Jon Schaffer’s Purgatory – Purgatory EP

Jon Schaffer ha richiamato i compagni di un tempo e ha riformato i Purgatory, dai quali in seguito nacquero appunto gli Iced Earth, riregistrando una manciata di brani provenienti dai tre demo licenziati a quei tempi, più un brano inedito.

Jon Schaffer è uno dei migliori compositori che il metal classico a stelle e strisce ci abbia regalato negli ultimi trent’anni: sottovalutato da molti, ha continuato a scrivere heavy metal di un certo spessore anche dopo gli anni di maggior successo, dovuti ad una serie di album epocali, con la triade Burnt Offerings, The Dark Saga e Something Wicked This Way Comes che tra il 1995 ed il 1998 collocò gli Iced Earth sul trono di un genere che stava lentamente trovando una nuova giovinezza.

In questo ultimo periodo il chitarrista statunitense, dopo i buoni responsi ottenuti dall’ultimo album (Incorruptible) del gruppo uscito lo scorso anno, ha riesumato vecchi demo risalenti alla metà degli anni ottanta, quando la band si chiamava Purgatory e Jon era un giovane musicista innamorato della New Wave Of British Heavy Metal e del metal classico suonato nel suo paese.
Jon Schaffer ha richiamato i compagni di un tempo e ha riformato i Purgatory, dai quali in seguito nacquero appunto gli Iced Earth, riregistrando una manciata di brani provenienti dai tre demo licenziati a quei tempi, più un brano inedito.
I Jon Schaffer’s Purgatory vedono dunque, oltre al leader, il cantante Gene Adam ed il chitarrista Bill Owen alle prese con un heavy metal che molto deve agli Iron Maiden dei primi due album, con quel tocco americano riconducibile ai Metal Church, oscuro e dark come da tradizione dell’U.S. Metal.
Ottima la prova del cantante, interpretativo e teatrale ma lontano anni luce dal Matt Barlow d’annata, molto più orientato al thrash e robusto rispetto al suo collega che, invece, non disdegna il falsetto di scuola King Diamond.
Il brano inedito (l’opener In Your Dreams) risulta anche la traccia più vicina al sound degli Iced Earth, mentre la varie Dracula, In Jason’s Mind e Jack si rivelano ottimi brani di heavy metal old school.
Jack Lo Squartatore, Freddy Krueger, Jason e Dracula ringraziano per i brani a loro dedicati, mentre noi non possiamo che aspettare buone nuove e goderci dell’ottimo heavy metal firmato Jon Schaffer.

Tracklist
1.In Your Dreams
2.Dracula
3.In Jason’s Mind
4.Jack
5.Burning Oasis

Line-up
Jon Schaffer – Guitars (rhythm, lead), Vocals
Bill Owen – Guitars (lead)
Gene Adam – Vocals

Mass Disorder – Conflagration

Il sound proposto dal gruppo di Almada è un thrash metal in bilico tra tradizione e modernismi estremi, ammantato da un’aura oscura che gli conferisce atmosfere e sfumature dark in un contesto progressivo e metallico.

Il thrash metal rispetto ha qualche anno fa ha trovato una nuova spinta, specialmente in ambito underground dove lo zoccolo duro dei gruppi dediti al genere si è rafforzato dopo le buone uscite dei gruppi storici e l’arrivo di una nuova generazione di band dedite al genere nelle sue diverse vesti.

Dal Portogallo arrivano i Mass Disorder, quintetto attivo da una manciata d’anni con un primo ep alle spalle ed ora pronti a conquistare i cuori dei thrashers con il primo lavoro su lunga distanza intitolato Conflagration.
Il sound proposto dal gruppo di Almada è un thrash metal in bilico tra tradizione e modernismi estremi, ammantato da un’aura oscura che gli conferisce atmosfere e sfumature dark in un contesto progressivo e metallico.
La voce profonda che si avvicina al growl, le devastanti accelerazioni e le canzoni dilatate fino a raggiungere minutaggi importanti, non inficiano la scorrevolezza di brani valorizzati da un ottimo songwriting: l’album offre mitragliate thrash metal, un assalto estremo che accentua la vena drammatica ed epica di tracce imponenti e distruttive come Death Vow , Violence e le monumentali Vicious Circle, Illegal Ambition.
Immaginate una jam metallica e potentissima suonata da Slayer e Machine Head ed avrete un esempio della potenza di fuoco del gruppo portoghese: Conflagration è un album che merita la dovuta attenzione.

Tracklist
1.Arson
2.Rats
3.Modus Operandi
4.Death Vow
5.Violence
6.Vicious Circle
7.Premonition
8.Illegal Ambition

Line-up
Bruno Evangelista – Vox
Nelson Carmo – Guitar
Valter Aguiar – Guitar
Paulo Ramos – Drums
André Gomes – Bass

MASS DIOSRDER – Facebook

The Ghost I’ve Become – Circle of Sorrow

L’auspicio è che i The Ghost I’ve Become trovino quanto prima l’appoggio esterno ideale per cominciare a pensare ad un primo full length che, con questi presupposti, potrebbe svelarne le indubbie doti ad numero ben più consistente di appassionati.

Due anni dopo l’ep d’esordio Hollow ritroviamo I finnici The Ghost I’ve Become con un nuovo ep che conferma quanto di buono era già stato esibito a suo tempo.

