L’alternanza tra brani rock velati di strutture prog ed altri che guardano alla tradizione della canzone italiana portano Orso Bianco ad essere apprezzato da chi ha nelle corde il rock/pop d’autore, mentre ai rockers duri e puri il consiglio è quello di rivolgersi altrove.
La presenza di Roberto Tiranti come ospite su un brano (Che Cosa Siamo Noi, da cui è stato estratto un video), incuriosisce non poco riguardo al nuovo album del cantautore spezzino Giordano Forlai, da metà anni ottanta sulla scena rock tricolore come cantante in vari gruppi e in seguito come solista.
Arrangiamenti raffinati e tenui accenni prog rock fanno capolino tra la musica di Forlai, assolutamente cantautorale e lontana non poco dalle sonorità più robuste che vengono per lo più trattate su queste pagine.
Poco male, visto che si tratta di un ascolto più delicato ed in qualche modo introspettivo che ci porta ad apprezzare il lavoro del cantautore ligure, anche se ovviamente la parte grintosa della sua musica è quella che apprezziamo di più. Pagine, Nero, lo splendido brano in collaborazione con Tiranti sono gli episodi migliori di un lavoro che va assaporato come un vecchio bourbon d’annata, elegante e curato in ogni passaggio.
L’alternanza tra brani rock velati di strutture prog ed altri che guardano alla tradizione della canzone italiana portano Orso Biancoad essere apprezzato da chi ha nelle corde il rock/pop d’autore, mentre ai rockers duri e puri il consiglio è quello di rivolgersi altrove.
Tracklist
1.Orso bianco
2.Pagine
3.Sono qui
4.Sparami
5.L’altra parte di te
6.Il viaggio
7.Nero
8.Acrobata
9.Blu
10.Che cosa siamo noi
11.Stare soli
12.Marta
Altro ottimo lavoro di genere, The Islands presenta una band di talento in grado di posizionarsi ai piani alti della scena hard rock vintage.
E’ indubbio il fatto che, di questi tempi, suonare hard rock vintage dai rimandi occulti e pregni di atmosfere dark sia diventato un trend, ma non c’è niente di male anche perché per il momento quanto viene proposto è di qualità mediamente alta.
La nuova super band in arrivo dalla Svezia, terra che ultimamente sforna realtà del genere a palate, si chiama The Heard ed è composta da tre quinti delle ormai scioltesi Crucified Barbara (la chitarrista Klara Force, la bassista Ida Evileye e la batterista Nikki Wicked), Jonas “Skinny Disco” Kangur dei Deathstars (chitarra) e Pepper Potemkin alla voce (modella e burlesque performer).
Bravura e bellezza al servizio di un hard rock settantiano, che richiama il sound proposto dai Lucifer della sacerdotessa Johanna Sadonis, con in primo piano i riff potenti e sabbathiani accompagnati da una performance vocale di tutto rispetto.
I dieci brani creano un’atmosfera di magico rituale, un occult rock piacevole all’ascolto, con il gruppo molto attento alle melodie di facile presa senza spingersi troppo nella psichedelia e con un approccio che tradisce il passato rock ‘n’ roll di tre delle sue componenti. The Islandsha dalla sua l’esperienza dei musicisti in questione, che conoscono la materia e sanno dove colpire con il giusto riff e la melodia vincente, alternando mid tempo, che si crogiolano in armonie semiacustiche dal buon appeal, ad altri più graffianti e dinamici, con in primo piano la voce della bellissima cantante che ammalia, rivelandosi perfetta interprete di brani affascinanti come A Death Supreme, Tower Of Silence, It e l’accoppiata Queen Scarlet / Crystal Lake.
Altro ottimo lavoro di genere, The Islands presenta una band di talento in grado di posizionarsi ai piani alti della scena hard rock vintage.
Tracklist
01. The Island
06. Caller Of The Storms
02. A Death Supreme
07. Revenge Song
03. Tower Of Silence
08. Queen Scarlet
04. Sirens
09. Crystal lake
05. It
10. Leaving The Island
Line-up
Klara Force – Guitar
Ida Evileye – Bass
Nikki Wicked – Drums
Jonas “Skinny Disco” Kangur – Lead Guitar
Pepper Potemkin – Vocals
Grande ritorno da parte di una band storica del nostro progressive rock, ancora una volta Dedicato a Frazz.
Nel lontano ma glorioso 1973, i Semiramis – giovanissimo quintetto romano, capitanato dai fratelli Zarrillo (Michele chitarra e voce, Maurizio tastiere) – pubblicarono per la Trident quello che rimane uno dei migliori dischi del nostro progressive rock.
Un esordio allora assai promettente, che, purtroppo, non ebbe mai un seguito. Oggi, tre quinti della formazione originale, coadiuvati da altri 4 musicisti, rispolverano il nome Semiramis e tornano a calcare i palcoscenici con un ottimo live, uscito solo un anno fa solo du DVD ed oggi ristampato da Black Widow, in doppio formato CD+DVD. Si tratta di una splendida performance, tenuta a LaClaque di Genova il 22 aprile 2017. I Semiramis riannodano con eleganza e maestria i fili con il proprio passato, riproponendo con efficacia i classici – tali sono, ormai – del loro album di debutto. Possiamo pertanto riapprezzare interessanti intrecci strumentali e trascinanti dialoghi fra chitarra e tastiere, con liriche davvero suggestive e pregevoli. La bottega del rigattiere, Luna Park e Zoo di vetro, in particolare, risplendono ancora in tutta la loro bellezza, con intensi assoli ed aperture prog a trama concept – non senza, quindi, la giusta dose di enfasi teatrale – omogenei e privi di qualsivoglia punto debole. Lo stesso vale per gli altri pezzi, eseguiti in maniera tanto ottima quanto convincente. Il live è dedicato alla memoria di Maurizio Zarrillo, che purtroppo ci ha nel frattempo lasciati.
Track list
1 Quattro fili
2 La bottega del rigattiere
3 Fragile involucro
4 Luna Park
5 Ombre di ritorno
6 Zoo di vetro
7 Foglio bianco
8 Per una strada affollata
9 Il silenzio e i bambini
10 Dietro una porta di carta
11 La verità non serve
12 Frazz
13 Circo Universo
14 Clown
15 La fine non esiste
16 Morire per guarire
17 Mille universi
Line up
Pino Amato – Piano / Synth / Programming
Maurizio Zarrillo – Keyboards / Eminent / Synthesizer
Vito Ardito – Lead Vocals / Acoustic Guitar
Giampiero Artegiani – Guitars
Antonio Trapani – Guitars
Ivo Mileto – Bass
Paolo Faenza – Drums
Ottimo ritorno della space prog band italiana, sempre abilissima nel riportarci sul finire degli anni Sessanta, quando tutto o quasi cominciò.
