Throes Of Dawn – Our Voices Shall Remain

Non resta che raccomandare questo splendido ritorno dei Throes Of Dawn a chi vuole farsi cullare da emozioni che traggono linfa dal passato ma vivono e si sublimano nel presente.

Anche se non lo si dovrebbe fare, viene spontaneo associare le diverse etichette discografiche ad un genere musicale piuttosto che ad altri: nello specifico, dalla Argonauta Records, che annovera nel proprio roster, tra gli altri, autentici “agitatori” musicali quali Nibiru o Sepvlcrvm, ci si aspettano di norma album collocabili in qualche luogo che stia a metà strada tra doom, sludge post metal e sperimentalismi mai fini a sé stessi.

Sorprende non poco, quindi, ritrovare tra le competenti grinfie di Gero, boss della label genovese, la storica band finlandese Throes Of Dawn, visto che nei suoi anni migliori (parliamo dello scorso decennio), aveva dato alle stampe degli splendidi lavori (su tutti Quicksilver Clouds) aventi quale comune denominatore melodie malinconiche inserite all’interno di un tessuto gothic doom/dark. Sorprende ancor di più constatare come, sei anni dopo il leggermente opaco The Great Fleet of Echoes, il gruppo fondato nel 1994 dal vocalist Henri Koivula (oggi anche nella line-up dei magistrali Shape Of Despair) e dal chitarrista tastierista Jani Heinola sia infine approdato ad una forma di progressive dai tratti certamente oscuri, riconducibile in parte agli ultimi Anathema ma dai robusti richiami a sonorità pinkfloydiane.
Lo schema compositivo lo si potrebbe liquidare come semplice e lineare: i brani si aprono in maniera soffusa, spesso rarefatta, lasciando spazio ad arpeggi acustici, tocchi pianistici ed una voce scevra di ogni asprezza, per poi aprirsi irresistibilmente in assoli di matrice gilmouriana, tutti, nessuno escluso, capaci di strappare più di una lacrima a chi ha vissuto in tempo quasi reale le gesta del musicista inglese e della sua ineguagliabile band.
Facile o, ancor peggio, derivativo? No, perché intanto certe sfumature bisogna saperle maneggiare con cura e competenza, ma ciò che più interessa, qui, è l’intensità emotiva che l’album riesce a sprigionare in ogni brano e, a fare la differenza, è soprattutto la predisposizione con la quale l’ascoltatore si avvicina a Our Voices Shall Remain: se si cerca qualcosa che urti, disturbi e ribalti con forza le nostre (poche) certezze consolidate, allora si è decisamente sbagliato indirizzo, mentre non sarà così per chi nella musica ricerca una forma d’arte che sappia commuovere, elevando lo spirito tramite un doloroso processo catartico.
Qui manca, ovviamente, il senso di tragedia evocato dal migliore funeral melodico, ma il turbamento che la chitarra di Jani Heinola riesce a produrre con magistrale continuità porta ad un risultato finale non troppo lontano, lasciando quale eredità tangibile la commozione che prende il sopravvento all’ascolto di brani quali Lifelines, The Understanding e, soprattutto, la conclusiva The Black Wreath of Mind, che chiude magnificamente il lavoro grazie al magico connubio tra le sei corde ed il pianoforte.
Sperando, probabilmente invano, che qualcuno tra gli onanisti del progressive dei bei tempi andati riponga per un attimo la sua copia di Wish You Were Here ingiallita dal tempo e provi a dare un ascolto a Our Voices Shall Remain, non resta invece che raccomandare questo splendido ritorno dei Throes Of Dawn a chi vuole farsi cullare da emozioni che traggono linfa dal passato ma vivono e si sublimano nel presente.

Tracklist:
1. Mesmerized
2. We Used to Speak in Colours
3. Lifelines
4. The Understanding
5. Our Voices Shall Remain
6. One of Us Is Missing
7. The Black Wreath of Mind

Line-up:
Jani Heinola – Guitars, Keyboards
Henri Koivula – Vocals
Harri Huhtala – Bass
Juha Ylikoski – Guitars
Henri Andersson – Keyboards
Juuso Backman – Drums

THROES OF DAWN – Facebook

https://soundcloud.com/argonautarecords/we-used-to-speak-in-colours

Saturna – Saturna

Un gran bel disco per un gruppo che raramente sbaglia, ma che con questo disco omonimo si supera.

I Saturna sono un gruppo di Barcellona che sono stati toccati dalla mano degli dei del rock pesante.

Formati nel 2010 dal bassista Rod per sviluppare insieme a degli amici delle idee musicali, i Saturna sono presto diventati uno dei migliori gruppi musicali di psichedelia rock pesante sulla piazza. La loro musica è un misto di doom, heavy rock e psichedelia, molto suadente e fisica, si sente la musica che occupa un volume, e come dice il loro nome, qui ci sono i dettami dei riti dionisiaci, ci si volge verso Saturno con tutto ciò che comporta. Questo loro terzo disco è forse quello più completo, il suono è sempre sulle stesse coordinate, ma si sente che il loro modo di comporre è cambiato, migliorando ulteriormente. Ascoltando i Saturna ci si immerge in una modernità che certo deve molto alle cose passate, ma che innova con una sapiente personalizzazione del verbo pesante. Le loro canzono sono riti musicali, costruiti con il sentimento della California anni settanta, anzi i Saturna suonano molto meglio di tante band di quel periodo o dei loro epigoni attuali. Le atmosfere sono molteplici e diverse, dal pezzo duro e lungo alla trasmigrazione psichedelica delle anime, ad un certo retrogusto grunge che fa davvero piacere ascoltare. In certi frangenti le tastiere disegnano figure davvero belle, come in Leave It All, canzone davvero notevole e forse la migliore di tutto il disco.
Un gran bel disco per un gruppo che raramente sbaglia, ma che con questo disco omonimo si supera.

TRACKLIST
1.Tired to fight
2.All has been great
3.Birds in cages
4.Five fools
5.Routine
6.Leave it all
7.Unsolved
8.Disease
9.A place for our soul

LINE-UP
Rod: Bass
Oscar: Guitar
Jimi: Vocals / Guitar.
Enric: Drums

SATURNA – Facebook

Darrel Treece-Birch – No More Time

Lasciate per una volta i facili lidi della musica usa e getta e fatevi una passeggiata in riva al mare accompagnati dalle note di No More Time, le emozioni saliranno piano, come la marea.

Darrel Treece-Birch, tastierista dei Nth Ascension e dal 2011 alla corte dei Ten di Gary Hughes, con cui ha inciso gli ultimi tre full length e l’ep The Dragon And Saint George uscito pochi mesi fa, continua la sua carriera solista arrivando con quest’ultimo album alla quinta opera, tutte licenziate nel nuovo millennio.