Nonostante tali valide premesse, non si può fare a meno di notare, quale aspetto negativo, il fatto che una band di tale prospettiva continui ad essere priva del supporto fattivo non solo di un etichetta ma anche di un agenzia di promozione e, purtroppo, in un mondo in cui troppo spesso chi appare ottiene molta più considerazione rispetto a chi vale, tutto questo non può che rivelarsi alla lunga un handicap per questi ottimi musicisti.
Il songwriter e chitarrista Lauri Moilanen ripropone gli schemi vincenti che ben conosciamo, rafforzandoli ulteriormente ed asservendoli al cupo concept che egli stesso ha ideato, ben supportato dalla buona produzione curata dall’altro chitarrista Joonas Kanniainen e ottimamente illustrato dall’inqueitante artwork curato dal vocalist Jomi Kyllönen.
Indubbiamente questo atteggiamento improntato ad un DIY, elevato però ai massimi termini in quanto a professionalità, continua a portare frutti prelibati, in quanto Circle of Sorrow è un lavoro nel quale vengono miscelate al meglio le influenze che i nostri riescono a rielaborare in maniera personale, benché l’impronta di band come gli imprescindibili Swallow The Sun e dei loro contraltari d’oltreoceano Daylight Dies siano ben percepibili.
Denial e Torment rappresentano al meglio il doloroso crescendo che porta alle splendide aperture melodiche di Grief e al commovente intimismo dell conclusiva Yearn: da notare in questi ultimi due brani, l’importante contributo della voce pulita affidata al musicista canadese Marc Durkee, a dimostrazione dell cura dei particolari che non viene mai meno nell’operato dei The Ghost I’ve Become.
Non si può quindi che ribadire con soddisfazione come la band di Oulu sia una delle promesse più concrete in ambito death doom e anche se, come detto, realtà di livello nettamente inferiore riescono a trovare il supporto di etichette anche importanti, continuo sempre a pensare (o meglio dire a sperare) che la meritocrazia alla fine abbia la meglio sulla capacità di vendersi.
L’auspicio è che Moilanen e soci trovino quanto prima l’appoggio esterno ideale per cominciare a pensare ad un primo full length che, con questi presupposti, potrebbe svelarne le indubbie doti ad numero ben più consistente di appassionati.

Tracklist:
1. O
2. Denial
3. Torment
4. Grief
5. Yearn

Line-up:
Lauri Moilanen – Guitars, backing vocals
Joonas Kanniainen – Guitars
Jomi Kyllönen – Vocals
Jaakko Koskiniemi – Bass

Guests:
Marc Durkee – Clean Vocals
Tommi Tuhkala – Drums
Aleksi Tiikkala – Piano

THE GHOST I’VE BECOME – Facebook

Artas – Ora et Gomorrha

La provenienza del quintetto tradisce una marzialità di fondo tipica della scuola centro europea, ma gli Artas la contornano di melodie e veloci solos sulle scale di un metal roccioso e granitico.

Gli austriaci Artas sono una delle band più convincenti ascoltate ultimamente, autrici di questo ibrido che unisce le sfumature tradizionali del metal con quelle più moderne.

Dopo un silenzio durato sette anni eco il ritorno con questa terza opera su lunga distanza, Ora et Gomorrha, che ha tutti i crismi per non passare inosservata agli amanti del metal moderno.
Quasi settanta minuti, per molti sono un’enormità nel genere, ma non per gli Artas che ci investono con il loro modern/melodic/thrashcore, cantato in lingua madre ma dall’appeal notevole: ritmiche marziali si trasformano in veloci cavalcate al limite del death/thrash, melodie gotiche su tappeti di metallo alternano metallo classico e moderno, in modo quasi perfetto rendendo l’ascolto interessante ed assolutamente piacevole.
La provenienza del quintetto tradisce una marzialità di fondo tipica della scuola centro europea, ma gli Artas la contornano di melodie e veloci solos sulle scale di un metal roccioso e granitico.
Vale Madre, Der Sturm e la title track riassumono perfettamente quanto scritto, e formano un biglietto da visita perfetto per la band austriaca, che gioca con le proprie influenze che vedono Rammstein, Dark Tranquillity, Soilwork e Disturbed quali cardini dello sviluppo della propria proposta.

Tracklist
1.Intro
2.Gegen dich
3.Nick und brich
4.Wiener Verhältnisse
5.im Frieden der Nacht
6.Interlude #1
7.Vida Vale Madre
8.Ne Boltai
9.Black Piñata
10.Fuck This Band
11.Interlude #2
12.Der Sturm
13.Feindbild
14.Der Augenblick
15.Ora et Gomorrha
16.Outro

Line-up
Radek Karpienko – Bass
Christoph Grabner – Drums
Sahid Al Atmaah – Guitars
Massimo Maltese – Guitars
Hannes Koller – Guitars, Vocals
Obimahan Ismahil – Vocals

ARTAS – Facebook

Nachtmystium – Resilient

Resilient si rivela un ritorno ben più che incoraggiante e, ovviamente, la possibilità di riascoltare musica inedita con il marchio Nachtmystium non può che rappresentare una buona notizia per i numerosi estimatori di questa band.

Di uno come Blake Judd dalle nostre parti si direbbe che ne ha fatte più di Carlo in Francia, intendendo con questo che il musicista statunitense ci ha messo molto del suo per uscire dai radar degli appassionati.

In realtà, a ben vedere, Judd è stato solo l’ultimo di una serie di musicisti che hanno rischiato di compromettere la loro vita, artistica e non, a causa della dipendenza da eroina, una condizione che rende ogni persona capace di fare le peggiori cose pur di soddisfare le proprie necessità primarie, che altre non sono se non quella di procurarsi altra droga; resta il fatto che, nell’ambiente musicale, chi truffa i colleghi o gli stessi fans, indipendentemente dalle motivazioni che stanno alla base, finisce per farsi attorno terra bruciata rendendo molto arduo qualsiasi tentativo di risalire la china.
Ma se una seconda possibilità viene concessa anche ai più efferati criminali, perché questo non deve accadere anche per Blake, che in fondo ha già pagato abbastanza toccando con mano i recessi più profondi nei quali si possa sprofondare nel corso della propria esistenza ? La stessa domanda devono essersela posta anche quelli della Prophecy Productions, label che ha acquisito i diritti dell’intero catalogo dei Nachtmystium e hanno fornito a Judd la possibilità di ricominciare a fare quello che nella vita gli riesce sicuramente meglio, ovvero il musicista.
Così, oltre alla ristampa in occasione del decennale dell’uscita di di Assassins: Black Meddle, Part I, l’etichetta tedesca tramite la sublabel Lupus Lunge ha immesso sul mercato l’ep Resilient, che rappresenta il ritorno sulle scene di Judd con la sua band dopo tutte le già citate vicissitudini.
Fatte le doverose premesse, chi si aspettava una nuova esibizione di black metal obliquo e psichedelico è stato pienamente accontentato: i tre brani più intro presenti nell’edizione base di Resilient dimostrano che il nostro ha ancora parecchio da dire e che la sua particolare cifra stilistica non è andata smarrita.
La title track è infatti un brano sofferto, strutturato su tempi piuttosto rallentali e dal buon impatto melodico e atmosferico, mentre Silver Lanterns è un più classico mid tempo all’interno del quale non mancano certo le variazioni sul tema, nel quale viene messo in evidenza il solito buon lavoro chitarristico di Blake.
Davvero interessante, tanto da renderlo a mio avviso l’episodio migliore del lavoro nonostante il suo netto scostamento rispetto agli altri due brani, è la lunga traccia finale Desert Illumination, vero e proprio trip psichedelico che tiene fede al titolo per la prima metà prima di trasformarsi in una trascinante cavalcata all’insegna del puro black metal.
Tra i musicisti che accompagnano Judd in questo suo riuscito tentativo di rinascita musicale va segnalato il tedesco Martin van Valkenstijn, uno che oltre a essere coinvolto in diverse band della scena black del suo paese, ha all’attivo anche collaborazioni con nomi pesanti quali Empyrium, Sun Of The Sleepless e The Vision Bleak, e da uno che gravita nell’area presidiata da un certo Markus Stock non c’è dubbio che possa esser giunto un prezioso supporto per il redivivo Blake.
In definitiva, Resilient si rivela un ritorno ben più che incoraggiante e, ovviamente, la possibilità di riascoltare musica inedita con il marchio Nachtmystium non può che rappresentare una buona notizia per i numerosi estimatori di questa band.

