Serpico – Rock Tattoo

Rock Tattoo non è un brutto lavoro, l’attitudine da parte del gruppo c’è, manca però l’impatto che rimane confinato in brani che sanno di Thin Lizzy, come di Motley Crue, in un sodalizio che non esprime tutte le sue potenzialità tra classic e street rock.

I Serpico sono una hard rock band finlandese attiva da una dozzina d’anni e con un paio di lavori alle spalle (l’ep Bad Commercial uscito nel 2011 e l’album di debutto Shallow Mistress licenziato tre anni dopo).

Dopo l’uscita di un paio di singoli e nulla più, il 2018 è l’anno del ritorno al full length con Rock Tattoo, album che unisce hard rock settantiano e rock’n’roll tra Scandinavia e Los Angeles.
Il quintetto finnico nulla aggiunge e nulla toglie al genere: la band ci prova, a volte ci riesce, altre meno, ma i brani non esplodono come dovrebbero trascinandosi per oltre cinquanta minuti senza che si accenda la miccia sopra al candelotto di dinamite.
Rock Tattoo non è un brutto lavoro, l’attitudine da parte del gruppo c’è, manca però l’impatto che rimane confinato in brani che sanno di Thin Lizzy, come di Motley Crue, in un sodalizio che non esprime tutte le sue potenzialità tra classic e street rock.
Eppure qualche chorus azzeccato non manca (No Confusion, Ain’t Better To Live), ma il sound dai rimandi punk rock risulta scarno e poco curato negli arrangiamenti.
I riff che imprimono qualche accelerata rimangono confinati a qualche brano, mentre il piede comincia a battere al ritmo dell’adrenalinica Lightning Thunder Baby, troppo poco per andare oltre una sufficienza conquistata al fotofinish.
Peccato, perché la passione per il genere è tanta nei Serpico, ma deve essere ancora veicolata nel migliore dei modi; noi aspettiamo fiduciosi.

Tracklist
1. Rock Tattoo
2. Shout
3. Irish Roots
4. A.O.F.
5. No Confusion
6. This is What I Am
7. Half Step
8. July
9. Ain’t Better To Leave
10. Lightning Thunder Baby
11. Ex-Serpico
12. Let It Burn

Line-up
Kalle Vee Dour – Lead vocals
Snake – Lead guitar
Eddy – Guitar
Andy Motörfager – Bass
Jani Serpico – Drums

SERPICO – Facebook

Hogs – Fingerprints

Fingerprints rappresenta tre quarti d’ora di puro divertimento, suonato a meraviglia e con la sorpresa dietro al microfono del giovane cantante Simone Cei, un mostro di bravura ed emozioni al servizio del rock di questo supergruppo nostrano.

Difficile rimanere indifferenti al ritmo imposto da questa raccolta di brani creati dagli Hogs, band che tra le sue fila accoglie musicisti di un certo spessore come Francesco Bottai (turnista per Irene Grandi, Articolo 31), Pino Gulli (Dharma, Anhima e C.S.I) e Luca Cantasano, dal 2010 nei Diaframma, a cui si aggiunge il cantante Simone Cei.

Fingerprints è il loro secondo album licenziato da Red Cat, come il primo Hogs In Fishnets (uscito nel 2015), ed è caratterizzato da un sound che si muove tra gli anni settanta e novanta, caldo come il funky ed il blues, generi che vivono tra le note di brani irresistibili così come il miglior rock’n’roll.
Fingerprints rappresenta tre quarti d’ora di puro divertimento, suonato a meraviglia e con la sorpresa dietro al microfono del giovane cantante Simone Cei, un mostro di bravura ed emozioni al servizio del rock di questo supergruppo nostrano.
L’anima funky del sound è l’asso nella manica degli Hogs che, senza tregua, ci regalano undici splendide tracce tra Led Zeppelin, Glenn Hughes e Primus, con l’opener Man Size che dà fuoco alle polveri che esplodono in fuochi d’artificio hard rock.
La band il suo mestiere lo sa fare alla grande, ci costringe a muovere il corpo, a battere piedi, a cantare ritornelli che entrano in testa al primo passaggio, a seguire le linee di un basso che comanda le operazioni e ordina alla sei corde di esaltarci con riff di scuola settantiana, mentre le pelli tremano sotto il ritmo funky/rock di Stinking Like A Dog o il reggae della splendida Down To The River.
Another Down ricorda il miglior Lenny Kravitz, l’album scivola via tra il rock duro di Can’t Find My Home e le ballate blues Jewish Vagabond, Just For One Day, finale emozionante di questo gioiellino fuori dal tempo.
Grandi musicisti, bellissime canzoni ed atmosfere che ricordano il più puro spirito rock’n’roll: Fingerprints diverte, incanta e sorprende.

Tracklist
1.Man Size
2.Stinking Like A Dog
3.Mr.Hide
4.Australia Summerland
5.Down To The River
6.Another Down
7.Man Of The Scores
8.Can’t Find My Home
9.Jewish Vagabond
10.Don’t Stop Moving
11.Just For One Day

Line-up
Simone Cei – Vocals
Francesco Bottai – Guitars
Luca cantasano – Bass
Pino Gulli – Drums

HOGS – Facebook

Parris Hyde – Undercover 1

Thrash, horror metal, hard rock: le ispirazioni per creare musica arrivano da svariati generi e vengono confermate anche in questo ep, nel quale il gruppo si cimenta in canzoni pescate dalle discografie di artisti dei più svariati generi.

Tornano i Parris Hyde, band nostrana capitanata dal compositore e musicista omonimo, ex Bonecrusher poi con gli hard rockers Waywarson, dando alle stampe un ep intitolato Undercover 1, composto da quattro cover, un brano inedito e la “video version” del singolo 2ND2NO1.

Undercover 1 viene licenziato dal gruppo in attesa del nuovo full length, successore del debutto Mors Tua Vita Mea, uscito un paio di anni fa e che vedeva la band inglobare in un unico sound tutte le influenze del musicista italiano, da trent’anni nella scena underground rock/metal.
Thrash, horror metal, hard rock: le ispirazioni per creare musica arrivano da svariati generi e vengono confermate anche in questo ep, nel quale il gruppo si cimenta in canzoni pescate dalle discografie di artisti dei più svariati generi,  da Living Next Door To Alice (Smokie) alla famosissima Bad Romance di Lady Gaga, per tornare al metal con House of 1.000 Corpses di Rob Zombie e la splendida versione del capolavoro Lost Reflection dei Crimson Glory, tributo al grande Midnight, cantante preferito dal singer nostrano.
No Place To Call Me, ripresa dalle session del primo full length è un inedito metal/blues molto suggestivo, una jam tra Lizzy Borden e primi Whitesnake firmata Parris Hyde.
La versione video di 2ND2NO1, secondo brano nella track list di Mors Tua Vita Mea, conclude al meglio questo interessante ep: in attesa, come scritto, del nuovo lavoro del gruppo, nel frattempo godetevi questo ep, a conferma dell’ottima proposta dei Parris Hyde.