Il musicista, compositore e produttore britannico si è circondato di ottimi professionisti gravitanti nel mondo del rock melodico e progressivo, dando alle stampe un lavoro senza tempo, che pur mantenendo i crismi di un’opera progressiva, svaria tra le sonorità del rock melodico di classe con picchi emozionali altissimi, qualche pausa dal sapore ambient e tanto gusto pinkfloydiano nelle atmosfere.
In gran parte strumentale, l’album, che sfiora i settanta minuti di musica, richiede non poca concentrazione per essere assimilato, il songwriting di ottima qualità concede pochi momenti facili e tanti punti di introspezione musicale; la copertina che accompagna l’album spiega molto della musica in esso contenuta, lasciando il tempo al suo scorrere o fermandolo per assaporare la pace che le note create da Darrel Treece-Birch sanno donare.
Prodotto dallo stesso musicista nel Regno Unito, No More Time come detto si avvale di numerosi ospiti tra cui Steve Grocott e Dann RosIngana (Ten) e Dan Mitchell alla chitarra, Karen Fell, singer della Gary Hughes Band,  e tre musicisti dei Nth Ascension, Alan Taylor (voce e chitarre), Gavin Walker (basso) e Martin Walker alla sei corde.
Si potrebbe pensare ad un disco improntato su suoni chitarristici, ed in parte le sei corde si danno il cambio tra i brani per colmare il suono di solos che come detto, lasciano sul campo sfumature pinkfloydiane, ma è molto importante nel sound del musicista britannico la componente elettronica, una liquida ed elegante base tastieristica sulla quale i cantanti si danno il cambio, con la splendida Music Of The Spheres (cantata da Karen Fell) a prendersi la scena e salire sul gradino più alto del podio come traccia maggiormente emozionante dell’intero album.
Non ci sono sbavature o imperfezioni in questo lavoro, anche se rimane confinato in un genere di difficile assimilazione, specialmente per gli ascoltatori di oggi, fagocitatori di musica virtuale e poco inclini a dare il giusto tempo alla musica di far breccia nella propria anima.
Poco male, lasciate per una volta i facili lidi della musica usa e getta e fatevi una passeggiata in riva al mare accompagnati dalle note di No More Time, le emozioni saliranno piano, come la marea.

TRACKLIST
1. Nexus Pt1
2. Earthbound
3. Riding the Waves
4. Hold On
5. Requiem Pro Caris
6. Nexus Pt2
7. Twilight
8. Mother (Olive’s Song)
9. Freedom Paradigm
10. Nexus Pt3
11. The River Dream
12. No More Time
13. Legacy
14. Music of the Spheres
15. Return to the Nexus

LINE-UP
Darrel Treece-Birch: Keyboards, Vocals, Bass Guitars, Mandolin, Drums.

Special Guests:
Phil Brown: (Counterparts UK) Acoustic Guitar, Electric Guitar
Steve Grocott (Ten) Electric Guitar
Karen Fell: (Gary Hughes Band) Vocals
Dan Mitchell: (Formerly of Ten) Electric Guitar
John Power: (Counterparts UK) Bass and Fretless Bass Guitar, Acoustic Guitar, Electric Guitar, & Violin
Dann RosIngana: Electric Guitar
Alan Taylor: (Nth Ascension) Vocals, Acoustic Guitar, Electric Guitar
Gavin Walker: (Nth Ascension) Bass Guitar
Martin Walker: (Nth Ascension) Electric Guitar

DARREL TREECE-BIRCH – Facebook

Colour Haze – Live Vol.1 Europa Tournée 2015

Questo disco non è certamente il solito live, ma è la testimonianza delle jam dal vivo, davanti a degli spettatori.

I Colour Haze sono una vecchia conoscenza per chi ama la psichedelia robusta, quella che volentieri si congiunge carnalmente con il rock, preferibilmente l’heavy rock.

Nati nella metà degli anni novanta in Germania, i tre pubblicano il loro esordio Chopping Machine nel 1995, e da quel momento hanno fatto viaggiare molte persone. La loro musica ha la sua ragion d’essere nel live, e questo disco dal vivo lo sottolinea molto bene, catturandone ogni momento in maniera fedele. Dopo molti anni di onorato servizio i Colour Haze non hanno più nulla da dimostrare, e pubblicano questo live per deliziare i fans e anche i neofiti. Live Vol.1 è un album molto armonico, una sorta di grande jam in due lp e tre cd, con pezzi registrati in molti posti, da Parigi a Colonia e Berlino, tutti in ottima fedeltà sonora. I Colour Haze fanno musica da meditazione con la chitarra di Stefan Koglek che conduce le danze, e come un pifferaio magico ammalia il pubblico che lo segue docile e voglioso. Le linee sonore dei tedeschi sono eteree ed influenzate dalla psichedelia anni sessanta, anche se i Colour Haze non sono l’imitazione di nessuno, anzi sono un gruppo seminale. Questo disco non è certamente il solito live, ma è la testimonianza delle jam dal vivo, davanti a degli spettatori, con un modello già ampiamente usato dai Grateful Dead, o dai Gand Funk Railroad, gruppi che hanno molti in comune con i Colour Haze. Viaggiare, liberare la mente grazie ad un suono liberatorio e stimolante, lasciando il ruolo di assoluto protagonista all’ascoltatore, o meglio al suo cervello, che può scivolare via veloce dalle preoccupazione di questo mondo impazzito.
Il primo volume di una serie di dischi dal vivo dei Colour Haze, un gruppo tanto grande quanto umile.

TRACKLIST
1-1 Persicope (Frankfurt)
1-2 Moon (Frankfurt)
1-3 Überall/Call (Frankfurt)
1-4 She Said (Paris)
1-5 Aquamaria (Würzbug)
1-6 To The Highest Gods We Know (Paris)
8 Circles (Paris)
9 Transformation (Berlin)
10 Grace (Berlin)
11 Tempel (Paris)
12 Love (Paris)
13 Peace Brothers and Sisters (Frankfurt)
14 Get It On (Köln)

LINE-UP
Stefan Koglek – Guitar,Vocals
Philipp Rasthofer – Bass guitar
Manfred Merwald – Drums

COLOUR HAZE – Facebook

Ribbons Of Euphoria – Ribbons Of Euphoria

Ne esce un sound che nel suo essere stupendamente vintage mantiene un’originalità concettuale altissima

La Satanath Records, conosciuta come label che supporta principalmente sonorità estreme, stupisce tutti con l’esordio omonimo di questa band greca, un quintetto ateniese che propone un clamoroso progressive rock dalle mille sfumature, un involucro di suoni dai più svariati generi, un affresco di musica rock adulta, straordinariamente matura per una band all’esordio, pronta per diventare quantomeno oggetto di culto per gli appassionati del rock progressivo.