Tracklist:
01 Conversion
02 Resilient
03 Silver Lanterns
04 Desert Illumination

Line-up:
Joel Witte Guitars (rhythm) (additional)
Blake Judd Vocals, Guitars (lead, rhythm)
Martin van Valkenstijn Bass, Effects, Vocals (backing)
Job Phenex Bos Keyboards, Effects

NACHTMYSTIUM – Facebook

Subtrees – Polluted Roots

Partendo dall’assennato assunto di Italo Svevo che la vita attuale è inquinata alla radice, i bolognesi Subtrees debuttano con un disco meraviglioso e pieno di tossici gioielli.

Partendo dall’assennato assunto di Italo Svevo che la vita attuale è inquinata alla radice, i bolognesi Subtrees debuttano con un disco meraviglioso e pieno di tossici gioielli.

Tutti portiamo un certo grado di tossicità dentro di noi, abbiamo un lato che come un click difettoso non funziona molto bene, o funziona molto meglio della parte che crediamo sana, comunque c’è e vive assieme a noi come un simbionte. La sensazione più importante fra le tante che regala questo disco è il tremendismo, un senso di catastrofe imminente che fortunatamente non si riesce a cogliere nella sua pienezza perché siamo intossicati, e i nostri pensieri viaggiano molto lentamente. Musicalmente il disco esplora diversi lidi e tocca molte istanze musicali, a partire da un forte retrogusto grunge che permea tutta l’opera, ma si va anche verso il noise anni novanta, tenendo sempre ben presente la propria impronta originale. Procedendo nell’ascolto si trova anche un incedere tipico degli Isis, ovvero un passo musicale davvero ampio e che abbraccia l’ascoltatore mentre lo porta lontano. La musica dei Subtrees è qualcosa che riscalda e che scorre direttamente nelle vene, come un droga salvifica, rinnovando la nostra tossicità, rendendola inevitabile e immanente. La completezza del disco è difficile da descrivere a chi non lo ascolterà, perché è sempre la musica che deve spiegare, qui possiamo solo dare indicazioni di ascolto, e questo è un ascolto da fare assolutamente. Le atmosfere create dal gruppo sono bolle temporali nei quali ci si sente confortevoli e al contempo viene esposto il nostro disagio. Non ci sono momenti particolarmente veloci, è tutto molto incisivo e ben composto, con trame che non si sentivano da tempo per un gruppo davvero notevole.

Tracklist
1.Syngamy
2.Everything’s Beautiful, Nothing Hurt
3.Conversation #1 (Hero’s Death)
4.Conversation #2 (Adam’s Resurrection)
5.Reflections
6.Motorbike
7.Jungle/Overexposure

Line-up
Roberto Andrés Lantadilla – voce, chitarra e testi
Nicola Venturo – basso e sintetizzatori
Riccardo Pantalone – chitarra e ostrich guitar
Alberto Lazzaroni – batteria

SUBTREES – Facebook

Khali – Tones Of The Self Destroyer

Tones Of The Self Destroyer è composto da nove brani all’insegna di un potente thrash/hardcore in cui vengono immessi elementi death e di metal moderno, valorizzando il tutto con azzeccate parti rock dai rimandi progressivi.

Altra ottima proposta dalla nostrana Ghost Label Record, etichetta con un roster vario e dal buon spessore artistico.

La band in questione, i Khali, è un trio attivo nella capitale dal 2015 composto da Cristian Marchese (basso e voce), Paolo Nadissi (chitarra e voce) e Vincenzo Agovino (batteria), giunto al traguardo del debutto discografico con questo massiccio Tones Of The Self Destroyer, con i suoi nove brani all’insegna di un potente thrash/hardcore in cui vengono immessi elementi death e di metal moderno, valorizzando il tutto con azzeccate parti rock dai rimandi progressivi.
L’uso della doppia voce assolutamente perfetto è la ciliegina sulla torta di un debutto interessante e ben costruito: la band mantiene un livello di potenza estrema senza risultare monocorde e variando l’approccio aggressivo con un’innata predisposizione a sfumature post rock.
Il grande lavoro della parte ritmica (in Hypo Crisis sembra di ascoltare una versione death metal dei Primus), un muro ritmico impressionante, taglienti solos di scuola thrash nelle parti chitarristiche e, come scritto in precedenza, l’uso della doppia voce sono i tratti distintivi di questo lavoro che non conosce cedimenti e scorre aggressivo e maturo fino alla sua conclusione.
Dark Matter, Life, Vulture Gods e la conclusiva The Core sono i brani cardine di questo Tones Of The Self Destroyer, una vera sorpresa per gli amanti del metal dai rimandi hardcore e thrash.

Tracklist
1.Ordinary empty earth
2.Ashes of none
3.Dark Matter
4.Rage
5.Hypo crisis
6.Life
7.Vulture God
8.Marching ants won’t stop
9.The Core

Line-up
Cristian Marchese – Bass, Vocal
Paolo Nadissi – Guitar, Vocal
Vincenzo Agovino – Drums

KHALI – Facebook

Ad Patres – A Brief Introduction to Human Experiments

Le band storiche del death metal di stampo americano sono le ispirazioni del combo francese, tornato in forma con questa raccolta di brani che creano un muro sonoro di notevole spessore, ben suonato e prodotto.