Tracklist
01.Living Next Door To Alice
02.Bad Romance
03.House of 1.000 corpses
04.Lost Reflection
05.No Place To Call me
06.2ND2NO1 (Video Version)

Line-up
Parris Hyde – Vocals, Guitars, Keyboards
Paul Crow – Guitars
Max Dean – Bass
Karl Teskio – Drums

PARRIS HYDE – Facebook

Tribunale Obhal – Rumore In Aula

Rumore In Aula è buon esempio di hard rock moderno, ispirato dalla scena a stelle e strisce di fine millennio.

La Volcano Records si sta sempre più imponendo come etichetta attivissima e dal rooster di alta qualità, senza sbagliare un colpo da quando, poco tempo fa è entrata prepotentemente sul mercato nazionale.

Rock metal e sonorità moderne sono diventati gli abituali generi dai qual la label campana attinge, scoprendo nuove realtà come i marchigiani Tribunale Obhal, quartetto fuori lo scorso anno con l’ep omonimo e ora lanciato nella scena hard rock nazionale con il full length d’esordio intitolato Rumore In Aula, buon esempio di hard rock moderno, ispirato dalla scena a stelle e strisce di fine millennio: groove a manetta, potenza e impatto rock ‘n’roll rendono i brani dei devastanti diretti al corpo, la chitarra soffre e sanguina e la sezione ritmica imprime la giusta forza.  Non lascio fare a te (opener dell’album), i ritmi sincopati di Lei che esplodono in un irresistibile refrain, Quello Che Senti, il singolo Taipaa non lasciano dubbi sulla forza espressiva insita in ogni brano.
Rivolto agli amanti dell’hard rock statunitense nato tra le nebbie di Seattle ed arrivato nel nuovo millennio imponendosi come influenza primaria per i gruppi di rock duro odierni, l’album non faticherà ad imporsi, ricco com’è di impulsi crossover che lo avvicinano ad un buon ibrido tra Alice In Chains e System Of A Down, anche se a mio avviso la lingua inglese avrebbe reso più appetibili i brani e accompagnato meglio il piglio internazionale del sound, ma è solo un dettaglio.

Tracklist
1. Non lascio fare a te
2. Hey Juda
3. Lei
4. Nell’ombra
5. Nuova realtà
6. Quello che senti
7. Seven
8. Taipaa
9. What you gonna take?
10. Tutta la voce che ho

Line-up
Mattia “Labo” Bellocchi – Voce
Francesco Boschini – Basso
Lorenzo D’Addesa – Batteria
Tommaso Golaschi – Chitarra

TRIBUNALE OBHAL – Facebook

https://youtu.be/iHaLbIQ6Fag

2018 Hard Rock 7.40

Urban Steam – Under Concrete

Colori che sfumano o che luccicano intensi, tra progressive metal e rock, soul, blues e hard rock moderno in un’alternanza senza soluzione di continuità, valorizzata da un’ottima tecnica e da un songwriting ispiratissimo.

Un’altra ottima realtà nata nella capitale e presentata da Red Cat sono gli Urban Steam, quartetto attivo dal 2012 e protagonista di un metal/rock alternativo dai molti spunti progressivi.

I musicisti si sono ritrovati sotto il monicker Urban Steam dopo varie esperienze in altre band, e Under Concrete risulta il riassunto della loro avventura musicale, un quadro dove ogni dettaglio è perfettamente disegnato su una tela progressiva, con colori che sfumano o luccicano di intenso spessore, tra progressive metal e rock, soul, blues e hard rock moderno in una alternanza senza soluzione di continuità, valorizzata da un’ottima tecnica ed un songwriting ispiratissimo.
Si parte con l’opener Storm e lentamente il motore comincia a carburare, con brani che sono piccoli gioielli di musica senza barriere, moderni nel suono ma attenti alla tradizione, vari nel tenere per il colletto l’ascoltatore con la tensione sprigionata da funamboliche parti progressive, o lasciare che l’emozione prenda il sopravvento, quando il blues ed il soul si insinuano tra i solchi del capolavoro Soul.
La title track è un brano tra Deep Purple e Rush, hard rock che la parte progressiva rende raffinato, mentre Cross The Line e City Lights tornano a far parlare la parte più sanguigna del sound degli Urban Steam, in cui la durezza del blues viene raffinata da un tocco soul per un risultato molto intrigante.
Davvero bravo ed interpretativo il singer Paolo Delle Donne, ma è il gruppo tutto che si presenta al pubblico offrendo una prestazione da manuale, aiutata da una raccolta di brani sopra la media.
Wake Up e la progressivamente metallica Years concludono Under Concrete, album che non lascia dubbi sulle doti di questa ottima band meritevole dell’attenzione di chi alla musica chiede emozioni e qualità, aldilà del genere proposto.

Tracklist
1.Storm
2.They Live
3.Soul
4.Under Concrete
5.Cross The Line
6.City Lights
7.Wake Up
8.Years

Line-up
Paolo Delle Donne – Vocals
Diego Bertocci – Drums
Federico Raimondi – Guitars
Fabrizio Sclano – Bass

URBAN STEAM – Facebook

Daylight Silence – Threshold Of Time

Il sound sprigionato da questo forzato esilio nello spazio è un hard & heavy dal piglio melodico e progressivo, tagliente e graffiante il giusto per non perdere contatti con i fans terrestri del metal old school, nobile nelle sue trame e duro nell’impatto.

Una nuova band è in arrivo dallo spazio profondo, con la Red Cat ad interagire tra la terra e la navicella spaziale su cui viaggiano i Daylight Silence, quintetto romano al debutto con Threshold Of Time, concept fantascientifico nel quale i nostri sono cinque mercenari in un mondo portato allo stremo da guerre, ribellioni e lotte intestine, fino alla repressione da parte di un governo totalitario.

