Teodasia – Reloaded

La musica dei Teodasia prende davvero il volo, lasciando sentieri già tracciati da una miriade di gruppi e cercando una propria strada fatta di rock/prog/metal sinfonico e squisitamente raffinato.

I Teodasia sono una band veneta in attività da una decina d’anni, con un full length (Upwards del 2012) ed un paio di ep alle spalle, ed il loro symphonic metal dai rimandi gotici vedeva nella singer Priscilla Fiazza uno dei suoi punti di forza.

Ora cambia tutto e dietro al microfono troviamo una dei talenti vocali dello stivale, Giacomo Voli, singer di cui Iyezine vi ha parlato in occasione del suo disco solista uscito lo scorso anno, ed un nuovo chitarrista nella persona di Al Melinato che rimpiazza il pur bravo Fabio Compagno.
Rivoluzione o ricambio naturale che sia, fatto sta che il gruppo, ora un quartetto completato dai superstiti Nicola Falsone al basso e Francesco Gozzo alle pelli, presenta i nuovi arrivati con questo nuovo lavoro, una raccolta di brani già editi e rifatti per l’occasione, più tre canzoni nuove di zecca.
Inutile raccontarvi della bravura del nuovo singer, un altro enorme talento nato nelle nostre bistrattate terre quando si parla di musica metal, specialmente dai fans sempre pronti a rincorrere le band straniere perdendosi gioiellini come questo Reloaded.
La musica del gruppo perde completamente la componente gotica per acquistare molta più energia hard & heavy, i vecchi brani, già belli nella stesura originale, ma rifatti su misura per il nuovo singer, si vestono di metal sontuoso, melodico, a tratti epico, elegante ed estremamente coinvolgente.
Voli regala emozioni a profusione, teatrale quando il sound lo richiede (spettacolare su Lost Words of Forgiveness), inarivabile quando la sua ugola spazia sulle scale sinfoniche prodotte dai suoi compari che non mancano di impreziosire la propria musica di tagli progressivi di altissima qualità.
La musica dei Teodasia prende davvero il volo, lasciando sentieri già tracciati da una miriade di gruppi e cercando una propria strada fatta di rock/prog/metal sinfonico e squisitamente raffinato.
Questo lavoro funge da anticipazione per il nuovo Metamorphosis, in uscita in autunno, drizzate le orecchie perché qualcosa mi dice che saranno meraviglie sonore.

TRACKLIST
1. Broken
2. Rise
3. Temptress
4. Hollow Earth
5. Revelations
6. Lost Words of Forgiveness
7. Ghosts
8. Land of Memories, pt. 1
9. Land of Memories, pt. 2
10. Reloaded

LINE-UP
Francesco Gozzo – Drums
Nicola Falsone – Bass
Alberto Melinato – Guitars
Giacomo Voli – Vocals

TEODASIA – Facebook

Mausoleum Gate – Metal And The Might / Demon Soul

Vocals che riconducono agli ormai storici anni ottanta, tasti d’avorio purpleiani e cavalcate chitarristiche di scuola britannica (NWOBHM) fanno parte del background del gruppo finlandese, una cult band per alcuni, davvero troppo datata per altri.

Heavy metal old school, un sound che racchiude la filosofia metallica di stampo classico in tutte le sue componenti e un’attitudine che rispecchia in toto la tradizione, queste sono le caratteristiche dei Mausoleum Gate, band finlandese attiva dal 2009, presentataci dalla Cruz De Sur Music con questo singolo di due brani.

Metal And The Might, song che da il titolo all’opera, più i sei minuti della vintage Demon Soul compongono questo singolo che va a rimpolpare una discografia che vede il quintetto di Kuopio alle prese con una manciata di lavori minori ed un unico full length omonimo uscito un paio di anni fa.
A prescindere dall’operazione criticabile nel genere proposto, questo singolo presenta quanto meno il gruppo a chi,dei suoni nostalgici dalle sfumature 70’/80, fa il suo credo, devoto ai suoni tradizionali in toto, compresa una produzione deficitaria e che non rende giustizia al songwriting dei Mausoleum Gate.
Vocals che riconducono agli ormai storici anni ottanta, tasti d’avorio purpleiani e cavalcate chitarristiche di scuola britannica (NWOBHM) fanno parte del background del gruppo finlandese, una cult band per alcuni, davvero troppo datata per altri.
La verità come sempre sta nel mezzo, ed i Mausoleum Gate risulterebbero un ottimo gruppo se non fosse per le scelte in fase di produzione che, purtroppo in questi anni, trovano terreno fertile solo nei fans del rock, affondato nelle sabbie mobili di un passato che molti gruppi glorificano con album che amalgamano tradizione e modernità, ma che risulta obsoleto quando, per scelta o per difetto, i mezzi usati risultano deficitari.
Immaginatevi la vergine di ferro sprofondata in un profondo porpora ed ammaliata da un sabba nero ed avrete un’idea della proposta del gruppo finlandese, peccato solo che il tutto non venga valorizzato al meglio; speriamo che ciò accada alla prossima occasione.

TRACKLIST
Side A – Metal and the Might
Side B- Demon Soul

LINE-UP
V-P. Varpula – Vocals
Count L.F. – Electric and Acoustic Guitars
Nino Karjalainen – bass
Kasperi Puranen – Electric Guitars
Wicked Ischianus – Hammond C3 Organ, Mellotron M400 and MiniMoog
Oscar Razanez – Drums, Percussions and Gongs

MAUSOLEUM GATE – Facebook

Axel Rudi Pell – Game Of Sins

Axel Rudi Pell è un punto fermo della nostra musica preferita e Game Of Sins l’ultimo regalo a chi, imperterrito, lo segue dal lontano 1989

Cosa scrivere di un album targato Axel Rudi Pell che non sia già stato detto in occasione dell’uscita dei suoi ben sedici album, in ventisette anni di onorata carriera nel mondo dell’hard & heavy?

Niente di più di quello che poi ne è il reale valore, al netto delle critiche che si possono fare all’axeman tedesco, cioè di ripetere la stessa formula album dopo album, ma d’altronde cosa si può volere di più dal buon Pell se non un altro ennesimo tuffo nelle atmosfere classiche di reminiscenze Rainbow?
Il vero erede di Ritchie Blackmore torna in compagnia del sommo Johnny Gioeli, uno dei singer più sottovalutati dell’intera scena hard rock, ma straordinario interprete del sound epico e nobile del gruppo con il diciassettesimo lavoro, questo epico Game Of Sins.
Contornato da una formazione di super professionisti delle note metalliche come il mastino Bobby Rondinelli alle pelli, l’ex Rough Silk Ferdy Doernberg ai tasti d’avorio e Volker Krawczak al basso, il duo tedesco/statunitense fa spallucce ai detrattori e rifila una serie di brani che ancora una volta risultano un’apoteosi di suoni hard & heavy, ispirati all’arcobaleno più famoso della storia del rock e alla scena ottantiana, una goduria di atmosfere epiche che faranno la gioia dei rockers d’annata.
La sei corde di Pell ovviamente è la protagonista assoluta con riff rocciosi, solos iper melodici e quel taglio blackmoriano che, come detto ha fatto del chitarrista di Bochum il suo più illustre erede, fuori dal neoclassicismo debordante e molto spesso noioso di Malmsteen e funzionale al songwriting dei vari album che, con poche negative eccezioni, hanno contribuito alla storia del genere.
Non si può fare a meno di notare l’ottima prova di un Gioeli sempre più coinvolto nella musica del gruppo, interpretativo, melodico e sempre più a suo agio nel rinverdire i fasti di Ronnie James Dio, mentre la raccolta di brani che formano la track list di Games Of Sins non hanno cedimenti, almeno fino alla conclusiva cover di All Along The Watchtower, brano famoso dalle versioni di Hendrix, Bob Dylan ed U2, ma troppo lontano dalle corde della band tedesca.
Niente di male: l’epica title track, la metallica e debordante Fire, la ruvida Sons Of The Night e la stupenda The King Of Fools impreziosiscono questo ottimo lavoro, l’ennesima prova sopra le righe di un musicista che, se per molti pecca di originalità, lascia sul campo i cadaveri di molti giovani gruppi dediti all’hard & heavy vecchia scuola.
Axel Rudi Pell è un punto fermo della nostra musica preferita e Game Of Sins l’ultimo regalo a chi, imperterrito, lo segue dal lontano 1989; per i vecchi fans un lavoro imperdibile, anche se lo consiglio pure ai giovani metallari dai gusti classici, magari accompagnandolo all’ascolto dei lavori precedenti.