Ribbons Of Euphoria pesca dal meglio che le sonorità dei mostri sacri del genere ci hanno regalato, amalgamando in modo stupefacente progressive rock, hard rock, psichedelia e blues creando un’opera che risulta una sorpresa ad ogni nota, ogni passaggio, ogni cambio di atmosfera che la band usa a suo vantaggio per stupire l’ascoltatore.
Cinque brani per quaranta minuti abbondanti di musica a 360°, cinque clamorosi trip dove le allucinazioni sempre più reali non sono incubi, ma incontri ravvicinati con il rock che ha fatto storia.
Lasciate perdere disquisizioni tecniche che lasciano il tempo che trovano, le varie Incidence Of Truth, la suite prog/psichedelica A Jester And The Queen, la stoner/blues The Druids Are Rising (To The Forefront Once More), la purpleliana Smokin’ N’ Spittin’ e l’acida e liquida Mindful Of Dreams emanano profumo di erbe bruciate in un lento rituale psichedelico, dove il progressive di Yes e Gentle Giant, incontra l’hard rock dei Deep Purple, il rock blues dei Cream e l’era psichedelica dei fab four e li potenzia con cascate di groove e ritmiche sabbathiane.
Ne esce un sound che nel suo essere stupendamente vintage mantiene un’originalità concettuale altissima, una serie infinita di jam che si accavallano, una sopra l’altra una più clamorosa dell’altra in un rituale altamente acido, portando al genere una ventata di freschezza di cui ad oggi ha assolutamente bisogno per non risultare obsoleto.
Parlare di sound fresco dopo aver nominato le band di cui sopra può sembrare un’azzardo, beh cercatevi questo gioiellino, ascoltatelo e poi fatemi sapere … un album che è già un cult!

TRACKLIST
01. Incidence Of Truth
02. A Jester And The Queen
03. The Druids Are Rising (To The Forefront Once More)
04. Smokin’ N’ Spittin’
05. Mindful Of Dreams

LINE-UP
Stavros Zouliatis – vocals, percussion
Thanos Karakantas – bass, backing vocals
Nick Poulakis – guitars, backing vocals
Thanasis Strogilis – drums

RIBBONS OF EUPHORIA – Facebook

High Spirits – Motivator

Inaspettate influenze tradizionali per un musicista conosciuto nel mondo dell’underground per sonorità estreme e sperimentali come quelle suonate con i Nachtmystium.

Gli High Spirits sono la creatura del polistrumentista americano Chris Black, già attivo con un buon numero di band, anche importanti come Pharaoh e Nachtmystium, qui in veste di rocker a tutto tondo.

Fondati gli High Spirits per soddisfare la sua sete di hard rock nel 2009, ha licenziato due full length prima di questo Motivator, Another Night nel 2011 e You Are Here due anni fa, completando la discografia con qualche singolo, un ep e ben due compilation.
La proposta di Black ricalca l’hard rock a cavallo tra gli anni ottanta ed il decennio successivo, con qualche puntata nell’heavy metal britannico, in qualche solos, per il resto rock duro puro e semplice, arioso in alcune parti, più serrato in altre ma ben confezionato.
Intanto la produzione, senza strafare, permette di godere di tutti i dettagli del sound, le sonorità old school a cui Black fa riferimento vengono così valorizzate in toto, il songwriting di buon livello si evince da una raccolta di buone canzoni, orecchiabili, melodiche ma che non mancano di infiammare i cuori dei rockers più attempati.
Di livello i chorus, Black ha un’ottima voce ed imprime verve profusione in brani che ripercorrono la storia dell’hard rock con buona presa ed ottimo appeal.
Mezz’ora scarsa di durata, ma sufficiente senz’altro per tornare e rivivere i fasti della musica dura tradizionale con due o tre brani sopra la media, dalla metallica Reach For The Glory, all’hard rock di Haunted By Love e Down The Endless Road.
Il musicista di Chicago se la cava sia in fase di registrazione che con gli strumenti utilizzati e Motivator lascia ottime sensazioni, senza strafare ma puntando sull’anima più pura e tradizionale della musica dura.
Tra i solchi dell’album ci si aggira per sentieri battuti da UFO, Survivor, Thin Lizzy e Scorpions, inattese influenze tradizionali per un musicista conosciuto nel mondo dell’underground per sonorità estreme e sperimentali come quelle suonate con i Nachtmystium.
Il gruppo ha una buona attività live, dove Black si contorna di ottimi protagonisti della scena, così da non relegare il progetto alla solita one man band da studio, ma donandogli un’identità live, importantissima per mantenerla in ottima salute.

TRACKLIST
1. Up and Overture
2. Flying High
3. This Is the Night
4. Reach for the Glory
5. Do You Wanna Be Famous
6. Haunted by Love
7. Down the Endless Road
8. Take Me Home
9. Thank You

LINE-UP
Chris Black – All instruments, Vocals

HIGH SPIRITS – Facebook

Lacrimas Profundere – Hope Is Here

Gli undici brani offerti dai Lacrimas Profundere vanno a comporre tre quarti d’ora di musica eccellente ed impeccabile per esecuzione e produzione

Quelli diversamente giovani, tra i frequentatori di questa webzine, ricorderanno senz’altro i Lacrimas Profundere come una giovane e promettente band che, negli anni novanta, provò con un certo successo a mettersi in scia delle migliori band del settore gothic death doom.

Il tempo è passato e le sonorità espresse efficacemente con album quali La Naissance d’un Rêve e Memorandum sono state via via abbandonate, per approdare ad un più rassicurante ma altrettanto valido alternative rock che mantiene comunque un ben definito dna oscuro.
Quello preso oggi in esame è l’undicesimo full length della band tedesca, capace di muoversi con destrezza tra umori che si dipanano a cavallo tra Antimatter e Katatonia, con una maggiore propensione però ad aperture più ariose.
Hope is Here è una collezione di brani dal buonissimo valore complessivo, in grado di non far rimpiangere i tempi andati ma, semmai, di rivestire di abiti più ricercati una malinconia che rappresenta pur sempre la base sulla quale poggi il sound dei Lacrimas Profundere.
Della line-up originaria è rimasto solo quello che è sempre stato il vero motore dei bavaresi, il chitarrista Oliver Schmid, il quale oggi si circonda di musicisti più giovani come la coppia ritmica formata dai fratelli Clemens e Christop Schepperle e dal vocalist Rob Vitacca, in possesso di una timbrica calda che ben si addice alle soffici atmosfere proposte, oltre che dal più esperto chitarrista Tony Berger.
Gli undici brani offerti dai Lacrimas Profundere vanno a comporre tre quarti d’ora di musica eccellente ed impeccabile per esecuzione e produzione; gli estimatori della prima ora della band forse faticheranno a digerire un evidente alleggerimento del sound, ma brani davvero ottimi come The Worship of Counting Down, Hope Is Here e Timbre, tanto per citarne solo alcuni, possiedono la caratura necessaria per mettere tutti d’accordo.

Tracklist:
1. The Worship of Counting Down
2. My Halo Ground
3. Hope Is Here
4. Aramis
5. A Million Miles
6. No Man’s Land
7. Pageant
8. You, My North
9. Awake
10. The Path of Broken Homes
11. Timbre
12. Black Moon

Line-up:
Oliver Nikolas Schmid – Guitars
Tony Berger – Guitars
Rob Vitacca – Vocals
Clemens Schepperle – Bass
Christop Schepperle – Drums

LACRIMAS PROFUNDERE – Facebook

Joy – Ride Along!

Se non ci siamo persi nel deserto americano finiremo in dipendenza da Joy, aspettando il prossimo fantastico viaggio tra le note vintage del trio di San Diego.