Sottobosco londinese. Con questo nome – da oltre vent’anni, oramai – il gruppo fiorentino è di certo tra i protagonisti di quel retrorock – come oggi lo si chiama, con un termine forse non felice – che si rivolge alla grande tradizione analogica, vintage e valvolare del progressive britannico di fine anni Sessanta e primissimi Settanta (Traffic, Pink Floyd, Argent e Atomic Rooster), accentuandone, sotto tutti i punti di vista, la componente spaziale e psichedelica.
Caldo ed avvolgente, il loro sound resta inconfondibile e, se i tardi Sixties – con tutto quanto ciò comporta, anche a livello lirico, visuale ed iconografico – sono da un po’ di tempo tornati in auge, lo dobbiamo certamente anche e soprattutto ai London Underground, tra i primi in assoluto (il loro esordio data, infatti, 2000) a far sì che il prog sia opportunamente ritornato sui propri passi. Questo quarto lavoro della band di Firenze, che segue a otto anni di distanza il predecessore, Honey Drops, conferma tutto quanto di buono fatto sin a oggi dai London Underground. Anzi, Four è con tutta probabilità il loro capolavoro, l’opera della piena e felicemente raggiunta maturità artistico-musicale. Le dieci tracce di questo nuovo lavoro sono assai liquide e compatte, nel medesimo tempo, ispirate ad astronomia e astrologia, con la lunga e cosmica improvvisazione di jam che supera abbondantemente i sette minuti. Un vero manifesto di pensiero e di integrità esecutiva. Il fatto che chitarra, viola (vagamente alla Velvet Underground) e sax (molto vandergraafiano) siano strumenti suonati da ospiti rafforza poi un’identità di trio per tastiera, basso e batteria che tanto ha dato alla musica progressiva inglese durante la sua golden age.
Track list
1 Billy Silver
2 Ray Ban
3 At Home
4 The Comete
5 What I Say
6 Three Men Job
7 Tropic of Capricorn
8 Jam
9 Mercy Mercy Mercy
10 Bumpin’ on Sunset
Line up
Gianluca Gerlini – Keyboards / Piano / Mellotron / Moog
Alessandro Gimignani – Drums
Stefano Gabbiani – Bass
The Edge Of The World risulta un lavoro molto ispirato, il quintetto mostra le varie anime e personalità che compongono la propria visione di musica progressiva, in un caleidoscopio di note che portano l’ascoltatore in un affascinante viaggio musicale di oltre un’ora tra splendide parti rock, superbe porzioni di metal strumentale e moderne partiture di quel progressive che nel nuovo millennio sta trovando una buona fetta di ammiratori.
Le nuove leve del progressive rock stanno regalando grosse soddisfazioni agli amanti del genere, specialmente a chi ha tagliato il cordone ombelicale che lo teneva legato alla mentalità conservatrice che attanaglia molti fans del genere e ha liberato la voglia di nuova musica, senza dimenticare ovviamente chi di queste sonorità ha fatto la storia.
Dalla Scandinavia, passando per l’Europa ed attraversando oceani e catene montuose per arrivare in tutto il mondo, la musica progressiva ha trovato nuova linfa in quelle band che stanno contribuendo con la loro freschezza e talento a riportare all’attenzione degli ascoltatori il genere, amalgamando con sagacia il progressive tradizionale con la sua anima metallica e quella più moderna.
Esempio di questa riuscita commistione di atmosfere è il bellissimo lavoro intitolato The Edge Of The World, il secondo per i Mind’s Doors, band spagnola proveniente da Alicante e fresca di firma con la Wormholedeath.
L’album é stato registrato e mixato da Wahoomi Corvi and Cristian Coruzzi al Realsound Studios di Parma, mentre il master é stato completato da Mika Jussila agli storici Finnvox di Helsinki, tanto per chiarire che siamo al cospetto di un’opera con tutte le carte in regola per far innamorare i progsters di tutto il mondo. The Edge Of The World risulta infatti un lavoro molto ispirato: il quintetto mostra le varie anime e personalità che ne compongono la visione di musica progressiva, con un caleidoscopio di note che portano l’ascoltatore in un affascinante viaggio musicale di oltre un’ora tra splendide parti rock, superbe porzioni di metal strumentale e moderne partiture progressive.
Tra gli otto brani medio-lunghi le due suite che aprono e chiudono l’album (A Warm Nest e la title track) rappresentano i momenti più intensi di una tracklist di altissima qualità, fatta di piccoli gioielli compositivi in cui la parte strumentale la fa da padrone e che hanno nei Dream Theater, così come negli Haken, nei Rush e nei Leprous, una parte delle tante anime musicali che compongono questo bellissimo ed imperdibile The Edge Of The World.
Tracklist
1. A Warm Nest
2. Hollow Days
3. Koma
4. Sweet Dreams
5. The Light
6. Endless Nights
7. Victoria
8. The Edge of the World
Line-up
César Alcaraz Argüeso
Eloy Romero Esteve
Alberto Abeledo Sánchez
Marcos Beviá Cantó
Jose Francisco Bernabeu Briones
Vehement, terzo album dei portoghesi New Mecanica, si rivela una bella e potente mazzata alternative, di quelle che al rock aggiungono irruenza metal lasciando che si allei con la melodia per quarantacinque minuti di metal statunitense moderno suonato ottimamente.
L’arrabbiatissimo “kong” che campeggia in copertina rende bene l’idea di cosa andrete ad ascoltare quando premerete il tasto play del vostro lettore.
Vehement, terzo album dei portoghesi New Mecanica, risulta infatti una bella e potente mazzata alternative, di quelle che al rock aggiungono irruenza metal lasciando che si allei con la melodia per quarantacinque minuti di metal statunitense moderno suonato ottimamente.
Lo zampino della Wormholedath, con cui la band di Barreiro ha firmato un contratto per la distribuzione dell’album, è la classica ciliegina sulla torta preparata dal quintetto e composta da dieci brani potenzialmente inarrestabili, per potenza ritmica, grande uso delle voci (una più ruvida e metal, l’altra invece dall’appeal alternative rock) ed un songwriting che permette ai New Mecanica di contare su un lotto di canzoni che formano un album da cui difficilmente si riesce a staccarsi.
Dall’opener A Second, infatti, il gruppo sfoga irruenza metal ed attitudine rock, come se il nostro amico in copertina si fosse liberato dalle catene e, salito sul grattacielo più alto della città, sfogasse tutta la sua voglia di libertà al suono delle varie Chronophobia, Lost Paradise e Reflect.
