Game Zero – Rise

Potenza e melodia, una miscela esplosiva che non difetta in questa prima prova dei Game Zero

Con qualche mese di ritardo sull’uscita vi presentiamo l’esordio di questa ottima band nostrana, i Game Zero, frutto dell’incontro tra il chitarrista/cantante Mark Wright e Alexincubus, ex ascia dei Theatres Des Vampires, in seguito raggiunti da Dave J alle pelli (ex Dragonhammer) e Domino al basso.

Le prime cinque canzoni create vanno a comporre un demo con cui il gruppo guadagna l’interesse di Gianmarco Bellumori e della sua label Agoge records, con cui registrano Rise, un ottimo lavoro costruito su riff granitici ed una miscela a dir poco esplosiva di hard rock ed heavy metal.
Potenza e melodia, una miscela esplosiva che non difetta in questa prima prova del quartetto, bravo nel costruire su una base fortemente metallica un sound dall’ottimo appeal senza rinunciare a graffiare il giusto per piacere un po a tutti.
Chorus di scuola hard rock si alternano ad un bombardamento heavy, ritmiche che non disdegnano groove di scuola moderna vanno a braccetto con sfumature metal classiche, così da mettere d’accordo tanto gli amanti dei suoni moderni, tanto quelli più orientati alle atmosfere classiche.
L’apertura del disco è col botto, il riff potente ed irresistibile dell’opener The City With No Ends ci dà il benvenuto nel mondo metal rock dei Game Zero, sissata da It’s Over e da Now, irresistibile brano di hard rock moderno devastato da ritmiche che sanguinano groove.
Si viaggia spediti in Rise, i brani si succedono uno più sfrontato dell’altro con una cura maniacale per i ritornelli, perfettamente incastonati nelle trame dei brani e punto di forza dell’album.
Tra i solchi si respira aria di hard rock moderno, poi il respiro si fa più pesante quando la sei corde spara solos metallici o qualche accenno allo street metal tramuta il sound in pura adrenalina rock.
Don’t Follow Me e Unbreakable alzano una temperatura che si fa insopportabile sotto il bombardamento a tappeto a cui veniamo sottoposti, e si giunge alla conclusione con la voglia matta di schiacciare ancora il tasto play e farsi travolgere dalla musica dei Game Zero.
Che dire, se non scusate per il ritardo e complimenti al gruppo e all’etichetta per l’ottimo lavoroe.

TRACKLIST
1.The city with no ends
2.It’s over
3.Now
4.Fallen
5.Don’t follow me
6.Time is broken (rise)
7.Lions and lambs
8.Purple
9.In your shoes
10.Unbreakable
11.Look at you
12.Escape

LINE-UP
Mark Wright – Vocals, Rhythm Guitars
AlexIncubus – Lead Guitars
Domino – Bass Guitars
Dave J – Drums

GAME ZERO – Facebook

Virgo – Virgo

Travolti dalla musica dei Virgo veniamo trasportati dal loro personale modo di intendere lo stoner rock, che non lascia punti di riferimento ed è valorizzato dall’estro compositivo e dalla maturità artistica dei suoi componenti.

I Virgo son un quintetto di musicisti vicentini alle prese con un rock di matrice stoner cantato in italiano, dal forte impatto ed assolutamente oltre ai suoni desertici del genere come va di moda in questo periodo.

Il gruppo formato nel 2012 è al secondo lavoro, traguardo raggiunto dopo il primo album autoprodotto (L’appuntamento) ed un’intensa attività live, esperienze che ha trasformato il gruppo in un compatto monolite di suoni rock pesanti ed oscuri, valorizzati da testi introspettivi e mai banali ed una propensione per un mood progressivo che appunto allontana il sound da facili accostamenti con le solite band di genere.
Sfuriate elettriche ed atmosfere di tragica drammaticità interiore si alternano nel sound di cui sono composti questo dodici brani, rabbiosi e complessi che hanno bisogno di più ascolti per essere assimilati, ma che non nascondono un’ indubbia capacità della band di strutture musicali ed armoniche mai banali.
E’ la benedizione/maledizione dei gruppi nostrani, maestri nel coniugare al rock di respiro internazionale testi maturi ed un’ottima propensione per linee melodiche mai banali, qui valorizzate dall’ottima performance del cantante Daniele Perrino, ma quantomeno difficili da assimilare per i frettolosi ascoltatori odierni.
Come detto viene davvero difficile fare paragoni con altre realtà, magari più conosciute, proprio perché i Virgo interpretano il genere con una personalità unica, creando vortici di rock pesante e stonerizzato sottolineato da una serie di canzoni travolgenti come l’opener Danza Di Corteggiamento, Selene, Visione Intima e Trasparenze.
Travolti dalla musica dei Virgo veniamo trasportati dal loro personale modo di intendere lo stoner rock, che non lascia punti di riferimento ed è valorizzato dall’estro compositivo e dalla maturità artistica dei suoi componenti.

TRACKLIST
1. Danza di corteggiamento
2. Vergine livrea
3. Selene
4. Coco
5. Aspirare
6. E’ uno di quei giorni
7. Nel fondo della segreta ossessione
8. Pensieri infetti
9. L’astinenza
10. Bianca ombra
11. Visione intima (tutto di lei)
12. Trasparenze

LINE-UP
Daniele Perrino-Voce
Michele Prontera-Chitarra
Luca Del Lago-Chitarra
Luca Bastianello-Chitarra
Carlo Bucci-Chitarra

VIRG – Facebook

Slowmother – Chemical Blues

Un album rock maturo che convince, anche se i brani in cui è il blues a dominare li ho trovati superiori

Vive di più anime la musica dei milanesi Slowmother, al primo full length dopo l’ep di debutto uscito lo scorso anno e recensito su queste pagine.

Le quattro canzioni che andavano a comporre il debutto omonimo sono inserite anche in questo nuovo lavoro, che conferma l’originalità della musica del trio, un rock blues che non disdegna puntate nella new wave e nel post punk di matrice ottantiana.
Generi così diversi, eppure sapientemente assemblati nel sound del gruppo lombardo in questo Chemical Blues, con un sound impostato su chitarre a tratti ruvide e vicino all’alternative, ritmiche ed atmosfere che ricordano non poco le note plumbee della darkwave, lasciando che l’influenza sporca del blues rock riempa di suoni roots gran parte del disco.
Il terzetto milanese, composto da Alessio Slowmother (voce, chitarra), Grace alle pelli e Pietro The Butcher al basso, ed aiutato dai suoni tastieristici e dal lavoro in fase di produzione di Larsen Premoli, costruisce un album di musica blues e rock’n’roll per le anime della notte che si muovono tra una Londra grigia, in un’altalena di suoni che travolgono e ci confondono raggiungendo l’apice in quei pochi ma devastanti salti nella psichedelia.
Puntano al sodo e ci regalano musica rock in your face gli Slowmother, da Liar alla title track mettono sul piatto il loro sound caratteristico, per poi concedere qualche piccola jam nei brani dove i loro strumenti liberano sfumature blues psichedeliche.
Chemical Blues è un album a cui l’appellativo alternativo calza a pennello, non concedendo all’ascoltatore una facile via da seguire svoltando ad ogni crocicchio per prendere sempre strade diverse e mai convenzionali, tra tutte le atmosfere descritte e nel mezzo di una raccolta di brani che non conosce cedimenti qualitativi o forzata ripetitività.
Un album rock maturo che convince, anche se i brani in cui è il blues a dominare li ho trovati superiori (su tutti, 20 Years): un dettaglio, rimane la sensazione di essere al cospetto di un gruppo con tante cose da dire e dalle ottime potenzialità.