Il progetto Daylight Silence prevedeva di oltrepassare i limiti di spazio e tempo tramite l’utilizzo di una “cronosfera”: un veicolo in grado di creare un mini buco nero, una singolarità, con la quale spostarsi da un luogo all’altro eludendo la velocità della luce.
Il test, con un equipaggio sacrificabile tra i condannati per vari reati politici e sociali, non andò come previsto e la navicella si perse nello spazio, con l’equipaggio che, senza speranza di tornare sulla terra cominciò a suonare.
E il sound sprigionato da questo forzato esilio è un hard & heavy dal piglio melodico e progressivo, tagliente e graffiante il giusto per non perdere contatti con i fans terrestri del metal old school, nobile nelle sue trame e duro nell’impatto.
Threshold Of Time è il frutto di un sodalizio obbligato, una voce metallica che arriva dallo spazio sotto forma di otto brani di buona fattura, grintosi, ma raffinati quel tanto che basta per concedersi spunti progressivi tra Crimson Glory e Queensryche. in un contesto al passo con i tempi.
Heavy metal dallo spazio per il nuovo millennio, così si potrebbe definire il sound creato per The Power Of Speech, grintosa opener dell’album e splendido biglietto da visita spedito dai Daylight Silence.
L’album mantiene le premesse poste con il primo brano e regala ancora ottime trame tra l note delle varie Dreaming Of Freedom, Making Up my Mind e la conclusiva title track.
Una band interessante e un buon debutto consigliato agli amanti dell’heavy metal progressivo e nobile, fatto di chitarre taglienti e splendide melodie.

Tracklist
1. The Power Of Speech
2.Dreaming Of Freedom
3.Live As One
4.Falling To The Ground
5.Making Up My Mind
6.Someone I Know
7.Sleep
8.Threshold Of Time

Line-up
MR.Wolf – Drums
M.T.Drake – Guitars
Von Braun – Vocals
Doctor X – Bass
El Diablo – Guitars

DAYLIGHT SILENCE – Facebook

17Crash – Hit The Prey

Si può vestire di abiti eleganti l’hard’n’heavy di ispirazione Motley Crue? Sì, e i 17Crash lo insegnano con Hit The Prey e le sue dieci composizioni più intro, un bellissimo esempio di hard rock ottantiano perfettamente inserito nel nuovo millennio.

Tornano i glamsters toscani 17Crash, con il secondo album sotto l’ala della Volcano Records,centrando il bersaglio a livello qualitativo.

Hit The Prey segue di tre anni il precedente lavoro, e sembra passata una vita, non perché Reading Your Dirty Minds non fosse già un buon lavoro, ma questa raccolta supera le più rosee aspettative e ci regala una band in stato di grazia.
Saranno le tastiere sempre presenti di Alessio Lucatti (Vision Divine, Deathless Legacy), che conferiscono ai brani un tocco aor originalissimo in un contesto sleazy rock, sarà il lavoro in studio sempre all’altezza del mai troppo osannato Simone Mularoni, ricordato spesso per la sua presenza nei DGM ma sempre più protagonista nel suo operato dietro la consolle, ma Hit The Prey si rivela un irresistibile esempio di hard rock melodico, un insieme di singoli che formano un album che definire perfetto è un eufemismo: i 17Crash prendono l’hard rock americano in auge tra i locali del Sunset e lo rivestono di suoni tastieristici da arena rock e tanta melodia da sfiorare, appunto, il più elegante e raffinato aor.
Si può vestire, quindi, di abiti eleganti l’hard’n’heavy di ispirazione Motley Crue? Sì, e i 17Crash lo insegnano con Hit The Prey e le sue dieci composizioni più intro, un bellissimo esempio di hard rock ottantiano perfettamente inserito nel nuovo millennio.
Ros Crash (cantante che fa la differenza) e compagni alternano impennate grintose e dalle graffianti atmosfere sleazy (Can’t Touch, Scream My Name) a brani nati per le radio rock delle università di metà anni ottanta (Don’t You Break My Life, Brighter Day), e ballad che lasciano trasparire ispirate note alla Bon Jovi (In The Eyes Of A Woman).
Su tutto questo ben di Dio i tasti d’avorio ricamano, cuciono, legano le tracce con arrangiamenti altamente melodici, donando un raffinato tocco aor che risulta la carta vincente di questo splendido lavoro.
Hit The Prey è così un degli album più riusciti di questa prima metà dell’anno nel suo genere, e faticherà ad uscire dal vostro lettore per tanto tempo.

Tracklist
1.Approaching
2.Lies
3.Can’t Touch
4.Don’t You Break My Life
5.Out Of Hit
6.Rum All Night
7.Scream My Name
8.In The Eyes Of A Woman
9.Brighter Day
10.Dead City
11.Hit The Prey

Line-up
Ros Crash – Vocals
Frankie – Guitars
Steve “Poison” – Guitars
Lawrence kaos – Bass
Phil Hill – Drums

17CRASH – Facebook

Arca Progjet – Arca Progjet

Come quella che migliaia d’anni fa galleggiò per lungo tempo sulle acque che ricoprirono la terra, la nuova e più moderna arca ci porterà verso la salvezza cullati dalla musica, un rock progressivo dall’alto tasso melodico, raffinato ed elegante, creato da una manciata di musicisti dall’esperienza invidiabile.

Chi ci salverà questa volta dalla distruzione prima di una nuova rinascita, se non un’arca spaziale?

E come quella che migliaia d’anni fa galleggiò per lungo tempo sulle acque che ricoprirono la terra, la nuova e più moderna arca ci porterà verso la salvezza cullati dalla musica, un rock progressivo dall’alto tasso melodico, raffinato ed elegante creato da una manciata di musicisti dall’esperienza invidiabile.
La band chiamata Arca Progjet nasce a Torino da un’idea di Alex Jorio ( Elektradrive) e Gregorio Verdun al basso e tastiere, a cui si aggiungono Sergio Toya alla voce, Carlo Maccaferri alla chitarra e Filippo Dagasso alle tastiere e programmazioni.
Con l’aiuto di ospiti d’eccezione come Mauro Pagani (PFM – Premiata Forneria Marconi), Gigi Venegoni e Arturo Vitale (Arti & Mestieri), il gruppo parte per un viaggio nello spazio nel quali si amalgamano il progressive tradizionale, ovviamente ispirato alla scena tricolore, e sonorità più moderne come quelle scritte da Arjen Anthony Lucassen per i lavori firmati Ayreon.
Da qui si parte per questa esplorazione alla ricerca di un mondo nuovo, con il suo carico di musica da tramandare a chi darà nuova linfa vitale per un futuro quanto mai incerto.
Ma l’atmosfera ariosa di brani progressivamente melodici come l’opener Arca o la splendida Metamorfosi riempiono di luminosa speranza questo nuova avventura con l’arca, che continua il suo viaggio tra spettacolari tappeti che i tasti d’avorio creano tra cambi di tempo e ricami progressivi dal taglio settantiano.
Modernità e tradizione sono il tesoro che ritroviamo in Sulla Verticale, traccia che sottolinea la tecnica invidiabile dei protagonisti senza che si perda un briciolo di fluidità nell’ascolto e lasciando che l’hard rock raffinato e melodico di Cielo Nero, la sontuosa Pozzanghere di Cielo e le armonie acustiche della conclusiva Aqua (bonus track della versione in cd), confermino questo riuscito connubio tra hard rock melodico e progressive.
Cantato interamente in italiano, Arca Progjet risulta un opera affascinante e spettacolare: speriamo che l’Arca in futuro continui il suo viaggio e che i cinque capitani al comando ci raccontino ancora delle sue avventure nello spazio.