Rimboccatevi le maniche e fate schioccare le nocche, perché l’incontro con i francesi Ad Patres è di una forza d’urto notevole e lascia sicuramente il segno.

Di death metal si parla, molto vicino al brutal, per questo quintetto transalpino in arrivo da Bordeaux, al secondo full length dopo che l’esordio (Scorn Aesthetics) uscì nel 2012 per poi essere ristampato due anni dopo dalla Kaotoxin.
Il nuovo album, intitolato A Brief Introduction to Human Experiments e licenziato dalla XenoKorp (che di quell’etichetta è di fatto la prosecuzione), nulla toglie e nulla aggiunge a quello chi i deathsters transalpini hanno suonato in passato; il sound di questo nuovo lavoro risulta un devastante e quanto mai violento metal estremo di matrice death, ancora una volta potenziato da un’attitudine brutal nella quale vige un’atmosfera opprimente, lasciando questa volta più campo ad un attacco frontale e riducendo i rallentamenti ad attimi di tensione prima delle inevitabili esplosioni estreme.
Le band storiche del death metal di stampo americano sono le ispirazioni del combo francese, tornato in forma con questa raccolta di brani che creano un muro sonoro di notevole spessore, ben suonato e prodotto, assolutamente senza compromessi e con un paio di tracce che non fanno prigionieri come The Disappearance Of I e Spellbound.
Un ritorno di tutto rispetto per gli Ad Patres, i quali confermano le buone impressioni suscitate con il debutto e sono pertanto raccomandati ai deathsters dai gusti brutali e old school.

Tracklist
1.Shock Therapy
2.Mechanical Enlightenment
3.The Disappearance of I
4.Led by Flesh
5.Symbiosick
6.Sermon
7.Verses Void
8.Spellbound
9.Enclosing Terror
10.The Floating Point

Line-up
Arnaud Pecoste – Bass
Alsvid – Drums
Olivier Bousquet – Guitars
Axel Doussaud – Vocals
PY Marani – Guitars

AD PATRES – Facebook

Revenge – Deceiver.Diseased.Miasmic

Due canzoni davvero furiose e che portano quasi in trance l’ascoltatore, facendogli imboccare una via lastricata di sangue e di ossa.

La scena canadese del metal è vasta e di buona qualità, e si denota per essere una delle più estreme e senza compromessi al mondo.

Testimoni di ciò sono i Revenge, da Edmonton stato di Alberta, con la loro furiosa proposta sonora, fatta di war metal che si avvicina molto al black. I nostri vedono la luce nel 2000, fondati dal batterista e cantante J.Read, per continuare il discorso iniziato con i Conqueror. La loro discografia è piuttosto vasta e questo ep è l’ultimo episodio, pienamente allineato ai precedenti, e se possibile ancora più cattivo. Il suono dei Revenge risale ai primordi dell’uomo, è l’evoluzione di una furia cieca e senza comprensione, un orrore che cala come una falce sul genere umano che si crede buono, e si avvicina molto alle cose del passato con una produzione dalla resa quasi analogica. Tutto ciò serve a creare un’atmosfera particolare, che è poi quella che ricerca l’ascoltatore in un disco dei Revenge. Odio, completa assenza di qualsivoglia speranza salvifica e una grande rabbia che nasce da lontano. Precedentemente si parlava di war metal, un genere che è molto particolare e che secondo alcuni riprende le origini del metal in maniera incontaminata, e ciò lo si può pienamente apprezzare in questi due pezzi, che sono il perfetto manifesto di ciò che sono i Revenge e del perché abbiano un seguito molto fedele. Ci sono accenni anche importanti al black metal, ma il fulcro del suono è qualcosa di ben diverso dal nero metallo. Qui gli strumenti musicali sono portatori di una furia e di un odio che travalica la musica e arriva da e dentro l’animo umano, vero mistero insondabile. Due canzoni davvero furiose e che portano quasi in trance l’ascoltatore, facendogli imboccare una via lastricata di sangue e di ossa.

Tracklist
1. Diseased Intrusion
2. Deceiver Futile

Line up:
V. – Guitars / Bass
J.Read – Drums / Vocals

REVENGE – Facebook

Bane – Esoteric Formulae

Quello contenuto in Esoteric Formulae è un black death melodico che non va a scombinare le gerarchie del genere ma piazza i Bane in una posizione privilegiata, almeno se si vede il tutto nella prospettiva di spiccare un balzo decisivo verso i piani superiori occupati dalle band più famose.

I Bane sono una band nata in Serbia circa a metà dello scorso decennio e, fino al precedente full length The Acausal Fire, tutti i musicisti coinvolti provenivano da quella nazione.

Il trasferimento del leader Branislav Panić a Montreal ha fatto sì che il musicista si prendesse una pausa di cinque anni prima di ritornare con un nuovo album, il terzo della sua band, intitolato Esoteric Formulae.
Per l’occasione il musicista originario di Novi Sad ha fatto quasi tutto da solo, avvalendosi della collaborazione in studio del batterista ceco Honza Kapák (Master’s Hammer), della canadese Ophélie Gingras a curare le orchestrazioni e di due ospiti come l’italiano Giulio Moschini (Hour Of Penance), alla chitarra in Wretched Feast, e del francese Amduscias (Temple Of Baal), alla voce in Into Oblivion.
L’album fa uno strano effetto al primo approccio, visto che il suo ascolto scorre decisamente bene ma alla fine si ha la sensazione di non aver ascoltato nulla di particolare se non un black death melodico e decisamente ben eseguito; poi, pian piano, i brani fanno breccia in virtù di un’intensità spesso sconosciuta a molti degli epigoni di Dissection e Behemoth, ai quali i Bane possono essere in modo lecito associati.
La bravura di Panić risiede soprattutto nel grande equilibrio che sa donare alle proprie composizioni, facendo sì che la componente estrema e quella melodica non finiscano per fagocitarsi a vicenda e anche, forse ancora di più, per aver proposto un set di vere e proprie canzoni, dieci staffilate dalla durata per lo più contenuta entro i quattro minuti, tempo entro il quale non c’è modo di perdersi in ghirigori o diluizioni di alcun genere.
Quello contenuto in Esoteric Formulae è un black death melodico che non va a scombinare le gerarchie del genere ma piazza la band e il musicista serbo in una posizione privilegiata, almeno se si vede il tutto nella prospettiva di spiccare un balzo decisivo verso i piani superiori occupati dalle band più famose; privo davvero di punti deboli, con menzione per le notevoli Wretched Feast e Burning The Remains, il lavoro va gustato dall’inizio alla fine lasciandosi trasportare da un impatto adrenalinico, utile senz’altro per liberarsi più facilmente dai postumi delle festività e dai conseguenti surplus di melassa dalla quale si è stati inevitabilmente sommersi.