TRACKLIST
1. Liar
2. Chemical Blues
3. Drugs
4. Mr. Whoo Hoo Yeah
5. Lipstick
6. The City Of Taste
7. Queen
8. Outlaw
9. My Grave
10. 20 Years
11. Too Late Jesus

LINE-UP
Alessio Slowmother – guitar, voice
Grace- drums
Pietro The Butcher – bass

Larsen Premoli-hammond and moog on tracks 2, 5, 6, 9, 11

SLOWMOTHER – Facebook

Tracy Grave – In The Mirror Of Soul

L’album è un viaggio emozionale nell’hard rock melodico, formato dai cinque brani riarrangiati del precedente ep più altri cinque nuovi di zecca

E’ lunga la storia che ha portato il musicista e poeta nostrano Tracy Grave a questo primo lavoro sulla lunga distanza della band che da lui prende il nome.

Ex Hollywood Pornostar, band con un ep ed un full length alle spalle e con una buona attività live in compagnia di Adam Bomb e Pretty Boy Floyd, il musicista sardo ha collaborato in questi anni con molte realtà della scena metal e non solo, condividendo importanti esperienze live di supporto a molti gruppi storici del panorama hard rock internazionale come Alice Cooper, Faster Pussycat, Paul Dianno, L.A Guns e Backyard Babies.
Nel 2015 Grave da inizio alla sua carriera solista con un ep acustico di cinque brani dal titolo Faith, gira alcuni video ed inizia a registrare In The Mirror Of Soul presso i DGM Studios in compagnia di Federico Fresi alle chitarre e del fido Gabriele Oggiano.
L’album è un viaggio emozionale nell’hard rock melodico, formato dai cinque brani riarrangiati del precedente ep più altri cinque nuovi di zecca, che vanno a comporre un’opera molto matura dove le semi ballad la fanno da padrone, senza però risultare un’opera mielosa, in quanto non mancano elettrizzanti canzoni hard rock ed il livello del songwriting rimane per tutta la durata ad un livello alto, colmo di atmosfere intimiste e dall’ottimo input emozionale.
Il sound richiama l’hard rock americano con in testa i Bon Jovi, da sempre influenza primaria di Grave, che riesce nella non facile impresa di donare un tocco personale e maturo alla fonte musicale da cui la sua musica si disseta rendendola elegante e raffinata.
Dotato di una voce passionale come la sua musica, Grave ci invita all’ascolto di questo lavoro con Welcome To My Madness, brano perfetto per entrare nel mondo di questo lavoro, grintosa ma con un tocco melodico che risulta la carta vincente del sound proposto, mentre le semiballad prendono in mano l’album già dal bellissimo trittico When The Candle Is Burning, Faith e Melancholy.
Attracted by The Anger ci riporta al rock statunitense di matrice ottantiana, con un ottimo refrain da cantare sotto il palco, così come la metallica Reflection Of The Vampire, mentre Fragile Heart e l’acustica Tears Of Flames lasciano che l’atmosfera malinconica e cantautorale di cui è pervaso l’album ritorni a far braccia nei nostri duri cuori da rockers.
Tracy Grave, nel frattempo, si è contornato di una manciata di musicisti formando una band a tutti gli effetti: lo aspettiamo on stage per assaporare dal vivo tutte le sfumature e le calde emozioni che la sua musica sa offrire e che lui ha chiamato Grave Rock.

TRACKLIST
1.Welcome To My Madness
2.When The Candle Is Burning
3.Faith
4.Melancholy
5.Rise Again
6.I Will Be There
7.Attracted By The Anger
8.Fragile Heart
9.Reflection Of A Vampire
10.Tears Of Flames

LINE-UP
Tracy Grave – Singer, Soulwriter
Sham – Guitar
Emy Mad – Drums
Joe Tuveri – Bass
Mr. Zed – Guitar

TRACY GRAVE – Facebook

Snakewine – Serpent Kings

Otto brani micidiali e perfettamente bilanciati tra metal, hard rock ed una forte attitudine rock’n’roll.

Questo adrenalinico gioiellino di heavy/hard rock è il debutto dei Snakewine, quartetto tedesco proveniente da Saalfeld che approda con un po’ di ritardo sulle pagine di Iyezine.

Fondato nel 2014, lo scorso anno il gruppo approda al debutto tramite Phonector con questi micidiali otto brani perfettamente bilanciati tra metal, hard rock ed una forte attitudine rock’n’roll.
Tanto groove nelle ritmiche, solos dinamitardi che fanno l’occhiolino tanto allo street metal ottantiano quanto all’hard rock classico ed una verve motorheadinana, che non manca di aggiungere pepe ad un lotto di brani divertentissimi e tremendamente live.
Ed è proprio on stage che il sound del gruppo da il meglio di sé, le songs risultano perfette per un ambito in cui il rock ritrova la sua vera natura, sguaiato, debordante ed irresistibile, aiutato non poco dall’appeal di brani estremamente inyourface.
Registrato, mixato e masterizzato da Niklas Wenzel, Serpent Kings deflagra letteralmente, carico di un forte impatto rock’n’roll, che la voce maschia e graffiante del singer Ronny Konietzko rende aggressivo e perfetto per i fans dell’hard & heavy.
Grande prova della sezione ritmica, un muro di cemento armato hard rock (Sebastian Welsch al basso e Buddha a picchiare come un forsennato sulle pelli del suo drumkit) ed esplosiva risulta la sei corde di Frank Vogel, sanguigna come nel southern blues di cui è rivestita Double Barreled, cattiva e tagliente nei molti assoli dall’impronta metallica.
Non ci sono ballad in Serpent Kings, se volete conquistare la vostra donzella dovrete rivolgervi altrove, qui si brucia di passione, niente romanticismi, accoppiatevi senza freni inibitori al ritmo di The Devil You Know, della Ac/Dc oriented Breathtaker o dalla potentissima Mean Machine.
Motorhead, Ac/Dc, un pizzico di street metal, tanto impatto alla Danko Jones ed il vino di serpente che scenderà nelle vostre gole, vi rendernno dipendenti e non potrete più farne a meno, consigliato senza riserve.

TRACKLIST
1.Breathtaker
2.Son Of a Gun
3.Brood Of Vipers
4.Mean Machine
5.Serpent Kings
6.Double Barreled
7.The Devil You Know
8.Swipwrecked

LINE-UP
Ronny Konietzko-Vocals
Frank Vogel-Guitars
Sebastian Welsch-Bass
Buddha-Drums

SNAKEWINE – Facebook

M.I.L.F. – More Than You

Divertente, a tratti esuberante, rock’n’roll perfetto per scatenati party, il sound del gruppo fiorentino non risulta una rivisitazione nostalgica dei fasti dei gruppi storici e, pur con le influenze in cui si specchia, la freschezza che emana non può che risultare determinante per la sua buona riuscita.

L’acronimo M.I.L.F. potrebbe far pensare a conturbanti donne mature alla ricerca di sollazzi con giovani toy boy, insegnanti preparatissime della sublime arte del sesso, magari accompagnate nelle loro prestazioni dalla colonna sonora composta da queste undici trascinanti hard rock/glam/street songs che compongono More Than You, primo lavoro sulla lunga distanza del gruppo toscano fondato a Firenze nel 2010 con all’attivo un ep autoprodotto e che arriva alla pubblicazione di questo primo full length grazie alla label Buil2KillRecords.

