sound non ha nulla a che vedere con quello dei Nameless Crime, ma rimane una sagacia compositiva che si respira nello spartito di queste devastanti nove esplosioni metalliche che racchiudono un impatto tradizionale, con un approccio moderno e progressivo e assolutamente diretto.
Tra le note di brani pesantissimi come Vengeance, il potente mid tempo di A Day To Fight, A Day To Suffer o Master Of Doom si trova la chiave per entrare nel mood di questo lavoro che vive di sonorità estreme, ma che non rinuncia a qualche geniale digressione progressiva in una perfetta simbiosi tra At the Gates, Soilwork e il Devin Townsend più diretto.
Un ottimo lavoro che da il via alla carriera dei Madvice, band da seguire con molta attenzione, anche perché i musicisti coinvolti lo meritano.

Tracklist
1. Vengeance
2. Everything Comes To An End
3. A Day To Fight, A Day To Suffer
4. The Gate
5. Nothingness
6. Master Of Doom
7. Everybody Wants to Rule the World
8. Rebirth
9. Hopeless

Line-up
Asator – Vocals
Maddalena Bellini – Guitars
Raffaele Lanzuise – Bass
Marco Moretti – Drums

MADVICE – Facebook

Aethereus – Absentia

Un debutto più che positivo per una band davvero eccellente sotto l’aspetto tecnico e che riesce a superare in modo soddisfacente anche l’ostacolo del songwriting in un genere nel quale scadere nel mero tecnicismo è piuttosto facile.

Il lato progressivo del death metal continua a mietere vittime, in questo periodo costellato da uscite molto interessanti sia per quanto riguarda le band più affermate che le giovani leve, sempre più agguerrite e preparate a livello tecnico.

Progressive death o technical death, fate voi, l’importante è strabiliare con capacità tecniche, brutalizzare il sound accelerando come una Formula 1 sul rettilineo prima del traguardo, ed aggiungere bellissime parti atmosferiche a fungere da quiete prima della tempesta.
In arrivo da Tacoma, cittadina dello stato di Washington, si affacciano sulla scena estrema grazie all’etichetta The Artisan Era gli Aethereus, quintetto attivo da quattro anni con un ep (Ego Futurus) alle spalle, ora affiancato da Absentia, primo lavoro sulla lunga distanza.
La band statunitense risulta perfettamente calata nel genere grazie ad un sound in linea con quanto descritto in precedenza, mancando forse di personalità, ma ritagliandosi un suo spazio in quanto a potenza e bravura esecutiva.
Absentia elargisce ottima tecnica in abbondanza, gli stacchi atmosferici sono oscuri e pesanti ma frenano l’ondata brutale del sound, mentre varianti ritmiche e scale vorticose dettano le regole su cui sono strutturati brani convincenti come in Fluorescent Halls of Decay e The Pale Beast.
Un debutto più che positivo per una band davvero eccellente sotto l’aspetto tecnico (Kyle Chapman e Ben Gassman risultano chitarristi dall’accentuato talento melodico), e che riesce a superare in modo soddisfacente anche l’ostacolo del songwriting in un genere nel quale scadere nel mero tecnicismo è piuttosto facile.

Tracklist
1. Cascades of Light
2. Writhe
3. Mortal Abrogation
4. Fluorescent Halls of Decay (Ft. Brody Uttley of Rivers of Nihil)
5. Absentia
6. That Which is Left Behind
7. The Black Circle
8. With You, I Walk
9. The Pale Beast

Line-up
Vance Bratcher – Vocals
Kyle Chapman – Guitar/Vocals
Ben Gassman – Guitar
Scott Hermans – Bass
Matthew Behner – Drums

AETHEREUS – Facebook

Tragacanth – The Journey Of A Man

Death metal feroce e tecnico, a tratti assolutamente progressivo ed attraversato da mood atmosferici, mentre un’anima black è foriera di cavalcate sferzate da gelidi venti nordici.

I Paesi Bassi sono per tradizione una delle terre più importanti per lo sviluppo delle sonorità estreme, specialmente per quanto riguarda il caro e vecchio death metal, fin dai primi anni novanta.

I Tragacanth fanno parte di quelle nuove leve che provano, anche se con approccio diverso, a tenere alta la bandiera del metal estremo nel paese dei tulipani, riuscendoci con un sound interessante e questo nuovo lavoro intitolato The Journey Of A Man, il secondo dopo Anthology Of The East licenziato tre anni fa.
Death metal feroce e tecnico, a tratti assolutamente progressivo ed attraversato da mood atmosferici, mentre un’anima black è foriera di cavalcate sferzate da gelidi venti nordici: questo è il sound proposto dal gruppo proveniente da Utrecht, imprigionato in nove composizioni per cinquanta minuti di intricate parti tecnico progressive e devastanti ripartenze death/black metal che non lasciano scampo.
La bravura tecnica dei nostri non inficia la scorrevolezza di composizioni dalla durata importante, cangianti nelle atmosfere di cui si compongono e perfette nel presentare al meglio i loro creatori.
Denial: They Are Mistaken, Depression: Waning Light e Acceptance: My Destiny Awaits, basterebbero per fare una carneficina, scorticando e torturando i padiglioni auricolari dei fans per via di un songwriting che alterna death metal, progressive, brutal e black metal in un continuo saliscendi estremo di ottimo valore.
Nella musica dei Tragacanth troverete sicuramente note che vi porteranno al confronto con altre e più famose realtà, ma il tutto rimanendo comunque saldamente all’interno in una proposta a suo modo personale.