Tracklist
01. Arca
02. Metà Morfosi
03. Requiend
04. Battito D’Ali
05. Sulla Verticale
06. Neanderthal
07. Cielo Nero
08. Delta Randevouz
09. Un. Inverso
10. Pozzanghere Di Cielo
11. Aqua (Cd Bonus Track)

Line-up
Sergio Toya – Vocals
Gregorio Verdun – Bass
Carlo Maccaferri – Guitar
Alex Jorio – Drums
Filippo Dagasso – Keys, Programmings

ARCA PROGJET – Facebook

Tracy Grave – Sleazy Future

Con una vera e propria band alle spalle il rocker italiano trova nuove energie e dà alle stampe un album intenso, tra hard rock suonato sui marciapiedi bagnati dalla pioggia a graffianti esempi di street metal sbattuti sul viso degli astanti, dando sfogo a tutta l’attitudine di un mondo dato per morto migliaia di volte e sempre risorto, per la gioia di chi la gloriosa scena ottantiana l’ha vissuta sulla propria pelle.

Si torna a respirare aria di Sunset Boulevard con il nuovo album di Tracy Grave, cantante che dello street/sleazy rock è uno dei massimi esponenti nel nostro paese, affermazione che trova conferma dopo l’ascolto del nuovo album, Sleazy Future, licenziato dalla sempre più presente Volcano Records, ormai da considerare come una delle migliori label che lavorano sul nostro territorio in ambito rock/metal.

Da quasi vent’anni nella scena rock underground, prima come frontman di varie cover band, poi con la sua carriera solista iniziata nel 2015, Tracy torna con questo ottimo lavoro ed una band nuova di zecca, nata dal sodalizio con il chitarrista e compositore Mark Shovel e raggiunti dal basso di Nekro Viper, dalla chitarra ritmica di Enea Grave e dalla batteria di Hurricane John.
Con una vera e propria band alle spalle il rocker italiano trova nuove energie e dà alle stampe un album intenso, tra hard rock suonato sui marciapiedi bagnati dalla pioggia a graffianti esempi di street metal sbattuti sul viso degli astanti, dando sfogo a tutta l’attitudine di un mondo dato per morto migliaia di volte e sempre risorto, per la gioia di chi la gloriosa scena ottantiana l’ha vissuta sulla propria pelle.
E Sleazy Future è pregno di atmosfere che arrivano come flash da quegli anni, anche se come suggerisce il titolo la band lo porta verso il futuro, con la voce da ruvido rocker di Tracy, che alterna graffiante impatto street a sentite interpretazioni su power ballad che ricordano il suono gracchiante delle radio rock incollate al cruscotto di vecchie auto, impolverate dai chilometri consumati alla ricerca di un sogno chiamato rock’n’roll.
E fin dall’opener, nonché primo singolo estratto da Sleazy Future, Cemetery Sin, il mondo di Tracy Grave e le atmosfere stradaiole ci investono alternando graffianti brani tra L.A. Guns e Faster Pussycat a ballate che ricordano il migliore Jon Bon Jovi.
Ottima la prova dei musicisti, con uno Shovel che ci delizia con solos metallici che strappano cuori sotto ai giubbotti di pelle dei rockers, ed un motore ritmico che spara cartucce sleazy/street rock letali.
Una raccolta di brani che non trova imperfezioni nel genere con una manciata di hit come Dirty Rain, Dancing On The Sunset, la super ballata Make You Feel The Pain e Over The Top, terzo scatenato singolo che ci accompagna  presentandoci questo splendido album targato Tracy Grave.
Sleazy Future è sicuramente il lavoro migliore e la massima espressione del credo musicale del musicista nostrano fino ad oggi, ed è caldamente consigliato agli amanti di queste sonorità.

Tracklist
1.Cemetery Sin
2.Dirty Rain
3.Without Scars
4.Dancing On The Sunset
5.Freedom Without Rules
6.Make You Fell the Pain
7.My Last Goodbye
8.Over The Top
9.Pice Of Horizon
10.Return (Back In My Hands)

Line-up
Tracy Grave – Vocals
Mark Shovel – Guitars
Enea Grave – Guitars
Nekro Viper – Bass Guitars
Hurricane John – Drums

TRACY GRAVE – Facebook

Snei Ap – (In)sane Minds

I cinque brani presentati dalla band emiliana non possono che essere altrettante scariche di adrenalina, perfetti nei chorus facilmente memorizzabili come il genere impone, ma ai quali non manca una rabbiosa grinta di stampo street rock.

Cinque brani all’insegna del rock’n’roll, moderno potente e dal piglio hard rock.

Il nuovo ep delle Snei Ap, band di rocker emiliane partite nel 2011 come rock’n’roll band tutta al femminile, ed ora raggiunte da un maschietto (Damage) alla sei corde, parla la lingua del rock duro e lo fa senza timori reverenziali verso act più famosi ed internazionali.
Tre brani originali, più due ri-registrati per l’occasione, ci presentano un gruppo scatenato, intrigante e diretto, con un sound che deflagra dagli altoparlanti ed un tiro a tratti irresistibile.
Un primo ep viene seguito dal full length Sick Society, un tour da headliner nel Regno Unito e qualche assestamento in formazione che ha visto, oltre al cambio alla chitarra, l’arrivo della singer Angie The Lioness Prati, un’iradiddio dietro al microfono.
Con queste premesse, i cinque brani presentati dalla band emiliana non possono che essere altrettante scariche di adrenalina, perfetti nei chorus facilmente memorizzabili come il genere impone, ma ai quali non manca una rabbiosa grinta di stampo street rock, in un sound che mantiene il suo approccio ribelle e moderno.
Menti insane sono il segreto per suonare rock’n’roll irriverente, sfacciato e tripallico come nell’opener Bullet, nell’atmosfera lasciva di ObSEXion e nella super hit Monster Hill.
Snei Ap è una band di cui sentiremo ancora parlare, specialmente ora che ci ha messo lo zampino l’attivissima Volcano Records, label che  sempre più sinonimo di qualità nella scena hard rock e metal nazionale.