Invece M.I.L.F. sta per Make It Long ‘n Fast e la musica prodotta riconduce senza mezzi termini all’hard rock stradaiolo, ispirato agli eroi del Sunset Boulevard, con un pizzico di punk rock e ritmiche che a tratti prendono ispirazione dalla famiglia Young più famosa del rock.
Divertente, a tratti esuberante, rock’n’roll perfetto per scatenati party, il sound del gruppo fiorentino non risulta una rivisitazione nostalgica dei fasti dei gruppi storici e, pur con le influenze in cui si specchia, la freschezza che emana non può che risultare determinante per la sua buona riuscita.
Ed infatti, dopo l’intro, il riff su cui si struttura Let Me Believe ci scaraventa ai bordi del palco a sbattere natiche e riempire le nostre gole di birra in un selvaggio party rock, che continua imperterrito con la title track, elettrizzante rock song dal piglio punk assolutamente irresistibile.
Let’s go è un altro rock’n’roll ipervitaminizzato trascinante, mentre Thief of Love risulta una ballatona che si trasforma in un mid tempo, ma sono le armonie acustiche di Beach Blues che ci portano sulle assolate spiagge della California, tra bikini e voglia di surf.
Un riff alla Ac/Dc ci introduce all’elettrizzante Dancing Savage, con finale sulla corsia di sorpasso con tre songs irresistibili come Hang On, Midnight e la conclusiva Can’t Stop.
More Than You risulta un ottimo lavoro, il genere è quello, perciò se cercate l’originalità in album come questo avete sbagliato indirizzo: i M.I.L.F. si divertono e fanno divertire e tanto basta, in fondo it’s only rock’n’roll.

TRACKLIST
01. Prelude
02. Let Me Believe
03. More than You
04. Don’t Care
05. Let’s Go
06. Thief of Love
07. Beach Blues
08. Dancing Savage
09. Hang On
10. Midnight
11. Can’t Stop

LINE-UP
Matt Lombardo – Lead Vocals, Keyboards
Zip Faster – Lead Guitar
Ciccio – Guitar, Acustic Guitar, Backing Vocals
Dani – Bass
Toby Alley – Drums, Backing Vocals

M.I.L.F. – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=uPJbhMLRqkE

Axel Rudi Pell – Game Of Sins

Axel Rudi Pell è un punto fermo della nostra musica preferita e Game Of Sins l’ultimo regalo a chi, imperterrito, lo segue dal lontano 1989

Cosa scrivere di un album targato Axel Rudi Pell che non sia già stato detto in occasione dell’uscita dei suoi ben sedici album, in ventisette anni di onorata carriera nel mondo dell’hard & heavy?

Niente di più di quello che poi ne è il reale valore, al netto delle critiche che si possono fare all’axeman tedesco, cioè di ripetere la stessa formula album dopo album, ma d’altronde cosa si può volere di più dal buon Pell se non un altro ennesimo tuffo nelle atmosfere classiche di reminiscenze Rainbow?
Il vero erede di Ritchie Blackmore torna in compagnia del sommo Johnny Gioeli, uno dei singer più sottovalutati dell’intera scena hard rock, ma straordinario interprete del sound epico e nobile del gruppo con il diciassettesimo lavoro, questo epico Game Of Sins.
Contornato da una formazione di super professionisti delle note metalliche come il mastino Bobby Rondinelli alle pelli, l’ex Rough Silk Ferdy Doernberg ai tasti d’avorio e Volker Krawczak al basso, il duo tedesco/statunitense fa spallucce ai detrattori e rifila una serie di brani che ancora una volta risultano un’apoteosi di suoni hard & heavy, ispirati all’arcobaleno più famoso della storia del rock e alla scena ottantiana, una goduria di atmosfere epiche che faranno la gioia dei rockers d’annata.
La sei corde di Pell ovviamente è la protagonista assoluta con riff rocciosi, solos iper melodici e quel taglio blackmoriano che, come detto ha fatto del chitarrista di Bochum il suo più illustre erede, fuori dal neoclassicismo debordante e molto spesso noioso di Malmsteen e funzionale al songwriting dei vari album che, con poche negative eccezioni, hanno contribuito alla storia del genere.
Non si può fare a meno di notare l’ottima prova di un Gioeli sempre più coinvolto nella musica del gruppo, interpretativo, melodico e sempre più a suo agio nel rinverdire i fasti di Ronnie James Dio, mentre la raccolta di brani che formano la track list di Games Of Sins non hanno cedimenti, almeno fino alla conclusiva cover di All Along The Watchtower, brano famoso dalle versioni di Hendrix, Bob Dylan ed U2, ma troppo lontano dalle corde della band tedesca.
Niente di male: l’epica title track, la metallica e debordante Fire, la ruvida Sons Of The Night e la stupenda The King Of Fools impreziosiscono questo ottimo lavoro, l’ennesima prova sopra le righe di un musicista che, se per molti pecca di originalità, lascia sul campo i cadaveri di molti giovani gruppi dediti all’hard & heavy vecchia scuola.
Axel Rudi Pell è un punto fermo della nostra musica preferita e Game Of Sins l’ultimo regalo a chi, imperterrito, lo segue dal lontano 1989; per i vecchi fans un lavoro imperdibile, anche se lo consiglio pure ai giovani metallari dai gusti classici, magari accompagnandolo all’ascolto dei lavori precedenti.

TRACKLIST
01. Lenta Fortuna (Intro)
02. Fire
03. Sons In The Night
04. Game Of Sins
05. Falling Star
06. Lost In Love
07. The King Of Fools
08. Till The World Says Goodbye
09. Breaking The Rules
10. Forever Free
11. All Along The Watchtower (Bonus Track)*

LINE-UP
Axel Rudi Pell – Guitar
Johnny Gioeli – Vocals
Ferdy Doernberg – Keyboards
Volker Krawczak – Bass
Bobby Rondinelli – Drums

AXEL RUDI PELL – Facebook

Ciconia – Winterize

Un album che, pur tra qualche imperfezione, convince e lascia nell’ascoltatore la sensazione di essere al cospetto di una band con ancora molti margini di miglioramento.

L’affascinante bootleg che accompagna il cd ci mostra attimi di vita di un borgo perso tra le montagne delle Sanabria, nella Spagna nordoccidentale molti anni fa: sono immagini poetiche di gente semplice assolutamente fuori dal nostro modo di vivere, mentre la musica descrive note progressive tra l’armonia suadente ed intimista che fuoriesce dagli strumenti acustici e l’irruenza del metal più sofisticato, ma a suo modo aggressivo, così da conferire all’album umori diversi tra bianco e nero, luce ed ombra, semplicità e complessità.

Winterize è il secondo lavoro degli spagnoli Ciconia (il primo album The Moon Sessions è targato 2014), band proveniente da Valladolid, il sound proposto è un rock/metal strumentale ed influenzato da esponenti diversi del fare musica progressiva, passando dal classico sound alla Liquid Tension Experiment, a quello più oscuro degli Opeth, fino a raggiungere intimisti lidi rock dove ad aspettarci ci sono Porcupine Tree ed Anathema.
Più di un’ora di musica in cui gli strumenti creano le atmosfere cangianti di cui sopra, Winterize risulta una lunga suite divisa in dieci capitoli, tra maschia e tecnicamente ineccepibile elettricità e momenti di ottime soluzioni acustiche dal sapore folk, ma dure nel loro mood, come la vita in montagna.
La musica del trio spagnolo (Jorge Fraguas al basso, Javier Altonaga alla chitarra e Aleix Zoreda alle pelli) si specchia poco nel tecnicismo, lasciando al valore del songwriting tutti i pregi di quest’opera strumentale, che risulta ostica solo per la lunga durata e l’impegno che l’ascoltatore deve assolutamente mettere sul conto al primo approccio con la musica in essa contenuta, ma che diventa perfettamente leggibile man mano che gli ascolti si intensificano.
Limbus, The Forgotten e i sedici minuti conclusivi della mini suite Towards the Valley si compongono dei migliori momenti del disco, un album che, pur tra qualche imperfezione (alcune slegature tra le varie atmosfere), convince e lascia nell’ascoltatore la sensazione di essere al cospetto di una band con ancora molti margini di miglioramento.