L’hard rock dalle sonorità vintage e psichedeliche, in questi anni ha trovato molti estimatori ed il fiume di gruppi che inonda il mercato si è diviso in vari torrenti musicali di cui i principali sono quelli che portano al blues ed allo psych rock.

Come da tradizione sono però i gruppi statunitensi quelli che regalano le migliori soddisfazioni, con una serie di realtà dall’alto tasso psichedelico come questo trio di San Diego che di nome fa Joy e che arriva al suo secondo bellissimo lavoro.
Guidato dal chitarrista e cantante Zachary Oakley, anche produttore dell’album, la band si completa con il fantastico batterista Thomas DiBenedetto e dal bassista Justin Hulson, creatori di questo manifesto al psych rock, colmo di sonorità fuzz e sporcato da iniezioni di blues acido.
Oakley fa prodigi con la sua sei corde ricordando non poco il mood hendrixiano e i brani sono caratterizzati da un’aura di jam tipica del genere.
Numerosi sono gli ospiti che intervengono a valorizzare le varie canzoni, tutti musicisti della scena come il drummer Mario Rubacala (Earthless, OFF!), Brendan Dellar, chitarrista dei Sacri Monti e soprattutto quella macchina di riff che risulta Parker Griggs, axeman e leader dei clamorosi Radio Moscow.
Da Misunderstood, passando per Evil Woman e la cover degli ZZ Top Certified Blues, l’album è un trip rock blues psichedelico dall’alto tasso elettrico, la sei corde spara riff saturi, mentre Help Me e Red White And Blues ci aprono la strada per la clamorosa Peyote Blues, song acustica che mischia Led Zeppelin e southern rock in pieno effetto collaterale da funghi allucinogeni, ed il risultato non ci fa smettere di danzare, penzolando in pieno trip settantiano.
Gypsy Mother’s Son conclude il lavoro, il più lungo dei brani raccolti nel disco non può che essere una jam di rock adrenalinico e psichedelico, che ci trascina a suon di watts al gran finale.
Se non ci siamo persi nel deserto americano finiremo in dipendenza da Joy, aspettando il prossimo fantastico viaggio tra le note vintage del trio di San Diego.

TRACKLIST
1. I’ve Been Down (Set Me Free)
2. Misunderstood
3. Evil Woman
4. Going Down Slow
5. Certified Blues (ZZ Top – Cover)
6. Help Me
7. Red, White and Blues
8. Peyote Blues
9. Ride Along!
10. Gypsy Mother’s Son

LINE-UP
Zachary Oakley – Guitar & Vox
Justin Hulson – Bass
Thomas DiBenedetto – Drums

http://www.facebook.com/JOYBANDOFFICIAL”>JOY – Facebook

Eerie – Eerie

Un buon esordio in grado di soddisfare soprattutto gli amanti dell’hard rock con più di un capello bianco sulla ormai rada chioma.

La Tee Pee records presenta il sound di questo gruppo come un ibrido tra il black metal e l’hard rock dai rimandi settantiani, vero in parte anche se a mio parere, oltre alle ritmiche a tratti sferzate da un vento black’n’roll, gli Eerie sono la classica band rock vintage.

E di vintage nell’omonimo debutto del gruppo non manca niente: dalla copertina, alla produzione fino all’attitudine di questi quattro rockers statunitensi che preciso, hanno creato un bel disco di hard rock, psichedelico, irrobustito dalle ritmiche di cui sopra, potenziato da atmosfere sabbatiane e molto stonerizzato.
Un mega trip che dall’opener Hideous Serpent porta la band indietro nel tempo, riprendendo quei canoni stilistici di molte doom rock band (c’è tanto di Sabbath, ma anche di Saint Vitus e Count Raven nel sound), con il cantato evocativo che riempie di atmosfere messianiche i brani (Immortal Rot) e un’aura stoner/psichedelica che sicuramente lascia in un angolo la componente black descritta dalla label.
Poco male perché l’album funziona, il chitarrista Tim Lehi è davvero bravo a costruire un muro di riff e continui solos, urlati in questo nuovo millennio, ma nati tra i solchi dei vinili settantiani, mentre la sezione ritmica tiene il passo con la prova esuberante e varia del drummer Moses Saarni.
Brani medio lunghi come Master Of Creation e la spettacolare Yeti, traccia doom metal hard rockin cui la band trova il perfetto equilibrio tra urgenza metallica, psichedelia e hard rock zeppeliniano, sono il sunto di cosa ci si può aspettare da questi bravi Eerie.
Non fatevi fuorviare, Eerie risulta un buon esordio per il gruppo, ma è in grado di soddisfare soprattutto gli amanti dell’hard rock con più di un capello bianco sulla ormai rada chioma, magari dopo aver trovato in soffitta il vecchio sacchettino di pelle dove una volta nascondevano i loro sogni.

TRACKLIST
1. Hideous Serpent
2. Yeti
3. Master Of Creation
4. Immortal Rot
5. Blood Drinkers

LINE-UP
Tim Lehi – Guitars
Moses Saarni – Drums
Dave Sweetapple – Bass
Shane Baker – Vocals

 

Lateral Blast – La Luna Nel Pozzo

Un ottimo esempio di musica ariosa e sognante, dove il tempo si ferma per darci modo di farci cullare dalle melodie che il gruppo riesce a creare

Accompagnato da un sontuoso digipack, in linea con i lavori progressivi degli anni settanta (opera del pittore bolognese Vito Giarrizzo), esce il secondo album del gruppo romano Lateral Blast, La Luna nel Pozzo.

L’’esordio I Am Free, datato 2014, ha riscosso molti commenti positivi tra gli addetti ai lavori, mentre il gruppo si è fatto notare per una buona attività live che li ha visti sul palco del Pistoia Blues nel 2014.
Elegante progressive rock cantato in lingua madre, La Luna Nel Pozzo è un’opera che riprende gli stilemi della tradizione settantiana, specialmente quella nazionale, aggiungendo bellissime ed affascinanti atmosfere folk , senza dimenticare gli inarrivabili maestri internazionali di uno dei generi più conservatori della storia del rock.
La band non si perde in suite estenuanti, i brani si susseguono mai troppo prolissi come da trend delle nuove leve del prog, e questo è un bene, perché l’album scorre piacevolmente anche per chi non è abituato al genere.
Si respira l’aria rarefatta di una mattina ai piedi di un castello e l’impronta folk è molto importante nel sound del gruppo: il flauto di Rosa Zumpano, molto brava anche al microfono con il suo tono ruvido ed emozionale, dona alle canzoni una magia senza tempo, richiamando non poco la musica di Angelo Branduardi, assistita dalla chitarra elettrica, raffinata e mai invadente, di Leonardo Angelucci e soprattutto dalle tastiere di Alessandro Ippoliti.
E’ un progressive rock d’autore quello suonato dai Lateral Blast, poetico, forse poco irruento per i canoni attuali, ma colmo di sfumature da assaporare con gli ascolti; vario nell’uso della doppia voce e perfetto nell’alternare strumenti acustici, momenti ritmici cangianti che sconfinano dalle linee guida del genere e magnifiche atmosfere rese sognanti dalla coppia flauto/tastiere.
Tra i brani spiccano il singolo Io Voglio Volare, l’energica Troubadour e Suite per Lei, riassunto compositivo del credo musicale della band romana.
Siamo nel progressive classico, ma con una forte influenza folk che aleggia su tutta l’opera: un ottimo esempio di musica ariosa e sognante, dove il tempo si ferma per darci modo di farci cullare dalle melodie che il gruppo riesce a creare, lasciandosi alle spalle inutili esibizioni tecniche e puntando tutto sulle emozioni.
Siamo vicini, a mio parere, al sound degli storici Il Castello Di Atlante, rispetto ai quali i Lateral Blast appaiono molto meno sinfonici ma perfettamente a loro agio nell’amalgamare sonorità progressive a reminiscenze prettamente folk.

