Degial – Savage Mutiny

Non un disco imperdibile, ma un buon esempio di come la scena underground continui a sfornare nel metal estremo lavori che guardano con assoluta devozione ai maestri, magari senza troppa personalità, ma con abbondante attitudine ed impatto.

I Degial of Embos, attivi dal 2004 al 2006 nella scena estrema svedese e autori di due demo si sciolsero per ritornare come Degial lo stesso anno e da qui ripartire per portare nel mondo il verbo del death metal old school, contaminato da iniezioni di blasfemia black in un delirio di musica oscura e cattiva.

L’esordio in formato ep arrivò nel 2010 seguito dal primo full length, Death’s Striking Wings nel 2012.
Sono passati tre anni e la band nell’anno di Satana 2015, tornano tramite Sepulchral Voice Records con questo oscuro Savage Mutiny, un concentrato di death/black dissacrante e blasfemo.
Growl cartavetrato proveniente direttamente da qualche catacomba, ritmiche che variano dal classico thrash alla primi Slayer, al black dei connazionali Dissection, fanno da avvisaglia per la proposta del gruppo che guarda al sound di matrice old school, senza compromessi, in uno tsunami di atmosfere infernali, con la morte e la blasfemia come uniche compagne nel metal primordiale della band.
Nessuna concessione ad orpelli inutili, si parte in quarta e non ci si ferma più, in questa mezzora abbondante di suoni provenienti da più parti del mondo musicale estremo.
Morbid Angel, un po’ di death scandinavo e tanto death/thrash anni ottanta, fanno da cornice a questo altare al maligno, grezzo, ruvido e tremendamente ignorante, ma che a tratti sprigiona una violenza riscontrabile solo negli act più efferati della nostra musica preferita.
Aiutati da un paio di personaggi della scena estrema come Set Teitan (Dissection, Watain), Pelle Åhman (In Solitude / Invidious) e lasciate in mano a Gottfrid Åhman (In Solitude / Invidious / Degial) registrazione e mixing del disco, la band risulta un concentrato di torture estreme in musica, dove come strumenti di dolore vengono usati brani devastanti come Uncoiling Chaos, Revenants e Sanguine Thirst, tracce migliori di questo lavoro.
Non un disco imperdibile, ma un buon esempio di come la scena underground continui a sfornare nel metal estremo lavori che guardano con assoluta devozione ai maestri, magari senza troppa personalità, ma con abbondante attitudine ed impatto.

TRACKLIST
1. Doomgape
2. Savage Mutiny
3. Uncoiling Chaos
4. Deathsiege
5. Pallor
6. Revenants
7. Sanguine Thirst
8. Transgression

LINE-UP
Hampus Eriksson – Guitars, Vocals
Rickard Höggren – Guitars
P.J – Bass
Emil Svensson – Drums

DEGIAL – Facebook

Desecresy – Stoic Death

Album estremo per intensità e atmosfere, Stoic Death risulta un lavoro davvero ben fatto e sicuramente il punto più alto della discografia del gruppo finlandese, meritando molto di più che un distratto ascolto

Torna il duo finlandese composto dal polistrumentista Tommi Grönqvist e dal vocalist Jarno Nurmi, che sotto il monicker Desecresy continuano imperterriti il loro lento discendere nell’abisso del metal estremo, con questo Stoic Death, successore del buon Chasmic Transcendence, uscito lo scorso anno e di cui Iyezine vi aveva illustrato le caratteristiche.

Un bel passo avanti risulta il nuovo lavoro per la band di Helsinki, Stoic Death licenziato anch’esso per l’arcigna Xtreem (un monumento per il death metal underground), accentua le virtù del precedente lavoro, lima qualche difetto e si accinge a conquistare nuovi fans, risultando un muro sonoro niente male, vorticoso e soffocante il giusto per mantenere inalterata la buona dose di forza bruta tra death metal e doom.
Sempre brutale e senza compromessi il growl di Nurmi e di sicuro effetto i suoni della sei corde, che creano un mulinello pericolosissimo di suoni lancinanti, molto scandinavi come nella tradizione del death nord europeo dei primi anni novanta.
Ancora più estremo nei rallentamenti di stampo doom/death che, come nell’album precedente, ricordano a grandi linee gli Asphyx, in generale il mood del disco non si discosta dalla musica creata fin qui dai Desescresy, ma il tutto risulta più convincente e ben congegnato.
Come una lunga suite estrema i brani si succedono, oscuri e pressanti, regalando momenti di soffocante e diabolico death metal, riff che si ripetono e sfiancano come in un rituale oscuro, dove la forza metallica, viene accompagnata dalla inesauribile e monolitica potenza lavica della musica del destino, in un sabba nero come la pece e labirintico, traumatico e doloroso.
Remedies of Wolf’s Bane da il via alla lunga passeggiata verso la morte e la band va subito all’attacco, risultando uno dei brani più veloci del disco, l’inizio della seguente The Work of Anakites continua a martellare, fino a metà brano dove una parte lentissima, smorza non di poco la velocità e da qui in poi si entra nel mondo di questo Stoic Death.
Riff che arrivano direttamente da un altro mondo, frenate che lasciano sulla strada note bruciate da bruschi rallentamenti, e chitarre torturate all’inverosimile, creano labirinti dove non esiste altro modo che perdersi e sono parte importante di tracce ipnotiche come Passage to Terminus, Sanguine Visions e Cantillate in Ages Agone.
Album estremo per intensità e atmosfere, Stoic Death risulta un lavoro davvero ben fatto e sicuramente il punto più alto della discografia del gruppo finlandese, meritando molto di più che un distratto ascolto, consigliato.

TRACKLIST
1. Remedies of Wolf’s Bane
2. The Work of Anakites
3. Passage to Terminus
4. Abolition of Mind
5. Sanguine Visions
6. Funeral Odyssey
7. Cantillate in Ages Agone
8. Unantropomorph

LINE-UP
Jarno Nurmi – Vocals
Tommi Grönqvist – Guitars, Bass, Drums

DESECRESY – Facebook

Abyssus – Into The Abyss

L’album nel suo insieme non potrà che piacere ai fans dell’old school, anche se il songwriting non ha niente di clamoroso, la band picchia che è un piacere e le atmosfere, violente e oscure, sono di sicuro impatto.

Si continua imperterriti a scrivere di death metal old school, questa volta proveniente dalla Grecia e precisamente dalla capitale Atene, con il full length degli Abyssus, che del metal estremo targato Stati Uniti ne fa la sua religione.