Metal di ispirazione thrash (i Metallica del Black Album) e l’alternative rock (Alter Bridge) si uniscono al sound di Soil e Black Label Society (Written) ed esplodono in tutta la loro potenza in questo ottimo lavoro, da non perdere se siete amanti di queste sonorità.
Tracklist
1. A Second
2. Chronophobia
3. Lost Paradise
4. Two Worlds
5. Reflect
6. Written
7. Clouded
8. Vehement
9. Never Fade
10. Journey
Ascoltare per godere dovrebbe essere scontato ma non lo è affatto in questi tempi plastici, e Dai è un massaggio per orecchie e mente, un luogo dove si sta bene per davvero.
Piacevolissimo terzo disco di questo trio composto da due fratelli ed un cugino che, con molta semplicità, suonano da anni musica strumentale dal potente potere evocativo.
I Prehistoric Pigs possono sembrare un gruppo come tanti, ma appena si mette su il disco si ascoltano cose per nulla comuni. Il loro nucleo musicale è uno stoner psych strumentale con una forte influenza desert. Il trio fa sostanzialmente musica libera da schemi ed è un gran piacere da ascoltare. Slegati da ogni laccio di appartenenza ad una qualche scena musicale i Prehistoric Pigs vagano liberi e compongono bellissimi racconti di viaggio musicale e non solo. Nella loro proposta sonora ci sono molte reminiscenze hendrixiane e della psichedelia anni sessanta e settanta, con il fondamentale tocco del krautrock che è uno strato importantissimo. Ma poi che importa dei generi quando si è lanciati nello spazio a folle velocità ? Una delle cose che impressiona maggiormente di questo gruppo è la totale naturalezza delle loro composizioni, tutto ciò che succede dentro queste canzoni è bello e godibile, non ci sono pezzi noiosi, e anche gli assoli di chitarra sono piacevoli e nel contesto di totale libertà. Il viaggio è composto da musica caleidoscopica ma al contempo con quella ruvidezza e pesantezza che piace davvero molto. Tutto ciò è frutto del grande lavoro che compie il trio, con un basso notevolissimo, la chitarra che ricama senza mai fermarsi ed una batteria che compie evoluzioni su evoluzioni, e tutti contribuiscono a rendere pazzesco il tutto. Di gruppi strumentali in giro ce ne sono, ma nessuno ha questa scioltezza, questa esatta consequenzialità di scelte sonore e questa godibilità sonora. L’unico difetto di questo disco è che dovrebbe essere un doppio, e pure un triplo, ma se mettete la ripetizione passerete delle belle ore in compagnia di questo trio. Ascoltare per godere dovrebbe essere scontato ma non lo è affatto in questi tempi plastici, e Dai è un massaggio per orecchie e mente, un luogo dove si sta bene per davvero.
Tracklist
1 Hasenjio
2 Pest
3 Geppetto M24
4 Soft-Shell Grab
5 No Means No
Lavoro d’esordio del musicista che si è fatto brillantemente conoscere con Il Tempio delle Clessidre.
Una delle anime del Tempio delle Clessidre, parafrasando il bel titolo di questo disco, non si perita di osare: Don’t Be Scared of Tryingè infatti il disco solista del nostro Fabio Gremo, che qui, oltre a cantare, suona chitarra classica, basso ed altri strumenti, accompagnato da vari amici e musicisti in veste di ospiti (al piano, alle percussioni, agli archi e fiati, al mellotron, alla steel guitar).
Fabio, dal suo gruppo-madre, si porta dietro per questa riuscita avventura un po’ dei toni foschi e scuri che han fatto grande il Tempio e contribuito alla sua edificazione: malinconia, atmosfere brumose, sapore di maestosa decadenza (realmente ben orchestrata da queste dieci composizioni), umori ancestrali. In altre parole, l’ascendenza dark prog non si dissolve di certo. Tuttavia, abbiamo anche altri elementi: sound talora più rarefatti, intimismo canoro, ricerca di introspezione musicale, echi cantautorali ed a tratti quasi folk (reso palese dall’uso delle parti acustiche), un sobrio e misurato classicismo. Quello che ne viene fuori è quindi, in definitiva, l’autoritratto di un artista a tutto tondo, dei suoi umori ed amori musicali. Una silloge di belle canzoni, sfuggenti e presenti insieme.
Tracklist
1 Breeze
2 Over the Rainbow
3 By the Fire
4 Dance of Hope
5 Ballad of the Good Ones
6 Hypersailor
7 Lullabite
8 Odd Boy
9 Don’t Be Scared of Trying
Il debutto degli Eddie Bunker è scaricabile ad offerta libera sul loro bandcamp ed è un’opera notevole, che li pone sulla mappa e apre nuove prospettive all’hc italiano che non vuole morire e che scorre sempre sotterraneo.
Hardcore in quota mathcore e blackened da Vicenza: gli Eddie Bunker sono in giro da poco, ma con questo debutto si fanno notare molto bene.
Il loro incedere ricorda gruppi che in Italia hanno dato molto, come i La Crisi e tutto quell’hc anni novanta e primi duemila che sembrava dovesse diventare devastanti e invece ha poi balbettato. Colmano questo vuoto questi giovani ragazzi che hanno molte idee e tutte chiare, su cosa si deve fare per incendiare un palco o le nostre orecchie. Il cantato in italiano rende molto bene, con testi che sono importanti e che danno l’idea di cosa sia questo gruppo, in primis una gran bella sorpresa. Scorrendo il disco non ci sono solo assalti all’arma bianca, anzi, i ragazzi preferiscono ricamare belle melodie pesanti, dando la precedenza all’intensità ma anche importanza ad una certa ricerca sia musicale che tecnica. Il disco inizia con il botto, con un pezzo come Il Gioco Perfetto, che è una traccia paradigmatica per conoscere gli Eddie Bunker. Era da tempo che non si sentiva un gruppo hardcore così completo cantare in italiano. Le trame musicali sono sinuose e non lasciano tregua all’ascoltatore, sono credibili e non diventano mai noiose. Certamente l’esempio portato da gruppi come Converge e tutta quella genia hardcore tinta di nero è stata fondamentale per i vicentini, ma quel suono ha radici profonde nel loro territorio con gruppi come gli Strange Corner, che uscirono su Vacation House nel 1998 con Schism, un disco che può essere considerato come uno dei parenti di Diffidia, anche se quest’ultimo è differente, più maturo e ben strutturato. Alienazione, difficoltà di comprendere questa società assetata di sangue, voglia di pensare in maniera diversa e capire le cose a fondo, grazie ad un mezzo formidabile come l’hardcore, che è molto più di una valvola di sfogo, un genere iperrealista che dipinge cose importanti in mano di chi lo sa fare. Il debutto degli Eddie Bunker è scaricabile ad offerta libera sul loro bandcamp ed è un’opera notevole, che li pone sulla mappa e apre nuove prospettive all’hc italiano che non vuole morire e che scorre sempre sotterraneo.