TRACKLIST
01 Intro
02 L’Ululato
03 Come Nuvole
04 Troubadour
05 Le Urla Dei Bambini
06 Io Voglio Volare
07 Silenzio
08 Hellesylt
09 Il Morto Felice
10 Suite Per Lei
11 Scheletro feat. Daniele Coccia
12 La Luna Nel Pozzo

LINE-UP
Leonardo Angelucci – Voce, Chitarra Elettrica
Rosa Zumpano – Voce, Flauto Traverso
Antonello D’Angeli – Voce, Chitarra Acustica
Matteo Troiani – Basso
Tommaso Guerrieri – Batteria, Percussioni
Alessandro Ippoliti – Tastiere, Keytar

LATERAL BLAST – Facebook

Circle – Meronia

Meronia è un disco davvero grande e bellissimo, dove ci si può perdere nelle mille soluzioni sonore dei Circle, che producono un gran caleidoscopio sonoro.

La missione principale della gloriosa Svart Records è di portare alla luce i tesori nascosti dell’underground finlandese, e Meronia dei Circle è uno dei più lucenti.

Questa ristampa del disco del 1994 vede la luce in un doppio vinile con bonus track e in un cd. Originariamente editi da Bad Vugum, un’etichetta finlandese con un interessante catalogo, i Circle sono un gruppo di una piccola città della Finlandia, Pori, origine condivisa con i Deep Turtle, che li proposero all’etichetta. I Circle fanno tutto quello che facevano le vostre band preferite degli anni novanta ed anche di più. Noise, shoegaze, improvvisazione, in una mirabile commistione sonora di America e Gran Bretagna. Meronia è un disco davvero grande e bellissimo, dove ci si può perdere nelle mille soluzioni sonore dei Circle, che producono un gran caleidoscopio sonoro. Il disco all’epoca fu apprezzato moltissimo sia dal sottobosco che dal mainstream e segnò un’importante evoluzione dell’underground finlandese. Fuori dalla patria ebbe meno eco, e questa è una sfortuna perché è un disco eccezionale, che non è consigliato solo agli amanti del suono anni novanta, ma anche a tutti quelli che cercano cose solide e nuove, perché ancora adesso Meronia è molto avanti rispetto alla media attuale. I Circle ci accompagnano per mano in una lunga escursione sul pianeta Meronia, e ciò provoca dipendenza e voglia di ascoltarlo cambiando l’ordine delle tracce, sentendo in ripetizione una traccia, un rumore, una nota che pare essere l’architrave del tutto. Tutte le canzoni potrebbero essere un singolo e due o tre canzoni prese a caso sarebbero degli ottimi 7”. Ogni pezzo ha dentro almeno uno o due generi diversi. Meronia è certamente figlio di un clima musicale difficilmente ripetibile, dove le commistioni diventavano naturali e si faceva il tutto con molta naturalezza e voglia di divertirsi. Il disco è davvero bello, intenso e fortunatamente lungo. I Circle son ancora in attività e fanno sempre grande musica, ma Meronia è oltre la grande musica, è Meronia.

TRACKLIST
1.Ed-Visio
2.Curwen
3.Wherever Particular People Congregate
4.Meronia
5.DNA
6.Hypto
6.Nude
7. Colere
8.Staalo
9.Kyberia
10.Gravion
11.Ferrous
12.Scoop
13.Merid
14.Espirites

LINE-UP
J. Jääskeläinen – guitar
P. Jääskeläinen – guitar
J. Lehtisalo – bass, vocals
M. Rättö – keyboards, vocals
T. Leppänen – drums
J. Westerlund – guitar, vocals

CIRCLE – Facebook

1476 – Wildwood / The Nightside

Per i 1476 il passaggio dallo status di “segreto meglio conservato” a realtà stimolante e di sicuro spessore è ormai cosa fatta.

La Prophecy Productions presenta i 1476 come “il segreto meglio conservato in ambito rock dark e atmosferico”, e noi abitualmente ci fidiamo della label tedesca …

E’ giunto, quindi, il momento di portare alla luce l’operato di questo duo di Salem, composto da Robb Kavjian and Neil DeRosa, che rinverdisce in parte i fasti dei Mission, quella che, nella seconda metà degli anni ’80, è stata la band che meglio ha interpretato e rielaborato l’eredità del post punk e del gothic, facendone emergere il lato più poetico e malinconico.
L’accostamento con il gruppo di Wayne Hussey serve, soprattutto, ad inquadrare meglio i 1476, i quali appaiono comunque molto più europei che non americani (e forse le origini che si desumono dai cognomi dei due musicisti in questo senso possono avere un loro peso), ma ci mettono molto del loro per rendere peculiare la proposta inglobando elementi neo folk ed ambient, rendendola quanto mai fresca pur rifacendosi in parte a sonorità in voga trent’anni fa.
Va detto che questo disco costituisce, di fatto, una parziale summa di quanto realizzato finora dai 1476 (sia l’album Wildwood che l’ep The Nightside, entrambi racchiusi in questa release, risalgono al 2012), aggiungendo che anche il restante operato del duo verrà pubblicato dalla Prophecy, in attesa di un nuovo disco programmato per l’autunno.
Wildwood consta di 11 tracce prive di momenti deboli, capaci di trasportare l’ascoltatore dalla malinconia acustica di Horse Dysphoria e Banners In Bohemia fino ai ritmi più incalzanti di Good Morning, Blackbird, Stave-Fire e An Atrophy Trophy, senza dimenticare altri episodi magnifici quali Black Cross/Death Rune e Watchers.
I quattro brani tatti dall’ep The Nightside (tra i quali c’è una versione più scarna della già citata Good Morning, Blackbird) appaiono invece molto più introspettivi e meno immediati, se vogliamo accostabili a certo neo folk, ed entusiasmano meno, pur restando ad un livello senz’altro soddisfacente.
In buona sostanza, i 1476 riescono in maniera efficace e convincente ad evocare quelle atmosfere misteriose ed ancestrali che sono caratteristiche del New England, regione che, non lo si può certo dimenticare, ha dato i natali a due giganti delle letteratura come Poe e Lovecraft.
E proprio al primo è dedicato il lavoro che uscirà proprio in questi giorni, sempre a cura della Prohecy: “Edgar Allan Poe: A Life Of Hope & Despair”, concepito nel 2014, è una sorta di colonna sonora che dovrebbe mostrare un volto ancora diverso del duo americano.
Insomma, c’è molta carne al fuoco per i 1476, per i quali il passaggio dallo status di “segreto meglio conservato” a realtà stimolante e di sicuro spessore è ormai cosa fatta.
Wildwood / The Nightside è un opera che potrebbe essere apprezzata da appassionati dal background diverso, ma accomunati da una naturale predisposizione a nutrirsi di sonorità oscure ed evocative.