Tracklist
1.Bullet
2.ObSEXion
3.I Love You When I’m Drunk
4.Monster Hill
5.Lucifer

Line-up
Angie The Lioness Prati – voice
Adil Damage Bnouhania –  guitar
Valeria Goz Trevisan – bass
Sonia Wild Ghirelli – drums

SNEI AP – Facebook

BlindCat – Shockwave

I BlindCat sono stati per il sottoscritto un’autentica sorpresa, il loro sound è quanto di più irresistibile e sanguigno si possa trovare in giro nel genere, quindi non perdetevi questo gioiellino hard rock.

E’ attiva dal 2012 questa sensazionale band nostrana, originaria di Taranto e al secondo lavoro dopo il debutto intitolato Black Liquid, che tante soddisfazioni ha portato ai BlindCat in questi ultimi anni.

Un gatto magari non vedente ma che, quando ingrana la marcia e comincia a suonare, difficilmente lascia indifferenti; il gruppo è guidato dal cantante Gianbattista Recchia, più che un gatto una iena, comunque un vero animale rock che risulta una via di mezzo tra Layne Staley e Zakk Wylde.
Domenico Gallo (chitarra) macina riff su riff e la coppia Emanuele Rizzi (batteria) e Pietro Laneve (basso) forma una sezione ritmica portentosa e groovy quel tanto che basta per dare a Shockwave un tocco moderno, tale da non apparire  datato o, come va di moda oggigiorno affermare, vintage.
One Life mette subito le cose in chiaro, il peloso delinquente dalla poca vista ma dall’orecchio fino ne ha per tutti e graffia lasciandoci in balia di una serie di brani adrenalinici, potentissimi ed irresistibili come Laughin’ Devil e soprattutto Stars And Sunset, un crescendo di potenza hard rock seguito da una Until (The Light Of The Day Comes) che aggiusta di varia di poco le coordinate quel tanto che basta per liberare Alice dalle catene e coinvolgerla in un ballo sfrenato.
La band si concede una pausa solo alla settima traccia, un intermezzo acustico che porta alla title track, un altro crescendo di tensione che esplode in una serie di riff mastodontici e ci prepara al finale, con la più intimista What Is Hell e Son And Daughter, cover dei Queen ed esplosiva conclusione di questo bellissimo e roccioso lavoro.
I BlindCat sono stati per il sottoscritto un’autentica sorpresa, il loro sound è quanto di più irresistibile e sanguigno si possa trovare in giro nel genere, quindi non perdetevi questo gioiellino hard rock.

Tracklist
1 One Life
2 Laughin’ Devil
3 Stars And Sunset
4 Until (the Light Of The Day Comes)
5 The Black Knight
6 Nothing Is Forever
7 Rising Moon (instrumental)
8 Shockwave
9 What Is Hell
10 Son And Daughter

Line-up
Gianbattista Recchia – Vocals
Domenico Gallo – Guitars
Emanuele Rizzi – Drums
Pietro Laneve – Bass

BLIND CAT – Facebook

Thelema – Thelema

Il sound dei genovesi Thelema è un hard rock che alterna parti più dirette e metalliche ad altre ispirate alla tradizione progressiva tricolore, risultando un buon ibrido tra rock e metal classico.

Di questi tempi, con il mondo del web diventato nostro malgrado un’appendice importante della nostra vita, la comunicazione diventa essenziale per far conoscere il proprio prodotto (di qualsiasi natura esso sia); nella musica poi, con le centinaia di band che ogni giorno si presentano sul mercato, il presentarsi in modo completo risulta fondamentale.

I Thelema per esempio lasciano a poche righe la presentazione del loro omonimo debutto, di loro sappiamo che girano intorno al chitarrista/compositore Simone Filippo Canepa e alla voce della cantante Beatrice Fioravanti.
Il sound dei genovesi è un hard rock che alterna parti più dirette e metalliche ad altre ispirate alla tradizione progressiva tricolore, risultando un buon ibrido tra rock e metal classico.
La Fioravanti è una singer dai toni che ispirano immagini dark, la chitarra di Canepa firma l’album con le sue ritmiche hard rock ed i suoi solos tra classic metal e progressive, composto da otto brani piacevoli.
Ottime le atmosfere dark di The Crow, l’inno It’s Only Rock, la ballad progressiva Claire e la danza sabbatica ispirata di My Memory Of Banshee, mentre The End chiude l’album e risulta l’unico brano cantato dal chitarrista ligure.
Con una produzione più pulita le tracce avrebbero convinto ancora di più, ma rimane un dettaglio su cui si potrà lavorare già dal prossimo lavoro, per ora i Thelema passano l’esame del debutto con un esordio più che sufficiente.

Tracklist
1.Season Of Love
2.The Crow
3.Lethal Assault
4.Eirenomis
5.It’s Only Rock
6.Claire
7.My Memory Of Banshee
8.The End

Line-up
Simone Filippo Canepa – Guitars, Vocals
Beatrice Fioravanti- Vocals

THELEMA – Facebook

Venus Mountain – Black Snake

I Venus Mountain sono ripartiti alla conquista del pianeta Terra: il lancio senza sosta di bombe con la scritta Black Snake porterà distruzione a colpi di rock’n’roll ed allearsi con i venusiani sarà l’unico modo possibile per sopravvivere.

Preparatevi ad un terremoto causato dall’esplosione di questi dieci brani più cover e conseguente tsunami, una catastrofe con i colpevoli provenienti dal pianeta Venere, extraterrestri che come transformers si scompongono per diventare delle irresistibili macchine da guerra rock’n’roll.

I Venus Mountain sono atterrati nel nostro paese, hanno costruito la loro base vicino a Brescia, sulle colline di Franciacorta,  da lì girano in lungo ed in largo per i palchi di mezzo mondo dal 2009 e sono al terzo lavoro licenziato dalla Volcano Records.
Il loro è un sound esplosivo, pura adrenalina hard rock sparata dai dischi volanti venusiani, ancora più devastanti delle solite armi nucleari e che, dalle bocche di fuoco delle navicelle spaziali, distruggono le città a suon di rock’n’roll tra hard & heavy e street rock di chiara matrice losangelina (e al Whisky A Go Go loro ci hanno suonato per davvero, laggiù nella città degli angeli dove negli anni ottanta si faceva la storia tra capelli cotonati e spandex colorati).
L’opener Rock City vi avverte che la detonazione sarà devastante, un brano alla Crue che letteralmente deflagra, graffiante ed irresistibile come la seguente We Are Coming From The Mountains of Venus e la title track, a formare un trittico che lascia senza fiato.
Il riff che tanto sa di Ac/Dc di Down To The Rainbow dà inizio al saliscendi tra i due generi basilari per la band, con ispirazioni che vanno dai Motorhead agli Whitesnake rifatti del periodo statunitense, dagli Zep ai Motley Crue e Cinderella, in un’orgia di suoni rock da un altro pianeta.
Impossibile resistere a RnR Burning, brano che risveglia immagini di show pirotecnici firmati Lee/Sixx , alla motorheadiana Hammer ed al classico Venus, una delle canzoni più coverizzate della storia.
I Venus Mountain sono ripartiti alla conquista del pianeta Terra: il lancio senza sosta di bombe con la scritta Black Snake porterà distruzione a colpi di rock’n’roll ed allearsi con i venusiani sarà l’unico modo possibile per sopravvivere.