Nato come one man band del vocalist Kostas Analytis nel 2011 e poi diventati un trio, per l’entrata stabile nella formazione di Panos Gkourmpaliotis alla sei corde e Costas Ragiadakos al basso, il gruppo di Atene prima di quest’opera ha già licenziato un paio di ep e tre split che li vedeva impegnati con Nocturnal Vomit ( No Life In The Coffin del 2013), con i Morbider nel 2014 ( From the Abyss Raised the Morbid) e sempre lo scorso anno con gli Slaktgrav (Obscure).
Into The Abyss non fa che rimpolpare il nutrito numero di lavori incentrati sul death classico, la band offre i fianchi alle sue influenze che partono dagli storici Obituary dei primi lavori ( il growl di Analytis assomiglia non poco a quello di John Tardy) per arrivare agli Slayer in qualche accelerazione di stampo thrash.
L’album nel suo insieme non potrà che piacere ai fans dell’old school, anche se il songwriting non ha niente di clamoroso, la band picchia che è un piacere e le atmosfere, violente e oscure, sono di sicuro impatto.
Riffoni pesanti e neri come la pece si susseguono lungo tutto il tragitto che porta il trio nei meandri nauseabondi nascosti tra i solchi della title track, Echoes of Desolation, Those of the Unholy e The Ritual, con partenze a razzo e rallentamenti che assomigliano a cascate di lava incandescente e dove gli Abyssus si trovano a meraviglia, vero è che i momenti più riusciti sono proprio quelli dove monolitici passaggi doom/death colmano il gap con quelli più veloci ma anche meno ispirati.
Ne esce un lavoro discreto, che niente aggiunge e niente toglie al genere proposto, acquisendo lo status di album only for fans.

TRACKLIST
1. Into the Abyss
2. Across the Fields of Death
3. Echoes of Desolation
4. Intent to Kill
5. Revenge
6. Those of the Unholy
7. Enthrone the Insane
8. Visions of Eternal Pain
9. R.I.P.
10. The Ritual

LINE-UP
Kostas Analytis – Vocals
Panos Gkourmpaliotis – Guitars
Costas Ragiadakos – Bass

ABYSSUS – Facebook

Necrogod – The Inexorable Death Reign

The Inexorable Death Reign potrebbe sembrare un riempitivo nella lunga lista di lavori del musicista svedese ma, dopo l’ascolto, l’attesa per un full length cresce, ipnotizzati dall’oscuro incedere del sound di questa coppia di demoni.

Non ditemi che eravate preoccupati, un mesetto senza leggere di qualche delirio musicale del buon Rogga Johansson, cominciava ad insinuare dei dubbi nei deathsters di tutto il mondo.

Invece ecco che, proprio quando l’ormai odiato 2015 sta scivolando verso l’oblio, portato dal giungere del generale inverno, il sottoscritto è ancora una volta alle prese con il musicista svedese che ci regala un altro inno estremo in cui ha messo le grinfie in questo tempestoso anno che va a concludersi.
Questa volta la band si chiama Necrogod, l’ep di debutto The Inexorable Death Reign e Rogga è accompagnato dal singer costaricano Ronald Jimenez degli Insepulto.
Cinque brani più intro per una ventina di minuti di death metal old school, dove al growl ferocissimo del vocalist si aggiungono le prove del musicista svedese con basso e sei corde per un risultato come al solito più che buono.
Siamo nel death marchiato a fuoco dalla tradizione scandinava, oscuro, tremendo e blasfemo, reso ancora più maligno dall’ottima prova del singer costaricano, un sacerdote belluino, che valorizza i brani con un la sua ugola forgiata direttamente nel più buoi antro dell’inferno, mentre Johansson dal canto suo tortura gli strumenti senza pietà e le songs arrivano direttamente a noi, spedite da Satana in persona.
L’ep gioca molto sulle atmosfere, l’impatto è tremebondo come al solito, ma la puzza di marcio e zolfo, violenta le narici, così che l’antro infernale non è poi così lontano da noi e le larve della putrefazione cominciano ad apparire come in un tremendo incubo notturno.
Worms In Holy Flesh e Human Misery sono le track dove il duo riesce al meglio nel suo intento di portare sulla terra il clima catacombale che permea il lavoro, mentre a noi passano come flash allucinogeni sonorità care a primi Entombed e Dismember così come Asphyx e Morgoth in un blasfemo incesto estremo.
The Inexorable Death Reign potrebbe sembrare un riempitivo nella lunga lista di lavori del musicista svedese ma, dopo l’ascolto, l’attesa per un full length cresce, ipnotizzati dall’oscuro incedere del sound di questa coppia di demoni.

TRACKLIST
1. Intro – The Inexorable
2. Worms in Holy Flesh
3. The Death Provoker
4. Human Misery
5. Skull Crushing Death
6. Exequies for a Moribund God

LINE-UP
Ronald Jimenez – Vocals
Rogga Johansson – Guitars, Bass, Drum programming

NECROGOD – Facebook

Necropsy – Buried In The Woods

Buried In The Woods conferma un buon momento di stabilità ed una ritrovata continuità nel creare musica estrema da parte dei Necropsy, a conferma che la Xtreem ci ha ancora visto giusto e che il death metal della band può così tornare a far male.

Band culto del panorama death scandinavo, in questo caso finlandese, i Necropsy licenziano quest’ultimo lavoro tramite la Xtreem Music, già con il suo logo in bella mostra nel precedente ep Psychopath Next Door di due anni fa.

