Bushi – Bushi

Bushi è un disco originale e un tentativo di cambiare le coordinate della ricerca musicale in campo pesante, perché qui è usato ad esempio con molta intelligenza anche il pop.

Bushi è un nome nuovo nel panorama rumoristico italiano, ed è nato da un’idea di Alessandro Vagnon,i membro di Bologna Violenta, ex Dark Lunacy ed ex Infernal Poetry, che ha curato le musiche, i testi e e grafiche del disco.

Ad accompagnarlo in questa nuova avventura nei territori del sonicamente inesplorato sono Davide Scode, ex Kingfisher, e Matteo Sideri, militante nei Ronin, negli Above The Tree & E Side e Maria Antonietta. Il disco si ispira all’etica samurai, e soprattutto descrive la distanza tra essa e la nostra società attuale. Musicalmente l’orizzonte è vario e multiforme, e si rimane piacevolmente stupiti dalla costruzione musicale, dato che non troviamo molto di estremo, mentre invece c’è un grande ricerca di una struttura musicale magniloquente ed in grado di accompagnare l’ascoltatore. I testi sono haiku, un metro poetico giapponese che riesce a far convivere potenza immaginativa e brevità in maniera inconsueta per noi gaijin. Il disco è prog metal nella concezione che potrebbe avere un Les Claypool, perché c’è un gusto di prog molto diverso, come poteva essere almeno concettualmente quello dei Coheed And Cambria, nel senso di ricerca altra di un tecnicismo espressivo. Le canzoni sono corpose e hanno una struttura ben definita e nulla viene lasciato al caso, soprattutto per quanto riguarda la fusione della voce con la musica. Bushi è un disco originale e un tentativo di cambiare le coordinate della ricerca musicale in campo pesante, perché qui è usato ad esempio con molta intelligenza anche il pop. Bushi è una piacevole sorpresa, essendo un disco che può assumere forme diverse, e dal vivo sarà ancora un’altra cosa. Vagnoni ha confezionato davvero un qualcosa che durerà nel tempo e che sarà apprezzato da chi ama la musica pe(n)sante. Continua l’ottimo lavoro nel sottobosco della Dischi Bervisti, che per qualità e cura fa musica artigianato.

Tracklist
1.Rolling Heads
2.The Cherry Tree
3.A Well-Aimed Blow Of Naginata
4.Runaway Horses
5.The Book Of Five Rings
6.Typhoons
7.Hidden In Leaves
8.Death Poems

Line-up
Alessandro Vagnoni
Davide Scode
Matteo Sideri

BUSHI – Facebook

Paratra – Genesis

Genesis si rivela nel complesso un’opera intrigante, con alcuni brani killer (in versione elettronica) e un sound che dal vivo dovrebbe risultare ancor più trascinante.

Negli ultimi tempi dell’India abbiamo imparato a conoscere una scena metal molto viva, con una notevole propensione per i generi più estremi, nei quali si sono messe in luce numerose band di assoluto spessore.

Tra queste vanno annoverati sicuramente gli autori di un potente thrash/groove come i Systemhouse 33, il cui vocalist Samron Jude lo ritroviamo alle prese con questo particolare progetto denominato Paratra.
Imbracciata la chitarra e consorziatosi con il suonatore di sitar Akshat Deora, Jude ha realizzato all’inizio dell’anno questo doppio album che presenta i brani nella duplice versione elettronica e rock: il tutto è sicuramente intrigante e pare riscuotere un buon successo da quelle parti, anche in sede live, in virtù di un sound piuttosto trascinante e che appare efficace in entrambe le vesti offerte.
Detto ciò, personalmente prediligo il disco elettronico, perché l’incedere del sitar si lega maggiormente ai ritmi più incalzanti, mentre il suo inserimento appare a volte più forzato all’interno di brani connotati per lo più da una struttura alternative rock.
Oltre al gusto personale, si tratta anche di una maggiore peculiarità che spicca nel primo dei due casi: infatti, i brani elettronici mantengono ugualmente la loro connotazione rock, andando a creare così un ibrido nel quale il suono del sitar fa davvero la differenza, cosa che non avviene nel secondo disco che appare, sostanzialmente, il lavoro di una rock band con un ospite dedito a quello strumento.
Infine, proprio per la natura delle sonorità elettroniche, si rivelano sostanzialmente più efficaci i brani strumentali, questo benché Siddharth Basrur sia decisamente un buon vocalist; comunque sia, Genesis si rivela nel complesso un’opera intrigante, con alcuni brani killer (in versione elettronica) come Leap, Duality e Now Or Never e un sound che dal vivo dovrebbe risultare ancor più trascinante.
In sintesi, Genesis mostra più di un motivo di interesse anche se, chiuso questo primo esperimento, forse per i Paratra sarebbe più opportuno optare per l’una o l’altra opzione, e su quale sia la più opportuna tra le due mi sono già ampiamente espresso.