TRACKLIST
1. Snowfields
2. Eloina’s Inn
3. Limbus
4. Scarsman
5. The Forgotten
6. A Wolf Never Comes Alone
7. Reel of Trevinca
8. Forestwalk
9. Fiadeiro
10. Towards the Valley

LINE-UP
Jorge Fraguas – Bass
Javier Altonagae – Guitars
Aleix Zoreda – Drums

CICONIA – Facebook

Ingloriuos – Inglorious

Inglorious è semplicemente un disco bellissimo, cantato a meraviglia e con un lotto di songs una più bella dell’altra, lasciate i vecchi dischi ormai consumati sullo scaffale e buttatevi tra le note di questi nuovi eroi dell’hard rock

Premessa: l’hard rock di stampo settantiano è tornato a mietere vittime, i gruppi che si rifanno ai suoni vintage non si contano più sulle dita di una mano, ma colmano con i loro cd gli scaffali dei negozi specializzati alla dicitura rock, ed il primo lavoro degli Inglorious ne è un altro ottimo esempio.

Un bene o un male? Meglio ascoltare i soliti vecchi classici o i loro più legittimi figli che, rifacendosi alla tradizione accompagnano il genere nel nuovo millennio?
Il sottoscritto tifa senza ritegno per le nuove leve, musicisti straordinari protagonisti di album bellissimi, molte volte criticati a prescindere, ma in grado di regalare hard rock sanguigno, figlio del blues, emozionando non poco.
Robert Plant, Ian Gillan, David Coverdale e Paul Rodgers, prendete i quattro dei dell’hard blues, mischiate le loro ugole ed avrete più o meno trovato il segreto della stupenda voce di Nathan James, ex-Trans-Siberian Orchestra ed ex-Uli Jon Roth band e capitano di questa macchina blues hard rock che con il suo primo, omonimo e bellissimo lavoro vi trascinerà nel decennio settantiano tra la musica dei gruppi di cui i quattro cantanti sono stati, ed un paio lo sono ancora, i frontman.
Un album che rasenta la perfezione, pregno di sudore e voglia di emozionare, dove l’hammond torna protagonista, così come i riff (pesantissimi in alcuni casi) che si riempiono di un’anima blues, sporca, cattiva ma a tratti dolcemente disperata, come nella miglior tradizione del genere.
Nathan James è però il protagonista indiscusso, interpretativo, dotato di un talento immenso nel far rinverdire i fasto dei leoni che ruggivano nei microfoni di album fondamentali per lo sviluppo della musica hard rock come Led Zeppelin II, In Rock, Love Hunter o Bad Company e sentire per credere, fate scorrere il cd fino alla traccia otto così che You’re Mine possa convincervi di che pasta è fatto il ragazzo.
Ma Inglorious vive anche di grande musica, fin dall’opener Until I Die, dove l’hammond crea la giusta atmosfera, prima che le sei corde esplodano in un tripudio di suoni purpleiani, dure, pesantissime ed accompagnate da una ritmica che non rinuncia al groove, immancabile nei lavori di questi anni e colpevole di rinfrescare il giusto la proposta del gruppo.
Si corre veloci con l’adrenalinica Breakway, mentre un riff alla Page introduce il primo colpo da manuale High Flying Gypsy mentre, poi, arriva come un fulmine a ciel sereno il blues tragico di Holy Water ed un altro pezzo di bravura di James, che interpreta il brano con la magia giusta per una canzone che emoziona come solo la musica del diavolo sa fare, bissata da quel monolito hard rock che risulta la seguente Warning.
E si va veloci, i brani si susseguono con la band che non fa mancare armonie folk dal flavour zeppeliniano, altre bombe rock che detonano nei nostri padiglioni auricolari, con la già citata You’re Mine, Inglorious ed il ballatone Wake a distruggere come virus ogni nostra difesa immunitaria.
Inglorious è semplicemente un disco bellissimo, cantato a meraviglia e con un lotto di songs una più bella dell’altra, lasciate i vecchi dischi ormai consumati sullo scaffale e buttatevi tra le note di questi nuovi eroi dell’hard rock, c’è da divertirsi.

TRACKLIST
01. Until I Die
02. Breakaway
03. High Flying Gypsy
04. Holy Water
05. Warning
06. Bleed For You
07. Girl Got A Gun
08. You’re Mine
09. Inglorious
10. Wake
11. Unaware

LINE-UP
Nathan James – Vocals
Andreas Eriksson – Guitars
Wil Taylor – Guitars
Colin Parkinson – Bass
Phil Beaver – Drums

INGLORIOUS – Facebook

Shakra – High Noon

Lasciate l’inutile ed assurda ricerca dell’originalità a tutti i costi, qui siamo nel mondo dell’hard rock e basta avere talento per creare un gran lavoro, e la band svizzera ne ha da vendere.

Chi è abituato a leggere i miei deliri su iyezine riguardanti il metal estremo, non sa quanto il mio cuore batta per l’hard rock, che sia quello stradaiolo proveniente dal nuovo continente o quello classico o denominato da molti addetti ai lavori più quotati del sottoscritto, hard & heavy, e che, nel centro Europa ha dati i natali alle mie band preferite.

E’ chiaro che gli anni a cavallo tra il periodo settantiano ed i rimpianti anni ottanta sono ormai passati da un pezzo, ma lo spirito del rock arcigno non ha perso la sua foga e la sua voglia di far male a suon di rock’n’roll ipervitaminizzato da sei corde di stampo heavy, ed è così che vive e si rigenera per mezzo di artisti e band in ogni parte del mondo.
Suoni classici, magari per vecchi rocker attempati diranno in molti, ma irresistibili per chi ha vissuto decenni in compagnia delle note elettrizzate di una chitarra, in qualche cantina nascosta alle mode ed al music biz.
Centro Europa, la culla dell’hard rock nel vecchio continente, madre che nel suo nido ha nutrito gruppi che sono entrati di diritto nella storia del rock, continua a regalare band e opere che in questi anni di suoni modernisti hanno portato l’hard rock nel nuovo millennio, grazie anche a realtà provenienti da paesi all’apparenza fuori dal circuito musicale che conta ma importantissimi nello sviluppo della nostra musica preferita, come la Svizzera.
Con una carriera all’ombra dei Gotthard, gli Shakra possono vantare una discografia di tutto rispetto che dal 1998 si è sviluppata su dieci lavori sulla lunga distanza compreso questo ultimo e bellissimo High Noon, album che vede il ritorno dietro al microfono dello storico vocalist Mark Fox.
High Noon chiarisce una volta per tutte il valore del gruppo di Berna, per molti considerato un outsider ma che nulla ha da invidiare ai più famosi connazionali, band con la quale i paragoni sono inevitabili.
Le vocals ruvide ma dall’appeal elevatissimo di Fox, non lontane dal compianto Steve Lee, ed un songwriting esplosivo fanno di questa nuova prova un album di hard rock classico sopra le righe, le sei corde conducono la danza tra ritmiche grintose, tenendo sempre tra le briglie del sound un gustoso mood Aor che si traduce in irresistibili melodie, e High Noon coinvolge con un lotto di brani piacevoli e trascinanti tra tradizione hard & heavy (Scorpions), riff di grondante rock colmo di groove e refrain melodici.
La band piazza il primo hit con il singolo Hello, ma l’hard rock degli Shakra trova il suo massimo sfogo nelle tirate Into Your Heart, Is It Real e The Storm, mentre la super ballatona Life’s What You Need stempera il mood hard & heavy di questo lavoro.
Chitarre che si incendiano, qualche passaggio dove lo spirito dell’hard blues settantiano fa capolino e tanto groove sono le maggiori virtù di un altro notevole lavoro targato Shakra; lasciate l’inutile ed assurda ricerca dell’originalità a tutti i costi, qui siamo nel mondo dell’hard rock e basta avere talento per creare un gran lavoro, e la band svizzera ne ha da vendere.