Gruppo dall’ormai lunga storia, il quintetto scandinavo torna a ruggire in questo periodo di rinnovato interesse per i suoni estremi old school, specialmente nell’underground, dove non passa giorno senza trovarsi al cospetto di vecchi marpioni e nuove leve alle prese con il death metal di inizio anni novanta.
E i Necropsy di anni sul groppone ne hanno eccome, attivi dalla fine degli anni ottanta e protagonisti nella storica scena nel decennio successivo, trainati dai gruppi che hanno fatto la storia del genere su al nord.
Una lunga serie di demo ed un ep dal 1989 al 1993 e po un lunghissimo silenzio fino al 2011, con l’uscita di Bloodwork, di fatto primo lavoro sulla lunga distanza del gruppo.
Buried In The Woods conferma un buon momento di stabilità ed una ritrovata continuità nel creare musica estrema da parte dei Necropsy, a conferma che la Xtreem ci ha ancora visto giusto e che il death metal della band può così tornare a far male.
La carica è quella giusta, l’impatto non si discute e così questi trentacinque minuti di delirio estremo possono sicuramente fare la gioia dei deathsters incalliti, pregna di quel mood oscuro e bestiale, che sono le virtù del combo finlandese.
Come da copione il death metal dei nostri è una veloce cavalcata verso l’inferno, i rallentamenti doom/death, cari alla scuola classica sono monolitici e pesantissimi e la band ci sguazza, creando atmosfere di blasfema musica estrema che, se non ha grossi picchi, non scende neppure sotto una buona media, così che le varie Cold Fart Morbidity, Full Moon Catlin, Best Day Ever e la conclusiva Father Eresy possano soddisfare gli amanti del genere.
Buona prova di tutti i musicisti coinvolti, e molto ben strutturate le parti rallentate, morbose e soffocanti, per un lavoro che non cambierà certo lo status di genere underground del death metal old school, ma che risulta una buona uscita tra le tante che in questo periodo hanno invaso il mercato discografico.

TRACKLIST
1. Buried in the Woods
2. Cold Fart Morbidity
3. Just Sharpen My Knife
4. Dead Inherit the Land
5. Full Moon Catlin
6. Pages of Flesh
7. Best Day Ever
8. Father Heresy

LINE-UP
Janne Kosonen – Guitars
Tero Kosonen – Vocals
Ville Vartiainen – Bass
Hannu Väänänen – Drums
Sami Heinonen – Guitars

NECROPSY – Facebook

Masacre – Brutal Aggre666ion

Album che non cambierà lo status di cult band del gruppo, ma che non sfigura davanti alle opere di altri gruppi più conosciuti e blasonati

Il metal estremo in Sudamerica è un’istituzione nell’underground, specialmente nel vecchio death metal dove non mancano gruppi storici e nuove realtà che, attraversando l’Atlantico, giungono a noi in tutta la loro spietata violenza.

I colombiani Masacre fanno parte dei gruppi più longevi della scena death e arrivano anche in Europa con il loro nuovo lavoro tramite la sempre attenta etichetta spagnola Xtreem.
Attivo addirittura dal 1988 il gruppo di Medellin ha una discografia farcita di un bel numero di lavori, anche se Brutal Aggre666ion viene licenziato dopo una decina d’anni dall’ultimo Total Death, ma la band non è stata certo con le mani in mano in quseta decina d’anni immettendo sul mercato tre compilation ed un mini cd.
Uscito qualche tempo fa, ma arrivato solo ora nel vecchio continente l’album, registrato e mixato da Erik Rutan, travolge come sempre l’ascoltatore, forte di un death metal assassino, come da tradizione per le band sudamericane, senza compromessi e violentissimo.
Il gruppo dall’alto della sua lunga esperienza sa come far male, ritmiche da mitragliatore impazzito, una buona alternanza tra massacro iconoclasta e potente metal estremo cadenzato e growl belluino sono gli ingredienti che la band mette sul piatto, non cedendo di una virgola e scatenando l’inferno sulla terra.
Morbid Angel, e tanto death metal old school, fanno di Brutal Aggre666ion un buon album per i fans del genere, compatto e devastante una prova di forza che, se non ha niente di clamoroso sotto l’aspetto puramente creativo, non lascia dubbi sull’attitudine enorme e l’impatto di queste nove mazzate inferte dai deathsters colombiani sulle nostre teste.
L’opener La Guerra risulta una dichiarazione di intenti ed il bombardamento ha inizio, una distruzione totale con la sola strumentale The Calm Before The Storm che ci fa tirare il fiato prima della conclusiva e tremenda Valle De La Muerte.
Chiaramente con così tanti anni alle spalle i musicisti, sono capaci di prove ottime con i propri strumenti, con l’accento sul demolitore di pelli Mauricio Londoño, un martello di inesauribile potenza.
Album che non cambierà lo status di cult band del gruppo, ma che non sfigura davanti alle opere di band più conosciute e blasonate, per gli amanti del genere un gradito e blasfemo ascolto.

TRACKLIST
1. La Guerra
2. Mutilated
3. Bullets
4. War In Hell
5. Donde Habital El Mal
6. Satanic Peace Agreement
7. Reality Death
8. The Calm Before The Storm
9. Valle De La Muerte

LINE-UP
Alex Okendo – Vocals
Jorge Londoño – Lead Guitar
Juan C. Gomez – Rhythm Guitar
Álvaro Álvarez – Bass
Mauricio Londoño – Drums

MASACRE – Facebook

Affliction Gate – Dying Alone

Gli Affliction Gate fanno più danni con quattro brani che molti gruppi con una discografia intera e questo ep conferma l’enorme potenziale estremo del gruppo transalpino.

Gli Affliction Gate fanno più danni con quattro brani che molti gruppi con una discografia intera e questo ep conferma l’enorme potenziale estremo del gruppo transalpino.

Ho iniziato dalla fine, vero, ma solo per sottolineare e mettere subito in chiaro di che pasta sono fatti gli Affliction Gate, una banda di deathsters con in testa solo ed esclusivamente l’intenzione di farvi male a suon di schiaffoni death metal.
Il gruppo nasce nel 2006 e Dying Alone è il terzo mini cd della loro discografia, a cui si aggiunge il full length Aeon of Nox (From Darkness Comes Liberation) del 2009.
Tornano tramite la Transcending Obscurity dopo quasi quattro anni dall’ultimo ep Shattered Ante Mortem Illusions, purtroppo solo con questi quattro brani, ma la forza e la potenza old school che emanano, bastano e avanzano per farne una delle uscite più rilevanti in ambito death vecchia scuola degli ultimi tempi.
Un uragano sonoro a metà strada tra il death metal scandinavo (Unleashed e Grave) e quello di Asphyx e Bolt Thrower per un risultato devastante.
Animati da un songwriting in stato di grazia, la band spacca che è un piacere e le prime due songs sono un massacro composto da velocità e brutalità, riff e solos spettacolari ed irresistibili ed un growl che è scuola per chiunque voglia mettersi dietro ad un microfono e cantare in una death metal band.
La title track, leggermente più cadenzata non mostra cedimenti e quando gli Affliction Gate decidono di rallentare, il sound diventa un mostro death/doom pesantissimo violentato da solos di lancinante e urlante metallo.
Manicheism Inertia torna a correre al limite della velocità, un bolide impazzito dove alla guida, il vocalist Herostratos, schiva e svernicia un bel po’ di tipacci con la vocazione per il canto brutale, mentre gli addetti a tormentare padiglioni auricolari con i propri strumenti, prendono l’ordine alla lettera e ci investono con una tempesta di fuochi d’artificio death metal.
Due ep in quattro anni sono un po pochini per un gruppo del genere, urge un nuovo full length per sedersi vicino alle band top del genere.