Tracklist
1.Il Gioco Perfetto
2.Trauma
3.Polonia
4.Interlude
5.Pandora
6.Tarantola
Line-up
Michele – vocals
Alberto – guitar
Jacopo – guitar
francesco – bass
Marco – drums
We’re No Angels cantano i rockers americani, ragazzi cattivi sopravvissuti alla storia di una generazione di musicisti diventata leggenda e che si respira in ogni passaggio di questo ottimo lavoro, in cui non si sente per nulla il tanto, tempo passato ma che sa invece regalare grande musica hard & heavy.
Tornano gli Angeles, veterani della scena hair/street metal degli anni ottanta, che di Los Angels sono originari e che bazzicavano sul Sunset Boulevard in compagnia di Quiet Riot, Motley Crue, Ratt, Guns’n’Roses ma non solo: all’epoca furono visti sul palco insieme a Metallica e Ronnie James Dio, Jefferson Starship, Robbie Krieger dei Doors, Jack Russell “Great White”, The Tubes, Foghat, Y & T, Michael Schenker e Dokken, solo per citare alcune delle leggende del con le quali il quartetto andava a spasso per gli States.
Gli Angeles non fecero mai il botto commerciale, ma i loro album (una decina in totale) sono un vero spasso per chi ama queste sonorità: street metal, blues, rock’n’roll, glam, nel sound del gruppo ci si ritrovano tutte le varie anime che compongono il genere più irriverente della storia, tornato a risplendere in questo nuovo album intitolato Time of Truth.
1977/2018: più di quarant’anni vengono riassunti in questi undici brani dove troverete tutto, ma proprio tutto quello che negli anni ottanta fece innamorare molti della scena losangelina, un’attitudine che si riassume in un impatto ancora esplosivo come ai vecchi tempi e tanto rock’n’roll. We’re No Angels, cantano i rockers americani, ragazzi cattivi sopravvissuti alla storia di una generazione di musicisti diventata leggenda e che si respira in ogni passaggio di questo ottimo lavoro, in cui non si sente per nulla il tanto tempo passato ma che sa invece regalare grande musica hard & heavy. Pain, Hollywood, Trouble e tutte le altre sorelline in calze a rete e mascara sono pronte a donarsi in cambio di un prezioso pass per entrare nel mondo sporco, perverso e cattivo del rock’n’roll, ancora una volta, anche se quando si accenderanno le luci tutto svanirà e a noi non resterà che premere di nuovo il tasto play.
Tracklist
1. Pain
2. Not Here to Play
3. Hollywood
4. Trouble
5. Goodbye
6. We’re No Angels
7. Are You Ready For Your Sins
8. Lonely Road
9. Band Plays On
10. Shiver Me Timbers
11. God, Country and King
Line-up
Demon Dale aka Dale Lytle – Guitar
Daniel Ferreira -Vocals
Cal Shelton – Bass Guitar
Danny Basulto – Drums
Piccolo capolavoro al crocevia di tanti generi ed emozioni, un sentire qualcosa che è stato declinato in molte maniere, un sentimento che parte da lontano e arriva dove siamo noi, che pensavamo potesse andare meglio, ma non è una sconfitta perché ne possiamo parlare.
Rumori che vengono da dentro, esplosioni attese da anni che scoppiano in faccia, giri di chitarra che sembrano abitare nel nostro cervello, un attendere che sembra infinito per poi planare su corpi che non hanno bisogno di te ma che sono gli unici che possono capirti.
Apnea che fortifica l’orgasmo di sapere che non c’è godimento, finire sopra a dei nastri che ti tranciano le vertebre. Parlare di musica con alcuni dischi è davvero senza senso, bisogna solo sentire quelle note, quelle canzoni che ti fanno nascere vortici dentro, quei rari slanci musicali come questo Vertebre degli Stalker, in apparenza quattro pezzi di musica che spazia dall’hardcore al post hardcore, dal punk all’emo, dal post metal all’oltre tutto. Dentro questo ep ci sono tantissime cose, ci sono varie vite, prima di tutto di quelli che lo hanno fatto, e poi le nostre che lo stiamo ascoltando ed infine quelle che ci passano davanti. Il ritorno degli Stalker è un qualcosa che aspettavamo in tanti e loro stessi sono un qualcosa che assume mille mutazioni diverse: da una possibile evoluzione degli immensi Kafka, al gruppo dopo gli Ex Otago del cantante Alberto, ma in realtà l’unica cosa che sono è il loro nome e questa musica che suona come suonavano certi dischi anni fa. Forse nel passato le cose andavano meglio anche per la musica, ma un disco come questo in quella supposta età dell’oro non sarebbe potuto nascere, perché in quei giorni la speranza c’era ancora. Qui no, qui sta andando tutto a puttane, e Vertebre non è affatto un disco consolatorio, ma è un disco che grida e noi con lui. Hardcore, post, prima o durante metal, i generi non sono affatto importanti, perché qui è la totalità ad emergere, a picchiarti contro, musica come un’onda che tutto travolge. Siamo cambiati, gli Stalker con noi, e dopo il meraviglioso debutto omonimo del 2008, che conteneva già in nuce Vertebre, hanno fatto un capolavoro, la perfetta descrizione del naufragio di pirati che hanno provato a conquistare qualcosa di troppo difficile per loro. Quei pirati che forse siamo noi, ora sono naufragati e si sono rotti le ossa, forse anche le Vertebre, e non rimane loro altro che gridare. Sequenze di vita, immagini di momenti che portano tutti alle sconfitte, e quello forse è il nostro destino. Però nel buio le Vertebre risplendono come nessun’altra cosa, e le grida che salgono insieme al rumore sono splendide. Oceani aperti che ci inghiottiscono e allora ricompariremo da altre parti, dove forse affonderemo nuovamente. Piccolo capolavoro al crocevia di tanti generi ed emozioni, un sentire qualcosa che è stato declinato in molte maniere, un sentimento che parte da lontano e arriva dove siamo noi, che pensavamo potesse andare meglio, ma non è una sconfitta perché ne possiamo parlare.
Tracklist
1. Tornado
2. Vertebre
3. Masonic Youth
4. Mai più
Line-up
Mauro – Guitar
Michele – Drums
Luca V. – Bass
Alberto – Vocals
Matteo – Gui
Licenziati anche in vinile, questi due lavori risultano imperdibili per chi ha amato i successivi, confermando i The Night Flight Orchestra come una delle proposte più geniali degli ultimi anni.