Tracklist
1.Survival: Stagnate Reality
2.Denial: They Are Mistaken
3.Anger: Kitrine Chole
4.Depression: Waning Light
5.Bargaining: Will You Answer Me?
6.Nightmare: The Vision
7.Acceptance: My Destiny Awaits
8.Suffering: The Essence Implodes
9.Death: Journey’s End

Line-up
Jasper – Drums
Adrian – Guitars
Erik – Guitars
Terry – Vocals
Mark – Bass

TRAGACANTH – Facebook

Brvmak – In Nomine Patris

In Nomine Patris risulta una valanga musicale di emozioni ed atmosfere che non lasciano scampo, grazie ad un metal estremo, oscuro, epico e progressivo, che alterna potentissime mitragliate death a ricami progressivi pregni di epica sacralità.

Testi sacri e death metal: non è sicuramente la prima volta che una band estrema crea musica per raccontare quello che l’uomo tramanda da generazioni, eppure risulta sempre affascinante questo binomio per molti inusuale.

Comporre musica per le epiche e misteriose vicende raccontate da più di duemila anni non è certo facile, ma in questo caso i Brvmak hanno fatto un lavoro eccellente e In Nomine Patris, secondo album del gruppo laziale, conquisterà non poco gli amanti del death metal progressivo ed epico.
Il gruppo, in attività da una dozzina d’anni, ha alle spalle un ep ed il primo full length intitolato Captivitas uscito cinque anni fa, lavori discreti ma sicuramente non paragonabili a questa monumentale opera composta da dieci capitoli registrati, mixati e masterizzati al Time Collapse Recording Studio di Roma da Alessio Cattaneo e Riccardo Studer (Novembre, Ade, Scuorn), con un ospite d’eccezione come Paul Masvidal dei Cynic a valorizzare un album già di per sé bellissimo.
In Nomine Patris risulta una valanga musicale di emozioni ed atmosfere che non lasciano scampo, grazie ad un metal estremo, oscuro, epico e progressivo, che alterna potentissime mitragliate death a ricami progressivi pregni di epica sacralità.
Un album che ha nella lunga e conclusiva Revelations il suo apice, una suite di quindici minuti che regala un finale spettacolare all’opera, degna conclusione e vetta di una montagna che deve essere scalata facendo proprie le varie tappe tra virtuosi cambi di tempo, atmosfere ed umori in un sound tempestato da sfuriate incastonate in attimi di tensione sempre pronta ad esplodere.
Non c’è un solo brano sotto la media in una track list che da Genesis, passando per Tetragrammaton, Oblivion e la devastante Golgota, arriva in un crescendo di emozioni ed impatto al gran finale.
Echi di Opeth, Amon Amarth e Behemoth sono esattamente quanto serve a valorizzare questo bellissimo lavoro firmato con grande personalità dai Brvmak.

Tracklist
1. Preludio Alla Genesi
2. Genesis
3. Tetragrammaton
4. Preludio All’Oblio
5. Oblivion
6. Vindictae
7. Omnipotence
8. Golgota
9. Toccata In Si Minore
10. Revelations

Line-up
Sergio Rosa – vocals, guitar, viola
Gabriele Nucci – guitars
Emanuele Lombardi – bass
Davide Tomadini – drums

BRVMAK – Facebook

1914 – The Blind Leading The Blind

Una discesa nell’inferno sulla terra originato dall’uomo in quel periodo, un’opera di una bellezza terrificante raccontata con l’aiuto dell’unica musica possibile, il metal estremo.

E anche questo 2018 che sta per concludersi ha regalato una serie di album bellissimi a chi segue le sorti del metal estremo, ai quali si aggiunge la seconda, mastodontica opera dei deathsters ucraini 1914, monicker che ricorda l’anno di inizio della grande guerra, il più terribile conflitto che la storia dell’uomo ricordi.

La band di Lviv è composta da cinque musicisti, studiosi appassionati di tutto quello che riguarda la prima guerra mondiale, fondatori del gruppo proprio per onorare tutte le vittime cadute nel conflitto.
Il primo album, licenziato tre anni fa ed intitolato Eschatology of War, mostrava già le potenzialità del quintetto ucraino, qui esplose con forza tra le trame di The Blind Leading The Blind, magnifico lavoro accompagnato da una copertina da brividi, con la morte che si aggira tra i cadaveri e i feriti provati dagli scontri, come un maligno avvoltoio in cerca di carne ed anime.
L’artwork con i suoi colori sbiaditi e d’epoca mette i brividi, così come l’intro, una canzone che arriva dal passato e nel passato ci porta, prima che Arrival. The Meuse Argonne ci travolga e ci scaraventi nell’atmosfera bellicosa, oscura, drammatica e tragica dell’opera.
Il sound dei 1914 è un death metal pregno di atmosfere soffocanti e terrorizzanti, viaggia pulito e potente, e frena mentre il pantano delle trincee raggiunge soglie dove solo il doom può spiegarne il disagio, mentre la morte gira tra le macerie ed il filo spinato, lasciandosi trasportare dalla sua crudele fame di anime con sfuriate black assolutamente devastanti ma perfettamente leggibili per merito di un lavoro perfetto in fase di produzione ed arrangiamento.
I brani sono scanditi da sfumature atmosferiche che gelano l’ascoltatore: marce di soldati, canzonette e grida disperate che sembrano arrivare a noi come un ammonimento inascoltato proveniente da un’altra epoca.
A7V Mephisto, High Wood. 75 Acres of Hell e The Hundred Days Offensive sono le tappe fondamentali di questa discesa nell’inferno sulla terra originato dall’uomo in quel periodo, un’opera di una bellezza terrificante raccontata con l’aiuto dell’unica musica possibile, il metal estremo.