Tracklist:
1. Leap (Electronic)
2. Inferno (Electronic)
3. Waves of Time (Electronic)
4. Will Power (Electronic)
5. Duality (Electronic)
6. Now or Never (Electronic)
7. Home (Electronic)
8. Other Side (Electronic)
9. Leap (Rock)
10. Inferno (Rock)
11. Waves of Time (Rock)
12. Will Power (Rock)
13. Duality (Rock)
14. Introspection (Rock)
15. Now or Never (Rock)
16. Home (Rock)
17. Other side (Rock)

Line-up:
Samron Jude – Guitar
Akshat Deora – Sitar
Siddharth Basrur – Vocals

PARATRA – Facebook

Paradise Lost – Medusa

I Paradise Lost c’erano all’inizio degli anni ‘90 e ci sono ancora oggi, sicuramente invecchiati e forse un po’ appesantiti, ma sempre capaci di dire la loro senza apparire né obsoleti né ripetitivi.

Passano gli anni, cambiano le stagioni ed il clima della terra, mentre la persona che si riflette nello specchio non è più un giovane irrequieto ma un uomo che un tempo sarebbe stato definito di mezz’età.

I Paradise Lost però restano: c’erano all’inizio degli anni ‘90 e ci sono ancora oggi, anch’essi invecchiati e un po’ appesantiti, ma sempre capaci di dire la loro senza apparire né obsoleti né ripetitivi.
Certo. anche loro hanno dovuto superare lunghi momenti di appannamento, il primo subito dopo la svolta di One Second, subendo la fascinazione “depechemodiana” fin quasi a snaturarsi del tutto, e poi quando, resisi conto di non potersi spingere oltre in quella direzione, hanno fatto marcia indietro pubblicando una manciata di album non brutti ma nemmeno indimenticabili.
Per fortuna, dopo le avvisaglie costituite dai discreti In Requiem e Faith Divides Us – Death Unites Us, nel corrente decennio i maestri di Halifax hanno riportato la barra del timone sulla giusta rotta, e a questo non è stato del tutto estraneo l’impegno di Gregor Mackintosh con i suoi Vallenfyre che, facendogli esplorare nuovamente il lato più estremo del death/doom, ha inevitabilmente riversato parte di questo rinnovato spirito nelle nuove uscite dei Paradise Lost, confluito in altre due buoni dischi come Tragic Idol e The Plague Within.
Medusa (quindicesimo full length della band) spinge ulteriormente verso un sound più indurito ed incupito, con il doom che si riappropria della sua importanza nell’economia del songwrtiting, e a tale proposito l’iniziale Fearless Sky dimostra tale tendenza in maniera manifesta spazzando via ogni ammiccamento gothic rock che, del resto, ritroveremo nel corso dell’album nella sola Blood And Chaos, orecchiabile quanto si vuole anche nella sua veste di singolo, ma lontanissima per grinta e pesantezza dai brani più carezzevoli ed inoffensivi epoca Host/Believe In Nothing.
Si sussegue così una serie di tracce rocciose, plumbee ma sempre caratterizzate dal tocco chitarristico di Mackintosh, spingendoci ad affermare che, fino alla title track, l’album è uno dei maggiormente ispirati tra quelli usciti nel nuovo millennio: Gods Of Ancient, con i suoi rallentamenti soffocanti, è il degno seguito di Fearless Sky, mentre From The Gallows è una cavalcata che riporta stilisticamente ai fasti di Icon.
The Longest Winter è il primo dei due singoli usciti e, non a caso, Nick Holmes utilizza per la prima volta la voce pulita nel corso dell’album, ma ciò non rende meno efficace un brano che si dimostra l’ideale trait d’union tra gli estremi stilistici della produzione targata Paradise Lost, mentre in Medusa riprendono a prevalere ritmiche dolenti, con il cantante ad alternare le due gamme vocali e Mackintosh che continua a dominare la scena con il suo innato gusto melodico.
Si era detto che quest’ultimo brano segnava una sorta di spartiacque qualitativo del lavoro e, in effetti, la virulenta No Passage For The Dead, la gradevole Blood And Chaos e la robusta Until The Grave, per quanto valide, si rivelano meno brillanti rispetto al resto della tracklist.
Come tutti i nuovi lavori editi dalle band storiche, l’album ha già ampiamente diviso sia i fans che gli addetti ai lavori: dal mio punto di vista è vero che Medusa non riporta i Paradise Lost ai fasti del passato e non è escluso che i primi due brani possano risultare persino ostici per chi si era abituato negli anni all’ascolto di un sound più edulcorato, ma il fatto stesso che un gruppo così “pesante” ed influente sia ancora in grado di regalare buona musica è segno tangibile di un’ispirazione ancora non del tutto evaporata, al contrario di quanto accade a gran parte delle band aventi lo stesso stato di servizio.