Tracklist
1. Rock city
2. We are coming from the mountains of Venus
3. Black Snake
4. Down to the rainbow
5. You make me feel
6. RnR burning
7. Hammer
8. JJ the cowboy
9. Wake up call
10. Walk in the way
11. Venus

Line-up
Frax – Voice & Guitar
Mick – Guitar
Sexx Doxx – Bass
Morris – Drums

VENUS MOUNTAINS – Facebook

Maidavale – Madness Is Too Pure

Le Maidavale si confermano realtà a sé stante nel panorama dell’hard rock vintage, con un’altra opera fuori dai soliti schemi dai suoni affascinanti, ipnotici e a loro modo pericolosissimi.

Tornano dopo pochi mesi dal loro ottimo esordio le quattro sacerdotesse di Fårösund, che sotto il monicker Maidavale ci invitano al secondo sabba sotto il cielo svedese.

Tales Of The Wicked West aveva trovato buoni riscontri, confermati da questo Madness Is Too Pure, viaggio a ritroso nel rock psichedelico e nell’hard rock di settantiana memoria.
Le Maidavale suonano musica vintage, retro rock con una forte ispirazione psichedelica, ma a differenza delle band di maggior successo il loro approccio è meno ruffiano e molto più underground.
Madness Is Too Pure non è un album di facile ascolto, l’atmosfera da jam viene distorta da sfumature psichedeliche e i balli intorno al fuoco sono dettati da una forte connotazione lisergica, lasciando l’approccio blues rock del precedente lavoro e puntando tutto su sfumature stregate dalla magia della psichedelia.
Una lunga jam che si divide in nove capitoli mentre ci contorciamo, rapiti dalla musica e storditi da sostanze preparate dalle quattro streghe svedesi, che non ne vogliono sapere di scrivere un riff di facile presa e ci bombardano con il loro rock che rapisce, stordisce e confonde.
Tra le note dell’opener e singolo Deadlock, e delle altre litanie che compongono l’album, si respira vecchie atmosfere psichedeliche degli anni sessanta, ancora più accentuate rispetto al con l’ipnotica Dark Clouds e la magica Trance a dettare gli incantesimi per ammaliare ascoltatori in ogni parte del mondo.
Le Maidavale si confermano realtà a sé stante nel panorama dell’hard rock vintage, con un’altra opera fuori dai soliti schemi dai suoni affascinanti, ipnotici e a loro modo pericolosissimi.

Tracklist
1.Deadlock
2.Oh Hysteria!
3.Gold Mind
4.Walk In Silence
5.Späktrum
6.Dark Clouds
7.Trance
8.She Is Gone
9.Another Dimension

Line-up
Matilda Roth – Vocals
Johanna Hansson – Drums
Linn Johanesson – Bass
Sofia Ström – Guitar

URL Facebook
https://www.facebook.com/maidavaleswe/

Contenuto musicale (link youtube – codice bandcamp – codice soundcloud)

The Dead Daisies – Burn It Down

Burn It Down è il quarto album in studio e la band fa un ulteriore balzo temporale all’indietro, inglobando in un sound che ha sempre poggiato le basi negli anni ottanta impulsi rock blues del decennio precedente, come se John Corabi e compagni avessero lasciato gli Whitesnake dopo il loro approdo a Los Angeles, per recuperare quelli più rudi e selvaggi delle origini.

I The Dead Daisies sono la più grande band che i fans dell’hard rock classico possono ascoltare di questi tempi su disco e vedere in versione live sui palchi di tutto il mondo.

Quello che era partito come un super gruppo dall’incerta durata nel tempo, si è trasformato in una meravigliosa realtà che, a ogni passo, lascia in eredità album di un’altra categoria incentrati sul rock duro e puro.
Burn It Down è il quarto album in studio e la band fa un ulteriore balzo temporale all’indietro, inglobando in un sound che ha sempre poggiato le basi negli anni ottanta impulsi rock blues del decennio precedente, come se John Corabi e compagni avessero lasciato gli Whitesnake dopo il loro approdo a Los Angeles, per recuperare quelli più rudi e selvaggi delle origini.
Ovviamente il tutto avviene in un contesto assolutamente potente e moderno e i The Dead Daisies, con il nuovo grande acquisto dietro alle pelli, Deen Castronovo (Bad English, Journey), che va ad affiancarsi e si affianca alle altre leggende presenti nella band, offrono uno spettacolo di hard rock impossessato dal demone del blues: la tracklist offre brani che spezzano schiene sotto i colpi inferti dai riff della coppia Lowy/Aldrich, con le ritmiche che vomitano tonnellate di groove potente e scarno (Castronovo/Mendoza formano una delle coppie ritmiche più potenti della scena), lasciando che Corabi sciorini la prestazione più emozionante, vera e bluesy che il sottoscritto ricordi nella lunga carriera del vocalist americano.
Ora, con queste premesse è ovvio che siamo al cospetto dell’ennesimo capolavoro che non avrà sicuramente il successo dei lavori dei gruppi leggendari dai quali prendono ispirazione e che in altri tempi avrebbe fatto scrivere fiumi di inchiostro e portato la band sulle copertine delle migliori riviste di settore, prima dell’ennesimo tour negli stadi delle grandi città.
Di questi tempi meglio goderseli in qualche teatro o locale più intimo, ma soprattutto far nostro questo bellissimo Burn It Down, che da Resurrected in poi non scende dall’eccellenza, grazie ad una tracklist spettacolare nella quale  hard rock, street e blues ancora una volta si alleano per regalare grande musica dura, emozionante, sanguigna, maleducata ed irresistibile.
Neppure quando mid tempo come la title track o stupende ballate blues come Set Me Free smorzano quell’inconfondibile impatto rock’n’roll che è marchio di fabbrica del gruppo, il livello emozionale si abbassa, anzi, è proprio con le calde note di Set Me Free che Corabi sfiora la perfezione nella sua prestazione di cantante a cui la natura ha donato un carisma riconosciuto a pochi prima di lui.
Burn It Down è dunque un altro magnifico album di hard rock firmato da questi cinque musicisti uniti sotto il monicker The Dead Daisies, approfittatene!