La Nuclear Blast saggiamente, dopo il successo degli ultimi due bellissimi lavori (Amber Galactic e Sometimes the World Ain’t Enough), ristampa il debutto Internal Affairs e il successivo Skyline Whispers, i primi due album dei rockers The Night Flight Orchestra originariamente usciti per Coroner Records rispettivamente nel 2012 e nel 2015.
Look rinnovato e l’aggiunta di una bonus track sono le novità di queste due nuove versioni per il super gruppo che vede cimentarsi con il pop/rock anni ottanta una manciata di pilastri del metal estremo capitanati da Björn “Speed” Strid dei Soilwork. Internal Affairs e Skyline Whispers non hanno nulla da invidiare ai loro successori, dando il via alla saga di questo geniale progetto che raccoglie in sé lo spirito della musica pop rock tra anni settanta e ottanta tra pop, dance e hard rock da arena.
Qualcuno ancora oggi storcerà il naso di fronte a questo gruppo di musicisti che, mettendo da parte l’anima estrema che li contraddistingue, si sono messi in gioco con talento e passione, creando musica che definire senza tempo è un eufemismo, piacevolmente vintage ma dall’appeal stratosferico già dalle prime note del debutto, una raccolta di brani splendidi che hanno nell’eclettismo e la loro arma migliore.
Sul primo album quindi si passa dall’hard rock americano di California Morning, al rock sporcato di blues che ricorda gli Whitesnake di Transatlantic Blues, al funky nero della title track in un turbinio di luci colorate da balere raccontate da Thank God It’s Friday o Saturday Night Fever.
Qualità altissima ed acquisto obbligato anche per il secondo album, Skyline Whispers, uscito tre anni dopo il debutto e che consolidava una proposta fino ad allora vista come un piacevole diversivo dei suoi protagonisti.
Anche qui si viaggia spediti sulle ali dell’assoluta libertà artistica con brani che a turno fotografano le imprese di Van Halen, Electric Light Orchestra, Kiss o Spandau Ballet in brani che chiamare trascinanti è un eufemismo come Stiletto,Lady Jane o Roads Less Travelled.
Licenziati anche in vinile, questi due lavori risultano imperdibili per chi ha amato i successivi, confermando i The Night Flight Orchestra come una delle proposte più geniali degli ultimi anni.
Tracklist
Internal Affairs:
1. Siberian Queen
2. California Morning
3. Glowing City Madness
4. West Ruth Ave
5. Transatlantic Blues
6. Miami 502
7. Internal Affairs
8. 1998
9. Stella Ain’t No Dove
10. Montreal Midnight Supply
11. Green Hills Of Glumslöv
12. Song For Ingebörg
Skyline Whispers:
1. Sail On
2. Living For The Nighttime
3. Stilletto
4. Owaranai Palisades
5. Lady Jade
6. I Ain’t Old I Ain’t Young
7. All The Ladies
8. Spanish Ghosts
9. Demon Princess
10. Skyline Whispers
11. Roads Less Travelled
12. The Heather Reports
13. September You’re A Woman
Line-up
Björn Strid -Vocals
Sharlee D’ Angelo – Bass
David Andersson – Guitar
Richard Larsson – Keyboards
Jonas Källsbäck – Drums
Sebastian Forslund – Guitar
Backing Vocals by the Airline Annas – Anna Brygård and Anna-Mia Bonde
La 25th Anniversary Edition è il giusto tributo ad uno degli album di rock italiano più belli di sempre: Joe vi aspetta per raccontarvi ancora il suo Viaggio senza Vento, accompagnato dal rock dei Timoria.
Probabilmente per capire del tutto lo spirito che animò i Timoria nel periodo dell’uscita del loro capolavoro, bisognerebbe tornare sotto il palco di un qualunque teatro italiano nel quale i cinque musicisti bresciani ultimarono la loro trasformazione da classica rock band tricolore a gruppo dal piglio internazionale, ispirato dal rock degli anni 60/70 e rapito dalle sonorità che arrivavano dalla Seattle di quel periodo.
Infatti era abitudine di Pedrini e compagni tributare nel corso dei loro live band come Who e Temple Of The Dog, esempi fulgidi di quel rock di cui Viaggio Senza Ventoè pregno.
Dopo l’acerbo debutto Colori Che Esplodono, la band diede subito dimostrazione del suo talento con il seguente Ritmo e Dolore, un album d’autore, enormemente più maturo del suo predecessore e che al suo interno ha uno dei brani più belli della discografia, L’Uomo Che Ride, presentata con (prevedibile) scarso successo all’inutile festival della canzone italiana in quel di Sanremo.
Storie Per Vivere fu piccolo passo falso, ma forse necessario alla trasformazione che avverrà esattamente un anno dopo con l’uscita del magnifico Viaggio Senza Vento.
I Timoria assunsero le sembianze di una rock band all’interno della quale tutti i suoi componenti esprimevano al meglio le loro potenzialità: Pedrini e Renga formavano la classica coppia come tante nella storia del rock, cantante e chitarrista sempre in primo piano, uno con la sua straordinaria voce, tra Daltrey, Cornell e Plant e l’altro compositore e anima della band, così come Carlo Alberto Pellegrini, sorta di John Paul Jones al basso, Diego Caleri alla batteria ed Enrico Ghedi alle tastiere.
L’album è un concept sul viaggio e sulla redenzione di Joe, una sorta di versione novantiana di Tommy, eroe degli Who ed opera che influenza non poco il lavoro del gruppo, accompagnato da ospiti importanti come Eugenio Finardi, Mauro Pagani ed il percussionista colombiano Candelo Cabezas, già al lavoro con i Litfiba.
Hard rock, folk, rap, suggestioni psichedeliche e grunge riempiono di grande musica questo straordinario lavoro, in un susseguirsi di colpi di scena compositivi che fanno di Viaggio Senza Vento uno degli album rock più belli scritti nel nostro paese.
Diversi generi confluiscono nello spartito di brani dal grande appeal che mantengono un approccio diretto ma assolutamente fuori da qualsiasi intento commerciale, in un genere difficile come il rock duro cantato in italiano: un vocalist eccezionale ed una storia che legava vita e drammi giovanili ad un’aura mistica di viaggio e completezza interiore, rendono la title track, Sangue Impazzito, La Cura Giusta, Verso Oriente, Piove ed Il Guerriero (ma sarebbe da citare l’intera tracklist) inni di un generazione che in Italia continuava a faticare per uscire dall’anonimato, soffocata dall’assoluta mancanza di una vera e propria cultura rock.
Questa nuova versione vede l’intero lavoro rimasterizzato sul primo cd e alcune versioni demo più l’inedito Angel e la cover di I Can’t Explain degli Who sul secondo, mentre nella configurazione super deluxe il tutto viene arricchito da un doppio vinile giallo, dal poster raffigurante la band e da un libretto con i commenti dei protagonisti: Joe vi aspetta per raccontarvi ancora il suo Viaggio senza Vento, accompagnato dal rock dei Timoria.