Tracklist:
1. Fearless Sky
2. Gods Of Ancient
3. From The Gallows
4. The Longest Winter
5. Medusa
6. No Passage For The Dead
7. Blood and Chaos
8. Until The Grave

Line-up:
Nick Holmes – Vocals
Greg Mackintosh – Lead guitar
Aaron Aedy – Rhythm guitar
Steve Edmondson – Bass guitar
Waltteri Väyrynen – Drums

PARADISE LOST – Facebook

DIE APOKALYPTISCHEN REITER

Il video di ‘Auf Und Nieder’, dall’album ‘Der Rote Reiter’ (Nuclear Blast).

I DIE APOKALYPTISCHEN REITER pubblicano oggi una nuova canzone tratta dal nuovo album “Der Rote Reiter” (in uscita il 25 Agosto 2017)! Per la tutela dei minori, il provocatorio e piccante video di ‘Auf Und Nieder’ può essere visto solo in versione censurata sulle piattaforme video.

La band commenta: “Data la tanta violenza presente sui social media non capiamo esattamente il motivo per cui una donna nuda in un videoclip possa causare tanta isteria! Come vedrete ci siamo divertiti molto a girare il video e speriamo che l’attitudine positiva della canzone possa contagiare anche i nostri fan. C’è un motivo per cui il testo della canzone significa qualcosa come: “su e giù, ancora e ancora, la vita è musica e necessita di sempre più canzoni” (tradotto dal tedesco all’italiano). Speriamo i vostri occhi e le vostre orecchie possano trarre piacere da questo pezzo!”

Qui puoi vedere la versione integrale: https://vimeo.com/229681881/39050a2d7b

Guarda anche il video clip della title track e secondo singolo digitale ‘Der Rote Reiter’:
https://www.youtube.com/watch?v=iFOasbJm9mw

Il video è stato prodotto dalla famosa crew Grupa13 sotto la regia di Darek Szermanowicz (Behemoth, Kreator). Il video è stato girato a Breslau e Stettin (Polonia) nel Giugno del 2017.

La band afferma:
“Il cavaliere rosso spinge tutti gli uomini in mare. E’ dove la morte li attende, non c’è ritorno. Separa la carne dalle ossa e ricopre il mondo di sangue.”

Acquista l’album in formato fisico: http://nblast.de/DARDerRoteReiterNB

Pre-ordina la versione digitale qui: http://nblast.de/DARDigital

Guarda anche il lyric video ufficiale di “Wir Sind Zurück”: https://youtu.be/HEGfWqxT8iY
Il trailer dell’album può essere visto qui: https://www.youtube.com/watch?v=VPVvUA6DIus

Il cantante Fuchs, che aveva già disegnato il magnifico artwork dell’ultimo disco, ha creato la copertina del nuovo usando un bassorilievo in legno che lui stesso ha inciso. Puoi trovare il bassorilievo sul sito di Fuchs: http://www.fuchsstellung.de/

Qui di seguito la tracklist:

CD

1. Wir Sind Zurück
2. Der Rote Reiter
3. Auf Und Nieder
4. Folgt Uns
5. Hört Mich An
6. The Great Experience Of Ectasy
7. Franz Weiss
8. Die Freiheit Ist Eine Pflicht
9. Herz In Flammen
10. Brüder Auf Leben Und Tod
11. Ich Bin Weg
12. Ich Nehm Dir Deine Welt
13. Ich Werd Bleiben

“Der Rote Reiter” è stato prodotto dalla band e da Alexander Dietz (HEAVEN SHALL BURN) e Eike Freese (DEEP PURPLE, KAI HANSEN) ai Chameleon Recording (Chemical Burn Studios).

Maggiori info:
www.reitermania.de
www.facebook.com/reitermania
www.twitter.com/reitermania
www.instagram.com/reitermania
www.youtube.com/reitermania
www.nuclearblast.de/dieapokalyptischenreiter

Lonely Robot – The Big Dream

The Big Dream è un album che, pur non posizionandosi tra i migliori lavori di Mitchell, è sicuramente un buon ascolto per chi ama il rock elegante e progressivo della scena britannica.