Tracklist
1. Resurrected
2. Rise Up
3. Burn It Down
4. Judgement Day
5. What Goes Around
6. Bitch
7. Set Me Free
8. Dead And Gone
9. Can’t Take It With You
10. Leave Me Alone
11. Revolution (Bonus Track)

Line-up
Deen Castronovo – Drums
David Lowy – Guitars
John Corabi – Vocals
Doug Aldrich – Guitars
Marco Mendoza – Bass

THE DEAD DAISIES – Facebook

The Crystal Flowers – Crystallized

I fiori di cristallo ornano ancora oggi, come negli anni a cavallo tra i 60′ e 70′, il collo degli amanti della cultura rock di quel periodo, delicati ed eleganti ad un primo sguardo, ma resistenti agli impulsi elettrici dell’hard rock e del blues.

I fiori di cristallo ornano ancora oggi, come negli anni a cavallo tra i 60′ e 70′, il collo degli amanti della cultura rock di quel periodo, delicati ed eleganti ad un primo sguardo, ma resistenti agli impulsi elettrici dell’hard rock e del blues.

La loro arma migliore è il ritmo, un costante fiume di note che sono il di quel rock divenuto in quegli anni il genere più importante sia a livello musicale che sociale.
E i The Crystal Flowers il rock duro infarcito di atmosfere rhythm and blues lo sanno suonare come meglio non si potrebbe, regalandoci poco più di mezzora di grande musica che ferma il tempo e comincia a far scorrere il calendario al contrario, tornando ai tempi delle grandi kermesse musicali in parchi newyorkesi, su qualche isoletta britannica o semplicemente in piccole città rurali come la storica Bethel.
Crystallized non è affatto una mera operazione nostalgica, bensì un sincero e coinvolgente tributo ai nomi che più hanno segnato la storia della nostra musica preferita, con l’opener Ain’t Alright che ci dà il benvenuto tra il profumo inebriante dei petali cristallizzati di fiori color rosso sangue.
Sanguigni, appunto, come il blues, il quale accoppiandosi con il rock diventa una micidiale macchina ritmica, supportata da riff e sfumature maleducate quando entrano in noi senza permesso e ci fanno muovere il piede a tempo con le note sprigionate dagli strumenti, come in Unturned, Calling o la magnifica Broken Glass.
Oggi molte delle atmosfere di Crystallized vengono catalogate come southern, genere cool di questi tempi, ma è fondamentale sottolineare che quello che troviamo nell’album è solo rock’n’roll, suonato da questi esperti musicisti con la dovuta sagacia e senza alcun timore di apparire poco originali.
Troverete così un po’ di Rolling Stones, e poi Led Zeppelin, Cream, Lynyrd Skynyrd, Bob Dylan e i The Beatles: tutto sarà riflesso in un mazzo di fiori di cristallo e sarà bellissimo avere il privilegio di osservalo e, soprattutto, di ascoltarlo.

Tracklist
1.Ain’t alright
2.Unturned
3.Calling
4.Me Changed
5.Wastin’ Vision
6.Goin’
7.Greed
8.Broken Glass
9.Next To Nothing Next To All
10.Within Our Days

Line-up
Fauxcul – Voice and Guitars
Steve – Guitars
Grit – Bass
Moran – Drums

THE CRYSTAL FLOWERS – Facebook

Overhung – Moving Ahead

Forse la scaletta di questo lavoro andava distribuita meglio, fatto sta che gli Overhung alternano piccoli candelotti di dinamite glam rock a brani che soffocano l’atmosfera da party selvaggio, un difetto che il gruppo saprà sicuramente correggere in futuro.

La lontana e misteriosa India non si fa notare solo in ambito estremo, grazie ad ottime realtà che si dedicano a generi classici come l’heavy metal e l’hard rock.

Questo album di glam rock proveniente da Mumbai, ma con natali nel Sunset Boulevard, si intitola Moving Ahead, uscì originariamente nel 2016 e viene ristampato dalla Test Your Metal per la distribuzione in Nord America.
La band portatrice di cotanta attitudine rock’n’roll si chiama Overhung, alle spalle ha solo un ep del 2012 (Extended 4Play) e Moving Ahead risulta così il suo unico lavoro sulla lunga distanza, formato da dieci brani ispirati al glam rock anni ottanta con impennate hard rock e street che ne fanno un’opera piacevole, anche se qualche difettuccio non manca e il già sentito (se non si è fans sfegatati del genere) è di casa, ma il genere questo è quindi, prendere o lasciare.
L’album parte benissimo con l’hit Sex Machine, brano che sembra pescato da uno dei primi lavori dei Crue, con ritmiche di scuola Young a rendere il brano una vera bomba.
Qui andava sparata un’altra street song per far carburare al meglio l’ascoltatore, invece la band piazza Insane, un mid tempo di sei minuti che spezza l’atmosfera adrenalinica creata dall’opener.
Prima di tornare a far scorrere sangue nelle vene ai rockers dai colorati spandex, gli Overhung ci mettono ben tre brani, un po’ troppi a mio avviso, con Waiting che, come ballad, lascia il tempo che trova.
La band va molto meglio quando corre su e giù per la città degli angeli con I Am I, l’irriverente Must Drink, l’hard blues di Casual Bitch e la conclusiva You Think You’re Soo Cool, street punk rock tra Motley Crue e L.A.Guns.
Forse la scaletta di questo lavoro andava distribuita meglio, fatto sta che gli Overhung alternano piccoli candelotti di dinamite glam rock a brani che soffocano l’atmosfera da party selvaggio, un difetto che il gruppo saprà sicuramente correggere in futuro.

Tracklist
1. Sex Machine
2. Insane
3. Waiting
4. I Don’t Believe Her
5. Through The Slime
6. Waste
7. I Am I
8. Must Drink
9. Casual Bitch
10. You Think You’re So Cool

Line-up
Sujit Kumar – Vocals
Howard Pereira – Guitars
Crosby Fernandes – Bass
Sheldon Dixon – Drums

OVERHUNG – Facebook

https://youtu.be/ds_3sRHZNOY

Thundermother – Thundermother

Il clamoroso debutto è solo in parte sfiorato da questi nuovi tredici brani che tanto perdono dell’urgenza e della sfacciataggine rock’n’roll dell’esordio, per un approccio più ragionato, meno scanzonato ed in parte più blues.

Filippa Nässil, leader di quella bomba rock’n’roll che di nome fa Thundermother e che un paio di anni fa ci era esplosa tra le mani grazie ai brani che componevano Road Fever, primo fantastico album del gruppo tutto al femminile proveniente dalla Svezia, deve aver faticato non poco prima di uscire da una crisi che ha visto tre quinti del gruppo fare le valigie e partire per altri lidi.