Tracklist
1. War in
2. Arrival. The Meuse-Argonne
3. Passchenhell
4. A7V Mephisto
5. High Wood. 75 Acres of Hell
6. Hanging on the Old Barbed Wire
7. Beat the Bastards (The Exploited cover)
8. C’est Mon Dernier Pigeon
9. Stoßtrupp
10. The Hundred Days Offensive
11. War Out

Line-up
Ditmar Kumar – Vocals
Liam Fessen – Guitars
Vitalis Winkelhock – Guitars
Armin von Heinessen – Bass
Rusty Potoplacht – Drums

1914 – Facebook

Bedsore – Bedsore

Se qualcuno può chiedersi se ci sia davvero un buon motivo per parlare di un demo d’esordio fatto di soli due brani la risposta è sì a prescindere, vista la mentalità che ci ha contraddistinto fin dalla nostra nascita come webzine, e lo è maggior ragione per il fatto che i due musicisti che animano questo progetto denominato Bedsore fanno parte dei Seventh Genocide, una delle migliori band italiane oggi in circolazione.

Differentemente dal gruppo di provenienza, Jacopo e Stefano esplorano i contorni più sfumati del death metal anziché quelli del black, ma il risultato è pur sempre un sound ricco, inquieto, per forza di cose a tratti più brutale ma allo stesso tempo colmo di passaggi dal grande potenziale emotivo e soprattutto poco prevedibile.
Nonostante il minaccioso monicker prescelto, che in qualche modo, nel suo rifarsi una patologia come le piaghe da decubito in (inglese bedsore, appunto), omaggia un riferimento importante per i nostri come lo sono stati i Morbus Chron, in realtà il sound offerto in questi due lunghi brani presenta più di un’apertura melodica che riconduce ad un imprinting progressive che è, poi, il vero tratto comune con i Seventh Genocide: la conseguenza sono quei passaggi chitarristici che testimoniano come i Pink Floyd siano una delle influenze più radicate nel background musicale di questo gruppo di musicisti capitolini.
Nei Bedsore tale componente appare per forza di cose più sfumata, tenendo semmai fede a quanto indicato nelle note biografiche che citano quale altra possibile ispirazione una band come gli Edge Of Sanity, in questo caso per la comune capacità di rendere progressiva la materia death metal senza scadere nel puro tecnicismo, lasciando invece sfogare al meglio la componente melodica ed emotiva.
Tenendo anche conto che i due brani sono piuttosto lunghi, i Bedsore offrono questo quarto d’ora abbondante di ottima musica (con una produzione da “demo”, nel bene e nel male) che dovrebbe aprire le porte per una maggiore visibilità di un progetto il cui già elevato valore artistico fa presupporre sviluppi molto importanti per il futuro.

Tracklist:
1. At The Mountain Of Master
2. Brains On The Tarmac

Line-up:
JGP
SA

BEDSORE – Facebook

METEORE: MIASMA

Una grande band che avrebbe potuto aspirare all’Olimpo del Death Metal europeo, e sedere a fianco dei connazionali Disastrous Murmur e Pungent Stench. Grandi capacità tecniche, prefetto connubio tra melodia e brutale assalto sonoro, rendono l’album Changes una perla imperdibile.

I viennesi Miasma si formarono nel lontano 1990 dalla fusione di due band: gli Evil Tale e i Caldera.

Gli Evil Tale realizzarono un solo demo tape di discreto thrash metal, Mountains of Madness, di chiara ispirazione teutonica, mentre i Caldera nascevano dalle ceneri della grindcore band Digested Corpse. La prima apparizione dal vivo dei Miasma fu durante un festival tenutosi la vigilia di Natale del 1990, presso il piccolo locale viennese Graffiti. A marzo del 1991 uscì il loro primo lavoro, Godly Amusement, un demo di 4 tracks di discreto death metal. Iniziò così la loro carriera fatta di pochi alti e molti bassi, e di diversi split-up e successive reunion. Vennero alla ribalta grazie ad alcuni show con alcune band già famose di quel tempo, (aprirono per Unelashed e Pungent Stench, e successivamente – sempre nel 1991 – per Ulcerous Phlegm, Disastrous Murmur e Disharmonic Orchestra). Furono così successivamente contattati dalla Turbo Music tedesca, che però preferì alla fine mettere sotto contratto gli allora emergenti Asphyx. La grande voglia di uscire con un full length fu premiata solo l’anno successivo, grazie all’interesse della concittadina Lethal Records (Acheron, Eminenz, Hellwitch, Belial e Disastrous Murmur, per citare alcune band del roster); il 5 ottobre 1992 usci così Changes, favoloso album death metal di chiara matrice europeo/teutonica che ebbe allora un discreto successo grazie anche a tournée con band del calibro di Evil Dead, Laaz Rockit, At The Gates e Therion (da alcune date ne scaturì anche un live – Liepzig – sempre datato 1992). L’anno successivo usci il loro ep Love Songs, poco prima del loro primo scioglimento. Riunitisi nel 1995, fecero uscire il demo omonimo, per poi sciogliersi immediatamente dopo. Ancora una reunion dieci anni dopo, che vide unicamente alcuni loro show in terra natia, per poi decretare lo split-up definitivo (almeno secondo quanto dichiarato dal bassista Johannes Attems).

Discography:
Godly Amusement – Demo – 1990
Live Leipzig – Live album -1992
Changes – Full-length – 1992
Love Songs – EP – 1993
Miasma 1995 – Demo – 1995

Line-up
Ares Cancer – Guitars
Gerhard “Gorehead” – Vocals
Johannes Attems – Bass

Bloodbath – The Arrow of Satan Is Drawn

La frangia più conservatrice dei fans avrà sicuramente di che godere per questo nuovo lavoro targato Bloodbath, un album grezzo, sporco ed oscuro, in poche parole un esempio della forza di cui ancora dispone il genere.

Quello che agli inizi poteva essere scambiato per l’ennesimo progetto di una manciata di talenti del death metal scandinavo, capitanati dal talento di due guru come Dan Swanö e Mikael Åkerfeldt, è diventato un gruppo a tutti gli effetti, portatore del marcio verbo del death metal old school di matrice nordica, grezzo primordiale e senza compromessi.