TRACKLIST
01. Hello
02. High Noon
03. Into Your Heart
04. Around The World
05. Eye To Eye
06. Is It Real
07. Life’s What You Need
08. The Storm
09. Raise Your Hands
10. Stand Tall
11. Watch Me Burn
12. Wild And Hungry

LINE-UP
Mark Fox – Vocals
Thom Blunier – Guitars
Thomas Muster – Guitars
Dominik Pfister – bass
Roger Tanner – Drums

SHAKRA – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=vO2uG8ZFzHs

Head Of The Demon – Sathanas Trismegistos

Gli svedesi Head Of The Demon sono un gruppo che porta avanti tematiche occulte attraverso la musica, e bada alla sostanza con un hard rock doom molto bello.

Gli svedesi Head Of The Demon sono un gruppo che porta avanti tematiche occulte attraverso la musica, e bada alla sostanza con un hard rock doom molto bello.

Le oscure vibrazioni scorrono liete e danno una nera energia. Molti gruppi fanno questo genere ultimamente e sono anche con gli Head Of The Demon siamo davvero a cavallo della tigre. Non devono comunicare copiosamente, infatti le canzoni sono 6, ma si carpisce molto bene il tutto. La fretta qui è aliena, e come in una trasmutazione alchemica si va dalla materia allo spirito, e viceversa, sempre rimanendo in ambito assai black. Il gruppo si cela dietro una fitta coltre di mistero e fa bene, perché lasciano parlare i fatti ovvero la musica. Questo lavoro è la logica evoluzione dell’omonimo debutto del 2012, che descriveva adeguatamente la direzione intrapresa dal gruppo svedese. 09c’è materiale per chi vuole ricercare seriamente una via alternativa per spiegare molte cose e molti accadimenti altresì inspiegabili attraverso i normali canoni.
E soprattutto troviamo ottima musica, composta e suonata molto bene davvero.
Ci sono cose oscure che ci guardano e cose oscure che si ascoltano.

TRACKLIST
1. Nox, Est, Lux
2. Armilus Rides… Again!
3. Sathanas Trismegistos
4. Zurvan’s Ordeal
5. Maleficium
6. L.L.L

LINE-UP
José – Bass
Konstantin – Guitars, Bass
Johannes – Guitars, Vocals
Thomas – Percussion

HEAD OF THE DEMON – Facebook

Motörhead – Clean Your Clock

A distanza di pochi mesi dalla scomparsa di uno dei personaggi più importanti di tutto il mondo dell’hard & heavy, e non solo, la UDR immette sul mercato questo live registrato a Monaco di Baviera in due concerti sold out, nel Novembre del 2015.

Lemmy è morto … viva Lemmy …

A distanza di pochi mesi dalla scomparsa di uno dei personaggi più importanti di tutto il mondo dell’hard & heavy e non solo la UDR immette sul mercato questo live registrato a Monaco di Baviera in due concerti sold out, nel Novembre del 2015.
Un ultimo assaggio di quello che la band sapeva dare on stage ai propri fans, anche se dalle registrazioni si evince un Lemmy minato dalla malattia e non in perfetta forma.
Un live comunque all’insegna del rito Motörhead, con il pubblico entusiasta e partecipe, ed un gruppo che non risparmia la sua carica di selvaggio rock’n’roll agguerrito e devastante complice una set list che ne ripercorre la carriera con una sequela di classici da urlo.
Per chi non ha mai visto il grande Lemmy ed i suoi compari on stage, Clean Your Clock rimane comunque un’ottima testimonianza di cosa fosse un concerto del gruppo inglese, ed il carisma che quest’uomo emanava, mentre per chi ha vissuto la musica della band in tutti questi anni, una testimonianza ed un saluto a chi del nostro mondo ne ha fatto un modo quasi religioso di vivere, diventando un esempio per i rockers di tutto il pianeta.
Bomber, Metropolis, Orgasmatron, No Class, Ace of Spades, Lost Woman Blues ed Overkill, insieme ad un’altra dozzina di classici, riempiono le orecchie di musica dura che, dal rock’n’roll parte, gira intorno al pianeta toccando una moltitudine di generi e al rock’n’roll torna, più forte che mai in un’atmosfera da rituale selvaggio, punto di forza delle prove live del trio britannico.
Oltre al cd e dvd, l’etichetta non si è risparmiata e licenzia una versione in blu ray ed un cofanetto da collezione, così che l’opera diventi il miglior tributo possibile ad un’icona della nostra musica preferita.
Mi fermo qui, il tributo a Lemmy da parte di Iyezine è già stato scritto a suo tempo e cadere nello scontato è un attimo: Clean Your Clock non è che un’altra testimonianza dell’eredità lasciata dal musicista inglese, ancor di più se pensiamo a quanto sia stato breve il lasso di tempo trascorso tra questi live e la sua morte.

TRACKLIST
01. Bomber
02. Stay Clean
03. Metropolis
04. When the Sky Comes Looking for You
05. Over the Top
06. Guitar Solo
07. The Chase is better than the Catch
08. Lost Woman Blues
09. Rock it
10. Doctor Rock
11. Orgasmatron
12. Just Cos’ You Got the Power
13. No Class
14 Ace of Spades
15. Whorehouse Blues
16. Overkill

LINE-UP
Ian Fraser Kilmister “Lemmy” – voce, basso
Phil Campbell – chitarra
Mikkey Dee – batteria

MOTORHEAD – Facebook

High Fighter – Scar & Crosses

Questo gruppo ha tutto per sfondare e per avere una carriera duratura e proficua.

Disco di debutto per gli amburghesi High Fighter, gruppo formato nel 2014, con già alle spalle una grande attività live.

Il loro esordio discografico è stato l’ep autoprodotto “ The Goat Ritual “, che ne enunciava al mondo le intenzioni. La loro musica è un gran bell’incontro tra sludge, stoner ed un doom molto energico. Gli High Fighter hanno un tiro molto contagioso e fanno tutto con gran classe, senza mai strafare e senza soluzioni cervellotiche. Attraverso stili difficili ma altamente conciliabili, i tedeschi sfornano un gran disco fatto di energia moderna e combustibile antico, e i riferimenti vengono rielaborati per dare più forza al tutto. L’ascoltatore è trascinato al centro di un vortice che gira intorno alla fantastica voce della cantante Mona. Intorno a lei tutto il gruppo compie splendidamente il proprio dovere, con un musica pesante fatta con il cervello. Che non sia un gruppo comune lo si può anche desumere dal fatto che l’esordio esca su Svart, e che lo stesso sia mixato e masterizzato da Toshi Kasai (Melvins, Big Business ), dopo essere stato registrato negli studi dove sono passati gli Ahab ed altri. Questo gruppo ha tutto per sfondare e per avere una carriera duratura e proficua. Il debutto è già ottimo.

TRACKLIST
1) A Silver Heart
2) Darkest Days
3) The Gatekeeper
4) Blinders
5) Portrait Mind
6) Gods
7) Down To The Sky
8) Scars & Crosses

LINE-UP
Mona Miluski – vocals
Christian “Shi” Pappas – guitar
Ingwer Boysen – guitar
Constantin Wüst – bass
Thomas Wildelau – drums & backing vocals

HIGH FIGHTER – Facebook

Jeff Angell’s Staticland – Staticland

Staticland conferma il valore di questo talentuoso musicista statunitense e si rivolge agli amanti del rock americano, ancora una volta portato agli onori della cronaca da uno dei suoi più fedeli figli

Nei meandri del rock americano degli anni novanta molti musicisti hanno vissuto all’ombra delle stelle dell’alternative/grunge, sfuggiti al grande pubblico ma seguiti da chi, non vivendo la musica come moda, ha continuato ad interessarsene delle sorti.