Tracklist:
1.Invocation Of The Nameless One
2.The Calling Of The Eleven Angles
3.Beneath The Black Earth
4.Bringer Of Pandimensional Disorder
5.Wretched Feast” (feat. Giulio from Hour Of Penance)
6.Into Oblivion” (feat. Amduscias from Temple Of Baal)
7.Burning The Remains
8.Reign In Chaos
9.Acosmic Forces Of The Nightside
10.Wrathful Reflections

Line-up:
Branislav Panić – Vocals, Guitars, Bass, Keyboards

Guests:
Honza Kapák – Drums
Giulio Moschini – Guitars (lead) (track 5)
Amduscias – Vocals (additional) (track 6)
Ophélie Gingras – Orchestrations

BANE – Facebook

Veonity – Legend Of The Starborn

La durata di questo Legend Of The Starborn è di quelle proibitive, ma la fluidità del sound proposto dal quartetto di Vänersborg aiuta non poco l’ascolto, specialmente se siete fans di un genere che con i Veonity trova nuova linfa.

Per gli amanti dei suoni power classici il ritorno degli svedesi Veonity, tramite la sempre più presente sul mercato Sliptrick Records, è sicuramente un appuntamento da non perdere.

La band, infatti, dopo i primi due riusciti lavori (il debutto The Gladiator’s Tale, uscito nel 2015, seguito da Into The Void l’anno dopo) arriva al terzo ambizioso full length, un’opera mastodontica di quasi un’ora e mezza composta dal solito buon power metal di estrazione tedesco/scandinava.
I Veonity sono il classico gruppo da cui si sa benissimo cosa aspettarsi: tanto metallo classico, ritmiche power alternate a potenti crescendo, chorus epici e valanghe di melodie.
La durata di questo Legend Of The Starborn è di quelle proibitive, ma la fluidità del sound proposto dal quartetto di Vänersborg aiuta non poco l’ascolto, specialmente se siete fans di un genere che con i Veonity trova nuova linfa.
Legend of the Starborn segue a livello lirico il concept del precedente album, con il protagonista tornato sulla Terra dopo essere fuggito nello spazio ed aver incontrato i guerrieri del tempo, dai quali viene rimandato all’era dei vichinghi per aiutare gli ultimi sopravvissuti nell’impresa di salvare l’umanità da una razza aliena che l’ha schiavizzata.
Gamma Ray, Freedom Call, Nocturnal Rites, Hammerfall, Edguy sono i gruppi che più ispirano la band svedese, aiutata da ospiti importanti come Tommy Johansson (Sabaton, Reinxeed) e Patrik Selleby (Bloodbound, Shadowquest) in questo enorme sforzo compositivo che troverà sicuramente molti defenders pronti a sguainare gli spadoni e lucidare gli scudi al suono di questi quattordici inni al true power metal.
I momenti esaltanti non sono pochi, a partire da Guiding Light fino a Warrior Of The North, passando per Freedom Vikings e To The Gods, ma è tutta la tracklist che convince facendo di Legend Of The Starborn una delle opere più riuscite quest’anno nel genere.

Tracklist
1.Rise Again
2.Starborn
3.Guiding Light
4.Winds of Asgard
5.Outcasts of Eden
6.Sail Away
7.The Prophecy
8.Warrior of the North
9.Gates of Hell
10.Freedom Vikings
11.Lament
12.To the Gods
13.United We Stand
14.Beyond the Horizon

Line-up
Anders Sköld – Vocals/Guitar
Samuel Lundström – Guitar
Joel Kollberg – Drums
Kristoffer Lidre – Bass

VEONITY – Facebook

Lovebites – Clockwork Immortality

Il sound di Clockwork Immortality sorprenderà più di un amante del metal classico di scuola power europea: saggiamente la band ha assorbito tutto il meglio del genere, trovando la perfetta alchimia tra le sue varie anime.

Se pensate che le Lovebites siano solo l’ennesimo fenomeno da baraccone giunto dal sol levante vi dovrete ricredere, perché Clockwork Immortality è un lavoro molto interessante ed assolutamente metallico che coccia con l’immagine glamour delle cinque ragazze, ma che all’ascolto procura momenti di auto esaltazione heavy/power.

D’altronde la band ha lavorato in passato con Mikko Karmila e Mika Jussila (Children Of Bodom, Amorphis, Nightwish, tra gli altri) ed arriva con questo nuovo lavoro al secondo album su lunga distanza in una discografia che conta anche due ep licenziati in un paio d’anni.
Asami, Haruna, Midori, Miho e Miyako, oltre al loro fascino mettono in campo un heavy power metal che surclassa molti omaccioni tutti spade e scudi, vanno veloci come lampi nel cielo, abbondano di orchestrazioni ed arrangiamenti bombastici e scagliano frecce metalliche che si conficcano nel centro di un bersaglio commerciale altisonante.
Molto meno “truzzo” di quello esibito dalle Babymetal, il sound di Clockwork Immortality sorprenderà più di un amante del metal classico di scuola power europea: saggiamente la band ha assorbito tutto il meglio del genere, trovando la perfetta alchimia tra l’anima scandinava (Stratovarius), quella tedesca (Freedom Call) e quella mediterranea e sudamericana (Angra, Vision Divine).
L’album non ha un attimo di tregua, passando da vere bombe heavy/power a brani dal taglio più melodico ma dal grande appeal, formando una raccolta di potenziali hit tra le quali spiccano l’opener Addicted, la potentissima Mastermind 01, la veloce e thrashy M.D.O. e la spettacolare Final Collision.
Belle da vedere e brave da ascoltare, le Lovebites faranno innamorare più di un defender duro e puro, c’è da scommetterci.