MetalEyes IYE vi porta a viaggiare su strade progressive con il secondo lavoro dei Lonely Robot, ennesimo progetto di John Mitchell, un’icona del prog inglese, polistrumentista, cantante e produttore al servizio di Arena e Frost*, tra gli altri.

Seguendo concettualmente il primo album (Please Come Home) Mitchell licenzia The Big Dream, opera ispirata dal Sogno di una Notte di Mezza Estate di Shakespeare, con un astronauta che si sveglia da un sogno criogenico e si ritrova al cospetto di persone con teste di animali in un mondo surreale.
Accompagnato da Craig Blundell, con lui nei Frost*, Steve Vantsis al basso (Fish) e Lisa Holmes alle tastiere, Mitchell dona agli appassionati un’altra ora abbondante tra le note progressive del rock britannico, a tratti sognante ed elegante, in altre più deciso, ma senza mai uscire dai sicuri binari di una formula collaudata, perfetta per accontentare i propri fans che troveranno nell’album tutte le caratteristiche attese.
Si potrebbe tranquillamente passare oltre, visto che gli amanti dei suoni progressivi avranno già inquadrato cosa aspettarsi da un album come The Big Dream: songwriting di indubbio valore, straordinarie e limpide melodie che si sovrappongono, fughe sui tasti d’avorio e chorus di scuola Arena, il tutto su un tappeto progressivo che continua imperterrito la tradizione del genere.
Quando il sound si lascia trasportare da un’elettricità più marcata escono le cose migliori, come nel super singolo Sigma, nella splendida Everglow e nella title track dai tratti settantiani e lievemente psichedelici.
Rimane da notare come il mastermind inglese confermi la sua indiscutibile maestria nel saper comporre brani dalla spiccata vena melodica e (non così facile nel genere) un’ottima predisposizione a regalare opere di facile ascolto, anche per chi non ha troppa confidenza con il rock di estrazione progressiva.
In conclusione The Big Dream èun album che, pur non posizionandosi tra i migliori lavori di Mitchell, è sicuramente un buon ascolto per chi ama il rock elegante e progressivo della scena britannica.

Tracklist
01. Prologue (Deep Sleep)
02. Awakenings
03. Sigma
04. In Floral Green
05. Everglow
06. False Lights
07. Symbolic
08. The Divine Art Of Being
09. The Big Dream
10. Hello World Goodbye
11. Epilogue (Sea Beams)

Line-up
Joni Mitchell – Guitars, vocals
Craig Blundell – Drums
Steve Vantsis – Bass
Liam Holmes – Keyboards

LONELY ROBOT – Facebook

Dead Register – Fiber

Un album originale e difficile, un’opera oscura e affascinante che porta i Dead Register sulla soglia del regno ove dimorano le cult band, ma al prossimo giro potrebbero entrare dalla porta principale.

Piccola perla gotica ed atmosfericamente dark: è questo il primo lavoro sulla lunga distanza dei Dead Register, trio statunitense composto da M. Chvasta, Avril Che e Chad Williams.

Il trio proviene da Atlanta ed il suo approccio al dark rock risulta un insieme di generi presi dal mondo della musica dark e melanconica e fatti convivere in un sound che potrebbe essere descritto come post rock, ma vi assicuro che non è così facile visto l’uso vario delle atmosfere che non si smuovono dai colori più scuri, ora tenui ora profondamente neri.
Post dark, new wave, addirittura accenni al doom, gothic e post rock diventano protagonisti di questa raccolta di brani, assolutamente maturi, fuori da ogni tentazione commerciale, ma profondi nel loro svolgimento.
Un album alternativo nel vero senso della parola, dove il rock saturo di elettricità è la benzina che alimenta il fuoco prima che il tempo faccia spegnere ogni ardire, un’attitudine distruttiva e pregna di rabbia malinconica si fa largo tra i solchi di brani splendidamente tragici come Alone, Drawing Down o Entwined, mentre i Joy Division si accompagnano ai Cure e l’ alternative rock si apparta con il dark rock di matrice ottantiana , in un urgenza sessuale appagante ma tragica.
Un album originale e difficile, un’opera oscura e affascinante che porta i Dead Register sulla soglia del regno ove dimorano le cult band, ma al prossimo giro potrebbero entrare dalla porta principale.

Tracklist:
1.Alone
2.Fiber
3.Drawing Down
4.Grave
5.Entwined
6.Incendiary

Line-up:
M. Chvasta: Vocals, Bass VI, Bass, Effects
Avril Che: Bass Synth, Keys, Textures, Vocals, Live Visuals
Chad Williams: Drums

DEAD REGISTER – Facebook