TRACKLIST
01. Lenta Fortuna (Intro)
02. Fire
03. Sons In The Night
04. Game Of Sins
05. Falling Star
06. Lost In Love
07. The King Of Fools
08. Till The World Says Goodbye
09. Breaking The Rules
10. Forever Free
11. All Along The Watchtower (Bonus Track)*

LINE-UP
Axel Rudi Pell – Guitar
Johnny Gioeli – Vocals
Ferdy Doernberg – Keyboards
Volker Krawczak – Bass
Bobby Rondinelli – Drums

AXEL RUDI PELL – Facebook

Almanac – Tsar

Un album imperdibile per gli amanti dei suoni power orchestrali e di chi ha amato i Rage in questa nobile versione con la Lingua Mortis Orchestra

Che Victor Smolski abbia lasciato i Rage è cosa risaputa ed il musicista bielorusso non ha perso tempo, rimboccandosi le maniche e chiamando a se un manipolo di musicisti della scena fondando gli Almanac, band figlia degli ultimi Rage, quelli più orchestrali.

Tsar è il primo album di questa nuova creatura che vede Smolski in compagnia di Enric Garcia alle tastiere, la sezione ritmica composta da Michael Kolar alle pelli e Armin Alic al basso, più tre eccezzionali vocalist: Andy B. Franck (Brainstorm, Ivanhoe e Symphorce), David Readman (Voodoo Circle, Pink Cream 69) e Jannette Marchewka.
Unite le forze con la prestigiosa Orchestra Filarmonica di Barcellona, il gruppo ha dato vita ad un esordio spumeggiante che, pur prendendo spunto dal passato del chitarrista ( i Rage con la Lingua Mortis Orchestra), trova subito la propria strada, fatta di un power orchestrale, dal mood cinematografico e da molte sfumature classic metal.
L’uso dei tre cantanti fa la differenza, così come il flavour epicissimo che il concept su cui si sviluppa l’opera è costruito, valorizzato dalle fughe chitarristiche di un Smolski che si dimostra come uno degli axeman migliori degli ultimi anni, almeno in campo power metal.
La storia è di quelle impegnative, le gesta e le vicende di Ivan IV di Russia, conosciuto come Ivan il Terrribile, sovrano crudele vissuto nel sedicesimo secolo di cui Tsar racconta la vita, iniziando con la splendida title track proprio dalla sua infanzia.
Da Self-Blinded Eyes in poi Tsar è un susseguirsi di power metal dalle ritmiche serrate, epico e magniloquente, orchestrato perfettamente dalla famosa filarmonica ed irrobustito da fiero metallo, dove la chitarra dell’axeman bielorusso si incendia e dona regale musica heavy.
Grande prova dei tre vocalist coinvolti, degli assi nel genere e si sente con prove a tratti sontuose, mentre la storia coinvolge sempre più, permettendo a Tsar di risultare un lavoro affascinate, perfettamente bilanciato tra la raffinatezza e la magniloquenza della parte orchestrale e la carica travolgente del power metal.
Per chi si approccia all’opera è un attimo arrivare alla fine con la voglia di rituffarsi tra le note di Children Of The Future, dell’intensa No More Shadows, nell’oscuro doom epico di Reign Of Madness e della straordinariamente potente Flames Of Hate.
In conclusione Tsar risulta un album imperdibile per gli amanti dei suoni power orchestrali e di chi ha amato i Rage in questa nobile versione con la Lingua Mortis Orchestra; la speranza è che questa nuova avventura del chitarrista bielorusso non rimanga confinata a questo lavoro, sarebbe un vero peccato.

TRACKLIST
1. Tsar
2. Self-Blinded Eyes
3. Darkness
4. Hands Are Tied
5. Children Of The Future
6. No More Shadows
7. Nevermore
8. Reign Of Madness
9. Flames Of Hate

LINE-UP
Andy B. Franck: Vocals
David Readman: Vocals
Jeannette Marchewka: Vocals
Victor Smolski: Guitars
Enric Garcia: keyboards
Michael Kolar: Drums
Armin Alic: Bass

ALMANAC – Facebook

Cardinal’s Folly – Holocaust of Ecstasy And Freedom

Uno dei migliori album di doom classico dell’anno, confermando la netta supremazia finlandese nel campo.

Doom, classico senza fronzoli e da ascoltare a volumi criminali. Riffoni che colano dal grasso di un caprone mentre brucia, teste slogate dall’oscillare, tenebre e vizio, ecco ciò che offrono i Cardinal’s Folly nella loro terza uscita.

Questo è doom metal fatto bene e con tutti i crismi dell’ortodossia, ed in più c’è una classe abbastanza enorme. In tempi nei quali è sempre più difficile trovare un buon album doom classico, ecco arrivare questo Holocaust Of Ecstasy & Freedom, lento freddo eppure eccezionalmente caldo. Ci sono anche forti echi settantiani e un tocco di metallo tipicamente inglese che fa molto NWOBH. Insomma un’ottima opera, con un giusto bilanciamento fra accelerazioni, lentezza e pesantezza.
Uno dei migliori album di doom classico dell’anno, confermando la netta supremazia finlandese nel campo.

TRACKLIST
1.The Poison Test
2.Goats on the Left
3.Her Twins of Evil
4.Nocturnal Zeal (Winter Orgy)
5.Holocaust of Ecstasy & Freedom
6.Psychomania
7.La Papesse

LINE-UP
Mikko Kääriäinen – Bass, Vocals
Juho Kilpelä – Guitar
Joni Takkunen – Drums

CARDINAL’S FOLLY – Facebook

Bastian – Rock Of Daedalus

Un album compatto, valorizzato dalla prova di un Vescera sontuoso, di un Macaluso che sfodera tutta la sua esperienza alle pelli, ben sostenuto dal basso di Giardina, e dalla sei corde dell’axeman nostrano, un chitarrista sanguigno che lascia ad altri virtuosismi fini a se stessi e mette il suo talento a disposizione dei brani

Quello che poteva sembrare un progetto estemporaneo, ha trovato la sua definitiva consacrazione con l’uscita di questo secondo album e i Bastian di Sebastiano Conti possono essere considerati una band a tutti gli effetti.

Due anni fa il chitarrista siciliano aveva stupito tutti con Among My Giants, un bellissimo album di hard’n’heavy che vedeva il buon Conti circondato da un nugolo di musicisti storici della scena come Vinnie Appice, Mark Boals, Michael Vescera e John Macaluso.
Lo scorso anno Among My Giants tornava a far parlare di sé con la riedizione curata dall’Underground Symphony, label per cui esce questo nuovo Rock Of Daedalus con il gruppo ridotto a quattro elementi : Sebastiano Conti alla sei corde, Michael Vescera al microfono, John Macaluso alle pelli e Corrado Giardina al basso.
Rock Of Daedalus non sposta di una virgola il concept musicale su cui si destreggia il chitarrista siciliano: il sound influenzato dalla scena ottantiana e dai mostri sacri del genere, perfettamente bilanciato tra hard rock ed heavy metal, continua a mietere vittime con questi dieci brani ruvidi e diretti, aggressivi e potenti ma tremendamente efficaci.
Una album compatto, valorizzato dalla prova di un Vescera sontuoso, di un Macaluso che sfodera tutta la sua esperienza alle pelli, ben sostenuto dal basso di Giardina, e dalla sei corde dell’axeman nostrano, un chitarrista sanguigno che lascia ad altri virtuosismi fini a se stessi e mette il suo talento a disposizione dei brani, così che possano esplodere in tutta la loro carica hard rock.
Massiccio è forse il termine più adatto per descrivere il sound di questo lavoro, e la band, fin dall’opener Strange Toughts, sfodera ritmiche dal groove viscerale, molto più zeppeliniane rispetto al suo predecessore.
Il mid tempo roccioso di The Pide Piper torna ad esplorare il sound dei Black Sabbath era Tony Martin, mentre Vlad e Terminators confermano la voglia di far male di questa multinazionale dell’hard & heavy, supportata da un Vescera in stato di grazia, epico ed emozionale.
Conti ricama di solos sanguigni e riff tutta grinta e potenza le varie songs, e siamo già alla metallica Steel Heart, apice di questo bellissimo lavoro, un brano heavy metal disegnato coi colori dell’arcobaleno più famoso della nostra musica preferita.
Smokin’ Joe e la ballad Wind Song, chiudono questo ritorno sopra le righe dei Bastian, confermando quello di Sebastiano Conti un gruppo che non può mancare tra gli ascolti degli amanti dell’hard’n’heavy di estrazione classica.