TRACKLIST
1. Negative Lucidity
2. Devising Our Own Chains
3. Dying Alone
4. Manicheism Inertia

LINE-UP
Herostratos vocals
Grief rhythm guitar
Bobby lead guitar
Nico bass
Laurent M. drums

AFFLICTION GATE – Facebook

The Crawling – In Light of Dark Days

Attivi da un anno nella scena estrema, i nord irlandesi The Crawling licenziano il primo lavoro, questo ottimo ep di tre brani che farà lacrimare sangue ai deathsters old school

Attivi da un anno nella scena estrema, i nord irlandesi The Crawling licenziano il primo lavoro, questo ottimo ep di tre brani, che farà lacrimare sangue ai deathsters old school, specialmente chi predilige ritmi cadenzati e slow al limite del doom.

Il trio composto da Andy Clarke (chitarra e voce), Stuart Rainey (basso e voce ) e Gary Beattie alle pelli, in una ventina di minuti ci presenta il suo sound, molto coinvolgente e dalle sfumature dark, drammatico ed evocativo, un lento incedere che non disdegna bellissimi intermezzi acustici, monolitiche parti death in un’atmosfera oscura e melanconica molto suggestiva.
L’opener The Right To Crawl entra subito nel vivo della proposta del gruppo, metallo estremo darkeggiante che non disdegna brevi accelerazioni e troncato in due da un bellissimo intermezzo acustico.
Le due voci , un growl cavernoso, ed uno scream abrasivo, ci accompagnano nel paesaggio spettrale disegnato dalla musica del gruppo, mentre End Of The Rope sa tanto di Katatonia, e il freddo inverno ci abbraccia, tra l’incedere elegante dell’inizio semiacustico e la rabbia espressa in attimi di violenta elettricità.
L’ultimo brano è il più vario del terzetto di brani proposti, una lenta marcia funerea scandita dai lenti colpi che Beattie infligge sul drumkit, prima che si torni a metallizzare il tutto con l’entrata in campo della sei corde.
Catatonic è composta da riff monolitici, l’atmosfera si fa funesta e la suggestiva altalena tra momenti intimisti e sfuriate death, imprime al brano un alone tetro reso ancora più oscuro dal sopraggiungere di un temporale.
Katatonia, My Dying Bride e primi Paradise Lost sono le band di riferimento per il sound dei The Crawling che comunque si fa apprezzare per le ottime atmosfere sofferte e la buona personalità, assolutamente da ascoltare se siete amanti di tali sonorità, promossi.

TRACKLIST
1. The Right to Crawl
2. End of the Rope
3. Catatonic

LINE-UP
Andy Clarke – Guitar Vocals
Stuart Rainey – Bass Vocals
Gary Beattie – Drums

THE CRAWLING – Facebook

Dementia 13 – Ways Of Enclosure

Un disco di genere, niente di più e niente di meno, che sicuramente non porterà nuovi fans al death metal old school, ma potrà essere apprezzato da chi di queste sonorità non può fare a meno.

Con i Dementia 13 si torna a parlare di death metal old school, dal portogallo, in arrivo con il loro bagaglio di efferatezze prese dal mondo dell’horror e dalle menti insane dei serial killer.

Il gruppo, attivo dal 2010 è alla prima prova sulla lunga distanza, licenziato tramite l’etichetta spagnola Memento Mori e successore dell’ep Tales for the Carnivorous del 2013.
Il trio formato da membri di varie realtà del panorama undergound estremo della loro terra come Pitch Black, Holocausto Canibal, Biolence, Grunt, The Ominous Circle, è protagonista di un feroce dischetto estremo, oscuro e radicato nella vecchia scuola del nostro caro death metal.
Niente di nuovo quindi, solo un buon modo per tenere le orecchie allenate dall’assalto sonoro del trio, che fa sprizzare sangue a iosa dai solchi dei brani, sacrificati sull’altare dell’horror/gore.
Troverete dunque tutte le virtù di cui il genere si può vantare, aggressione, velocità, brusche discese al rallentatore nelle nefandezze raccontate da un growl brutale e terrificante, in un’orgia di torture e delitti di ogni tipo.
Ze Pedro (basso), Marco Silva e Álvaro Fernandes (chitarre) sono musicisti di esperienza e si sente, anche se manca ancora qualcosa nel songwriting per elevare il disco a più di un discreto commento, ma il sound opprimente e la soffocante atmosfera piacerà agli amanti del metal estremo.
Non c’è nell’album una song che si eleva in qualità delle altre tracce, tutto fila lineare come un treno sui binari, ma la cover del tema portante del film Halloween, posta a metà disco risulta un buon stacco horrorifico strumentale al massacro creato dalla band di Porto.
Un disco di genere, niente di più e niente di meno, che sicuramente non porterà nuovi fans al death metal old school, ma potrà essere apprezzato da chi di queste sonorità non può fare a meno.

TRACKLIST
1. Beyond the Grave
2. Orgy of Bloodshed
3. Room 36
4. They Never Found His Body
5. Only Whores Die Young
6. Halloween
7. Conceived in Violence
8. Nothing in the Dark
9. Dawn of Chaos

LINE-UP
Zé Pedro – Bass
Marco Silva – Guitars (lead)
Álvaro Fernandes – Guitars (rhythm)

DEMENTIA 13 – Facebook

Bloodstrike – In Death We Roth

Qualità media più che sufficiente per entrare nel cuore dei fans, i brani di In Death We Roth sprigionano aggressività e attitudine, confermando le buone impressioni avute lo scorso anno.

Lo scorso anno ci eravamo occupati dell’esordio autoprodotto di questa ottima band statunitense, capitanata dalla devastante voce di miss Holly Wedel, singer death coi fiocchi, dotata di un growl da far impallidire molti dei suoi colleghi maschi, ed intenta a valorizzare il sound del gruppo, un metal estremo di derivazione old school dai
richiami allo tsunami scandinavo abbattutosi sul mondo metallico nei primi anni novanta.