Tracklist
CD 1:
01. Senza Vento
02. Joe
03. Sangue Impazzito
04. Lasciami In Down
05. Il Guardiano Di Cani
06. La Cura Giusta
07. La Fuga
08. Verso Oriente
09. Lombardia
10. Campo Dei Fiori Jazz Band
11. Freedom
12. Il Mercante Dei Sogni
13. La Città Del Sole
14. La Città Della Guerra
15. Piove – Remastered
16. Il Sogno – Remastered
17. Come Serpenti In Amore
18.Frankenstein
19. La Città Di Eva
20. Freiheit
21. Il Guerriero
CD 2:
01. Angel
02. I Can’t Explain
03. Senza Vento
04. Sangue Impazzito
05. La Cura Giusta
06. Verso Oriente
07. Lombardia
08. Freedom
09. La Città Del Sole
10. Piove
11. Il Sogno
12. Come Serpenti In Amore
13. Taruni Taruni
Line-up
Omar Pedrini
Francesco Renga
Diego Galeri
Carlo Aberto Pellegrini
Enrico Ghedi
Il risultato è un piccolo capolavoro di psichedelica bellezza, un dolcissimo viaggio verso non una ma tante luci colorate, finalmente liberi, finalmente leggeri.
Ci sono cose e soprattutto dischi che vanno degustati con calma, che devono avere il tempo adeguato per potersi impossessare di noi stessi e contagiare ogni stilla del nostro sangue, e questo è ciò che fa il terzo album dei danesi TheSonic Dawn.
Il gruppo è uno degli esponenti più lucenti e stupefacenti della nuova ondata psichedelica che sta mietendo molte vittime in tutto il globo. Il suono è pesantemente legato agli anni sessanta e settanta, decenni cruciali per richiedevano creatività e talento. Ascoltando Eclipse si viene trasportati lontano, in un suono di psych rock con momenti fuzz e forti venature jazz, aperture che sono piccoli diamanti che brillano in una luce completamente nuova e generano stupore, che è proprio quello che si prefissa il gruppo. Le canzoni sono il frutto di un intero anno di lavoro e quelle che potete ascoltare qui sono state scelte in un novero di quaranta canzoni. Il disco è concepito come il racconto di una lunga notte in cui la natura e l’immaginazione la fanno da padroni, con la descrizione dei vari momenti fino all’arrivo di una radiosa mattina. Il lavoro dei danesi è notevole, le linee di chitarra sono pressoché perfette e giocano benissimo fra di loro, la batteria è amorevolmente analogica e bellissima, la voce calza perfettamente e poi c’è l’organo Hammond che è il valore aggiunto del gruppo.
Il risultato è un piccolo capolavoro di psichedelica bellezza, un dolcissimo viaggio verso non una ma tante luci colorate, finalmente liberi, finalmente leggeri.
I TheSonic Dawn non suonano esclusivamente per un pubblico psichedelico, ma sono un qualcosa che piacerà anche a chi possiede una mente musicalmente aperta e a chi vuole crearsi, anche solo per qualche momento, una realtà diversa e migliore da quella attuale.
Tracklist
1 Forever 1969
2 Psychedelic Ranger
3 The Stranger
4 No Chaser
5 Opening Night
6 Circle of Things
7 On the Edge of Our Time
8 Christiania
9 The Last Page
10 Love Bird
11 To Change Who We Are
12 Islands in Time
13 Towards the End
Line-up
Emil Bureau – Guitar / Lead vocals
Jonas Waaben – Drums
Niels ‘Bird’ Fuglede – Bass guitar
The Story So Far- The Best Of è la classica raccolta che ripercorre gli anni di una band che ha fatto la storia del genere, per cui è ovvio che qui si trovino i maggiori successi, così come qualche brano degli ultimi lavori, magari sfuggito ai fans della prima ora.
I Def Leppard sono un’istituzione per gli amanti dell’hard & heavy, perché anche se inserita con non poca fatica nel carrozzone della new wave of british heavy metal, la band di Joe Elliot si è sempre espressa su coordinate melodiche dall’appeal irresistibile, trovando il successo anche tra chi non ascolta metal abitualmente.
Rock, pop, hard rock da arena, super ballad che hanno conquistato migliaia di fans in giro per il mondo, lungo una carriera arrivata oltre i quarant’anni costellata da successi planetari e tragedie umane che hanno segnato in modo indelebile la storia del gruppo britannico. The Story So Far- The Best Ofè la classica raccolta che ripercorre gli anni di una band che ha fatto la storia del genere, per cui è ovvio che qui si trovino i maggiori successi, così come qualche brano degli ultimi lavori, magari sfuggito ai fans della prima ora.
I Def Leppard arriveranno nel nostro paese all’inizio dell’estate insieme agli Whitesnake, formando una coppia d’assi imperdibile per i rockers con qualche capello bianco sulla chioma ormai rada, e The Story So Far è l’occasione per una retrospettiva sul meglio che il gruppo ha offerto nella sua lunga carriera.
La raccolta esce in vari e formati e per tutti i gusti: 2 CD /1 CD/ 2 LP + bonus 7” con appunto una raccolta di singoli, “The Hysteria Singles”, box in edizione limitata con 10 singoli 7” in vinile, ma ci sono anche note dolenti: a parte il singolo natalizio We All Need Christmas e la cover di Personal Jesus dei Depeche Mode, non ci sono tracce inedite e vengono completamente ignorati i brani dai primi due lavori (On Through the Night e High ‘n’ Dry), scelta che lascia con l’amaro in bocca per l’importanza storica dei due lavori in questione.
Per il resto The Story So Far è un tuffo nella musica dei Def Leppard tra classici immortali e brani splendidi ma meno conosciuti, in un lungo abbraccio con questi signori dell’hard & heavy, con cui più o meno tutti siamo cresciuti e che hanno segnato qualche stagione della nostra vita con le loro hit.
Non siamo molto in sintonia con questo tipo di operazioni, ma per i Def Leppard facciamo volentieri un’eccezione, anche per l’immensa discografia dei nostri e l’importanza che hanno avuto nel portare al successo la nostra musica preferita.