TRACKLIST
1.Strange Thoughts
2.The Pide Piper
3.Vlad
4.Terminators
5.Man Of Light
6.Man In Black
7.18 In Woodstock
8.Steel Heart
9.Smokin’ Joe
10.Wind Song

LINE-UP
Sebastiano Conti- Guitars
Michael Vescera- Vocals
John Macaluso- Drums
Corrado Giardina- Bass

BASTIAN – Facebook

Nasty Ratz – First Bite

I Nasty Ratz trasformano le strade dell’austera capitale della Repubblica Ceca nel Sunset Boulevard della città degli angeli.

Dalla Los Angeles degli anni ottanta alla Praga del 2015 il passo sembra più lungo di quanto si possa credere.
D’altronde perché non trasformare le strade dell’austera capitale della Repubblica Ceca nel Sunset Boulevard della città degli angeli?

Ci riescono alla grande i Nasty Ratz, giovane gruppo ceco, con questo buon lavoro, che dello street, hard rock, glam ne ha fatto la sua missione, quella di riportare gli sgargianti colori del metal americano dei splendidi anni ottanta non solo nel nuovo millennio, ma nell’Europa dell’est.
Con alle spalle un ep e tanti concerti in giro per il vecchio continente, in compagnia, tra gli altri, di Adam Bomb e Crazy Lizz, la band debutta sulla lunga distanza con First Bite, classico esempio di cosa si suonava negli anni in cui pantaloni di pelle, bandane, mascara e belle figliole erano il pane dei rockers di mezzo mondo che, come mecca, guardavano agli eccessi della Los Angeles delle promesse, molte volte disilluse di fama e successo.
Rock’n’roll travestito da metalliche iniezioni di street e hard rock, attitudine glam e tanta voglia di divertirsi e abbordare, erano la ricetta per l’ottimo pranzo dei gruppi storici, di cui i Nasty Ratz se ne fanno una scorpacciata, tra brani grintosi e super ballatone strappa lacrimuccia, suonate più per far colpo sulla biondona prosperosa che vero momento di nostalgico malessere esistenziale o amoroso.
Il gruppo è formato dall’ottimo singer Jake Widow, anche chitarra ritmica, mentre la solista, tutta fuoco e fiamme, è di Stevie Gunn con la sezione ritmica composta da Tommy Christen al basso e Rikki Wild alle pelli.
Non troppo lungo ma assolutamente compatto e divertente, First Bite, nel genere, è un buon esordio: certo siamo perfettamente in linea con le produzioni dei vari monumenti al rock stradiolo come Motley Crue, Poison, Ratt e compagnia di delinquenti dagli occhi truccati e la rissa facile, ma se siete ancora in botta per le reunion dei Crue o aspettate come il messia quella dei Gunners, brani che schiumano rock’n’roll come Love At First Fight, Made Of Steel e Snort Me vi faranno tornare sulla via losangelina e chiudendo gli occhi vi ritroverete in fila davanti al Whisky A Go Go, ad aspettare il vostro turno, sperando che questa volta sia quella buona per entrare.
Nostalgico? No, solo molto divertente e suonato sufficientemente bene per risultare un buon ascolto. Stay rock!

TRACKLIST
1. Love At First Fight
2. Made Of Steel
3. I Don’t Wanna Care
4. Morning Dreams Come True
5. Snort Me
6. Angel In Me
7. N.A.S.T.Y.
8. I’ll Cut You Off
9. Sharize
10. If You Really Love Me

LINE-UP
Jake Widow – rhytm guitar, vocals
Stevie Gunn – lead guitar, vocals
Tommy Christen – Bass guitar, vocals
Rikki Wild – drums, vocals

NASTY RATZ – Facebook

Black Inside – A Possession Story

Passato, presente e futuro dell’heavy metal passano da album come questo bellissimo “A Possession Story” dei nostrani Black Inside.

Questo bellissimo album mi da lo spunto per fare una considerazione sull’attuale stato di salute dell’heavy metal nel nostro paese: chiaro che, se prendiamo come punto di riferimento e paragone gli anni d’oro (decennio ottantiano), a livello di popolarità non c’è confronto, quelli erano tempi in cui il metal era normalmente in classifica e le band storiche, aiutate da ogni tipo di media, potevano contare addirittura su articoli apparsi su quotidiani e settimanali non proprio di settore (qualcuno si ricorda i Maiden su Sorrisi e Canzoni TV … ?).

I tempi sono cambiati, le tv sono sempre meno libere e chi avrebbe la possibilità di dare una mano al metal, continua a far girare un certo tipo di rock più impegnato politicamente, lasciando al genere, a mio parere il più anarchico di tutti, le briciole.
Peccato, anche perché mai come in questo periodo il metal gode di ottima salute, rigenerato da etichette che non mollano, alla faccia della crisi, ed immettono sul mercato gioielli di musica dura che, aldilà delle influenze più o meno riscontrabili, riescono nella non facile impresa di piacere, travolgere, emozionare.
A distanza di pochissimo tempo dal bellissimo album dei Negacy, ecco che un’altra band mi conquista con un lavoro che poggia le sue fondamenta sul metal classico ma che, invece di risultare il classico lavoro old school, si rivela vario, fresco e moderno pur richiamando il sound dei nostri eroi.
Questa volta si scende al sud, nella bellissima Napoli per incontrare i Black Inside e parlarvi del loro ultimo lavoro dal titolo A Possession Story.
Il gruppo campano nasce nel 2009 e nel 2011 esordisce con l’ep “Servants of the Servants”, seguito dal primo full length “The Weigher of Souls” del 2013, che li ha portati a dividere il palco con Blaze (“che ci faccio io nei Maiden”) Bailey e i Phantom X.
Due anni sono passati, (un lasso di tempo che sta diventando una costante per la band) ed eccoli tornare alla grande con questo bellissimo lavoro di metallo classico, per inciso hard & heavy incendiario, dal songwriting clamoroso ma soprattutto, come detto prima, vario.
Infatti A Possession Story è un susseguirsi di bellissime canzoni, tra l’heavy metal epico e progressivo di certi capolavori della vergine di ferro (The Siege OF Jerusalem), richiami al metal statunitense dei grandiosi Iced Earth (Man Is A Wolf to Men), affreschi di hard rock sabbathiano (Jeffrey), stoner metal grondante lava (I’m Not Like You), travolgente hard & heavy (la conclusiva Pharmassacre) e ballads drammatiche da applausi (la title track), che formano insieme alle altre canzoni un tuffo nel miglior esempio di quello che è oggi l’heavy metal: un genere che guarda al passato con più di un piede nel presente e nel futuro della musica , ed è proprio grazie a dischi come questo che risulta immortale.
Non bastasse ci si aggiungono le prove dei musicisti che, guidati dalla personalità debordante del singer Luigi Martino, sciorinano una prestazione eccezionale in ogni passaggio dell’album, aiutati da una produzione perfetta per il genere, non troppo cristallina per risultare patinata, ma assolutamente sanguigna.
Chi mi conosce per ciò che scrivo si IYE, sa che il mio amore per l’heavy metal è incondizionato causa le troppe primavere, ormai, passate in compagnia della musica dura per eccellenza, ma vi assicuro che album come A Possession Story fanno tornare il sorriso a questo inguaribile vecchietto …

Tracklist:
01. Man is a Wolf to Men
02. The Siege of Jerusalem
03. Black Inside
04. I’m Not like You
05. King of the Moon
06. Too Dark to See
07. A Possession Story
08. Forsaking Song
09. Jeffrey
10. Pharmassacre

Line-up:
Luigi Martino – Lead Vocals
Brian Russo – Guitars
Eduardo Iannaccone – Guitars
Vincenzo La Tegola – Bass Guitar
Enzo Arato – Drums

BLACK INSIDE – Facebook

Heavylution – Children Of Hate

Children Of Hate è un ascolto obbligato per ogni defender che si rispetti e alza l’asticella della qualità delle uscite nel campo del metal classico in questo incendiario 2015

Dall’underground più profondo del metal classico europeo, continuano a proporsi band dalle indubbie qualità: arrivano di soppiatto, dai più svariati paesi dall’estremo ovest all’est, da nord a sud, tutte con la loro musica forgiata nel metallo ottantiano, straordinari eredi di un genere entrato a dispetto di molti nelle storia della musica moderna.