Necrobirth risultava così un ottimo biglietto da visita per il gruppo di Denver, composto da tre brani di pesantissimo death metal classico, ed infatti la band ha trovato una label pronta a licenziare il primo lavoro sulla lunga distanza, e In Death We Roth vede la luce tramite la Redefining Darkness Records in questa ultima parte dell’anno.
L’album consta di undici brani, compreso la title track, già apparsa sull’ep dello scorso anno e la cover di un brano dei seminali Grave (Soulless) a ribadire la totale devozione dei cinque musicisti americani all’old school scandinavian death metal.
Death metal aggressivo e feroce, un tornado che si abbatte senza pietà e affonda gli artigli nella carne degli amanti del genere come un coltello nel burro, undici lame affilate che tagliano, squartano e dilaniano, un arcobaleno di tutte le tonalità del nero, tra classiche bordate e improvvise accelerazioni.
Qualità media più che sufficiente per entrare nel cuore dei fans, i brani di In Death We Roth sprigionano aggressività e attitudine, confermando le buone impressioni avute lo scorso anno.
Ottima la coppia d’asce che sforna riff su riff, da tregenda la sezione ritmica e superba la prestazione della Wedel al microfono, fanno di questo primo lavoro, un’opera estrema riuscita, ben inserita nel ritorno in auge dei suoni classici, iniziata da un paio d’anni nell’underground e dove i Bloodstrike trovano la propria consacrazione.
I brani dalla tensione altissima, creano un monolito sonoro notevole, ma non si fatica ad arrivare agevolmente in fondo al cd, i clichè e le varie influenze sono ben evidenti tra i meandri di songs come l’opener Abomination, Cancer Among Man, Bells Of Death e Silent Killer, perciò cari miei deathsters, Entombed, Grave e Dismember continuano ad essere i totem a cui verrete legati e torturati dal gruppo statunitense.
Ottima conferma…avanti così.

TRACKLIST
01. Abomination
02. Putrefied Rapist
03. In Death We Rot
04. Cancer Among Men
05. Death Storm
06. Maggots for a Whore
07. Bells of Death
08. Bloodrotten
09. S.S.B. (Sex, Satan, Beer)
10. Silent Killer
11. Soulless (Grave Cover)

LINE-UP
Holly Wedel- Vocals
Jeff Alexis- Guitars
Joe Piker- Guitars
Rhiannon Wisniewski – Bass
Ryan Alexander Bloom – Drums

BLOODSTRIKE – Facebook

Ephyra – Along The Path

Le buone prove dei musicisti e l’ottima produzione (che per il lavori targati Bakerteam è una costante), fanno di Along The Path un’opera convincente e consigliata a tutti gli amanti del genere proposto.

La scena estrema nazionale si riempe ogni giorno di più, di realtà coinvolgenti in ogni sottogenere di cui è composta, dando l’impressione finalmente, di un mondo unito e compatto, visto che i suoi protagonisti, si scambiano favori e si ospitano a vicenda sui propri lavori.

Un mondo quello del metal che più di ogni altro, in questi anni di discesa verso l’abisso di mediocrità, che sembra coinvolgere la razza umana, acquista ancora più valore con i suoi principi e la sua voglia di fratellanza, fiero portavoce di un life style che nella vita normale sembra ormai una chimera.
Gli Ephyra sono un gruppo lombardo (Como) al secondo lavoro, uscito per l’ottima Bakerteam, etichetta nostrana che nel metal è sinonimo di qualità, si sono formati una decina d’anni fa e hanno esordito nel 2013 con il full length Journey.
Il loro sound è strutturato su di un ruvido folk metal, dai tratti estremi, con l’anima death ben in evidenza, così da risultare epico, drammatico e guerresco.
Perfettamente bilanciate l’uso delle due voci, con la dolce ugola della vocalist Nadia Casali a duettare in armonia con il growl di Francesco Braga, in un epico rincorrersi tra lo spartito dell’album e in un sali e scendi di atmosfere che non lasciano una sola nota al folk da locanda, ma tengono alta la tensione epico/oscura anche nei momenti di apparente calma data dagli strumenti classici.
Graditi ospiti danno il loro supporto affinché Along The Path sia un album imprescindibile per chi ama il genere, Lisy Stefanoni (Evenoire), Davide Cicalese (Furor Gallico),Silvia Bonino (Folkstone) e Mattia Stancioiu che ha anche registrato il tutto agli Elnor Studio.
Il guerriero alla ricerca della propria strada da intraprendere nella vita e sempre in lotta con le trappole che il destino gli tende, potrebbe essere la storia di ognuno di noi, guerrieri senza spade e scudi, ma in continua guerra con la vita di tutti i giorni e Along The Path potrebbe essere la colonna sonora di chi non si arrende e continua per la propria strada fiero e mai domo, come un cavaliere d’altri tempi.
Melodie folk e sfuriate death accompagnano il nostro eroe in questo viaggio, non c’è tregua, nessuna apertura, solo epicità, e tanta convinzione nei propri mezzi per la band lombarda che regala ottime cavalcate di death metal melodico e bellissime parti folk celtiche, mantenendo un’elevata qualità nel songwriting per tutto il lavoro.
Sinceramente ho trovato l’album, a suo modo originale, l’alchimia creata tra la parte folk e quella metallica viaggia in perfetta simbiosi, così come le voci e chiaramente ne guadagnano i brani che hanno in On At One, Cruel Day, Last Night e Land’s Calling le parti cruciali e a mio avviso le songs trainanti di questo ottimo album.
Le buone prove dei musicisti e l’ottima produzione (che per il lavori targati Bakerteam è una costante), fanno di Along The Path un’opera convincente e consigliata a tutti gli amanti del genere proposto.

TRACKLIST
1.Melancholy Rise
2.Human Chaos
3.All At Once
4.Cruel Day
5.Flaming Tears
6.Hope
7.Last Night
8.Riding With The Sun
9.Land’s Calling
10.No Dream
11.Alive

LINE-UP
Nadia Casali – Vocals
Francesco Braga – Vocals
Matteo Santoro – Guitars & Choirs
Paolo Diliberto – Guitars & Choirs
Alessandra Biundo – Bass
John Tagliabue – Drums

EPHYRA – Facebook

Gaijin – Gaijin

Ottima partenza e piccolo assaggio delle capacità del gruppo Indiano, che potrebbe riservare grosse soddisfazioni agli amanti del genere, specialmente per quelli che seguono le vicende musicali del metallico paese asiatico.

Mumbai, tra i meandri della megalopoli indiana si aggirano entità che si nutrono di metal estremo che, sempre più voraci, crescono a dismisura, invadendo, come un virus il mercato underground metallico, quello più violento ed estremista.