Tracklist
01. Addicted
02. Pledge Of The Saviour
03. Rising
04. Empty Daydream
05. Mastermind 01
06. M.D.O
07. Journey To The Other Side
08. The Final Collision
09. We The United
10. Epilogue

Line-up
Asami – Vocals
Midori – Guitars
Miyako – Guitars, Keyboards
Miho – Bass
Haruna – Drums

LOVEBITES – Facebook

Autore
Alberto Centenari
Voto
8
Genere – Sottogeneri – Anno – Label
2018 Heavy/Power Metal 8

Chapel of Disease – .​.​.​And As We Have Seen The Storm, We Have Embraced The Eye

Ormai il mondo death si sta evolvendo verso forme che un tempo sarebbero state impensabili, l’old school rappresenta sempre la base di partenza ma giustamente molte band hanno il coraggio di osare, sfidando le convenzioni di un genere e ampliando gli orizzonti sonori con forza e personalità.

Crescita di personalità esponenziale per i tedeschi Chapel Of Disease, i quali nell’arco di sei anni hanno evoluto il loro suono dal death metal legato alle origini di Summoning Black Gods (2012), acerbo e senza particolari spunti, fino all’attuale opera .​.​.​And As We Have Seen The Storm, We Have Embraced The Eye, in cui un suono caleidoscopico e vario impregna tutte i brani.

Già nell’opera del 2015, The Misterious Way Of Repetitive Art, i musicisti di Colonia avevano intrapreso un percorso verso una propria identità, ampliando il loro raggio sonoro con un tocco gotico e meno old school, ma ora ci conducono su sentieri peculiari innestando su un base death, neanche particolarmente estrema, sonorità metal classiche e non solo. L’opener Void of Words mette subito in chiaro che il viaggio sonoro sarà ricco di perturbazioni affascinanti e inaspettate, con un lavoro chitarristico di primo ordine, ora atmosferico ora più dinamico, sempre ispirato in fase solistica; nella parte finale il solismo si lascia andare in direzione classic rock rimembrando addirittura Mark Knopfler! I musicisti non temono la sfida e con sincera ispirazione compongono sei canzoni che necessitano di essere ascoltate con attenzione, tante sono le variazioni atmosferiche presenti; nulla di avanguardistico o sperimentale, gli ingredienti sono noti ma l’amalgama non risulta forzata, tutto fluisce spontaneo e il piacere è garantito. Intensi profumi lisergici e acidi fuoriescono, come se fossimo a fine anni ’60, dalla splendida Song of the Gods che procede spedita e potente su un canovaccio che trascende il comune suono death, per approdare nel suo florilegio chitarristico in lidi metal. Pur non essendo avanguardistici, il termine di paragone non appare semplice tante sono le varianti innestate nella struttura delle tracce (Null) e ormai anche il nome della band creato in omaggio dei Morbid Angel (Chapel of Ghouls e Angel of Disease) non li identifica più come semplici “cloni” della band floridiana. Ormai il mondo death si sta evolvendo verso forme che un tempo sarebbero state impensabili, l’old school rappresenta sempre la base di partenza ma giustamente molte band (Horrendous, Venenum, Obliteration ed altre) hanno il coraggio di osare, sfidando le convenzioni di un genere, ampliando gli orizzonti sonori con forza e personalità.

Tracklist
1. Void of Words
2. Oblivious – Obnoxious – Defiant
3. Song of the Gods
4. Null
5. 1.000 Different Paths
6. The Sound of Shallow Grey

Line-up
Christian Krieger – Bass
David Dankert – Drums
Cedric Teubl – Guitars
Laurent Teubl – Vocals, Guitars

CHAPEL OF DISEASE – Facebook

Descrizione Breve

Raven – Screaming Murder Death From Above: Live In Aalborg

In forma e decisi a fare male, i Raven in questo Screaming Murder Death From Above: Live In Aalborg mettono una carica metallica da far impallidire molti musicisti metal odierni, grazie ad una tracklist che ovviamente risulta inattaccabile.

Tornano i fratelloni di Newcastle John e Mark Gallagher e la loro leggendaria creatura chiamata Raven, band che mosse i primi passi negli anni settanta, ma che ebbe il suo momento di gloria nei primi anni ottanta con l’esplosione delle New Wave Of British Heavy Metal.

Da molti considerata come band importante anche per lo sviluppo del thrash (è storia il tour del 1983 con Metallica e Anthrax) la band britannica, dopo più di quarant’anni sulla scena hard & heavy (benché costellati da lunghe pause e clamorosi ritorni), licenzia tramite la SPV/Steamhammer il terzo live album della sua lunga carriera, ad una vita o giù di lì di distanza da quel Live At The Inferno che nel 1985 la immortalava sul palco dopo l’uscita dei primi tre fondamentali full length.
I fratelli Gallagher, con il fido Mike Heller alla batteria, danno prova in questo Screaming Murder Death From Above: Live In Aalborg di avere ancora un bel po’ di cartucce da sparare, con undici brani tra cui troviamo quelli che ne hanno scritto la storia (All For One, Rock Until You Drop, Faster Than The Speed Of Light, Crash Bang Wallop tra gli altri) senza farsi mancare nulla per finire sui piatti e lettori di ogni metallaro che si rispetti, da chi negli anni ottanta era un brufoloso adolescente con la giacca di jeans e le toppe dei suoi gruppi preferiti in bella mostra, fino ai più giovani che vogliono farsi un tuffo nel leggendario sound nato tra i sobborghi delle grigie città del Regno Unito.
In forma e decisi a fare male, i Raven in questo Screaming Murder Death From Above: Live In Aalborg mettono una carica metallica da far impallidire molti musicisti metal odierni, grazie ad una tracklist che ovviamente risulta inattaccabile.

Tracklist
1. Destroy All Monsters
2. Hell Patrol
3. All For One
4. Hung Drawn and Quartered
5. Rock Until You Drop
6. A.A.N.S.M.M.G.N.
7. Tank Treads (the blood runs red)
8. Faster than the speed of light
9. On And On
10. Break The Chain
11. Crash Bang Wallop

Line-up
John Gallagher – Bass, Vocals
Mark Gallagher – Guitars
Mike Heller – Drums

RAVEN – Facebook

Turbo Vixen – Drive Into The Night

Drive Into The Night è composto da dieci brani sguaiati ed irresistibili, un adrenalinico pezzo di hard & heavy ottantiano che travolge come un’onda causata dal crollo di una diga a colpi di hard/rock ‘n’ roll metallico e senza freni.