Tracklist:
1.Black Cross/Death Rune
2.Watchers
3.The Dagger
4.Banners In Bohemia
5.Good Morning, Blackbird
6.Horse Dysphoria
7.Stave-Fire
8.Bohemian Spires
9.An Atrophy Trophy
10.Shoreless
11.The Golden Alchemy
12.Mutable : Cardinal
13.Know Thyself, Dandy
14.Good Morning, Blackbird
15.The Nightside

Line-up:
Robb Kavjian
Neil DeRosa

1476 – Facebook

Comet Control – Center Of The Maze

Una gradita sorpresa, un album molto ben congeniato che, nel suo ripercorrere mappe già scritte in passato, risulta piacevole ed assolutamente fuori da ogni moda odierna, ma soprattutto composto da belle canzoni.

Tra le nevi del Canada, verso lo spazio profondo insieme alla navicella Comet Control, al secondo lavoro con questo ottimo Center Of The Maze, che amalgama psichedelia, rock britannico e space rock, di ritorno da una falla temporale a cavallo tra gli anni sessanta ed il decennio successivo.

Tastiere sintetiche, chitarre sature, atmosfere liquide e sognanti, fanno di questo lavoro un ottimo ascolto per gli amanti dei suoni vintage usciti da un trip psichedelico, un viaggio bellissimo tra asteroidi e stelle lontane anni luce, dove spadroneggiano note fluttuanti perse nel profondo cosmo.
Il quintetto di Toronto, capitanato dalla eterea voce del chitarrista/cantante Chad Ross, è composto dalla bassista Nicole Howell, da Jay Anderson alle pelli, dalla chitarra di Andrew Moszynski e dalle fondamentali tastiere di Christopher Sandes: il loro sound spazia tra almeno cinquant’anni di musica rock, dai Beatles e Marc Bolan dell’era psychedelica, al rock britannico degli anni novanta, passando per i maestri dello space rock Hawkwind, in un turbinio di elettrizzanti brani rock d’annata, canzoni pregne di chitarre sature di rock alternativo, e liquide avventure pink floydiane.
Center Of The Maze è un album vario con il quale vengono espresse tutte le varie componenti del sound con buona padronanza del songwriting, ed ogni tassello risulta al posto giusto così da non perdere interesse ovunque il gruppo porti la sua musica.
Il sitar, che apre la beatlesiana Silver Spade, è la prima delle gradite sorprese di questo lavoro che riesce ad emozionare e farci sognare, prima con la stupenda The Hive, poi con la roboante ed alternativa Criminal Mystic, lasciando alle due mini suite finali Sick In Space e Artificial Light il compito di riportarci indietro, non prima di averci fatto perdere nel trip spaziale dell’album.
Una gradita sorpresa, un album molto ben congeniato che, nel suo ripercorrere mappe già scritte in passato, risulta piacevole ed assolutamente fuori da ogni moda odierna, ma soprattutto composto da belle canzoni.

TRACKLIST
1. Dig Out Your Head
2. Darkness Moves
3. Silver Spade
4. The Hive
5. Criminal Mystic
6. Golden Rule
7. Sick In Space
8. Artifical Light

LINE-UP
Chad Ross – Guitars, Vocals
Nicole Howell – Bass
Jay Anderson – Drums
Andrew Moszynski – Guitars
Christopher Sandes – Keyboards

COMET CONTROL – Facebook

https://soundcloud.com/actionmedia/comet-control-dig-out-your-head

Atomikylä – Keräily

Si sentono abbastanza distintamente gli impianti sonori dei Dark Buddha Rising o degli Oranssi Pazuzu, poiché le loro radici sono lì, e possiamo perfino spingerci a dire che Keräily sia un disco di psichedelia rituale e che sarebbe la somma perfetta dei due dischi, ma c’è molto di più.

A Tampere, in Finlandia, ci deve essere qualcosa nell’aria o nelle droghe che fa sì che tanti suoi cittadini suonino psichedelia pesante come gli Oranssi Pazuzu o psichedelia rituale come i Dark Buddha Rising.

Gli Atomikylä sono un’unione di alcuni dei membri di questi due grandi gruppi, unione nata dalla divisone di uno spazio prove comune, il Wastement, un nome un programma. Lo scopo di questo gruppo è la liberazione della nostra mente e del nostro corpo attraverso il suono, per mezzo di una psichedelia brutale e sognante allo stesso tempo. I tre pezzi di questo disco sono tre esplorazioni, tre viaggi astrali, dove il nostro corpo arriva a vedere se stesso dall’alto. Le canzoni sono progressive, nel senso che sono serpenti che crescono e vanno a cercare un posto al sole su pietre roventi. La musica qui viene teorizzata ed eseguita come fuga dalla normalità, sia morale che dei sensi, per cercare di liberarsi annientandosi nel suono e nella sua fisicità neuronica. Il disco è una meraviglia continua, un liberi tutti che giova moltissimo alla composizione davvero psichedelica. Non ci sono influenze, non ci sono pressioni, vi è solo il creare. Si sentono abbastanza distintamente gli impianti sonori dei Dark Buddha Rising o degli Oranssi Pazuzu, poiché le loro radici sono lì, e possiamo perfino spingerci a dire che Keräily sia un disco di psichedelia rituale e che sarebbe la somma perfetta dei due dischi, ma c’è molto di più. Qui la ripetizione sonica diventa mantra per accedere ad un piano sonoro superiore, cambiando il proprio stato da materiale ad immateriali, issandoci su forme mentali alterate, oltre la terra la meta. Di questo percorso non abbiamo né la meta né la direzione, ma solo il piacere della scoperta, esplosioni durante la calma, mutazioni sonore. Il nome del gruppo deriva da un campo base abbandonato di operai per la costruzione di una centrale atomica negli anni ottanta. Presto questo luogo chiamato Atomikylä divenne la patria degli sbandati e dei drogati, una repubblica degli emarginati, dove la legge non entrava e nemmeno usciva, per poi essere distrutto pochi anni orsono. Emarginazione mentale, fuga dal normale che porta a una quasi volontaria e comprensibilissima autoesclusione che si sublima in questa musica, bella, tremenda e confusa.

TRACKLIST
1.Katkos
2.Risteily
3.Pakoputki

LINE-UP
V. Ajomo – Guitar, Vocals
T. Hietamäki – Bass
J. Rämänen – Drums
J. Vanhanen – Guitars, Vocals

ATOMIKYLA – Facebook

Lita Ford – Time Capsule

Una vita spesa in nome del rock’n’roll e carisma da vendere: Lita Ford si conferma come una delle icone al femminile di questo pazzo ed affascinante mondo.