I Gaijin fanno parte di questa covata malefica, ed arrivano anche loro, dopo un’onorata gavetta al primo parto discografico, sotto forma di un ottimo ep di tre brani roboanti, veloci e tecnicissimi.
Un metal estremo che travolge a colpi di technical death metal, dalle indubbie risorse, suonato dannatamente bene e neanche troppo cervellotico.
Il quintetto ha stoffa da vendere e lo dimostra subito, completando l’ep con un brano in chiusura strumentale (Anamnesis) roba da band navigata, non certo da pischelli al primo vagito discografico.
Labirinti ed intrecci chitarristici( Jay Pardhy e Vinit Jani, davvero bravi con le sei corde), evidenziano una personalità debordante, il sound, strutturato su devastanti prove di forza della sezione ritmica(Karan Oberoi al basso e Ajit Singh al drumkit) che, non contenta, arricchisce la sua prova con fenomenali cambi di tempo ed elergisce potenza ed un mood progressivo che coccia con il growl brutale del buon Malcolm Soans.
Dead Planet e Meiosis accentuano il vortice in cui il gruppo asiatico ci scaraventa, siamo nel death metal tecnico, quindi niente smancerie e via per scale e solos virtuosissimi, lasciando che le influenze o meglio, le ispirazioni(Obscura, Cynic e Cannibal Corpse), escano dai solchi dell’album in tutta la loro inesauribile potenza.
Ottima partenza e piccolo assaggio delle capacità del gruppo Indiano, che potrebbe riservare grosse soddisfazioni agli amanti del genere, specialmente per quelli che seguono le vicende musicali del metallico paese asiatico.

TRACKLIST
1. Dead Planet
2. Meiosis
3. Anamnesis

LINE-UP
Malcolm Soans – Vocals
Vinit Jani – Guitar
Jay Pardhy – Guitar
Karan Oberoi – Bass
Ajit Singh – Drums

GAIJIN – Facebook

The Sickening – Sickness Unfold

Sickness Unfold è il classico album da ascoltare come fosse una lunga jam estrema, lasciando che i vari passaggi entrino in noi e ci annodino le budella, prima che il ventre esploda in una cascata di sangue e viscere.

Una band estrema norvegese dal sound americano, questi sono i The Sickening, brutal death metal band al secondo lavoro uscito per la Xtreem Records.

Il trio di Kristiansund sono più di dieci anni che tortura e sevizia senza pietà, eppure la discografia si ferma ad un demo, uscito nel 2007 e a due full length: il primo uscito nel 2009 dal titolo Death Devastation Decay e questo massacro ultra tecnico, al secolo Sickness Unfold.
Mezz’ora di soluzioni tecniche intricate al servizio di un sound, dirompente e vorticoso, lasciano il segno sull’ascoltatore, trascinato in un mondo di morte dal gruppo scandinavo che, come detto, volge lo sguardo alla lontana america, per infarcire il proprio sound di soluzioni che richiamano i Suffocation e i Deeds Of Flesh.
Niente di male, il brutal dei nostri raccoglie ovazioni la dove, le trame del sound si fanno intricate e colme di soluzioni mai troppo banali.
Una furia difficile da tenere a bada, il sound del gruppo vola alla velocità della luce, con prove eccezionali dei musicisti all’opera, che non ne vogliono sapere di rallentare la folle corsa, e si inventano passaggi difficilissime ma assolutamente fluidi.
E qui sta il bello di questo lavoro: il tempo scorre, persi nei labirinti estremi creati dal gruppo, dotato di una tecnica individuale spaventosa ed un talento innato per la forma canzone.
Growl brutale e assassino (Pål “Markspist” Bjerkestrand, anche alla sei corde) e cambi di ritmo a velocità inumana da parte di una sezione ritmica dotata di una bravura che ha del clamoroso (Neeraj Kasbekar al basso e Espen “Beist” Antonsen alle pelli) sono le migliori virtù di questo trio di pazzi, geniali musicisti che strapazzano lo spartito a colpi di metal estremo sopra le righe.
Il classico album da ascoltare come fosse una lunga jam estrema, lasciando che i vari passaggi entrino in noi e ci annodino le budella, prima che il ventre esploda in una cascata di sangue e viscere.
Per gli amanti del genere, un gran bel disco da non farsi mancare nella propria brutale discografia.

TRACKLIST
01. Sickness Unfold
02. Fixed On Killing
03. Unnamed Horror
04. Throat Hole Ejaculation
05. Lord Of Decay
06. A Mind Deranged
07. Powertool Sodomy
08. Suffer For My Pleasure
09. Consumed By Hate
10. Abort (The Fetus) (Vile Cover)

LINE-UP
Pål “Markspist” Bjerkestrand – Voce, chitarra
Neeraj Kasbekar – Basso, voce
Espen “Beist” Antonsen – Batteria

THE SICKENING – Facebook

Manipulation – Ecstasy

Ecstasy è un lavoro compatto e debordante che unisce con ottimi risultati tradizione e modernità

Ecco un album che accomuna spirito classico e death moderno in un concentrato di estrema putrescenza sonora.

Ecstasy è il nuovo lavoro dei polacchi Manipulation, band non di primo pelo, essendo attiva dall’ormai lontano 2001 e con i primi due lavori usciti a distanza di cinque anni: The Future of Immortality primo album licenziato nel 2007, ed il secondo, Passion dato alle stampe tre anni fa.
Il nuovo album uscito per Satanath Records risulta un monolito estremo di inumana violenza, ben bilanciata tra sfuriate di detah metal classico e robuste soluzioni deathcore, per un risultato di indubbia devastazione sonora.
Un mood oscuro, permea tutto l’album, sconvolto da soluzioni tecniche sopra la media e da un songwriting che non perde mai il filo conduttore, che porta ed eleva questa raccolta di songs violente e devastanti, convincendo a più riprese.
Brani che spazzano via tra il growl dall’impronta core di Brużyc, la varia e funzionale sezione ritmica, che passa con disinvoltura da blast beat di scuola classica e tremende e cadenzate bordate core(Bysiek al basso e Kriss alle pelli) con le chitarre che, dalla loro, si aggirano tra la struttura delle songs piene di famelico spirito estremo, torturate da Rado.Slav e Vulture .
Registrato in Polonia nei Monroe Sound Studio, Ecstasy esplode come un’atomica e gli echi di queste dieci bombe sonore si dilatano come il fungo atomico, tanta è la potenza che il gruppo emana.
Una macchina distruttrice, che senza fermarsi travolge, massacra e uccide senza pietà con una forza dirompente, tecnica e malata, lasciando indietro molte delle realtà più blasonate del genere, anche d’oltreoceano terra dove la musica del combo trae le sue ispirazioni.
Album da spararsi tutto d’un fiato per godere della sua immane potenza, tra cui si distinguono spettacolari tracce come l’opener Insomnia, The Paradigm of Existence, Temples of Vanity e la title track posta in chiusura.
Ecstasy risulta così un lavoro compatto e debordante, che unisce con ottimi risultati tradizione e modernità, dategli un ascolto.