Gli Heavylution sono una band transalpina nata quasi una decina di anni fa ormai, Children Of Hate è il primo full length, arrivato come un lampo nella notte dopo che la band aveva già licenziato un demo e l’ep “The Architect” nel 2011.
Quattro anni non sono passati invano, ed il gruppo di Saint-Etienne si presenta nel nuovo anno con quest’opera di fiero metallo, tra l’heavy metal tradizionale e il power, oscuro, dalle sfumature epiche e melodie a iosa.
Ritmiche power e crescendo metallici fanno da struttura ad una raccolta di brani, ben fatti, suonati bene e dall’ottima resa, non spiccatamente vintage, ma con una modernità di fondo data dall’ottimo lavoro, fatto in studio.
I brani escono così potenti e melodici, con due o tre perle (la title track, Spirit Never Die e The Exodus) in un lotto dalla buona qualità, richiamando più di una band storica tra metal ottantiano e power estrapolato dalla seconda metà del decennio successivo.
Nel genere le qualità del singer fanno mille, ed allora ecco che la band piazza Paul Eyssette dietro al microfono, aggressivo, sanguigno, accostabile all’ultimo Dickinson, anche alla sei corde in compagnia di Thibault Maurin e Olivier Dupont.
Tanto dispiego di asce non è un caso, Children Of Hate ha nel lavoro delle chitarre il suo punto di forza: melodiche, pungenti, graffianti e affiatate, sono il fiore all’occhiello di questo lavoro, senza nulla togliere alla buona sezione ritmica composta da Laurent Descours alle pelli e Nicolas Savoca al basso.
Iron Maiden,Judas Priest, Iced Earth, qualche sprazzo di power teutonico e tanta fierezza metallica, fanno di Children Of Hate un ascolto obbligato per ogni defender che si rispetti, alzando l’asticella della qualità delle uscite nel campo del metal classico in questo incendiario 2015: lunga vita all’underground.

Tracklist:
1.The Call
2.Children of Hate
3.Obsession
4.Spirit Never Dies
5.Burn Out
6.Mind Avulsion
7.The Eye Will Control
8.The Exodus
9.Balls of Steel
10.Future is on Your Side
11.Fight for Changes

Line-up:
Laurent Descours – Drums
Olivier Dupont – Guitars
Paul Eyssette – Vocals, Guitars
Nicolas Savoca – Bass
Thibault Maurin – Guitars

HEAVYLUTION – Facebook

Nightmare World – In The Fullness Of Time

Esordio su lunga distanza per la band britannica capitanata dal chitarrista dei Threshold Pete Morten.

Con l’esordio su lunga distanza dei Nightmare World siamo nella grande famiglia del power/prog britannico, genere che ha nei Threshold la band di punta: il gruppo, infatti, vede come protagonista al microfono Pete Morten, chitarrista dei più famosi conterranei negli ultimi lavori “March of Progress” e “For the Journey” e al lavoro anche su “The Interpreter” dei My Soliloquy, uscito nel 2013.

In The Fullness Of Time segue di ben sei anni l’ep “No Regrets”, e trattasi di un’opera che non si discosta poi molto da quello che i Threshold producono ormai da più di vent’anni, calcando la mano sulle ritmiche, a tratti più power oriented, ma mantenendo l’impronta progressiva cara alla band di quello che, il sottoscritto, considera il capolavoro del metal/prog, “Psychedelicatessen”, uscito all’alba del decennio di massimo splendore per il genere.
Dotato di un’ottima voce, Morten straripa sulle note power/prog del lavoro, accompagnato da cinque musicisti che, chiaramente, non sono da meno così che la musica della band ci delizia sia nella componente tecnica, che non manca mai in album come questo, sia nella sua parte strettamente emozionale; altro punto a favore per i Nightmare World, i quali puntano al sodo, è il fatto di racchiudere il tutto in meno di quaranta minuti di musica, pochi per gli standard a cui ci hanno abituato le band dedite al genere, ma assolutamente perfetti per questo ottimo album che non annoia con inutili prolissità, colpendo subito il bersaglio dell’assimilazione.
I brani sono infatti diretti, perfettamente suddivisi tra quelli più power e dal taglio epico (The New Crusade) ed altri in cui il prog comanda il sound (Defiance, Damage Report), lasciando che le tastiere di Nick Clarke comandino i giochi con melodie che riportano sempre alla scuola del new prog britannico.
Le chitarre (Sam Shuttlewood e Joey Cleary), aggressive e veloci nelle ritmiche a tratti riconducibili al power teutonico (Euphoria), e la sezione ritmica protagonista di un ottimo lavoro (Billy Jeffs alle pelli e David Moorcroft al basso) completano il combo.
L’album è prodotto da Karl Groom (chitarrista di Threshold e Shadowland e produttore di Dragonforce e Edembridge), mentre il master è stato affidato a Peter Van’t Riet (al lavoro con Symphony X, Transatlantic e Epica), entrambi garanzia di qualità per l’ottima riuscita dell’album.
Ascolto più che piacevole per gli amanti del genere, In The Fullness Of Time è consigliato anche a chi ama suoni più metallici, proprio per la sua immediatezza, pur mantenendo le linee guida del prog sound in voga al di là della manica.

Tracklist:
1. The Mara
2. In Memoria Di Me
3. The New Crusade
4. No Regrets
5. Defiance
6. Burden of Proof
7. The Ever Becoming
8. Damage Report
9. Euphoria

Line-up:
Pete Morten – vocals
David Moorcroft – bass
Sam Shuttlewood – guitars
Nick Clarke – keyboards
Billy Jeffs – drums
Joey Cleary – guitar

NIGHTMARE WORLD – Facebook

Salems Lott – Salems Lott

Buon Ep per la band californiana che si rivela una bella sorpresa ed un ottimo ascolto per gli amanti dei gruppi che fecero fuoco e fiamme negli anni ’80

Los Angeles, California: tra le sfuriate estreme, il metalcore imperante e l’alternative rock, che in America è pane per adolescenti, c’è chi continua a portare alta e fiera la bandiera del metal ottantiano, tra glam, street e metal teatrale, infarcito di richiami alle band leggendarie del metal statunitense come Wasp e Lizzy Borden, senza dimenticare chi questo genere lo ha inventato, Alice Cooper, sempre troppo poco osannato per quello che poi, nella sua lunga carriera, ha regalato alla nostra musica preferita.

Questo ottimo Ep omonimo porta la firma dei Salems Lott, band nata nel 2013 ad Hollywood: quattro musicisti dal look variopinto, tra glam e horror/punk, che fregandosene delle mode si gettano nel calderone della scena metal della città degli angeli con il loro Visible Sonic Shock, molto teatrale in sede live ma comunque ottimo anche musicalmente.
Tutto il mondo Salems Lott gira intorno al cantante e chitarrista Monroe Black, dall’approccio aggressivo al microfono (la sua voce a tratti rimanda al thrash) e bravissimo con la sei corde, che spettacolarizza brani, dall’ottimo impatto, aiutato dall’altro bravissimo axeman Jett e aggiungendo alle influenze descritte ritmiche veloci, a tratti furiose, dove la voce al vetriolo avvicina non poco la band allo speed/thrash.
Tra riff esplosivi, solos da guitar hero, melodie ben inserite in un contesto che mantiene sempre altissima la tensione, l’assalto metallico del gruppo rimane per tutta la durata dell’album di ottima fattura; Wings Of Duress e No Choice To Love, danno il benvenuto nel mondo dei Salems Lott, anche se Smoke And Mirrors fa balzare sulla sedia: le velocità aumenta, l’anthem richiama generi più estremi e le due chitarre piazzano assoli taglienti come una lama alla gola.
Si torna a rocckare tra lustrini e pailettes con Black Magic, anche se sempre in un contesto oscuro, per arrivare alla canzone più smaccatamente thrash del lotto, S.S. (Sonic Shock), che aggredisce alla grande, mettendo in luce la sezione ritmica indiavolata composta da Kay al basso e Tony F. Corpse alle pelli.
Buon Ep per la band californiana che si rivela una bella sorpresa ed un ottimo ascolto per gli amanti dei gruppi che fecero fuoco e fiamme negli anni ’80: il sottoscritto consiglia l’ascolto anche ai thrashers di larghe vedute, che troveranno di che crogiolarsi tra le tracce di Salems Lott.