Dan Swanö e Mikael Åkerfeldt da anni hanno lasciato il girone infernale dove risiedono i Bloodbath, con Nick Holmes stabilmente dietro al microfono, Martin Axenrot alla batteria ed il nuovo arrivato Joakim Karlsson alla chitarra (Craft) ad accompagnare i due membri originali che di talento ne hanno da vendere e che di nome fanno Jonas Renkse e Anders “Blakkheim” Nyström.
Il quintetto arriva così al quinto full length, questo abominevole ed oscuro lavoro intitolato The Arrow of Satan Is Drawn, a ribadire la salute del metal estremo di stampo death, da una manciata d’anni tornato su livelli eccellenti grazie a gruppi storici e nuove leve.
La frangia più conservatrice dei fans avrà sicuramente di che godere per questo nuovo lavoro targato Bloodbath, un album grezzo, sporco ed oscuro, in poche parole un esempio della forza di cui ancora dispone il genere, duro e puro, malato e sporcato e maledetto da riff scritti dall’anima più malevola che risiede nella casa di Lucifero.
La band gira a mille, Holmes è assolutamente a suo agio, tanto da mettere in discussione la pur buona prova sull’ultimo Paradise Lost, sembrando un angelo caduto che vomita fango brulicante di vermi in brani devastanti come l’opener Fleischmann, Levitator, Only The Dead Survive ed il singolo Chainsaw Lullaby.
Dall’anima death’ n ‘roll e forte di una tracklist possente come un carro armato infernale, The Arrow of Satan Is Drawn è l’ennesimo imperdibile macigno sonoro targato Bloodbath.

Tracklist
01. Fleischmann
02. Bloodicide
03. Wayward Samaritan
04. Levitator
05. Deader
06. March Of The Crucifers
07. Morbid Antichrist
08. Warhead Ritual
09. Only The Dead Survive
10. Chainsaw Lullaby

Line-up
Jonas Renkse – Bass, vocals (backing)
Anders “Blakkheim” Nyström – Guitars, vocals (backing)
Martin Axenrot – Drums
Nick Holmes – Vocals
Joakim Karlsson – Guitars

BLOODBATH – Facebook

Opeth – Garden Of The Titans: Live At Red Rocks Amphitheatre

Gli Opeth hanno ormai raggiunto uno status che li pone tra i grandi della musica moderna di stampo progressivo ed i loro live sono un’esperienza uditiva assolutamente coinvolgente, quindi nessuna sorpresa negativa scaturisce dall’ascolto di questo live.

Gli Opeth sono una delle band più importanti che la scena metallica Scandinava ha sfornato negli ultimi trent’anni, un gruppo capace di fare scuola in quello che, dalla nascita della band del geniale Mikael Åkerfeldt è diventato un genere dei più seguiti nel panorama estremo, amalgamando impulsi death e black con la musica progressiva.

Da almeno tre lavori, però, gli Opeth hanno preso una strada che li ha portati a rivalutare sonorità più classiche trasformandosi in una creatura progressiva più vicina al tradizionale sound settantiano.
Il live in questione ci presenta gli Opeth di oggi, dopo i festeggiamenti per il ventennale con quello che era l’ultima testimonianza del gruppo in concerto, uscita nel 2010 (In Live Concert at the Royal Albert Hall), un lavoro che fotografa la band nel tour di supporto all’ultimo album in studio Sorceress, licenziato un paio di anni fa.
Garden Of The Titans: Live At Red Rocks Amphitheater immortala la band sul palco del Red Rocks Amphiteatre di Denver l’11 maggio 2017 ed esce ni formati DVD, Blu-ray (entrambi corredati di CD audio) e vinile.
Tre brani presi dall’ultimo album e poi una carrellata di tracce a coprire quasi per intero la discografia fanno di questo live un buon riassunto di quello che la band ha prodotto in questi anni, ed avendo l’opportunità del solo ascolto possiamo sicuramente affermare che l’operazione merita l’attenzione degli amanti del gruppo svedese.
Gli Opeth hanno ormai raggiunto uno status che li pone tra i grandi della musica moderna di stampo progressivo ed i loro live sono un’esperienza uditiva assolutamente coinvolgente, quindi nessuna sorpresa negativa scaturisce dall’ascolto di questo live, trattandosi di una performance di altissimo livello con la quale il gruppo emoziona come pochi sanno fare, grazie a vere gemme sonore come Ghost Of Perdition, In My Time Of Need, The Devil’s Orchard e Deliverance.
Ovviamente l’intera la tracklist è di assoluta qualità, e se sicuramente i fans di vecchia data storceranno il naso per la mancanza di brani dai primi cinque magnifici lavori, grazie all’altissimo livello della musica contenuta in questo live tutto questo si riduce ad un semplice dettaglio.

Tracklist
1. Sorceress
2. Ghost Of Perdition
3. Demon Of The Fall
4. The Wilde Flowers
5. In My Time Of Need
6. The Devil’s Orchard
7. Cusp Of Eternity
8. Heir Apparent
9. Era
10. Deliverance

Line-up
Mikael Åkerfeldt – Guitars, Vocals
Martín Méndez – Bass
Martin Axenrot – Drums, Percussion
Fredrik Åkesson – Guitars
Joakim Svalberg – Keyboards, Piano, Mellotron

OPETH – Facebook

R.O.T. – Revolution Of Two

Revolution Of Two risulta quindi uno splendido esempio di metal estremo, melodico e progressivo, meritevole di attenzione anche perché suonato ottimamente da un duo dalle potenzialità enormi.

Nell’underground metallico non mancano certo le soprese, piccole gemme sonore che ci arrivano da ogni parte del mondo e che abbracciano generi e sonorità della più disparate.