Jeff Angell guarda caso ha iniziato la sua avventura musicale proprio tra le nebbie della piovosa Seattle, con i rockers Post Stardom Depression prima ed in seguito con i The Missionary Position, dove la propria musica comincia ad odorare di blues rock.
Il successo arriva in seguito, complice la collaborazione con Barrett Martin(Screaming Trees, Mad Season), Duff McKagan (Guns’n’Roses),Benjamin Anderson e Mike McCready dei Pearl Jam con cui forma i Walking Papers e comincia a girare per le arene rock supportando Alice in Chains, Jane’s Addiction e Aerosmith.
E’ tempo di un album solista, anche per la pausa forzata del gruppo, così Angell accompagnato dal fido Benjamin Anderson, si mette al lavoro su Staticland debutto della band omonima, lavoro che esplora il mondo del rock partendo dagli anni novanta ed arrivando fino ad oggi in compagnia del blues, genere ispiratore da sempre dell’Angell autore.
Alternative rock, dunque, con uno spirito blues ed una buona dose di musica settantiana, per questa raccolta di songs d’autore, dove la parte elettrica gode di un chitarrismo affilato e sporco, ma la parte del leone la fanno le ballad, struggenti, pregne di nostalgia ma splendidamente americane e con una, neanche tanto velata, sfumatura southern.
Vario così da non lasciare mai l’ascoltatore senza qualche sorpresa, il songwriting di Staticland si aggira come un falco sul mondo del rock, ed in picchiata, azzanna e porta con se un bel po di rock anni settanta (Led Zeppelin, Bad Company), prede dal rock di Seattle (Mad Season), noise (Sonic Youth) e rock’n’roll alternativo (White Stripes).
Non siamo di fronte ad un minestrone di generi, con buona padronanza della materia Angell conquista subito l’ascoltatore e l’album si fortifica, sulle ali del blues rock man mano che i minuti scorrono e le canzoni passano in rassegna con il cuore dell’album formato da tre capolavori, The World Is Gonna Win, Nola I’ll Find You.
Staticland conferma il valore di questo talentuoso musicista statunitense e si rivolge agli amanti del rock americano, ancora una volta portato agli onori della cronaca da uno dei suoi più fedeli figli.

TRACKLIST

1. Everything Is Wrong
2. The Edge
3. Never Look Back
4. Band-Aid On A Bullet Hole
5. Phantom Limb
6. The World Is Gonna Win
7. Nola
8. I’ll Find You
9. High Score
10. If You Only Knew
11. Tomorrow’s Chore
12. Freak
13. The Past Where It Belongs
14. The Cure Or The Curse
15. Let The Healing Begin

LINE-UP

Jeff Angell – vocals, guitar
Benjamin Anderson – keys, bass
Joshua Fant – drums

VOTO
7.80

URL Facebook
http://www.facebook.com/staticland

https://www.youtube.com/watch?v=G0xgliGiNB0

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO
, album che si colloca in un’ottima posizione tra le ultime uscite del genere.

The Answer – Rise 10th Anniversary Edition

Special edition per il decimo anniversario di Rise, splendido esordio degli hard blues rockers The Answer

Di questi tempi si parla tanto di revival, in campo hard rock, delle sonorità settantiane pregne di sanguigno blues rock e con soddisfazione per gli amanti delle sonorità vintage, le band protagoniste di album clamorosi non mancano di certo.

L’hard blues settantiano, con quel tocco moderno nei suoni e nelle produzioni, non manca di regalare opere molto interessanti, ma ad un orecchio attento è già da parecchi anni che i fans dell’hard rock possono avvalersi, oltre ai dischi dei gruppi storici, di nuovi eroi che si affacciano sul mercato con album bellissimi.
Tra questi ci sono sicuramente gli irlandesi The Answer che, con Rise, debuttavano sulla lunga distanza nel 2006.
In dieci anni altri quattro album, con l’ultimo Raise A Little Hell, uscito lo scorso anno, una serie di singoli, ed in mezzo il bellissimo Revival del 2011 a valorizzare una già ottima discografia.
Il decimo anniversario dell’uscita di questo bellissimo esordio il gruppo di rockers irlandesi lo festeggia licenziando questa gustosa special edition, che vede l’album completamente rimasterizzato con l’aggiunta dei demo del 2004, alcune canzoni in versione acustica e remix inediti.
Un ottimo modo per conoscere la band o per assaporare questo bellissimo lavoro di hard blues adrenalinico, fresco ed assolutamente irresistibile in ogni sua parte, composto da un lotto di brani esplosivi che miscelano in modo sapiente le sonorità settantiane con le moderne sfumature di cui si nutre l’hard rock del nuovo millennio.
Irlandesi di nascita, ma americani nell’approccio, i The Answer sono la perfetta via di mezzo tra i Led Zeppelin e i Black Crowes, con il caldo sole delle route a lasciare sull’asfalto un dolcissimo odore di southern rock.
Il primo album del gruppo è uno dei migliori lavori usciti in questo decennio, con il suo chitarrismo alla Page, vocals che si rifanno agli dei dei microfono (Cormac Neeson è il Chris Robinson del vecchio continente) e tanta voglia di blues rock, vitale, energico ed irresistibile; se siete rimasti folgorati dalle ultime uscite di genere, non potete mancare all’appuntamento con il gruppo irlandese.
D’altronde parla la musica e l’opener Under The Sky, seguita da quella Never Too Late che sembra uscita dalle registrazioni di The Southern Harmony and Musical Companion, fungono solo da benvenuto nel mondo The Answer e sono seguite da brani eccellenticome Come Follow Me, il blues di Memphis Water, il riff potentissimo di Into The Gutter (brano alla Ac/Dc era Bon Scott) e l’apoteosi southern di Preachin.
Tra le molte versioni, l’hardbook version composto da due cd ed il doppio vinile sono proposte a dir poco succulente e da non perdere, nel frattempo il gruppo suonerà di supporto a Coverdale ed ai suoi Whitesnake anche in Italia (Pistoia blues), un concerto che si preannuncia imperdibile per tutti i fans dell’hard rock, non mancate.

TRACKLIST
CD1:
(all songs remastered 2016)
1. Under The Sky
2. Never Too Late
3. Come Follow Me
4. Be What You Want
5. Memphis Water
6. No Question Asked
7. Into The Gutter
8. Sometimes Your Love
9. Leavin`Today
10. Preachin`
11. Always

CD2:
1. Under The Sky (2016 new mix)
2. Never Too Late (2004 demo)
3. New Day Rising (2004 demo)
4. Too Far Gone (2004 demo)
5. Preachin` (2004 demo)
6. Always (2004 demo)
7. Tonight (2004 demo)
8. So Cold (2004 demo)
9. Song For The People (2004 demo)
10. Take It Easy (2006 recording)
11. Not Listening (2006 recording, exclusive mix)
12. Keep Believin`(2006 recording)
13. Rise (2006 recording)

LINE-UP
Cormac Neeson – Vocals
Paul Mahon – Guitars
Micky Waters – Bass
James Heatley – Drums

THE ANSWER – Facebook

Buffalo Summer – Second Sun

Se siete veri rockers Second Sun, secondo lavoro dei Buffalo Summer, band britannica ma che si muove agevolmente tra i solchi del rock americano, diventerà uno dei vostri ascolti abituali.