Altre tre ragazze terribili sono state assunte per dare vita a questo secondo album omonimo: la sanguigna cantante Guernica Mancini, la bassista Sara Pettersson e la batterista Emlee Johansson; le Thundermother possono così tornare a farci male con il loro hard rock classico, strutturato su un irresistibile mix di Ac/Dc e rock’n’roll scandinavo.
Diciamolo subito, il clamoroso debutto è solo in parte sfiorato da questi nuovi tredici brani che tanto perdono dell’urgenza e della sfacciataggine rock’n’roll dell’esordio, per un approccio più ragionato, meno scanzonato ed in parte più blues.
Sarà che la Mancini ci delizia con la sua voce che tanto sa di hard rock alcolico, affascinate e ruvida il giusto per spezzare cuori in qualche locale fumoso della Stoccolma rock style, ma Thundermother ci consegna una band cambiata inevitabilmente anche nell’approccio al rock che qui si fa più maturo e scafato.
L’opener Revival ci dà il benvenuto, mentre scorrono i brani di questo lavoro, tra Ac/Dc, accenni blues alla Mother Station e diretti al volto di marca Backyard Babies.
Racing On Mainstreet, il blues che accompagna Fire In The Rain, l’irresistibile Original Sin, i canguri australiani che saltano al ritmo di We Fight For Rock ‘n’ Roll, fanno parte di una raccolta di brani che, se lascia indietro un po’ di quell’entusiasmo contagioso del primo lavoro, supera la prova di un ritorno così sofferto e faticoso.
Tanto di cappello alla Nässil, rocker tripallica che dimostra di non fermarsi davanti alle avversità andando avanti a testa alta per la sua strada… We Fight For Rock ‘n’ Roll.

Tracklist
01. Revival
02. Whatever
03. Survival Song
04. Racing On Mainstreet
05. Fire In The Rain
06. Hanging At My Door
07. Rip Your Heart Out
08. The Original Sin
09. Quitter
10. We Fight For Rock ‘n’ Roll
11. Follow Your Heart
12. Children On The Rampage
13. Won’t Back Down

Line-up
Filippa Nässil – Guitars
Guernica Mancini – Vocals
Sara Pettersson – Bass
Emlee Johansson – Drums

THUNDERMOTHER – Facebook

Greystone Canyon – While The Wheels Still Turn

L’album lascia leggermente l’amaro in bocca, perché è composto da brani che faticano a decollare con questa loro ispirazione al mondo del western che, purtroppo, si limita solo alla copertina e alla conclusiva The Sun Sets.

Australia ed America hanno in comune la frontiera, un vasto paesaggio che ispira racconti western, ma vero è che anche al cinema le pellicole che raccontano di cavalli e polvere sul territorio australiano ne sono usciti non pochi nel corso degli anni, con alcuni famosi (Australia, Carabina Quigley) ed altri diventati film di culto (Ned Kelly).

I Greystone Canyon sono un quartetto di cowboy provenienti da Melbourne con la passione per il cinema western, e il loro debutto in uscita per Rockshots si intitola While The Wheels Still Turn, ispirato appunto al mondo della frontiera a livello concettuale, perché all’ascolto l’album risulta un hard & heavy come di moda di questi tempi, vario nel saper alternare sfumature settantiane e moderne, con accenni ad armonie sporche di sabbia e sangue.
Una mezzoretta di piacevole hard rock l’album la regala sicuramente, anche se ci si aspetta sempre una nota southern, un’armonica che preluda all’arrivo di una banda di pistoleri, con il cinturone legato in vita per il duello sulle note blues dell’ottima River Of Fire.
Mixato dal leggendario Glen Robinson (Annihilator, Queensryche and Voivod) l’album lascia leggermente l’amaro in bocca, perché è composto da brani che faticano a decollare con questa loro ispirazione al mondo del western che, purtroppo, si limita solo alla copertina e alla conclusiva The Sun Sets.
Se si tratta di un’occasione sprecata o di fisiologico rodaggio per un gruppo all’esordio, lo scopriremo con la prossima uscita targata Greystone Canyon, per ora la diligenza non è ancora passata.

Tracklist
01. Keeping Company With The Dead
02. Astral Plane
03. In These Shoes
04. Cinco Cuerda Bandito
05. Take Us All
06. Sombrero Serenade
07. River of Fire
08. Path We Stray
09. The Sun Sets

Line-up
Darren Cherry – Guitar, Vocals
Luke Wilson – Drums
Rich Vella – Guitar
Dave Poulter – Bass

GREYSTONE CANYON – Facebook

Cruthu – The Angle Of Eternity

Un lavoro che non supera i confini del mood nostalgico di moda in questi tempi, quindi ad esclusiva degli amanti dell’hard rock tradizionale pervaso da atmosfere doom metal di scuola seventies.

Nella rivalutazione delle sonorità old school, il doom metal entra diritto nella schiera di quei generi a cui il trend ha sicuramente reso giustizia, soprattutto se lo sguardo cade, inevitabilmente sulle sonorità classiche.

Gli anni settanta, decennio d’oro e natale anagrafico per molti generi che vanno a comporre l’universo metal/rock, possono vantare tra i suoi nipoti gli statunitensi Cruthu, quartetto del Michigan attivo dal 2014 e al debutto con The Angle Of Eternity, album che in sé porta attitudine doom metal ed heavy per una proposta che più vintage di così non si può.
Licenziato dalla The Church Within Records, l’album risulta un primo esempio del credo musicale del gruppo: doom metal infarcito di ispirazioni settantiane, vintage e fuori dal tempo quel tanto che basta per accontentare principalmente i reduci dalle battaglie hard rock psichedeliche avvenute quarant’anni fa, tra citazioni occulte e rock di non facile presa ed assolutamente underground.
Si ritorna alle messe sabbatiche di inizio del decennio storico per il rock, anni in cui l’audience si divideva tra le sonorità progressive e quelle più orientate al credo hard & heavy di Black Sabbath ed Uriah Heep, maestri del combo in brani come Seance, per poi sconfinare negli anni ottanta e nella NWOBHM con la conclusiva title track.
Un lavoro che non supera i confini del mood nostalgico di moda in questi tempi, quindi ad esclusiva degli amanti dell’hard rock tradizionale pervaso da atmosfere doom metal di scuola seventies.

Tracklist
1. Bog Of Kildare
2. Lady In The Lake
3. Seance
4. From The Sea
5. Separated From The Herd
6. The Angle Of Eternity

Line-up
Ryan Evans-Vocals
Dan McCormick-Guitar
Erik Hemingsen-Bass
Matt Fry-Drums

CRUTHU – Facebook