TRACKLIST
1. Insomnia
2. Sic Itur ad Astra
3. Lifetime
4. Bad Boy
5. The Paradigm of Existence
6. Sunset over Vatican
7. Temples of Vanity
8. Burn Motherfuckers!
9. Dźwięk upadku
10. Ecstasy

LINE-UP
Rado.Slav – Guitars
Bysiek – Bass
Kriss – Drums
Vulture – Guitars
Brużyc – Vocals

http://www.facebook.com/manipulation.net/

Monastery Dead – Black Gold Appetite

Le influenze sono percepibili nei maestri Cannibal Corpse e nei Dying Fetus, la produzione rende giustizia al suono pesantissimo creato dal gruppo ed il disco fila liscio senza grosse cadute, ma altresì senza meraviglie, mantenendo una qualità sufficiente per non passare del tutto inosservato.

Nuovo lavoro per questa band estrema proveniente dalla Russia, terzo di una discografia che vede altre due opere licenziate nel corso di undici anni di attività; Victims of Senseless Massacre del 2009 e Cold and Gloom del 2012.
Il gruppo di san Pietroburgo opera nel settore del death metal che sfocia molte volte nel brutal, magari non tecnicissimo ma dall’impatto devastante.

Un aggressione feroce dunque, senza compromessi e colma di sfuriate violentissime, ad opera di una band che punta tutto sull’impatto, da tregenda della propria musica e l’effetto è convincente, specialmente per chi fa del genere la principale fonte di sostentamenti musicale.
Manca un briciole di fantasia in più per differenziarsi dalle centinaia di realtà che popolano l’universo underground estremo, ma è indiscutibile l’attitudine che la band riversa in questi trentaquattro minuti di delirio death senza compromessi.
Growl brutale e sezione ritmica che crea un wall of sound di notevole impatto sono le caratteristiche maggiori per far si che Black Gold Appetite trovi estimatori tra i fans del death metal, affrancati ed accontentati nei loro istinti da songs tremebonde come You Are Parasite, Sick Absolution, la title track e Lie, picchi qualitativi di questo lavoro estremo.
Siamo al cospetto di una band che, senza far gridare al miracolo, il suo mestiere lo fa con dovizia senza andare oltre ad un onesto compitino.
Le influenze sono percebibili nei maestri Cannibal Corpse e nei Dying Fetus, la produzione rende giustizia al suono pesantissimo creato dal gruppo, ed il disco fila liscio senza grosse cadute, ma altresì senza meraviglie, mantenendo una qualità sufficiente per non passare del tutto inosservato.

TRACKLIST
1. Global Bleeding Euphoria
2. More Power
3. You Are Parasite
4. Despairing Existence
5. Sublimation
6. Sick Absolution
7. Generation: Rats
8. Black Gold Appetite
9. Why Are You Born
10. Voracity of Madness
11. Lie
12. Digital Apocalypse
13. Gore Gods Enthroned

LINE-UP
Vadim Nikolaev – Bass
Kirill Zharikov – Drums
Nikita Volkov – Guitar
Anton Malov – Vocals
Kirill Tatarinov – Guitar

MONASTERY DEAD – Facebook

Al Namrood – Diaji Al Joor

Questo stuzzicante connubio tra black metal e musica araba non è affatto qualcosa di banale, possa piacere o meno, e se sviluppato ulteriormente, potrebbe portare in tempi brevi a risultati sorprendenti.

Nel parlare di metal proveniente da paesi arabi, specialmente poi in questo caso che vede la band in oggetto arrivare proprio dall’Arabia Saudita (anche se ho la sensazione che la sua base sia altrove), in questi tempi grami è facile finire per occuparsi di questioni che esulano dal contesto prettamente musicale.

Cercherò quindi di non cadere in questa trappola, raccontando brevemente di questo quarto full length dei sauditi Al Namrood, autori di un black death fortemente influenzato dalle sonorità tipiche della loro area geografica.
Diciamo che l’interpretazione del genere non appare né raffinata né artefatta: il trio ci va giù bello pesante, ed anche le parti suonate con gli strumenti tradizionali (ad opera di Ostron) conservano un’aura selvaggia che le rende ancor più intriganti; detto del lavoro di mero accompagnamento di chitarra e basso, a cura dell’altro membro fondatore Mephisto, il ringhio di Humbaba è forse l’elemento meno convincente del contesto, visto che più che cantare strepita in lingua madre testi che, ahimè, sono di impossibili da comprendere senza una traduzione.
Non riesco darmene una spiegazione logica, ma dopo il primo ascolto di Diaji Al Joor ho pensato che dei Rammstein, risvegliatisi dopo un trip susseguente ad un’orgia dall’ambientazione araba, suonerebbero esattamente così, un po’ perché ogni tanto il vocalist può ricordare una versione più grezza di Lindemann, ma soprattutto perché si intravvede negli Al Namrood quello stesso spirito sardonico che è una delle più sottovalutate doti della grande band teutonica.
Detto ciò, anche se quaranta minuti non sono tanti, per godere appieno di questo lavoro è basilare apprezzare la musica tradizionale araba: io che, devo confessare, la digerisco sostanzialmente solo se assunta in dosi moderate, ho fatto una certa fatica a completare i diversi ascolti del disco, ma è innegabile che lo stesso racchiuda un suo fascino ancestrale che potrebbe non lasciare indifferente chi è alla ricerca di qualche sonorità estrema dai tratti meno convenzionali.
Rivedibile in certi passaggi dal punto di vista della produzione, Diaji Al Joor contiene alcuni brani killer, come il singolo Hayat Al Khezea o Zamjara Alat, ed è sicuramente un disco che lascia una certa acquolina in bocca alla luce del potenziale espresso degli Al Namrood: questo stuzzicante connubio tra black metal e musica araba non è affatto qualcosa di banale, possa piacere o meno, e se sviluppato ulteriormente, potrebbe portare in tempi brevi a risultati sorprendenti.
Da provare, senza pregiudizi.