Una delle regine dell’hard rock è tornata con un nuovo album, o meglio una raccolta di brani inediti scritti durante gli anni e mai immessi sul mercato.

Lo fa aiutata da una schiera di musicisti dal background vario ma tutti estremamente importanti per lo sviluppo della nostra musica preferita, così da trasformare una semplice (anche se bellissima raccolta di vecchi demotape) in un album imperdibile per tutti i fans dell’hard rock.
Lita Ford è una donna con un curriculum musicale da far impallidire molti degli illustri colleghi maschi, con una serie di flirt che l’hanno vista in compagnia del buon Lemmy, Joe Lynn Turner e tra gli altri Chris Holmes e Tony Iommi, tanto per citare l’ex marito ed il protagonista scabroso della sua autobiografia uscita ultimamente, ma soprattutto chitarrista del gruppo al femminile più importante della storia del rock, le Runaways di Joan Jett.
Time Capsule passa con disinvoltura da brani rock’n’roll, a grintose e ruvide hard rock songs, non facendoci mancare le super ballatone (Where Will I Find My Heart Tonight e War of the Angels) per le quali la Ford solista è famosa e l’album nella sua interezza convince, senza che i tanti anni passati dalla stesura delle tracce lo appesantiscano.
Ed arriviamo ai numerosi ospiti che imprimono il loro marchio su ogni brano di Time Capsule, iniziando da Jeff Scott Soto che duetta con la Ford in Where Will Find My Heart Tonight, mentre i due Kiss Gene Simmons e Bruce Kulick impreziosiscono il rock’n’roll ottantiano di Rotten To The Core.
Ma le sorprese non finiscono qui, Dave Navarro fa la sua comparsa in Killing Kind, song che vede al basso la presenza di Billy Sheehan e ai cori Robin Zander e Rick Nielsen dei Cheap Trick.
Black Leather Heart risulta uno dei brani più riusciti del disco, colmo di groove leggermente moderno, con ancora Billy Sheehan a formare con il batterista Rodger Carter una sezione ritmica da urlo.
Ancora grande musica rock con Anything for the Thrill ed un salto nel blues rock con King of the Wild Wind, una song dal lento incedere, sporcata da un’attitudine blues che commuove.
Time Capsule viaggia su ottimi livelli e la Ford non manca di sbalordire per la grinta , dopo tanto tempo, per una sempre splendida voce che affiora nelle due ballad citate.
Cinquantasette anni e non sentirli, una vita spesa in nome del rock’n’roll e carisma da vendere: Lita Ford si conferma come una delle icone al femminile di questo pazzo ed affascinate mondo, ci diverte e si diverte, bentornata.

TRACKLIST
01. Intro
02. Where Will I Find My Heart Tonight
03. Killing Kind
04. War of the Angels
05. Black Leather Heart
06. Rotten to the Core
07. Little Wing
08. On the Fast Track
09. King of the Wild Wind
10. Mr. Corruption
11. Anything for the Thrill

LINE-UP
Lita Ford – Vocals, Guitar
Jeff Scott Soto – Guest Vocals
Chris Holmes – Voice on “Intro”
Robin Zander – Backing Vocals
Rick Nielsen – Backing Vocals
Bruce Kulick – Guitar
Greg Buahio – Bass
Jimmy Tavis – Bass
Billy Sheehan – Bass
Gene Simmons – Bass
Jimmy Tavis – Bass
Dave Navarro – Mandolin
Rodger Carter – Drums

LITA FORD – Facebook

Bells Of Ramon – Jamie Lee

I Bells Of Ramon rialsciano un sette raffinato, ben suonato e ben prodotto che lascia ben sperare per il futuro disco.

Dopo un po’ di attesa e vari concerti positivi, ecco uscire il 7″ che precede il debutto dei Bells Of Ramon previsto per l’autunno del 2016.

I Bells Of Ramon sono un gruppo genovese che suona uno stoner molto influenzato dall’hard rock, ma anche viceversa va bene, ovvero hard rock influenzato dallo stoner. Il loro suono è composto molto attentamente e nulla viene lasciato al caso. Il primo pezzo, Jamie Lee, ha un incedere elegante e sinuoso, con un suono molto stelle e strisce, riuscendo ad essere originale e particolare anche in un ambito dove non è facile. Ascoltando questi due pezzi si può sentire anche un forte sapore di grunge, perché a noi di una certa età è rimasto in testa, e non c’è nulla da fare. I Bells Of Ramon rilasciano un sette raffinato, ben suonato e ben prodotto che lascia sperare il meglio per il futuro disco.

TRACKLIST
Side A – Jamie Lee
Side B – Smoke Stung

LINE-UP
Luca Baldini- Voice, Guitar
Fabio Leonelli – Guitar
Sandro Carraro – Bass
Martino Sarolli – Drums

BELLS OF RAMON – Facebook

Earthset – In a State of Altered Unconsciousness

Un meraviglioso e inaspettato trattato della musica contemporanea, bolognese innanzi tutto e italiana infine.

Master Of Reality, dal primo istante non ci si confonde, soprattutto dal vero grigio che non solo dalla copertina trapela.

E’ una risolvibile equazione algebrica che spiega per lo più come affrontare un periodo dimesso, in cui nessuno più ha apparente interesse. Ottimo mixaggio, suoni curati e melodie coinvolgenti e non banali, che tra un onda e l’altra ricordano agli appassionati del genere post(-post) grunge i My Vitriol e i Biffy Cliro: The Absence Theory ne è un esempio, uno su 11, numero perfetto per concentrarsi sul singolo ascolto di ogni traccia. Le ballate Epiphany e Ouverture si traducono in veri e propri viaggi sonori che Valeria Ferro di Onda Rock riesce perfettamente a definire : (…)un disco lineare e flessibile, capace di scorrere fino al suo epilogo come un vertiginoso continuum.. Siamo infatti alla sincope iniziale di So What che dà quindi una spinta a rimbalzarci tra le pareti dei nostri stessi pensieri. E funziona!: chitarre sguainate si aprono e l’aria si rende anche più densa ed esotica con la seguente Skizofonia, ovvero 6 minuti circa di strumentali, con giusti tempi tra crescendo e spamnung . Gone ne è l’eco che si trasmuta in un ‘altra forma (e colore ) ancora; siamo tutti presi e contenti di vedere come anche questo grigiore sappia creare i suoi spazi di euforia pura!!
Astray è ancora un gioiellino che non perde il suo carattere (modalità vagamente Pearl Jam) visto che per un primo ascolto, ad un certo punto, le ultime tracce potrebbero diventare di difficile assimilazione. La tenerezza della dissonanza allo stato puro crea le necessarie vertigini e le chitarre ancora una volta ci suggeriscono la fatica . E’ una discesa/ascesa che fa felici tutti, fanatici o meno del genere, e il taglio o accento buckleyano forse rende tutto più dolce, almeno dall’aspetto con cui Circle Sea chiude un meraviglioso e inaspettato trattato della musica contemporanea, bolognese innanzi tutto e italiana infine. In attesa del prossimo Ep, già in lavorazione, intanto gustiamoci questo, impreziosito dall’artwork di Mauro Belfiore.