I R.O.T. sono un duo di musicisti provenienti da Cassino, unitisi dopo varie esperienze lo scorso anno con lo scopo di suonare death metal melodico e progressivo.
Louis Littlebrain (Luigi Cervellini) e Eddy Scissorshand (Edoardo Merlino) debuttano con il primo full length intitolato Revolution Of Two, autoprodotto e uscito per la per la loro etichetta indipendente EFTM Records.
L’album è composto da otto brani più intro per tre quarti d’ora di death melodico ottimamente suonato dal duo che, con una sviluppata personalità, elabora il genere alla sua maniera unendo nel proprio sound diversi spunti ed ispirazioni e creando un sound deviato da iniezioni di moderne trame progressive.
Ritmiche thrash, un lavoro chitarristico dai rimandi classici, l’uso della doppia voce e qualche accenno di modernità, fanno di Revolution Of Two un ibrido di musica estrema e melodica che racchiude ispirazioni provenienti da Soilwork, Devin Townsend, Voivod, In Flames e valorizzate da notevoli ricami progressivi che non solo mettono in risalto la tecnica esecutiva del duo, ma creano cangianti atmosfere che arricchiscono non poco il songwriting.
La sensazionale partenza, con la diretta e spettacolare Diamond Souls che esplode in tutta la sua forza prorompente dopo l’intro, è solo l’inizio di un viaggio tra la musica creata dai R.O.T. che vede il suo apice tra le note della cangiante The 4th Reactor, The Angel’s Cry e nella conclusiva Aut-Aut.
Revolution Of Two risulta quindi uno splendido esempio di metal estremo, melodico e progressivo, meritevole di attenzione anche perché suonato ottimamente da un duo dalle potenzialità enormi.

Tracklist
1.After All…
2.Diamond Souls
3.Hyper Thymesia
4.The 4th Reactor
5.Rebirth
6.Angel’s Cry
7.Ethereal Dimension
8.Apatite
9.Aut Aut

Line-up
Eddy Scissorshand – Bass, Vocals
Louis LittleBrain – Guitars, Keyboards

Agony Face – CXVI Evolving Discharges

La Sliptrick Records label piglia tutto, si è assicurata le prestazioni di questi cinque maghi del technical death metal mondiale ( si, avete letto bene), confermandosi come una delle etichette più attive nel panorama underground attuale e licenziando uno dei lavori più riusciti dell’anno in assoluto nel genere, imperdibile.

Cinque anni di silenzio dall’ultimo lavoro e a sorpresa il nuovo lavoro dei geniali deathsters nostrani Agony Face irrompe sul mercato.

CXVI Evolving Discharges è il titolo di questa straordinaria opera estrema che conferma l’assoluta qualità delle uscite targate Agony Face, con un souns tecnico e progressivo offerto da una macchina da guerra ben oliata che ci travolge con il suo Surrealistic Death Metal.
L’album risulta una cascata di note che in modo del tutto personale rivisita il concetto di metal estremo, con una serie di brani che inchiodano al muro, devastanti, pregni di cambi di ritmo e di atmosfere, e si elevano verso l’olimpo di un genere che ormai difficilmente riesce a trovare nuove strade e a convincere aldilà della tecnica, a meno che non ci si chiami Agony Face.
Il gruppo accoglie nel proprio spartito diversi generi e miriadi di sfumature, il tutto elaborato tramite un sound assolutamente folle, a tratti schizzato e in cui i rallentamenti e le atmosfere pacate preparano l’ascoltatore a tempeste musicali pervase da rumori campionati, passaggi orchestrali, jazzati e sottoposti ad un massacro thrash/death nei quali la tecnica strumentale non lascia scampo, lasciando l’ascoltatore a bocca aperta per le tante e spettacolari trovate compositive.
La Sliptrick Records, label piglia tutto, si è assicurata le prestazioni di questi cinque maghi del technical death metal mondiale (sì, avete letto bene), confermandosi come una delle etichette più attive nel panorama underground attuale e licenziando uno dei lavori più riusciti dell’anno in assoluto nel genere.

Tracklist
1.XXV The Lonization
2.XXIII Waffle
3.XXIII Connection
4.XXIV Mat(h) Bat(h) 3+3+3
5.XX Marrakesch Prostitute
6.XIX Reality Chack
7.XIX Mantra Of Sulphur
8.XXI Wandering Through Cerebral Paths

Line-up
Davide – Vocals
Riccardo – Guitar
Alessandro – Guitar
Mirko – Bass
Alesandro – Drums

AGONY FACE – Facebook

Master – Vindictive Miscreant

Gli anni per il bassista e cantante statunitense non sembrano passare: la collaborazione con il buon Rogga Johansson, gli altri progetti a cui si è dedicato e i suoi Master riescono nella non facile impresa di mantenere un approccio ed una qualità invidiabile e Vindictive Miscreant conferma questa invidiabile tendenza.

Paul Speckmann non conosce pause: archiviato da non molto l’ultimo abominevole parto in compagnia di Rogga Johansson (From The Mouth Of Madness) uscito nella prima metà dell’anno, lo storico bassista e cantante torna con i suoi Master, leggendaria band attiva da metà anni ottanta e che ha attraversato più di trent’anni di metal estremo con costanza ed attitudine esemplari.