Una bomba hard & heavy dalla miccia rock ‘n’ roll esploderà sulle vostre teste appena vi avvicinerete, magari per caso o curiosità, a Drive Into The Night, primo full length del duo canadese Turbo Vixen, composto dal batterista Aaron Bell e dal chitarrista J.J. Rowlands, a cui si aggiunge in veste di ospite al microfono Dan Cleary.

Dieci brani sguaiati ed irresistibili, un adrenalinico pezzo di hard & heavy ottantiano che travolge come un’onda causata dal crollo di una diga, a colpi di hard/rock ‘n’ roll metallico e senza freni.
Non c’è un attimo di tregua, il duo sale sul bolide e a tavoletta si allontana nella notte nel deserto, mentre accordi southern fanno da ricamo al mid tempo All My Love e si ripresentano nella conclusiva title track.
Il resto è un susseguirsi di esaltanti brani tra hard rock ed heavy metal, un mix perfetto di Van Halen, Motley Crue, Ratt e Twisted Sister alla maniera dei Turbo Vixen ovvero dinamitardo, esagerato e tremendamente coinvolgente.
Salite a bordo della vostra auto, accendete motori e lettore cd e sparatevi a velocità illegale nella notte in compagnia delle varie Thunder And Lightening, Cat House, Straight Out Of Hell e Drive Into The Night: vi prenderanno prima che faccia mattina, strapperanno la vostra patente, ma vi ritroverete a canticchiare dietro le sbarre i cori di questa decina di trascinanti brani.

Tracklist
01. Thunder and Lightning
02. No Mercy
03. Hard Love ‘n’ You
04. Cat House
05. Hit Back (Refuse to Lose)
06. All My Love
07. She’s Got the Touch
08. Straight out of Hell
09. Down the Hatch
10. Drive into the Night

Line-up
J.J Rowlands – Guitars
Aaron Bell – Drums

TURBO VIXEN – Facebook

Weight Of Emptiness – Anfractuous Moments for Redemption

Gli Weight Of Emptiness sapranno guidarvi nella loro musica schivando i pericoli del già sentito con una prova personale e che dà spazio ad una buona scrittura nella quale la tecnica viene utilizzata per valorizzare un lotto di brani oscuri e melodici, estremi e progressivi.

In ritardo di qualche mese sulla data di uscita vi presentiamo questa notevole realtà estrema proveniente dal Cile, gli Weight Of Emptiness.

Il quintetto proveniente da Santiago arriva al debutto sulla lunga distanza con Anfractuous Moments for Redemption, album composto da sette tracce più intro ed outro di melodic death metal tecnico e progressivo, con qualche rallentamento doom qua e là a rendere il tutto molto suggestivo, alternando così parti più orientate al death metal di stampo melodico ed europeo, nelle quali il gruppo mette in campo tutta le sue doti strumentali, ad altre invece in cui atmosfere oscure spostano gli equilibri verso un più emozionante doom/death.
Nel complesso Anfractuous Moments for Redemption funziona, i brani si mantengono tutti su una qualità abbastanza alta tanto da consigliare il lavoro agli amanti del death melodico e progressivo, elemento quest’ultimo che valorizza brani come Behind The Mask, The Silence e la lunga Inner Chaos, sunto di nove minuti di quello che avrete ascoltato sull’album, posto prima dell’outro.
Gli Weight Of Emptiness sapranno guidarvi nella loro musica schivando i pericoli del già sentito con una prova personale e che dà spazio ad una buona scrittura nella quale la tecnica viene utilizzata per valorizzare un lotto di brani oscuri e melodici, estremi e progressivi.

Tracklist
1.Anfractuous (Intro)
2.Behind the Masks
3.Unbreakable
4.The Silence
5.Holy Death
6.Cancer
7.Weight of Emptiness
8.Inner Chaos
9.Redemption (Outro)

Line-up
Alejandro Ruiz – Vocals
Juan Acevedo – Guitar
Alejandro Bravo – Guitar
Manuel Villarroel – Bass
Mauricio Basso – Drums

Guest musicians:
Eduardo P. Ocampo – Synths on “Anfractuous” & “Redemption”
Jorge Pinochet – Additional Vocals on “The Silence”
Juan Daniel Barrera – Additional Vocals on “Weight Of Emptiness”

WEIGHT OF EMPTINESS – Facebook

Necroart – Caino

I Necroart ci vanno giù piuttosto pesanti senza però mai inserire il pilota automatico, provando lodevolmente a disseminare ogni traccia di cambi di ritmo per non far scemare la tensione.

I Necroart tornano a quattro anni di distanza dal precedente album Lamma Sabactani con Caino, quarto full length di una carriera iniziata al tramonto del secolo scorso.

Non è semplicissimo inquadrare il sound della band pavese, in quanto rispetto ai primi lavori inseribili nel filone del death melodico, già conLamma Sabactani era stato possibile rinvenire una certa inquietudine compositiva all’interno della quale black, death, doom e pulsioni dark si andavano a sovrapporre creando un insieme potente e quanto mai oscuro.
Caino è un album il cui compito non è quello di accarezzare ma semmai di percuotere l’ascoltatore, concedendogli di tanto in tanto qualche pausa di riflessione, ma nel complesso i Necroart ci vanno giù piuttosto pesanti senza però mai inserire il pilota automatico, provando lodevolmente a disseminare ogni traccia di cambi di ritmo per non far scemare la tensione.
A livello esemplificativo, se Mastodon Rising e la title track sono ottimi esempi di black death, ruvido ma melodico il giusto grazie ad azzeccate soluzioni chitarristiche, con Wounds on Angels Wings e One Is All, All Is One i ritmi si rallentano non poco lasciando qualche spazio di manovra in più per inserire passaggi di una certa evocatività.
Caino è un buon album al quale mancano solo alcuni episodi realmente trainanti, quelli in grado di costituire il fulcro attorno al quale far ruotare le rimanenti composizioni per favorirne al massimo l’assimilazione; detto questo i Necroart si confermano band di valore all’interno di una scena come quelle estrema in cui, però, risalire le gerarchie dopo qualche anno di assenza può diventare impresa ardua.