Tracklist:
1. Wings of Duress
2. No Choice to Love
3. Smoke and Mirrors
4. Atlas
5. Black Magic
6. S.S. (Sonic Shock)
7. Twilight Traverse

Line-up:
Monroe Black – Lead Vocals, Lead Guitar
Jett – Lead Guitar, Vocals
Kay – Lead Bass, Vocals
Tony F. Corpse – Drums

SALEMS LOTT – Facebook

David Schankle Group – Still A Warrior

“Still A Warrior” si può certamente considerare come una delle uscite più importanti nel genere di questa prima metà dell’anno.

C’è una band che ha incarnato lo spirito heavy metal più di qualunque altra, aldilà di quello che poi è il mero successo commerciale, entrando nella leggenda e diventando un’icona del nostro genere preferito: che li si ami o li si odi, al grido di “death to false metal” i Manowar hanno regalato pagine gloriose ed epiche, raccogliendo migliaia di fans in tutto il mondo rivendicando l’orgoglio metallaro ed ottenendo una posizione di prestigio per il genere nella musica moderna.

David Schankle, fenomenale chitarrista, è stato membro della band dal 1989 al 1993, registrando il fenomenale “The Triumph Of Steel”, uno dei capisaldi della discografia del gruppo di New York.
Lasciata la band di Joey DeMaio, ha formato il David Schankle Group con cui ha inciso due full length, “Ashes To Ashes” nel 2003 ed “Hellborn” nel 2007: album di tipco heavy metal americano, dove il chitarrista dava sfoggio della propria tecnica, non rinunciando ad incendiare gli animi con brani di puri, incontaminati ed arrembanti.
In Still A Warrior, licenziato tramite Pure Steel, sono della partita l’ottimo vocalist Warren Halvarson e la portentosa sezione ritmica composta da Gabriel Anthony alle pelli e Mike Dooley al basso, per una cinquantina di minuti dove verrete catapultati in un vortice di metal old school, con la sei corde di Schankle assoluta protagonista.
Non fraintendetemi, l’album non è il classico lavoro shred, i brani si susseguono incalzanti lasciando al solo Demonic (From The Movie Jezebeth) ed allo strumentale The Hitman il proscenio all’axeman americano: il resto risulta invece una raccolta di brani bellissimi ed aggressivi, dove il lavoro chitarristico impreziosisce senza vanificarla una scorrevolezza di fondo che rende piacevolissimo l’ascolto di un puro US metal esplosivo ed epico.
Dalla title track posta in apertura, le atmosfere oscure ed epiche del metal classico suonato aldilà dell’oceano prendono il sopravvento; le orchestrazioni oscure della seguente Ressecution, la prova sontuosa del vocalist su Glimpse Of Tomorrow, l’esplosiva Fuel For The Fire e la devastante Eye To Eye, sono tacche sulla cintura del musicista americano, che non si risparmia e rifila solos tecnici ed infuocati.
L’album non ha cedimenti e, duro e melodico allo stesso tempo, arriva alla conclusione con la canzone più ariosa, Across The Line, subito dopo il power di Suffer In Silence (Agenda 21) e la cadenzata Into The Darkness.
Ritorno coi fiocchi per Dave Schankle con un album da non farsi mancare per ogni appassionato che si rispetti: Still A Warrior si può certamente considerare un album all’altezza rivelandosi una delle uscite più importanti nel genere di questa prima metà dell’anno.

Tracklist:
1. Still A Warrior
2. Ressecution
3. Glimpse Of Tomorrow
4. Demonic Solo* (From the movie Jezebeth)
5. Fuel For The Fire
6. Eye To Eye
7. The Hitman (instrumental)
8. Suffer In Silence (Agenda 21)
9. Into The Darkness
10. Across The Line

Line-up:
David Shankle – guitars
Gabriel Anthony – drums
Mike Dooley – bass
Warren Halvarson – vocals

 

Atreides – Cosmos

Gli Atreides hanno tutte le carte in regola per piacere, essendo in possesso di un’ottima tecnica e di brani coinvolgenti.

La Spagna ha la sua ottima tradizione, parlando di metal classico, e in questo caso riguardante il power metal, le band come gli Atreides che si dedicano ai suoni classici sono molte e alcune davvero ottime: i Tierra Santa, gli Avalanche, i Saratoga e i famosi Mago De Oz sono solo esempi per presentarvi il quartetto proveniente da Vigo, nato da un’idea del chitarrista Dany Soengas dei thrashers Skydancer, protagonisti della scena metallica iberica con quattro full length tra il 2007 ed il 2013.

Cambio di registro per Soengas, che lascia i suoni death/thrash per un power metal dalla forte influenza nord europea, sulla scia di Stratovarius e del power metal teutonico, e il debutto della band convince alla grande, tra ritmiche mozzafiato e solos ben congeniati e melodicissimi.
Un lotto di brani dal buon piglio forma un dischetto tutt’altro che trascurabile: le vocals in lingua madre non inficiano la riuscita delle poderose canzoni e la band gira a mille, con il chitarrista sugli scudi e l’ottima performance dei suoi compari, una sezione ritmica pesante come un incudine e veloce come il vento, composta da Antonio Orihuela al basso e David Borjas alle pelli e la buona prestazione del vocalist Emi Ramírez.
Prodotto e mixato dal chitarrista con la partecipazione dell’onnipresente Josè Rubio alla masterizzazione, Cosmos risulta un debutto avvincente, iniziando dalla grandiosa e devastante title track, seguita dalla cadenzata e Stratovarius-oriented Medianoche, dove le ritmiche impazzano tra potenza e sfuriate ed il drumming del buon Borjas spacca il drumkit.
Quinto brano e centro pieno per la band, che si butta a capofitto in uno strumentale dai solos dal sapore neoclassico, Providencia, che segue la scia di una Speed Of Light anch’essa di tolkkiana memoria, introducendo un’ottima parte atmosferica nella quale l’axeman fa cantare la sua sei corde.
Il power teutonico esce dai solchi di Cruzando El Bosque, brano in pieno stile Rage, così come nella conclusiva ed ottima Garret, finale col botto di questo gran bel debutto.
Cosmos non stupisce certo per originalità, d’altronde gli amanti del genere ciò che vogliono sentire è la musica inclusa in questo lavoro, ed allora dategli un ascolto perché gli Atreides hanno tutte le carte in regola per piacere, essendo in possesso di un’ottima tecnica e di brani coinvolgenti.

Tracklist:
1. Singularidad
2. Cosmos
3. Medianoche
4. Distancia
5. Providencia
6. Alma Errante
7. Cruzando el Bosque
8. Garret

Line-up:
D.S.: Guitars.
Emi Ramírez: Vocals
Antonio Orihuela: Bass Guitar
David Borjas: Drums

ATREIDES – Facebook

Temperance – Limitless

Mettetevi comodi e partite con i Temperance per un viaggio spettacolare, che vi condurrà in questo spazio “senza limiti”.

Non era facile per i Temperance, band di Marco Pastorino dei Secret Sphere e della stupenda vocalist Chiara Tricarico, tornare in pista dopo i fasti del clamoroso debutto omonimo dello scorso anno, finito sulla mia personale playlist del 2014 come uno dei più riusciti lavori in ambito symphonic metal.