D’altronde il suo carismatico leader non ha mai lasciato la scena estrema, collaborando con gruppi e personaggi che ne hanno fatto la storia, nell’underground e non solo.
Vindictive Miscreant è il nuovo lavoro del trio, che si completa con il chitarrista Alex Nejezchleba ed il batterista Zdenek Pradlovsky, l’ultimo di una lista che vede arrivare la band al quattordicesimo parto sulla lunga distanza.
Una nuova bordata metallica che vede i nostri sempre alle prese con un death metal nutrito da un’attitudine crust/punk, amalgamata con un impatto motorheadiano che ne fa un nuovo violento ed inattaccabile esempio metal estremo senza compromessi e perfettamente in grado di tenere botta anche nel nuovo millennio.
Non sembrano infatti passati così tanti anni da quando i Master esordirono con il primo omonimo album all’alba degli anni novanta, almeno all’ascolto di brani come la title track o Replaced, due bombe sonore veloci e senza fronzoli che la band alterna a tracce più orientate al death metal classico, rallentando i ritmi e trasformandosi in una letale macchina di morte (The Inner Strenght Of The Demon, Engulfed In Paranoia).
Gli anni per il bassista e cantante statunitense non sembrano passare: la collaborazione con il buon Rogga Johansson, gli altri progetti a cui si è dedicato e i suoi Master riescono nella non facile impresa di mantenere un approccio ed una qualità invidiabile e Vindictive Miscreant conferma questa invidiabile tendenza.

Tracklist
1.Vindictive Miscreant
2.Actions Speak Louder than Words
3.Replaced
4.The Inner Strength of the Demon
5.The Book
6.Engulfed in Paranoia
7.The Impossible of Dreams
8.Stand Up and Be Counted

Line-up
Paul Speckmann – Bass and Vocals
Alex Nejezchleba – Lead and Rhythm Guitars
Zdenek Pradlovsky – Drums

MASTER – Facebook

Kåabalh – Kåabalh

Un album capace di creare un immaginario fatto di luoghi inesplorati forieri di orrori lovecraftiani, che è più o meno ciò che si attende di ascoltare chi predilige tali sonorità.

Questa nuova band francese, nata dopo la fine dei Torture Throne, raggiunge risultati che con il marchio Kåabalh vanno ben oltre quelli raggiunti precedentemente.

Il death metal catacombale offerto in questo debutto omonimo è, contrariamente alle abitudini dei gruppi transalpini, del tutti privo di impulsi innovativi o di commistioni tra generi: quanto viene servito è un monolitico death i cui rallentamenti lo fanno sconfinare sovente nel doom per finire in scia di Incantantion e morbosa compagnia.
Per quanto sia difficile da credere, però, l’operato dei Kåabalh non risulta affatto derivativo perché il quintetto normanno non si limita a premere sull’acceleratore in maniera indiscriminata, né a riversare una spessa coltre di pece sull’ascoltatore (cosa che peraltro viene eseguita benissimo), ma prova a rendere il proprio prodotto relativamente meno ostico pur senza smarrire l’impatto primitivo del genere.
La pesantezza dei riff viene attenuata così da assoli piuttosto ficcanti e ben delineati melodicamente (Acheron, Dark Wrath Of A New God) ma va detto che quando la componente doom intacca la muraglia sonora creata dai Kåabalh si possono ascoltare i momenti più coinvolgenti del lavoro, come accade nel finale della notevole Death’s Ovation.
Un album capace di creare un immaginario fatto di luoghi inesplorati forieri di orrori lovecraftiani, che è più o meno ciò che si attende di ascoltare chi predilige tali sonorità.

Tracklist:
1. Cabal
2. Acheron
3. Wrath of a New God
4. The Complete Darkness
5. Heavy Boredom Death
6. Death’s Ovation

Line-up:
Damned – Vocals, Lead Guitars
Pierre – Guitars
Marco – Bass:
Fab Dodsmetal – Drums

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Hate Eternal – Upon Desolate Sands

Severo, epico e monumentale, Upon Desolate Sands non manca mai di mettere in primo piano una potenza devastante che rende i brani dei veri e propri abomini sonori, tra efferata violenza e tecnica eccellente.

Questa è una di quelle recensioni a forte rischio di sconfinamento nel banale, essendo troppo importante il nome coinvolto, un leggendario e storico monicker sinonimo di grande musica estrema e delle conseguenti aspettative da parte dei fans, andate creandosi man mano che si avvicinava il giorno di uscita dell’album.

Gli Hate Eternal di Erik Rutan, d’altronde, sono da oltre vent’anni nell’olimpo del death metal mondiale, uno dei nomi più importanti usciti da quel nido di mostri musicali che è la Florida..
Il leader (ex Morbid Angel) arriva con la sua creatura al settimo lavoro, un monolite di violenza intitolato Upon Desolate Sands, accompagnato da una copertina che è una vera e propria opera d’arte e dall’importante novità alla batteria, ora seviziata dal monumentale batterista tedesco Hannes Grossman (ex di una miriade di band tra cui Obscura e Necrophagist).
Sotto una coltre di oscura e temibile atmosfera, l’album risulta quindi un pesantissimo, marziale e violento esempio di death metal floridiano, tecnicamente ineccepibile senza sconfinare nella parte più cervellotica del genere ma mantenendo un’encomiabile legame con la tradizione per un risultato fresco ed assolutamente devastante.
Severo, epico e monumentale, Upon Desolate Sands non manca mai di mettere in primo piano la potenza accompagnata da un songwriting che fa di brani come l’opener The Violent Fury, All Hopes Destroyed o Portal Of Myriad autentici abomini sonori, tra efferata violenza e tecnica eccellente.
Prodotto dallo stesso Erik Rutan, l’album è un imprescindibile manifesto del death metal made in Florida firmato Hate Eternal.

Tracklist
1. The Violent Fury
2. What Lies Beyond
3. Vengeance Striketh
4. Nothingness of Being
5. All Hope Destroyed
6. Portal of Myriad
7. Dark Age of Ruin
8. Upon Desolate Sands
9. For Whom We Have Lost

Line-up
Erik Rutan – Guitar, Vocals
JJ Hrubovcak – Bass Guitar
Hannes Grossmann – Drums

HATE ETERNAL – Facebook

Cor Serpentii – Phenomankind

I Cor Serpentii si dimostrano un macchina ben oliata, perfetta nell’esecuzione vocale e strumentale ma molto meno algida di quanto il tipo di sound offerto potrebbe far supporre; in definitiva, Phenomankind è un lavoro indicato a chi vuole ascoltare musica complessa ma al contempo non aridamente intrisa di solo tecnicismo.