Tracklist
Disc 1
01. Animal
02. Photograp
03. Pour Some Sugar On Me
04. Love Bites
05. Let’s Get Rocked
06. Armaggedon It
07. Foolin’
08. Two Steps Behind
09. Heaven Is
10. Rocket
11. Hysteria
12. Have You Ever Needed Someone So Bad
13. Make Love Like A Man
14. Action
15. When Love & Hate Collide
16. Rock of Ages
17. Personal Jesus
Disc 2
01. Let’s Go
02. Promises
03. Slang
04. Bringin’ On The Heartbreak
05. Rock On (Radio Remix)
06. Nine Lives” (feat. Tim McGraw)
07. Work It Out
08. Stand Up
09. Dangerous
10. Now
11. Undefeated
12. Tonight
13. C’Mon C’Mon
14. Man Enough
15. No Matter What
16. All I Want Is Everything
17. It’s All About Believing
18. Kings Of The World
Line-up
Joe Elliott – Vocals
Phil Collen – Guitar & Vocals
Vivian Campbell – Guitars & Vocals
Rick “Sav” Savage – Bass & Vocals
Rick Allen – Drums & Vocals
Un concentrato di doom metal fatto in un modo mai ovvio, con canzoni che salgono al cielo come spire di un voluttuoso e lento incendio.
Terzo disco per il super gruppo parigino Fiend, che si propone al suo meglio con questo Seeress, un album da ascoltare nota per nota e che rimarrà per molto tempo nei vostri apparecchi di riproduzione e nella vostra testa. I nomi che compongono il gruppo hanno tutti dietro una storia molto interessante, l’ottimo cantante Heitham al Sayed ha militato anche nei Lodestar e che è tuttora negli interessanti Senser (che hanno aperto per i Tool anni fa in Inghilterra), è nato come rapper ed ha una voce molto particolare che rende tantissimo divenendo una delle peculiarità del gruppo. Alla chitarra troviamo Michel Bassin che ha suonato nei fondamentali Treponem Pal, nei Kmfd e nei Ministry, quindi una formazione industrial metal, con buone dosi di elettronica. Al basso troviamo Nico Zivkovich che ha militato nei Les Tigres Du Futur un gruppo space rock, e per finire alla batteria l’ottimo Renaud Lemaitre. Questo disco ha un milione di suoni, i generi si infrangono come onde contro gli scogli e tutto è molto bello e godibile. In alcuni frangenti il loro particolare suono si potrebbe definire doom, ma poi arriva qualcosa che smentisce quanto ascoltato e catalogato poc’anzi e si avanti così, come se le figure di Escher fossero messe in musica generando quello bellissimo straniamento che solo pochi gruppi sanno dare. Si può fare l’esempio dei Tool, non tanto per similitudini musicali ma per quella meraviglia che instillano nell’ascoltatore, e come il gruppo californiano trasmette bellezza e valore ad ogni singola nota, perché questa è musica bella, fluente ed esoterica . Come in alto così in basso, i Fiend fanno corrispondere a ogni costruzione sonora una nostra emozione, con il loro unico e straordinario incedere. Non si possono fare paragoni per questo gruppo, e questo disco è da ascoltare a fondo e con attenzione, ma non vi riuscirà difficile perché ne verrete catturati, almeno quelli di voi che vogliono perdersi in qualcosa. I primi due episodi della loro discografia erano buoni, ma questo è un ulteriore passo in avanti, un qualcosa che fa evolvere la musica pesante e pensante. Una progressione continua, un ricercare senza requie, un suono che va oltre la musica, una luce alla quale aggrapparsi.
Tracklist
1.Morning Star
2.Ancestral Moon
3.Pillars
4.Vessels
5.5th Circuits
6.Crown of Birds
7.The Gate
Line-up
Heitham Al-Sayed: Vocals, guitar
Michel Bassin: Guitar,effects,synthetizers
Nicolas Zivkovich: Bass, organ
Renaud Lemaitre: Drums
Step è un primo passo, una fondazione di un nuovo mostro sonoro che nasce non a caso in Sardinia, una terra molto fertile per l’underground di qualità.
Dalla Sardegna esordio assoluto per gli Speechtones, un gruppo che fa musica diretta e di sostanza, scegliendo come generi lo stoner, l’heavy rock e sua maestà il desert, tutto in maniera ben fatta e coerente.
Ascoltare la loro prima prova, in download libero sul loro bandcamp, oltre a far scoprire un nuovo valido gruppo underground riesce a regalare bei momenti a chi si vuol lasciare rapire da un suono che è meglio lasciar fluire ad alto volume. In questo gruppo sardo convivono diverse anime e i generi cambiano con facilità, anche grazie al talento compositivo e alla freschezza musicale e mentale. La produzione può essere ampiamente migliorata, ma questo ep Step è la pietra miliare di una strada ancora in costruzione, dato che il lavoro è stato registrato con il primo batterista che non è più in formazione. I tre pezzi possono sembrare pochi, ma illustrano molto bene ciò che è e ciò che potrebbe diventare questo gruppo. Come tante band al proprio esordio le idee sono giustamente tante e spingono tutte per uscire fuori. Il risultato sono tre canzoni, tre appunti di ciò che è e di ciò che sarà. Perché questo gruppo è solido e andrà avanti. La psichedelia è presente in forme diverse, ma sicuramente gli Speechtones non la interpretano nella concezione classica del termine, anche se hanno dei bei momenti stupefacenti soprattutto nel primo pezzo, che è anche quello di maggior respiro dato che supera gli otto minuti. La coppia di canzoni rimanente è più breve e mette in luce altre peculiarità della band, come la capacità di usare lo stoner e il desert rock anche se in realtà lo stile parte da questi assiomi ma è una miscela originale e in totale divenire. Step è un primo passo, una fondazione di un nuovo mostro sonoro che nasce non a caso in Sardinia, una terra molto fertile per l’underground di qualità.
Tracklist
1.Popular Express
2.Sharks and Dogs
3.Speechless
Un delicato e poetico affresco di prog cantautorale ed esoterico. Per palati fini.
Quando l’esoterismo si fa canzone. E voce. Immaginate una versione femminile di Greg Lake (King Crimson era), alle prese con un repertorio fortemente impregnato di (piuttosto che ispirato da) temi di carattere ermetico-esoterico.
Potrete così avere forse un’idea di questo bellissimo disco realizzato da Paola Tagliaferro, songwriter colta e raffinata, autrice di una proposta di cantautorato prog molto evocativo ed affascinante. Undici brani, una stupenda confezione a libro apribile, liriche suggestive, arrangiamenti sopraffini, ottimi musicisti coinvolti in questo progetto solista, suoni tersi. Fabulae è tutto questo: una superba messa in musica di tematiche che attingono al mito ed alla tradizione, alla alchimia ed al taoismo, al paganesimo e all’animismo rinascimentale, allo sciamanesimo ed alle più antiche leggende del folclore, non solo italico. Paola Tagliaferro è una poetessa del pentagramma e la sua un’opera di pregio. Forse non per tutti, ma – per lo meno in questi casi – proprio qui riposa un indubbio punto di forza (espressiva come poche volte davvero accade) di Fabulae. Bellissima poi la riproposizione di Moonchild, che Fripp, Sinfield, Mc Donald e Giles inserirono nello storico debut del Re Cremisi ispirandosi al romanzo omonimo di Aleister Crowley. Partecipa Bernardo Lanzetti e, in qualità di ingegnere del suono, Pier Gonella. Altre garanzie di assoluta qualità.