TRACKLIST
1.Ouverture
2.Drop
3.The Absence Theory
4.rEvolution of the Species
5.Epiphany
6.So What?!
7.Skizofonìa
8.Gone
9.A.S.T.R.A.Y.
10.Lovecraft
11.Circle Sea

LINE-UP
Luigi Varanese: basso, coro
Costantino Mazzoccoli : chitarra, coro
Emanuele Orsini: batteria
Ezio Romano: chitarra, voce

EARTHSET – Facebook

A Silent Noise – ZeitMaschine / The Wake

Nuovo singolo, che funge da apripista per il prossimo album, per i A Silent Noise, realtà nostrana che fonde con eleganza new wave ottantiana, musica elettronica di ispirazione tedesca e colonne sonore sci-fi.

La band nasce per volere del tastierista e cantante Libero Volpe, ideata come solo project, poi trasformata in una band a tutti gli effetti con l’entrata in pianta stabile di Lorenzo Ceccarelli al basso e Stefano Esposito alla chitarra.
Il primo lavoro del gruppo, intitolato Kaleidoscope, esce nel 2014 e permette alla band di iniziare un’intensa attività live, mentre a marzo di quest’anno è il video di ZeitMaschine, girato come un cortometraggio, che irrompe sui canali di competenza, con la musica del gruppo diventa la suggestiva colonna sonora per le immagini che scorrono sul video.
La firma con Agoge porta la band al singolo in questione, formato dal brano che dà il titolo al video con in più la bellissima The Wake.
Musica onirica che richiama la new wave più matura, basi elettroniche di suggestivo kraut rock in una struttura di liquido incedere dalle reminiscenze sci-fi, la proposta del terzetto si muove misteriosa e dark su queste coordinate, lasciando intravedere una maturità artistica sorprendente.
La moltitudine di ispirazioni dalle quali la band attinge lascia spazio al talento compositivo che in questi due brani viene espresso galleggiando mellifluo tra i generi di cui si compone il sound, tra una ZeitMaschine, che ricorda un trip alla Odissea nello Spazio ed una The Wake, semplicemente straordinaria nel richiamare diverse realtà oscure del periodo ottantiano (Ultravox, Joy Division e Tangerine Dream).
In sintesi, due brani che esprimono appieno il valore artistico degli A Silent Noise, andando a creare una certa aspettativa per il prossimo album.

TRACKLIST
Side A: ZeitMaschine
Side B: The Wake

LINE-UP
Libero Volpe – voice, synthesizers, bass/baritone guitar
Lorenzo Ceccarelli – Bass guitar
Stefano Esposito – Guitars

A SILENT NOISE – Facebook

The Dead Daisies – Make Some Noise

Crue, Whitesnake, Aerosmith, Bad Company, Kiss, Gunners, metteteli in un bidone e fatelo rotolare giù per la collina di Hollywood, aprite il coperchio e ne usciranno i The Dead Daisies.

Avete presente quando un calciatore, all’ultimo minuto della partita più importante della sua carriera, segna in rovesciata il goal che dà la vittoria alla propria squadra?
Il primo commento è: ora può smettere di giocare!

Ebbene, dopo aver scritto questo articolo il sottoscritto potrebbe tranquillamente tornare ad invasare fiori sul suo terrazzo, perché un disco del genere in campo hard rock, nel nuovo millennio sarà improbabile che gli ricapiti tra le mani.
Ecco quindi il disco perfetto, quello che non uscirà mai più dal vostro stereo e che vi farà cantare, esaltare come e più dei classici, esplosivo in tutte le sue componenti e suonato da una manciata di mostri con a capo il grande John Corabi.
The Dead Daises, ovvero John Corabi al microfono ( (Mötley Crüe, Union, The Scream), Brian Tichy (Ozzy Osbourne, Foreigner) alle pelli, David Lowy (Red Phoenix, Mink) alla chitarra, Doug Aldrich (Whitesnake, Dio) alla chitarra, e quello spettacolo di bassista che è Marco Mendoza (Thin Lizzy, Whitesnake): un’associazione a delinquere dell’hard rock che si presenta in questa metà del 2016 e scarica pallettoni di adrenalinico rock’n’roll da spellarsi le mani fino a farle sanguinare.
Giunto al terzo lavoro, questo supergruppo ideato da Brian Tichy e che, a rotazione, raccoglie tra le sue fila i più grandi interpreti dell’hard rock internazionale, torna dopo il successo del precedente Revolución con un altro spettacolare lavoro dove l’hard rock classico trova la sua glorificazione in riff ficcanti, solos al fulmicotone, un vocalist che per attitudine mette in fila tutti quelli della sua generazione ed un songwriting commovente, da quanto risulta perfetto.
Un disco che è già un classico ancora prima di risplendere sugli scaffali dei negozi, prodotto da Marti Frederiksen (Aerosmith, Def Leppard, Mötley Crüe, Buckcherry) a Nashville, supportato dalle versione in cd, digipack e doppio vinile e composto da dieci brani più due cover (Creedence Clearwater Revival e The Who).
Il nuovo entrato, Mr. Doug Aldrich, si scrolla di dosso la sua avventura alla corte del serpente bianco e traduce la bibbia di tutti i chitarristi rock con una performance stellare, la sezione ritmica portentosa e pregna di quelle ritmiche bluesy ipervitaminizzate da adrenaliniche iniezioni di rock’n’roll, ha nella coppia Tichy/Mendoza due martelli pneumatici sfuggiti all’ormai stanco operaio e che, impazziti distruggono tutto quello che incontrano … e poi c’è lui, Corabi, quel signore che rese un capolavoro l’unico album dei Crue a cui prestò la sua inconfondibile voce.
Il tutto viene tradotto in un monumentale album hard rock: se siete ancora impegnati a cercare il disco della vita, beh non siete così distanti dall’averlo trovato, specialmente dopo essere stati travolti da Mainline, Make Some Noise e le loro bellissime, affascinanti ed irresistibili dieci sorelline.
Crue, Whitesnake, Aerosmith, Bad Company, Kiss, Gunners, metteteli in un bidone e fatelo rotolare giù per la collina di Hollywood, aprite il coperchio e ne usciranno i The Dead Daisies.
Il chitarrista David Lowy ha dichiarato: The Dead Daisies vogliono solo celebrare il classic rock’n’roll; beh, caro Lowy, ci siete riusciti alla grande.

TRACKLIST
1.Long Way To Go
2. We All Fall Down
3. Song And A Prayer
4. Mainline
5. Make Some Noise
6. Fortunate Son
7. Last Time I Saw The Sun
8. Mine All Mine
9. How Does It Feel
10. Freedom
11. All The Same
12. Join Together

LINE-UP
John Corabi-Vocals
David Lowy-Guitars
Brian Tichy-Drums
Marco Mendoza-Bass
Doug Aldrich-Guitars

THE DEAD DAISIES – Facebook