Phenomankind è il primo frutto discografico di questa nuova band composta da tre musicisti gravitanti nella scena estrema francese, con agganci a band come i Savage Annihilation, i disciolti Insain e gli Orakle.

Ed è proprio il mastermind di questi ultimi, Frédéric Gervais, ad offrire le ottime parti vocali in questo album che potrebbe apparire anche sorprendente, se non fossimo ormai da tempo tutti ben consci dell’obliquo incedere del death metal in certi ambiti della scena transalpina.
I Cor Serpentii si rivelano così un entità in grado di offrire il genere nelle sue sembianze più tecniche e progressive nel senso vero del termine, andando ad abbracciare molteplici sfumature che partono dai Nevermore più nervosi spingendosi fino alla sperimentazione folle di Devin Townsend e a quella più ragionata di Ihsahn, senza neppure tralasciare nei passaggi più estremi gli influssi dei connazionali Gojira. Tutto ciò serve per fornire un’idea di massima per inquadrare un lavoro che sfugge comunque ad un preciso tentativo di catalogazione, risultando naturalmente di assimilazione non semplice ma anche meno cervellotico rispetto a quanto fatto da Gervais con i suoi pur ottimi Orakle.
A Phenomankind manca solo un brano capace di catturare l’attenzione per fissarsi più saldamente nella memoria di un ascoltatore che viene, comunque, circondato e sopraffatto da un sound in costante cambiamento ma non privo di passaggi melodici, subito dopo spazzati via da arcigne progressioni strumentali.
I Cor Serpentii si dimostrano un macchina ben oliata, perfetta nell’esecuzione vocale e strumentale ma molto meno algida di quanto il tipo di sound offerto potrebbe far supporre; in definitiva, Phenomankind è un lavoro indicato a chi vuole ascoltare musica complessa ma al contempo non aridamente intrisa di solo tecnicismo.

Tracklist:
1. Retrieval
2. A Closer Signal
3. The Serpent’s Stratagem
4. Sand Storm
5. Theomachia
6. Rise of the Blind
7. Waves of Wrath
8. Reversed Evolution
9. Phenomankind
10. Ubik

Line-up:
Benoît Jean – bass
Nicolas Becuwe – guitars
Frédéric Gervais – vocals

COR SERPENTII – Facebook

Feral – Flesh For Funerals Eternal

I Feral non tradiscono e ci investono con tutta la loro inumana violenza tra ritmiche velocissime, solos, ripartenze, e melodie che fanno capolino tra la forza di un’onda d’urto che si alza inesorabile.

Torna a ruggire una delle band che ultimamente ha convinto di più nel riproporre lo storico sound nato all’alba degli anni novanta nel Nord Europa.

Stiamo parlando di swedish death e dei massacratori seriali chiamati Feral, che licenziano tramite la Transcending Obscurity il loro nuovo mortale lavoro, Flesh For Funerals Eternal.
A tre anni di distanza dall’ultimo bellissimo full length (Where Dead Dreams Dwell) e ad un paio dall’ep From The Mortuary, i cinque orchi svedesi tornano dunque con un altro mostruoso album nel quale lo storico genere viene glorificato da una decina di brani travolgenti.
I capisaldi ci sono tutti, perché i Feral sotto questo punto di vista non fanno mancare niente e aggrediscono mirando dritti alla giugulare, con il sangue che sprizza copioso mentre una cascata di riff vi sepellirà.
Flesh For Funerals Eternal non lascia respirare, la band è in piena forma e grazie ad un songwriting sopra la media sferra una serie ganci che stendono al tappeto, veloci, potentissimi ed assolutamente old school.
Questo è death metal scandinavo di origine controllata, valorizzato da un gruppo formidabile e da una raccolta di brani che da Vaults Of Undead Horror e passando per Gathering Their Bones, Of Gods No Longer Invoked e Buried colpiscono al cuore degli amanti del genere.
I Feral non tradiscono e ci investono con tutta la loro inumana violenza tra ritmiche velocissime, solos, ripartenze e melodie che fanno capolino tra la forza di un’onda d’urto che si alza inesorabile al passaggio di questo ennesimo mastodontico esempio di death metal scandinavo.

Tracklist
1.Vaults Of Undead Horror
2.Black Coven Secrets
3.Gathering Their Bones
4.Dormant Disease
5.Of Gods No Longer Onvoked
6.Accursed
7.Horrendous Sight
8. Stygian Void
9.Buried
10. Bled Dry

Line-up
Viktor Kingstedt – Bass
Sebastian Lejon – Guitars
David Nilsson – Vocals
Markus Lindahl – Guitars
Roger Markstrom – Drums

FERAL – Facebook

LIFELOST – Dialogues From Beyond

Phlegeton dimostra d’essere un ottimo musicista e Dialogues From Beyond rappresenta il miglior esordio possibile per il suo nuovo progetto, non a caso finito nelle grinfie di una delle etichette mondiali più attente all’underground estremo come l’indiana Transcending Obscurity.

Dialogues From Beyond è il primo album con il marchio Lifelost per il musicista basco Phlegeton, attivo nella scena iberica già da diverso tempo con molti altri progetti.