Squadra che vince non si cambia, ed allora ritroviamo la band al completo con i fratelli Capone e Liuk Abbott, supportati da Simone Mularoni (DGM) a mixare questo altro splendido esempio di metal dalle mille sfaccettature, ora sinfonico, ora con una marcata impronta elettronica, ora apertamente estremo, ma sempre irresistibile e dall’enorme appeal.
Certo è che l’effetto sorpresa che, lo scorso anno, aveva aggiunto valore ad un debutto di per sé eclatante, viene inevitabilmente a mancare ma, invece di fargli perdere qualche punto, accresce il valore di questo stupendo combo e delle loro composizioni.
Molto più presente rispetto al passato è la componente elettronica, specialmente nei primi brani, mentre quella estrema affiora piano piano, esplodendo in tutta la sua spettacolare violenza verso la metà del lavoro, andandosi ad amalgamare sapientemente con il suono sinfonico, marchio di fabbrica del gruppo nostrano.
Gran lavoro della sezione ritmica e sempre più notevole l’apporto del buon Pastorino, sia alla voce, supportando al meglio la splendida vocalist, sia nel songwriting, anche questa volta superlativo, confermandosi come uno dei maggiori talenti in circolazione, non solo all’interno dei nostri confini.
Una predisposizione melodica non comune, unita ad un uso delle linee vocali che definire perfetto è un eufemismo, fanno di Limitless un’altra prova sontuosa e l’opera, se accostata con le ultime prove delle band più famose, dimostra come i Temperance hanno tutte le carte in regola per diventare una dei nomi di punta del metal nazionale anche al di fuori dai patri confini, insieme ai Lacuna Coil, dimostrando che, quando c’è il talento, anche i nostri musicisti possono giocarsela alla pari se non superare le realtà straniere idolatrate, a volte a dispetto dei santi, dagli addetti ai lavori.
D’altronde, come non rimanere ammaliati dalla prova di una Tricarico sempre più convincente, che ci delizia su tredici brani meravigliosi, che rappresentano la perfetta commistione tra metal e sinfonia, armonia e violenza, eleganza pop e furia metallica, in una tempesta di emozioni.
Sinceramente non riesco a nominare un brano piuttosto che un altro, mettetevi quindi comodi e partite con i Temperance per questo viaggio spettacolare, vi basterà seguire la track list per lasciarvi condurre in questo spazio “senza limiti”.

Tracklist:
1. Oblivion
2. Amber & Fire
3. Save Me
4. Stay
5. Mr. White
6. Here & Now
7. Omega Point
8. Me, Myself & I
9. Side By Side
10. Goodbye
11. Burning
12. Get A Life
13. Limitles

Line-up:
Liuk Abbott – Bass
Giulio Capone – Drums, Keyboards
Marco Pastorino – Guitars (lead), Vocals
Sandro Capone – Guitars (rhythm) (2013-present)
Chiara Tricarico – Vocals (2013-present)

TEMPERANCE – Facebook

Saxon – Heavy Metal Thunder / The Saxon Chronicles

Due ottime ristampe edite dalla UDR Records che ripercorrono la carriera di una delle più importanti band heavy metal della storia.

Era l’alba del decennio più glorioso per i suoni metallici (gli anni ottanta), e sulla scena musicale europea, divisa ancora tra i suoni ribelli del punk e quelli patinati e spettacolari del progressive e dell’hard rock, eredità del decennio precedente, irruppero come un fulmine a ciel sereno un manipolo di band che fecero la storia della nostra musica preferita, conosciute dai posteri come le band della New Wave Of British Heavy Metal e di cui i Saxon furono una delle maggiori e più conosciute espressioni.

La band britannica, capitanata dal leggendario vocalist Peter Rodney Byford, in arte Biff, dopo l’album omonimo rifilò almeno cinque capolavori, tra il 1980 e il 1984, di cui i primi tre rimasero scolpiti nella storia dell’heavy metal: “Wheels Of Steel”, “Strong Arm Of The Law” e “Denim And Leather”, usciti nel giro di un paio di anni, tra il 1980 e il 1981 (gli altri due “Power And Glory” del 1983 e “Crusader” del 1984, leggermente inferiori ai primi tre, rimangono di una qualità altissima), fecero il botto e l’esercito sassone a suon di bombardamenti metallici conquistò i kids di tutto il mondo.
Sono passati quasi quarant’anni dalla formazione della band, nata nello Yorkshire nel 1976, e Biff è ancora qui, nel nuovo millennio, ad esaltare le truppe con queste nuove uscite discografiche che ripercorrono la carriera di una band che definire fondamentale è un eufemismo.
Via Udr Records, in attesa del nuovo dvd” Warriors Of The Road- The Saxon Chronicles II”, escono in contemporanea due compilation della band già edite ma di un’importanza assoluta.
La prima vede la riedizione della compilation Heavy Metal Thunder, originariamente pubblicata nel 2002 con l’aggiunta del Live in Bloodstock del 2014: la band, per l’occasione, risuona tutto il materiale donandogli un approccio più fresco ed in linea coi tempi, ed è così che le migliori canzoni dei primi lavori deflagrano in tutta la loro potenza metal e, se già allora erano in odore di immortalità, qui sono rese devastanti da una produzione folgorante.
Ci sono tutte i brani che hanno fatto la storia, da Heavy Metal Thunder, a Strong Arm Of The Law, passando per le monumentali Crusader, 747 (Strangers In The Night), Wheels Of Steel, Motorcycle Man e quella che personalmente ritengo la song metal con il più bel riff di tutti i tempi, Princess Of The Night.
Il live che fa da bonus cd ci consegna una band ancora sul pezzo ed esaltante quando sprigiona la sua forza su un palco: Biff stupisce per la carica che possiede intatta, e la band gira a mille tra vecchi classici e nuove canzoni che reggono tranquillamente il confronto con gli storici brani ottantiani.
The Saxon Chronicles uscì nel 2003, e si tratta di un doppio dvd: il primo vede la band cimentarsi sul palco del Wacken Open Air davanti ad una marea di fan nell’estate del 2001, e non esagero nel dichiarare che è uno dei più bei concerti visti col supporto ottico, almeno per quanto riguarda il metal classico.
I Saxon appaiono in forma strepitosa, con brani classici e non che si danno battaglia sullo stage metal più famoso d’Europa con un’ambientazione (quella di Wacken non ha eguali) che esalta a più riprese, anche se si è comodamente seduti sul divano di casa.
L’aquila dei guerrieri sassoni vola alta sul palco teutonico, regalando una performance eccezionale, apprezzata non poco dall’immenso pubblico accorso a quello che, ormai una quindicina d’anni fa, fu un evento; segue un un’intervista a Byford, ad impreziosire ulteriormente questo primo dvd.
Nel secondo trovano spazio video e riprese inedite, documentari e photo gallery, insomma, tutto quello che un fan può desiderare sulla sua band preferita e, per chi non la conoscesse a sufficienza, The Saxon Chronicles rimane un ottimo modo per approfondire la storia di una della icone del metal.
Anche qui troviamo un bonus cd audio: trattasi di Rock’n’roll Gypsie, live edito nel 1989, altro ottimo testamento live dei Saxon.
Inutile dire che, a chi sfuggì l’uscita di questi due ottimi capitoli del gruppo, è consigliato l’acquisto, del resto una buona fetta della “nostra” storia è racchiusa tra questi dischetti: lunga vita all’aquila sassone.