Tracklist:
1. March of the Ghouls
2. An Invocation for the Horned
3. Mastodon Rising
4. Caino
5. Bringer of Light
6. Flames
7. Wounds on Angels Wings
8. One Is All, All Is One
9. Into the Maelstrom

Line-up:
Francesco Volpini – Bass
Marco Binda – Drums
Davide Zampa – Guitars
Filippo Galbusera – Guitars
Davide Quaroni – Keyboards
Massimo Finotello – Vocals

NECROART – Facebook

Zayn – Evolution Made Us

Intimista, ma nello stesso tempo pervaso da un’urgenza di comunicare, Evolution Made Us lascia pochi riferimenti ai quali ci si possa aggrappare, con la musica che scorre tra atmosfere che passano dal metal progressivo moderno ad una sorta di rock alternativo.

Zayn in arabo significa bellezza interiore ed è il monicker di questo interessante progetto nato nel 2011 in Croazia, già protagonista di tre album tra il 2014 e l’anno successivo.

Dopo tre anni il quartetto si ripresenta nell’underground metal/rock con questo lavoro composto da cinque brani strumentali, dal sound alternativo e progressivo, fortemente compresso, dai molti cambi di tempo e a suo modo originale.
Intimista, ma nello stesso tempo pervaso da un’urgenza di comunicare, Evolution Made Us lascia pochi riferimenti ai quali ci si possa aggrappare: la musica scorre tra atmosfere che passano dal metal progressivo moderno ad una sorta di rock alternativo che rende brani quali l’opener Tall As Mountain o Metamorphos un incrocio di generi racchiusi nelle più generali etichette descritte.
Evolution Made Us è un lavoro di corta durata e quindi più facilmente assimilabile anche se il sound è tutto fuorché facilmente catalogabile: a tratti gli Zayn possono ricordare i Tool, ma il consiglio è di ascoltare questa raccolta di brani con la massima attenzione perché la band croata potrebbero rivelarsi per molti un gradita sorpresa.

Tracklist
1.Tall as Mountain
2.Barbarogenius
3.Homoerectus
4.Metamorphos
5.Old as Earth

Line-up
Marko Dragičević – guitar
Bojan Gatalica – guitar, synth
Miran Kapelac – bass, synth

ZAYN – Facebook

Zenit – Black Paper

Senza mai portare la mera tecnica a soffocare il songwriting, gli Zenit danno prova di una già buona maturità artistica in un genere troppe volte afflitto da un abuso della tecnica strumentale fine a sé stessa.

Time To Kill Records pubblica il nuovo album degli Zenit, band nostrana attiva dal 2013 che propone un buon metal estremo di matrice djent e progressive.

Black Paper è composto da otto brani registrati nella capitale ai Kick Recording Studio dal noto produttore Marco Mastrobuono, già al lavoro con Coffin Birth, Hour Of Penance e Fleshgod Apocalypse, per una mezz’ora circa di metal moderno e tecnicamente inattaccabile, dalle trame progressive che non risultano troppo intricate lasciando che ogni brano scorra fluido e potente.
L’uso della doppia voce non sempre convince nella parte pulita, e conseguentemente gli Zenit si fanno preferire nei tanti momenti più estremi delle varie tracce, dall’opener che prende il titolo dal nome del gruppo, passando per la successiva Wraith, la notevole Crow’s Perch e la title track.
Prodotto egregiamente, l’album vive sull’altalena tra le parti estreme ed atmosferiche e liquide sfumature in cui il rock e l’elettronica creano bolle di ossigeno musicale all’interno delle quali ripararsi dalle imminenti esplosioni estreme.
Senza mai portare la mera tecnica a soffocare il songwriting, gli Zenit danno prova di una già buona maturità artistica in un genere troppe volte afflitto da un abuso della tecnica strumentale fine a sé stessa.

Tracklist
01. Zenit
02. Wraith
03. Above and Below
04. Crow’s Perch
05. King Of Lies
06. The Prophecy
07. Black Paper
08. Nadir

Line-up
Federico Fracassi – Vocals
Andrea Pedruzzi – Bass & Growls
Simone Prudenzi – Guitars
Daniele Carlo – Drums

ZENIT – Facebook

Arwen – The Soul’s Sentence

The Soul’s Sentence è un album che si lascia ascoltare con piacere, scritto da una band in ottima forma e forte di un lotto di buoni brani: un ritorno più convincente non si poteva auspicare.

Potenza e melodia, power metal “mediterraneo” tra le trame di The Soul’s Sentence, terzo lavoro degli spagnoli Arwen.

Attiva dal 1996, ma con soli tre album all’attivo la band madrilena licenzia questo ottimo album quattordici anni dopo il precedente Illusions, un lasso di tempo che al giorno d’oggi non aiuta certo a rimanere nelle attenzioni dei fans.
Peccato, perché a sentire questa nuovissima raccolta di brani, gli Arwen sanno il fatto loro, presentandosi ancora una volta al cospetto degli amanti dei suoni power con un sound deciso, a tratti progressivo e appunto mediterraneo, in quanto vicino a realtà come Vison Divine e Labyrinth, fiori all’occhiello del metal italiano.
L’album parte deciso, la band graffia con eleganza amalgamando potenza, melodie a tratti neoclassiche e hard & heavy con sagacia, la voce del cantante Jose Garrido risulta interpretativa il giusto per donare un’anima ai vari brani che hanno in Torn From Home, When the World Doesn’t Matter e la raffinata semi ballad Crying Blood i migliori esempi del credo musicale del gruppo.
The Soul’s Sentence è un album che si lascia ascoltare con piacere, scritto da una band in ottima forma e forte di un lotto di buoni brani: un ritorno più convincente non si poteva auspicare.

Tracklist
1.Hollow Days
2.Torn from Home
3.Us or Them
4.The Void
5.When the World Doesn’t Matter
6.Endless Burden
7.Endless Burden
8.Beyond Pain
9.My Worst Self
10.Crying Blood
11.Our Chance

Line-up
José Garrido – Vocals (lead), Guitars
Nacho Arriaga – Drums, Percussion
Javier Díez – Keyboards, Piano
Daniel Melián – Bass, Vocals (backing)
Gonzalo Alfageme López – Guitars

ARWEN – Facebook