Questo, che è l’ultimo attivato in ordine di tempo, si rivela un’interpretazione di spessore della materia estrema, grazie ad un black death cupo e incalzante, ben eseguito e dall’assimilazione facilitata da una registrazione in linea con le aspettative.
I dialoghi con l’aldilà avvengono così in maniera aspra, esplorando i meandri più oscuri del genere per aprirsi leggermente solo con le due magnifiche Metanoia e Incorporeal Gate, non meno urticanti rispetto alle pur buone Malign Emanatio, Sepulchral Vault e Released from Life ma segnate da una parvenza melodica che consente al sound targato Lifelost di imprimersi con maggior successo.
Molte sono le band di un certo nome citate tra i possibili riferimenti stilistici, ma tutto sommato nell’album si rinviene una buona dose di personalità che lo sottrae al rischio di finire archiviato nel cospicuo novero delle copie sbiadite del già sentito.
Phlegeton dimostra d’essere un ottimo musicista e Dialogues From Beyond rappresenta il miglior esordio possibile per il suo nuovo progetto, non a caso finito nelle grinfie di una delle etichette mondiali più attente all’underground estremo come l’indiana Transcending Obscurity.

Tracklist:
1. Malign Emanatio
2. Sepulchral Vault
3. Released from Life
4. Metanoia
5. Incorporeal Gate

Line-up:
Phlegeton – Everything

LIFELOST – Facebook

Armageddon Death Squad – Necrosmose

La Francia è sempre più terra di covate metalliche estreme di ottimo livello, sia per quanto riguarda le sonorità death che quelle più diaboliche del black, e gli Armageddon Death Squad con il loro debutto non fanno che confermare questo trend positivo.

Debutto sulla lunga distanza per gli Armageddon Death Squad, ennesima proposta estrema in arrivo dalla Francia, terra che negli ultimi tempi sta regalando soddisfazioni agli amanti del death metal underground.

Necrosmose è il primo parto del quartetto proveniente da Strasburgo, un’opera di death metal classico, molto ben suonato e strutturato su molteplici cambi di ritmo.
La band transalpina scarica dodici mitragliate dal buon tiro, il sound richiama il genere di stampo americano, quindi tra le trame delle tracce troverete influenze e passaggi di scuola Bay Area in un contesto di livello per quanto riguarda la parte più tecnica; una botta di adrenalina lunga cinquanta minuti, pervasa da un’atmosfera estrema moderna, pur rimanendo legata a soluzioni che potremo definire senz’altro old school.
Il singolo A Last Sacrifice è un buon esempio di quello che gli Armageddon Death Squad hanno da offrire agli amanti del death metal, così come Mask Of The Dead Witch e la title track.
La Francia è sempre più terra di covate metalliche estreme di ottimo livello, sia per quanto riguarda le sonorità death che quelle più diaboliche del black, e gli Armageddon Death Squad con il loro debutto non fanno che confermare questo trend positivo.

Tracklist
1.Demons
2.Annihilation
3.Dust and Blood
4.A Last Sacrifice
5.One More Explosion
6.Mask of the Dead Witch
7.Dead Cold Planet
8.Necrosmose
9.Skeleton Satellite
10.Whispers of Supernova
11.Requiem
12.Guttural Romance

Line-up
Sylvain – Guitar, Vocals
Alain – Battery
Alexis – Guitar
Jo – Bass (session)

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Haiduk – Exomancer

Haiduk offre un lavoro decisamente interessante e che non è rivolto esclusivamente a chi apprezza i virtuosi delle sei corde: qui alla base c’è una solida matrice estrema che conferisce al tutto un peso specifico in grado di trasportare Exomancer al di là di una semplice esibizione di tecnica strumentale.

Il progetto solista Haiduk, nonostante il monicker rimandi alla storia bellica della Serbia, fa capo al musicista canadese Luka Milojica, il cui cognome fa trasparire comunque origini slave.

Gli “haiduk” erano guerriglieri balcanici che lottarono contro la dominazione ottomana tra il XV ed il XIX secolo e, tutto sommato, anche la musica contenuta in Exomancer dimostra tratti decisamente bellicosi essendo improntata su un death black tecnico e melodico, nel quale la chitarra tesse in maniera pressoché incessante trame sonore intricate e talvolta dissonanti ma dallo scorrimento piuttosto fluido.
La proposta targata Haiduk non è comunque di facile assimilazione per la sua natura prevalentemente strumentale e anche per una certa reiterazione degli schemi che, però, non inficia in maniera determinante la bontà dell’operato del musicista di Calgary.
Le progressioni chitarristiche si susseguono incalzanti senza soluzione di continuità e ciò costituisce lo spartiacque che definisce il gradimento o meno del lavoro da parte dell’ascoltatore: Luka è indubbiamente uno strumentista di alto livello e già abbastanza rodato (questo è il terzo full length a nome Haiduk) e ciò gli consente di perseguire il proprio obiettivo con la necessaria disinvoltura unita ad un’apprezzabile sintesi.
La durata di Exomancer, infatti, è opportunamente contenuta in circa mezz’ora, il tempo giusto per apprezzare il susseguirsi vorticoso del lavoro strumentale di Milojica concentrato in dieci brani intensi e concisi; nonostante sia strutturato in maniera a suo modo rischiosa, Exomancer è un lavoro che riesce a non risultare mai tedioso e tale risultato sicuramente contribuisce il fatto che l’autore non si specchia nella propria bravura optando per un approccio molto diretto e saturando gli spazi con un incedere martellante che non lascia spazio a passaggi interlocutori.
Il nostro “haiduk” offre così un lavoro decisamente interessante e che non è rivolto esclusivamente a chi apprezza i virtuosi delle sei corde: qui alla base c’è una solida matrice estrema che conferisce al tutto un peso specifico in grado di trasportare Exomancer al di là di una semplice esibizione di tecnica strumentale.

Tracklist:
1. Death Portent
2. Unsummon
3. Evil Art
4. Subverse
5. Icevoid Nemesis
6. Doom Seer
7. Pulsar
8. Blood Ripple
9. Once Flesh
10. Crypternity

Line-up:
Luka Milojica – all instruments (guitars, vocals, drum programming)

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