Irresistibile, assolutamente irresistibile, un concentrato di hard rock settantiano, dove il blues ci mette lo zampino e trasforma questi quaranta minuti di musica in una totale e travolgente immersione in quelle note immortali create dal dirigibile zeppeliniano e dai Bad Company, con un pizzico di hard rock metallizzato di scuola Whitesnake e southern alla Lynyrd Skynyrd, vi basta?

Se siete veri rockers Second Sun, secondo lavoro dei Buffalo Summer, band britannica ma che si muove agevolmente tra i solchi del rock americano, diventerà uno dei vostri ascolti abituali.
Il gruppo gallese torna un album di rock come si faceva un po’ di anni fa, composto in primo luogo da belle canzoni dai ritmi trascinanti e dai riff corposi, pregni di quel groove, figlio del blues ma amico, molto amico, del sound con cui si muovono le band odierne.
Poi, quando la sei corde di Jonny Williams si mette il cinturone ed il cappello da cowboy (Levitate), i brividi scorrono lungo la pelle come l’acqua nel letto del Mississipi, ed il gruppo britannico si trasforma in una rock’n’roll band sudista da applausi.
Un quartetto che vede, oltre all’axeman, Andrew Hunt a rinverdire i fasti della coppia Plant/Rodgers, ed una sezione ritmica che più sanguigna non si può (Darren King al basso e Gareth Hunt alle pelli).
Difficile trovare una canzone che non vi farà saltare dal vostro divano in preda a convulsioni rockettare, presi e sballottati da brani micidiali come la coppia d’apertura Money/Heartbreakin’ Floorshakin’, stupendi affreschi di hard rock blues, mentre la zeppeliniana As High As The Pines risulta una clamorosa song dal mood settantiano.
Non rimane per voi che fare spallucce a qualsivoglia istinto modernista e buttarvi nelle atmosfere impolverate dalla sabbia che si alza al passaggio di questa tromba d’aria rock southern blues, partita dal Galles, passata per gli States e ormai al massimo della sua forza nel far danni in tutto il globo.
Il riff di Priscilla è più di quanto vicino agli zep in versione southern si possa immaginare, così come la conclusiva Water To Wine profuma di strade da percorrere con il sole negli occhi e la voglia di rock’n’roll style.
Prodotto da Barret Martin (Screaming Trees, Queens Of The Stone Age), Second Sun è un album bellissimo, che raccoglie l’eredità del sound delle band storiche di cui si nutre e lo porta con forza e fierezza nel nuovo millennio.

TRACKLIST
1.Money
2.Heartbreakin’ Floorshakin’
3.Make You Mine
4.Neverend
5.As High As The Pines
6.Light Of The Sun
7.Levitate
8.Into Your Head
9.Little Charles
10.Priscilla
11.Bird On A Wire
12.Water To Wine

LINE-UP
Jonny Williams-Guitar
Andrew Hunt-Vocals
Darren King-bass
Gareth Hunt-drums

BUFFALO SUMMER – Facebook

Black Rainbows – Stellar Prophecy

I Black Rainbows, con un talento spropositato per l’hard rock vintage e le sonorità settantiane, prendono il meglio da quel magico periodo e lo drogano con lo stoner rock creato dalle generazioni cresciute negli anni novanta

E’ ora di dare a Cesare quel che è di Cesare, in questo caso è venuto il momento di spazzar via il vostro provincialismo quando si parla di rock per dare la giusta importanza ad una scena italiana che ormai può tranquillamente guardare dall’alto molte realtà europee ed andare a braccetto con quelle britanniche e statunitensi.

A ribadire lo stato di grazia del rock nazionale ci pensano i romani Black Rainbows, ormai da più di dieci anni in giro con il loro rock psichedelico contaminato da elettrizzante stoner; la band, attiva dal 2005, è giunta al quinto lavoro sulla lunga distanza, un viaggio lisergico nel mondo delle sette note, iniziato con Twilight in the Desert del 2007, per proseguire con Carmina Diabolo del 2010, Supermothafuzzalicious!! del 2011, ed il bellissimo Hawkdope dello scorso anno, con in mezzo un ep, due split ed un singolo.
Vi ho elencato tutta la discografia perché sono sicuro che, se non conoscete il gruppo capitolino e siete amanti del genere, dopo l’ascolto di questo ultimo lavoro farete di tutto per rifarvi del tempo perduto, ed ascoltare tutta la musica prodotta da questo trio di psychedelic rockers nostrani.
Giuseppe Guglielmino (basso), Alberto Croce (batteria) e Gabriele Fiori (chitarra, voce e tastiere), con un talento spropositato per l’hard rock vintage e le sonorità settantiane, prendono il meglio da quel magico periodo (Hawkwind, MC5, Led Zeppelin, Black Sabbath) e lo drogano con lo stoner rock creato dalle generazioni cresciute negli anni novanta come Monster Magnet, Kyuss, QOTSA: ne esce un sound che può tranquillamente essere considerato un viaggio nella musica rock dalle connotazioni space e psichedeliche, dove perdere la strada che riporta alla realtà spazio temporale è facile e pericolosissimo.
Electrify e Woman ci introducono al meglio nel mondo di Stellar Prophecy: l’opener è un brano diretto, molto rock’n’roll, mentre con Woman si entra nel mondo di Black Sabbath e Hawkwind.
Golden Widow regala undici minuti di pura psichedelia space, una danza lisergica tra le stelle, una lunga passeggiata tra le scie di supernova in caduta libera, nella galassia che si apre nelle menti sotto l’effetto di sostanze illegali, il primo dei due brani capolavoro che può vantare Stellar Prophecy.
Evil Snake, It’s Time To Die e Keep The Secret tornano all’hard rock stonerizzato, sempre accompagnate da chitarre ipersature, una perfetta amalgama tra MC5, Monster Magnet e Kyuss e ci preparano al secondo capolavoro, la conclusiva The Travel, un crescendo emozionale allucinante, quasi dieci minuti di apoteosi psych/stoner/doom lisergico da infarto, un incubo elettrico di enormi proporzioni, la colonna sonora della caduta di un asteroide sulla terra.
Stellar Prophecy si conclude così, con il vocalist che cammina sulle macerie, in un paesaggio diventato lunare, splendido ed emozionante finale di un disco stupendo, fatelo vostro.

TRACKLIST
1. Electrify
2. Woman
3. Golden Widow
4. Evil Snake
5. It’s Time To Die
6. Keep The Secret
7. The Travel

LINE-UP
Giuseppe Guglielmino – Bass
Alberto Croce – Drums
Gabriele Fiori – Vocals, Guitars, Keyboards

BLACK RAINBOWS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=Po3b3qW4Xck

Vardis – Red Eye

Un gradevole tuffo nel passato, anche se non mancano motivi per apprezzarlo sia nel presente che nel futuro

Il trio proveniente dal Regno Unito, composto oggi dal talentuoso chitarrista/cantante Steve Zodiac e dalla sezione ritmica che vede Joe Clancy alle pelli e Martin Connolly al basso (che ha sostituito dopo l’uscita dell’abum Terry Horbury, putroppo scomparso lo scorso dicembre), può tranquillamente essere considerato un gruppo storico del metal/rock ottantiano anche se discografia non è così colma di full length (Red Eye è il quarto) in quanto la band ha interrotto le uscite discografiche per un lungo periodo tra il 1986 ed il 2015.