Heavy Metal Thunder
Tracklist
CD I:
01. Heavy Metal Thunder
02. Strong Arm of the Law
03. Power & the Glory
04. And the Bands played on
05. Crusader
06. Dallas 1PM
07. Princess of the Night
08. Wheels of Steel
09. 747 (Strangers in the Night)
10. Motorcycle Man
11. Never Surrender
12. Denim & Leather
13. Backs to the Wall

CD II – Live at Bloodstock 2014
01. Sacrifice
02. Power and the Glory
03. Heavy Metal Thunder
04. Battalions of Steel
05. Motorcycle Man
06. And the Bands Played On
07. To Hell and Back Again
08. 747 (Strangers in the Night)
09. Crusader
10. Wheels of Steel
11. Princess of the Night
12. Denim and Leather

The Saxon Chronicles
Tracklist:
DVD I Wacken Open Air Festival, Germany 2001:
01. Motorcycle Man
02. Dogs Of War
03. Heavy Metal Thunder
04. Cut Out The Disease
05. Solid Ball Of Rock
06. Metalhead
07. The Eagle Has Landed
08. Conquistador (Drum Solo)
09. Crusader
10. Power And The Glory
11. Princess Of The Night
12. Wheels Of Steel (Guitar Solo)
13. Strong Arm Of The Law
14. 20,000 Ft.
15. Denim And Leather

Bonus Stuff :
Interview with Biff Byford

DVD II – Saxon on Tour
Official Videos:
01. Suzie Hold On
02. Power And The Glory
03. Nightmare
04. Back On The Streets Again
05. Rockin’ Again
06. (Requiem) We Will Remember
07. Unleash The Beast + Behind The Scenes
08. Killing Ground

Saxon on TV – Interviews, History, TV-Appearances:
01. And the Band Played On
02. Back on the Streets
03. Never Surrender
04. Denim And Leather
05. Wheels of Steel

Bonus Stuff: Text/Photo Gallery

Rock’n’Roll Gypsies – 1989 Live AudioCD
1. Power And Glory
2. And The Bands Played On
3. Rock The Nation
4. Dallas 1PM
5. Broken Heroes
6. Battle Cry
7. Rock ‘N Roll Gypsies
8. Northern Lady
9. I Can’t Wait Anymore
10. This Town Rocks
11. The Eagle Has Landed
12. Just Let Me Rock

Frozen Sand – Prelude

Ottimo ep d’esordio per i prog metallers Frozen Sand, ideale preludio all’imminente full length.

I Frozen Sand provengono da Novara, nascono nel 2010 e, all’insegna di un buon progressive metal, alternando tradizione e modernità, licenziano questo Ep di quattro brani dal titolo Prelude, appunto preludio di una storia che sarà sviluppata nel futuro esordio sulla lunga distanza.

Fractal Of Frozen Lifetimes, questo è il titolo del concept in cui la band sviluppa il suo songwriting fatto di un metal/prog che predilige le atmosfere piuttosto che cervellotiche parti tecniche, anche se ai musicisti del gruppo la bravura strumentale non manca di certo.
Ottime le vocals, che passano da parti evocative che creano un aurea epica, al growl (ormai usato sempre più spesso dalle band del genere) fino ad un’ottima voce pulita, il che rende l’ascolto dei brani vario, così come vario risulta il sound di Prelude che alterna con disinvoltura progressive e metal classico, inserendo ritmiche di death moderno che seguono l’alternarsi delle voci, cambiando atmosfere ad ogni passaggio.
Inutile elencare influenze o band da cui il gruppo piemontese prende spunto, qualsiasi amante dei suoni progressivi troverà modo di farsi una sua idea: la cosa che invece salta all’orecchio è la personalità con cui i Frozen Sand affrontano un genere non facile come quello racchiuso in Prelude, aumentando la curiosità e le aspettative per il futuro full length, di cui sicuramente ci faremo carico di parlarvi.

Tracklist:
1.Chronicle I – Chronomentrophobia
2.Chronicle II – Sand Of The Hourglass
3.Chronicle III – Khrono’s Pendulum
4.Fracture

Line-up:
Luca Pettinaroli – Vocals
Mattia Cerutti – Guitar
Tiziano Vitiello – Bass
Simone De Benedetti – Drums
Federico De Benedetti – Guitar, synth guitar & back vocals

FROZEN SAND – Facebook

Ancillotti – The Chain Goes On

Elegante,metallico, epico, struggente, esaltante, in poche parole un must per gli appassionati dell’hard & heavy.

I lettori della nostra ‘zine che all’apertura della home cliccano sulla sezione metal, non avranno certamente bisogno che mi dilunghi per presentare Bud Ancillotti, un nome che è strettamente legato ad una band leggendaria dell’hard & heavy nazionale come la Strana Officina.

Il singer, accompagnato dal figlio Brian dietro le pelli e dal fratello Sandro al basso, con l’aggiunta dell’ottimo Luciano Toscani alla sei corde, arriva all’esordio sulla lunga distanza (dopo il demo “Down This Road Toghether”) con il progetto che porta il suo glorioso cognome.
Licenziato dall’etichetta tedesca Pure Steel Records, firma di prestigio per i suoni heavy classici, The Chain Goes On aggiunge un’altra tacca sull’asta del microfono del vocalist nostrano, risultando un ottimo lavoro, suonato e prodotto benissimo, uno splendido spaccato di hard & heavy tradizionale che , inevitabilmente, porta alla mente (specialmente a chi quei gloriosi anni li ha vissuti) il passato di una musica che molti danno per morta ma che, al contrario, non solo è la fonte da cui nasce l’immenso fiume metallico, ma vive ed è perfettamente in salute, magari lontana dai riflettori ma sempre fiera ed assolutamente protagonista.
Una raccolta di brani rocciosi dove la grintosa voce di Bud declama anthem metallici, esaltanti, un songwriting sopra le righe che regala momenti pregni di quel sano heavy metal di cui non ci si può che innamorare, acciaio che fonde e si modella tra ritmiche ruvide ma dall’enorme appeal, solos sferraglianti e ballad splendide (Sunrise), a comporre un lavoro completo, curato ed elettrizzante dalla prima all’ultima nota.
Bang Your Head mette subito in chiaro che qui si fa hard rock al suo massimo livello, seguita dalla veloce Cyberland, ma siamo solo all’inizio, perché irrompe poi uno dei brani più belli del disco, Victims Of The Future, cadenzata, sostenuta da un riff mastodontico e da una prova di Bud da applausi: sanguigno ma allo stesso tempo elegante, il singer toscano invita a sedersi al banco e con attenzione seguire la lezione su come si canta su un album di questo tipo.
The Chain Goes On scorre che è un piacere tra canzoni eccezionali come Legacy Of Rock (un brano che i Saxon non scrivono più da vent’anni), I Don’t Wanna Know, Warrior e la già citata e bellissima Sunrise.
Elegante, metallico, epico, struggente, esaltante, in poche parole un must per gli appassionati dell’hard & heavy: l’esordio della band toscana regala brividi a profusione, colmando il vuoto delle uscite discografiche in questo genere, specialmente a questi livelli, aspettando il singer con una nuova prova degli altrettanti grandi Bud Tribe.

Tracklist:
1. Bang Your Head
2. Cyberland
3. Victims of the Future
4. Monkey
5. Legacy of Rock
6. Liar
7. I Don’t Wanna Know
8. Devil Inside
9. Warrior
10. Sunrise
11. Living for the Night Time

Line-up:
Sandro “Bid” Ancillotti – Bass
Brian Ancillotti – Drums
Luciano “Ciano” Toscani – Guitars
Daniele “Bud” Ancillotti – Vocals

ANCILLOTTI – Facebook

Kalidia – Lies’ Device

La band toscana riesce nella non facile impresa di consegnarci un disco semplice ma costruito su belle canzoni, metalliche ma nel contempo orecchiabili, e va oltre le più rosee aspettative con il proprio power classico ma dal sapore melodico.

Un altro bellissimo album di power metal melodico tutto italiano uscito in questa prima metà dell’anno di grazia 2014, ed un’altra band da scoprire e da seguire per tutti i fan del genere.