Tracklist
1 The Awakening of She-Wolf
2 The Bluebeard’s Room
3 White Goddess
4 Bird Maiden
5 The Swan Can’t Be a Duck
6 The Shaman’s Drum
7 The Soul’s Skin
8 The Day of the Moon
9 Algorithm
10 Mrs Yin and Mr Yang
11 The Alchemists
12 Moonchild
13 To Absent Friends
Line up
Paola Tagliaferro – Vocals
Pier Gonella – Guitars
Bernardo Lanzetti – Guest Male Vocals
Verrete catapultati nel suono degli anni sessanta e settanta, specialmente quello americano che fondeva la psichedelia con il rock duro e che ha dato vita a grandissimi gruppi come i Grand Funk Railroad, Hawkwind, e tanti altri.
Necessaria e doverosa ristampa da parte della Heavy Psych Sounds del debutto dei Dzjenghis Khan, uno dei gruppi di psichedelia pesante che hanno impressionato maggiormente negli ultimi anni.
Il trio da San Francisco uscì con questo debutto per l’olandese Motorwolf nel 2007, e riuscì subito a catturare l’attenzione di molti ascoltatori e della critica. Il perché lo scoprirete ascoltando questa ristampa, se già non li conoscete, e verrete catapultati nel suono degli anni sessanta e settanta, specialmente quello americano che fondeva la psichedelia con il rock duro, e che ha dato vita a grandissimi gruppi come i Grand Funk Railroad, Hawkwind, e tanti altri. Qui troverete quelle bellissime atmosfere cariche di tensione e di indolenza tipica dei giovani drogati che vagano in cerca di sangue ed emozioni a basso costo. Le dieci tracce sono tutte fantastiche, non esiste un momento di noia, anche gli assoli di chitarra danno gioia. I testi sono una delle cose migliori di questo gruppo, che gioca con intelligenza ed ironia con i vostri peni e con certi bicchieri di whiskey. Purtroppo non si sa molto di questo gruppo, ma solo che è nato nel 1977, e non ha pubblicato nulla fino al 2007, ma non c’è problema dato che i tre membri sono immortali. Inoltre da quando sono emigrati da San Francisco a Den Haag, ridente cittadina olandese sempre sul mare come Frisco, se ne sono perse le tracce. La musica invece rimane ed è bellissima, una commistione di acid, psych e fuzz, uno stoner a bassa frequenza che fa vibrare come qualcosa dei migliori Blue Cheer, anzi anche meglio. I pezzi sono tutti figli amatissimi di impetuose jam che in un’altra dimensione si sono intrecciate e stanno suonando tutte assieme. Il disco è bellissimo, e grazie a questa ristampa lo possiamo gustare di nuovo, anche se come tutte le cose belle ha il rovescio della medaglia : durante le registrazioni si sono perse le tracce del loro ingegnere del suono Hans Koolstra, che dopo aver mormorato qualcosa sui canali di uscita è scomparso.
Tracklist
1 Snake Bite
2 The Widow
3 No Time For Love
4 Avenue A
5 Against The Wall
6 Black Saint
7 End Of The Line
8 Rosie
9 Sister Dorien
Non sappiamo quale sia stata la molla che ha spinto Tom Palms a tornare sul mercato con questo leggendario monicker, resta il fatto che ascoltare musica di questo livello è sempre un piacere, quindi mai come in questo caso deve essere accolto un rientro sulla scena dopo oltre vent’anni come quello dei geniali Phlebotomized.
Nessuno avrebbe scommesso in un ritorno dei seminali Phlebotomized, band che dalla notevole scena olandese di primi anni novanta arrivò alle orecchie di chi allora, come oggi, non si accontentava dei soliti ascolti, ma si inoltrava in un underground metallico in grado anche in quegli anni di regalare gruppi e opere sopra la media.
I Phlebotomized, con il primo album intitolato Immense Intense Suspence, andarono oltre quello che si suonava allora con un sound geniale, di difficile catalogazione e sorprendentemente avanti rispetto a quello che si aveva modo di ascoltare nel metal estremo.
Doom, progressive, brutal, melodic, symphonic death: Immense Intense Suspence era tutto questo e anche di più, difficile da capire, ma tremendamente affascinante così come Skycontact, secondo ed ultimo lavoro targato 1997 che sterzava leggermente verso un’atmosfera psichedelica risultando comunque un’altra gemma musicale di valore inestimabile.
Il chitarrista Tom Palms, unico superstite della formazione originale, torna con altri musicisti a rinverdire i fasti di quei due storici album con Deformation Of Humanity, nuovo lavoro licenziato dalla Hammerheart Records che rompe un silenzio durato ben ventuno anni,.
Di musica sotto i ponti ne è passata tanta, il death metal progressivo non fa più notizia, così come le band che al metal estremo abbinano altri suoni e sfumature, ma la qualità di questo nuovo lavoro è talmente alta che cancella in un sol colpo non solo gli anni trascorsi ma un gran numero di colleghi dediti al genere, lontani dal geniale songwriting del nuovo Phlebotomized. Tra le splendide note di capolavori come Chambre Ardente, Descende To Deviance, Proclamation of a Terrified “Breed” e la title track si trovano in perfetto equilibrio tutti i generi estremi, dal più melodico, al più brutale, in perfetta armonia tra cambi repentini di sound ed atmosfere ancora oggi difficilmente eguagliabili.
Non sappiamo quale sia stata la molla che ha spinto Tom Palms a tornare sul mercato con questo leggendario monicker, resta il fatto che ascoltare musica di questo livello è sempre un piacere, quindi mai come in questo caso deve essere accolto un rientro sulla scena dopo oltre vent’anni come quello dei geniali Phlebotomized.
Tracklist
1. Premonition (Impending Doom)
2. Chambre Ardente
3. Descend To Deviance
4. Eyes On The Prize
5. Desideratum
6. My Dear …
7. Proclamation Of A Terrified “Breed”
8. Until The End
9. Deformation Of Humanity
10. Until The End Reprise
11. Ataraxia II
Line-up
Rob Op `t Veld – Synths
Dennis Bolderman – Guitar
Tom Palms – Lead Guitar
Ben de Graaff – Vocals
Alex Schollema – Drums
André de Heus – Bass guitar