L’attività è iniziata nel lontano 1979 e la prima metà del decennio successivo ha visto i Vardis impegnati nel produrre tre lavori su lunga distanza, The World’s Insane nel 1981, Quo Vardis l’anno dopo e l’ultima prova nel 1986, quel Vigilante che rimase per molto tempo il testamento discografico della band.
Red Eye segna il ritorno sulle scene del trio anglosassone, una macchina di metal/rock dalle forti influenze blues, pregna di micidiale groove e di riff che si modellano su un hard rock tra Ac/Dc e Status Quo.
Rock vecchio stile, insomma, che trasuda rock’n’roll potente e tanto divertimento, affiancato da una componente metallica pescata a piene mani dalla new wave of british heavy metal, genere in cui i Vardis si rispecchiano a sufficienza.
L’album risulta una buona mazzata hard rock, la sei corde, a tratti hendrixiana è l’assoluta protagonista delle canzoni che compongono il lavoro, impetuosa, tremendamente blues ma graffiante quando Zodiac la fa urlare di orgoglio metallico.
Red Eye è un album old school, suonato, cantato e vissuto da musicisti che di anni di musica alle spalle ne hanno da vendere, e le sanguigne Paranoia Strikes, The Knowledge, l’irresistibile di Back To School e l’ammiccante Head Of The Nail, brano che porta Angus Young a suonare negli Status Quo, non potranno che far luccicare di nostalgia gli occhi a chi, a dispetto degli anni, hanno ancora voglia di sentire del sano rock.
L’album prende quota quando il vecchio blues prende le redini del sound e ne escono brani travolgenti come Hold Me, un ritorno nelle strade polverose in cui i fantasmi del passato vi prenderanno per mano accompagnadovi davanti a chi offre il successo in cambio della dannazione eterna.
Detto della produzione perfetta e corposa, della sezione ritmica che asseconda il chitarrista con una prova tutta grinta e sudore, ed un lotto di brani che si mantengono di buon livello, non mi rimane che consigliarvi questo tuffo nel passato, anche se i motivi non mancano per apprezzarlo sia nel presente che nel futuro.

TRACKLIST
1. Red Eye
2. Paranoia Strikes
3. I Need You Now
4. The Knowledge
5. Lightning Man
6. Back to School
7. Jolly Roger
8. Head of the Nail
9. Hold Me
10. 200 M.P.H.

LINE-UP
Steve Zodiac -Guitar, Voice
Joe Clancy – Drums
Terry Horbury – Bass

VARDIS – Facebook

White Miles – The Duel

The Duel esalta il talento dei due musicisti d’oltralpe, attirando a sé chi segue le sorti del rock del nuovo millennio, sempre più vivo a dispetto di chi da anni gli sta scavando la fossa.

Con il nome che ricorda i famosissimi White Stripes, un secondo album (questo The Duel) molto bello ed intenso, ed una storia drammatica da raccontare alle spalle, tornano sul mercato discografico gli White Miles, duo austriaco di dirty pole dance stoner blues rock, come lo chiamano loro, molto più semplicemente di rock blues stonerizzato, acido e moderno.

Un passo indietro è doveroso per raccontare cosa ha riservato il destino per la band: infatti, dopo il primo album (Job: Genius, Diagnose: Madness) il duo partì in tour a supporto di Courtney Love, mentre nel 2015 un’altra grossa opportunità si presentò al gruppo: aprire i concerti per il tour europeo degli Eagles Of Death Metal, ed è così che Medina Rekic (voce e chitarra) e Hansjörg Loferer (batteria e voce) furono testimoni dei tragici fatti del Bataclan di Parigi, uno dei più vili episodi di violenza che il mondo della musica e non solo può annoverare in questo assurdo incubo che stiamo vivendo in questi anni.
Torniamo alla musica suonata e a The Duel, un lavoro con una forte impronta blues, essenziale e scarno, vero e passionale, formato da un lotto di brani che affascinano, così colmi di elettricità drammatica e positiva, un disco che sprizza rock americano da tutti i pori, creato da una band nata nel mezzo delle alpi europee.
Chitarra e batteria, qualche linea di basso ed un gran talento per il genere, sporco e ubriaco di stoner, rende la proposta moderna quanto basta per entrare nei cuori dei fans dell’alternative rock, anche se Sickly Nerves, il bellissimo singolo Crazy Horse, Keep Your Trippin Wild e la stratosferica Insane To The Bone, picco emozionale dell’album, hanno in sé una carica blues rock che trasforma i brani di The Duel in esplosioni di musica del diavolo.
Le voci dei due musicisti si alternano con passionalità, rendendo i brani oltremodo sanguigni, le note che fuoriescono dagli strumenti grondano attitudine rock’n’roll, in un susseguirsi
di emozioni sopra le righe.
The Duel esalta il talento dei White Miles, attirando a sé chi segue le sorti del rock del nuovo millennio, sempre più vivo a dispetto di chi da anni gli sta scavando la fossa.

TRACKLIST
1. Sickly Nerves
2. In The Mirror
3. Crazy Horse
4. Insane To The Bone
5. A Good Pennyworth
6. Coke On A Jetplane
7. A (n) Garde
8. Heid
9. Don’t You Know Him
10. River Of Gold
11. Keep Your Trippin Wild

LINE-UP
Medina Rekic – voce, chitarra
Hansjörg Loferer – batteria, voce

WHITE MILES – Facebook

Rudhen – Imago Octopus

Imago Octopus vede i Rudhen alle prese con il sound che ha reso famoso in tutto il mondo le desolate e aride terre della Sky Valley

Il basso pulsante dell’opener Sorrow For Your Life ci introduce nel mondo dei Rudhen, band che trasforma il nostro nord est (loro sono di Crespano del Grappa, in provincia di Treviso) nell’assolato territorio desertico della Sky Valley.
Nato nel 2013, il gruppo arriva al suo secondo ep, uscito qualche mese fa, non prima di aver dato alle stampe il primo mini cd nel 2014.

Fondati da Luca De Gasperi (batterista) ed Alessandro Groppo (cantante), i Rudhen hanno trovato una line up stabile con l’entrata in formazione di Maci Piovesan al basso e Fabio Torresan alla sei corde.
Imago Octopus vede il quartetto alle prese con il sound che ha reso famoso in tutto il mondo le desolate e aride terre della Sky Valley: il loro sound, lisergico e stonato acquisisce un tocco personale con l’aggiunta di ottime sfumature vintage, pescate dal decennio settantiano.
Si cammina sul territorio americano con un occhio al Regno Unito, in questi cinque brani che compongono Imago Octopus; la gola arida, il passo pesante sotto il sole che toglie il respiro, le visioni allucinate, effetto collaterale di erbe illegali, sono compagni di viaggio in questo tuffo nello stoner, aiutato non poco e in parti uguali, dal rock alternativo e dall’hard rock classico.
Ci si riempie di rabbiose atmosfere elettriche, e pesanti mid tempo dall’andamento altalenante, le songs non risparmiano drammatiche richieste d’aiuto, per ritrovare la strada perduta tra i solchi di Rust, Fliyng To The Mirror, dell’ arrembante Lost ed i ritmi dal sapore orientale della bellissima Arabian Drag.
Non sono pochi i riferimenti che si riscontrano all’ascolto dei brani, non mancano chiaramente i nomi principali della scena stoner americana come Kyuss e QOTSA, ma all’attenzione giungono piacevoli noti sabbathiane ed un velato ma importante richiamo al doom/stoner targato Rise Above (Lee Dorrian docet).
In conclusione un ep che, per gli amanti del genere, sarà sicuramente una piacevole scoperta ed un ottimo ascolto; aspettiamo dunque ulteriori sviluppi, magari con la consacrazione del gruppo sulla lunga distanza.

TRACKLIST
1.Sorrow For Your Life
2.Rust
3.Flying Into the Mirror
4.Lost
5.Arabian Drag

LINE-UP
Alessandro Groppo- Voice
Fabio Torresan- Guitar
Maci Piovesan- Bass
Luca De Gaspari- Drums

RUDHEN – Facebook