Si chiamano Kalidia, vengono da Lucca ed arrivano al debutto sulla lunga distanza dopo un EP del 2012 dal titolo “Dance of the four winds”, prodotto da Alessio Lucatti (Vision Divine, Etherna) che offre loro la possibilità di intraprendere un’intensa attività live, suonando con la crema del power/prog metal nazionale ed internazionale (Vision Divine, DGM, Timo Tolkki, Etherna). Le registrazioni dell’album di debutto iniziano lo scorso anno, sempre sotto l’ala di Alessio Lucatti che produce, masterizza e mixa questo notevole Lies’ Device. La band, guidata dalla voce della bravissima Nicoletta Rosellini, che “interpreta” in modo caldo con il suo tono ricco di pathos ed emozionalità le trame presenti in questo debutto, riesce nella non facile impresa di consegnarci un disco semplice ma costruito su belle canzoni, metalliche ma nel contempo orecchiabili, e va oltre le più rosee aspettative con il proprio power classico ma dal flavour melodico, di gran lunga superiore a tanti artisti più famosi. Dimenticatevi suoni sinfonici, gothic e vocals baritonali, questo è power e, dove necessita, i Kalidia picchiano da par loro, lasciando spazio a momenti dove esce un po’ di anima prog, specialmente nella drammatica Harbinger of Serenity cantata in duetto da Nicoletta con Andrea Racco degli Etherna (freschi dello splendido “Forgotten Beholder”). Si passa così da momenti heavy ad altri dove la band lascia spazio al talento della vocalist, che spadroneggia su tutto l’album deliziandoci con Shadow Will Be Gone, ballad sopra le righe, The Lost Mariner, song che apre l’album tra ottime melodie e bissata dalla più potente Hiding From the Sun, e Dollhouse (Labyrinth of Thoughts), dalle melodie ariose che sfiorano l’AOR. Lies’ Device è a suo modo trascinante e l’ascolto sempre piacevole, tanto che arrivare alla conclusiva In Black and White, dove compare come ospite Alessandro Lucatti con la sua sei corde, è un attimo, passando per almeno altri due brani coinvolgenti come Reign of Kalidia e la title-track. L’abilità della band nello strutturare su un tappeto tastieristico l’ottimo power, addolcito dalla voce della cantante, fornisce a questo lavoro una marcia in più e ci consegna un altro debutto coi fiocchi da parte di una band nostrana, ovviamente consigliato a tutti gli amanti del metal melodico.

Tracklist:
1. The Lost Mariner
2. Hiding from the Sun
3. Dollhouse (Labyrinth of Thoughts)
4. Reign of Kalidia
5. Harbinger of Serenity
6. Black Magic
7. Shadow Will Be Gone
8. Lies’ Device
9. Winged Lords
10. In Black and White

Line-up:
Federico Paolini – Guitars
Nicola Azzola – Keyboards
Nicoletta Rosellini – Vocals
Roberto Donati – Bass
Gabriele Basile – Drums

KALIDIA – Facebook

Derdian – Human Reset

Bellissimo lavoro da parte dei Derdian, potenza e melodia al sevizio del metallo pesante.

Brutta bestia il power metal; dopo aver dominato il panorama, sopratutto in Europa, negli anni a cavallo del nuovo millennio, portato al successo da band che in quel periodo hanno sfornato capolavori a getto continuo, lo ritroviamo nel secondo decennio del duemila ancora una volta in stand by nelle preferenze di fan e addetti ai lavori, superato dal symphonic gothic metal.

Invero i nomi più importanti faticano ad arrivare ai livelli eccelsi di una quindicina di anni fa, ed allora ecco che il tanto bistrattato underground viene in soccorso regalando band e album notevoli, come questo bellissimo e ultimo lavoro dei milanesi Derdian. Per chi non conoscesse ancora il gruppo, ricordo che è attivo dal 2001 e che il primo full-length risale al 2004 con “New Era Pt.1”, disco che porta in dote la firma con la prestigiosa Magna Carta, seguito dagli altri due capitoli “New Era Pt 2-War of the Gods” e “New Era Pt 3-The Apocalypse”. Nel 2013 arriva “Limbo”, che segna l’abbandono delle tematiche fantasy per un approccio più immerso nella realtà quotidiana. Oggi la band, accasatasi con None Records, è pronta a partecipare alla battaglia per il miglior album dell’anno nel suo genere con Human Reset, straordinario lavoro di power metal moderno, dove le orchestrazioni incontrano la potenza del metallo pesante mantenendo un perfetto equilibrio, in un elegante dimostrazione di forza da parte della band milanese, capace di superare se stessa con un songwriting sopra le righe che alterna brani dal sapore epico sinfonico (come il capolavoro Music for Life) a altri nei quali la fa da padrona l’originalità: tutto questo in un ambito stilistico per il quale molti sostengono tutto sia sia già stato scritto, con strutture metalliche dall’approccio moderno e andando ben oltre alla classica band alla Rhapsody (tanto per fare un esempio). Human Reset è una raccolta di brani eccellenti e con picchi qualitativi elevatissimi, quali Mafia, canzone dalla citazione cinematografica nel solo del bravissimo Dario Radaelli, la title-track dai cori epici e cavalcata metallica esaltante nel suo incedere, Absolute Power, dove l’intera band offre l’ennesima lezione di potenza e tecnica, con la sezione ritmica sugli scudi per tutto l’album (Marco Banfi, basso e Salvatore Giordano, batteria), la ritmica sempre puntuale di Enrico Pistolese, le orchestrazioni eleganti di Marco Garau e il bravissimo Ivan Giannini, vocalist dalle mille risorse, convincente nei toni bassi e straripante dove la sua ugola prende il volo per raggiungere le vette dei colleghi più famosi, ad aggiungersi alla prova ineccepibile del già citato chitarrista. Non esiste attimo di tregua in questo lavoro fino alla stupenda After the Storm, ballad che non smorza la tensione, con il piano a guidare il sound e chitarra e orchestrazioni che nel refrain portano il pathos alle stelle. Ancora il piano inizia e conclude la stupenda My Life Back, traccia che mette la parola fine ad un lavoro superbo, dove potenza e melodia vengono messe al sevizio del metal.

Tracklist:
1. Eclipse
2. Human Reset
3. In Everything
4. Mafia
5. These Rails Will Bleed
6. Absolute Power
7. Write Your Epitaph
8. Music Is Life
9. Gods Don’t Give a Damn
10. After the Storm
11. Alone
12. Delirium
13. My Life Back

Line-uo:
Ivan Giannini – Vocals
Marco Banfi – Bass
Marco Garau – Keyboards
Enrico Pistolese – Guitars,B.vocals
Dario Radaelli – Lead guitars
Salvatore Giordano – Drums

DERDIAN – Facebook

Valyria – Collatus

Per gli amanti del death/power melodico un buon esordio per i canadesi Valyria con questo Collatus.

“I Fuochi di Valyria” è la seconda parte del quinto romanzo facente parte della saga “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco”, capolavoro letterario di George R.R Martin, conosciuto in Italia per essere l’autore del “Trono di Spade”, serie TV alla ribalta dei palinsesti televisivi negli ultimi mesi.

La band che prende ispirazione per il proprio monicker dal bellissimo romanzo è canadese ed è protagonista di questo lavoro di death metal melodico dai tratti power/epici nonché loro esordio discografico dal titolo Collatus. Senza far gridare al miracolo, i ragazzi nordamericani picchiano sui propri strumenti di buona lena, ripassando il buono che il melodic ed il power hanno regalato in questi ultimi anni, facendo propria la lezione di band quali: primi In Flames, Amon Amarth, Blind Guardian, Rhapsody e un po’ tutte le maggiori realtà che accomunano i due generi. Una buona mezz’ora in cui verrete travolti dall’entusiasmo della band nel saper affrontare un genere che è tutto fuorchè facile, ma i Valyria ci mettono del loro nell’apparire, se non originali, sicuramente piacevoli, con buone cavalcate heavy/power nelle quali spiccano le due asce in mano ai bravi Jeremy Puffer e Andrew Traynor e le agguerrite vocals in growl, ereditate dagli Amon Amarth e proposte dall’uomo “Oltre la Barriera”, Cam Dakus, alle prese anche con il basso e che forma insieme al drummer Mitchell Stycalo una potente sezione ritmica. Dopo la classica Intro atmosferica, Polaris dà il via all’assalto a “Grande Inverno” con bordate di power/death melodico bissata dalla furiosa Karbala. Gli ultimi tre brani sono quelli dove la band sa anche entusiasmare, con intermezzi pianistici e una vena che diventa più sinfonica dando vita a song riuscite e dal sicuro impatto, con l’apice nella conclusiva Starborn, quasi dieci minuti di atmosfere che si alternano, tra momenti epici e stacchi strumentali di quiete, prima che la tempesta metallica ci travolga ancora una volta. Buon esordio, che fa ben sperare per un roseo futuro: se siete amanti del death melodico come del power metal, dategli un ascolto.

Tracklist:
1. Praeludium
2. Polaris
3. Karbala
4. Crown Of Creation
5. The Blinded Torch
6. Starborn

Line-up:
Cam Dakus – Vocals,Bass
Jeremy Puffer – Guitars,B.vocals
Andrew Traynor – Guitars,B.vocals
Mitchell Stycalo – Drums