Tracklist:
1. Dhaleen
2. Zamjara Alat
3. Hawas Wa Thuar
4. Ejhaph
5. Adghan
6. Ya Le Taasatekum
7. Hayat Al Khezea
8. Ana Al Tughian
9. Alqab Ala Hajar

Line-up:
Mephisto – Guitars, Bass, Percussion
Ostron – Keyboards, Percussion
Humbaba – Vocals

AL NAMROOD – Facebook

The Ritual Aura – Laniakea

Se Da Focus, capolavoro dei Cynic, vi siete appassionati al genere, brani come Era of the Xenotaph, Precursor of Aphotic Collapse e Nebulous Opus Pt. II, vi faranno letteralmente sobbalzare dalla sedia spedendovi su una galassia sperduta.

Accompagnato da una bellissima copertina fantascientifica, irrompe sul mercato underground, il primo lavoro dei technical deathsters australiani The Ritual Aura (ex Obscenium), licenziato dalla Lacerated Enemy Records e stampato in edizione limitata a duecento copie.

Liniakea è un opera affascinante, composta da un sound progressivo che accomuna melodia e mood estremo, tecnica sopraffina ed impatto tellurico in un unica esplosione di note, violente e cerebrali, intricate ma allo stesso tempo mature, facendo della band una gran bella sorpresa per gli amanti di queste sonorità.
Ovviamente la tecnica dei musicisti è spaventosa: sezione ritmica da infarto, chitarra che illumina la scena con solos funambolici, growl tosto il giusto e orchestrazioni che a tratti regalano atmosfere sci-fi in un tripudio di cambi di tempo, dita che vanno su e giù alla velocità della luce, sul manico della sei corde con Nebulous Opus Pt, II che ruba la scena, song enorme per cui vale l’ascolto del disco, un susseguirsi di cambi di tempo, orchestrazioni bombastiche e chitarra che sfida lo spartito in una rincorsa a note perse nello spazio profondo.
Non un album “facile”, come del resto tutti i lavori che puntano molto sulla tecnica esecutiva, aiutato dal minutaggio ridotto ( venticinque minuti), però Laniakea si riesce a seguire nelle sue scorribande nel mondo delle sette note estreme, nobilitate da quattro musicisti superlativi e da reminiscenze progressive che ne ampliano il raggio d’azione.
Non solo estremismo sonoro dunque , ma musica che attraversa barriere, cavalcando una tempesta di suoni, umori e sensazioni, guidati da questi quattro musicisti disumani, al secolo Darren Joy al basso, Adam Giangiordano alle pelli, Levi Dale alla chitarra e Jamie Kay alle vocals.
Se da Focus, capolavoro dei Cynic, vi siete appassionati al genere, brani come Era of the Xenotaph, Precursor of Aphotic Collapse e la già citata Nebulous Opus Pt. II, vi faranno letteralmente sobbalzare dalla sedia spedendovi su una galassia sperduta. Consigliato.

Tracklist:
1. Mythos of Sojourn
2. Ectoplasm
3. Time-Lost Utopia
4. Era of the Xenotaph
5. Nebulous Opus Pt, I
6. Precursor of Aphotic Collapse
7. Erased in the Purge
8. Nebulous Opus Pt, II
9. Laniakea

Line-up:
Darren Joy – Bass
Adam Giangiordano – Drums
Levi Dale – Guitars
Jamie Kay – Vocals

Never To Arise – Gore Whores On The Killing Floor

Questo delirio estremo proviene dalla Florida, già di per se una garanzia se si parla di death metal e specialmente di brutal: tecnico, devastante, oscuro e violentissimo.

Questo delirio estremo proviene dalla Florida, già di per se una garanzia se si parla di death metal e specialmente di brutal: tecnico, devastante, oscuro e violentissimo.

I Never To Arise sono un duo composto da Gordon Denhart ( batteria programmata, chitarra e voce) e Michael Kilborn (chitarra solista e basso), sono al secondo lavoro dopo l’esordio Hacked to Perfection di tre anni fa e ripiombano sulla scena estrema con questo nuovo e massacrante album, Gore Whores On The Killing Floor, un micidiale esempio di death metal brutalizzato e tecnico, un uragano sonoro di dimensioni abnormi, cattivo, oscuro ma assolutamente imperdibile per chiunque si professi fan del genere.
Prodotto dai due musicisti e caratterizzato da un artwork che definire gore è un’eufemismo , l’album letteralmente travolge, forte di una potenza disarmante, un songwriting esagerato ed una tecnica invidiabile da parte dei due poco raccomandabili musicisti, veri torturatori di dolci donzelle e padiglioni auricolari.
Tutto rasenta la perfezione in questo lavoro, la batteria programmata su velocità da gran premio, su cui si staglia il gran lavoro delle sei corde, sia nelle ritmiche, che creano muri di impressionante sound estremo, sia nei solos, taglienti katane pronte allo scontro che tranciano, affilate come rasoi, amputano, tagliano ed infliggono torture mortali.
Colonna sonora delle aberrazioni umane, splendida glorificazione di morte e perversione, Gore Whores On The Killing Floor si bea di un songwriting esagerato, i brani si alternano uno più violento dell’altro, mitragliate e bombardamenti musicali che si scagliano sull’ascoltatore, aggredendolo, in un’orgia di note al limite, ed un’atmosfera da carneficina, decantata dal growl mostruoso del “buon” Denhart.
Uno più bello dell’altro i brani formano una suite del male, un’opera maledetta, dove, senza pietà i due musicisti ci chiudono nel loro nascondiglio e senza essere disturbati compiono le loro gesta a colpi di Butcher Knife Birth Control, Boiled Alive in Battery Acid, Severed and Embalmed e la conclusiva Last Supper.
Malevolent Creation, Cannibal Corpse, Six Feet Under, tanto per fare qualche nome e convincervi ad ascoltare questo ennesimo e bellissimo lavoro, che il metal estremo ha regalato nell’anno in corso.

Tracklist:
01. Butcher Knife Birth Control
02. Razor Sliced Hemophiliac
03. Fornicating in the Blood of the Mutilated
04. Boiled Alive in Battery Acid
05. A Most Unwilling Organ Donor
06. To Cum Is To Die
07. Open Heart Punching Bag
08. Severed and Embalmed
09. Anatomically Pulverized
10. Last Supper

Line-up:
Gordon Denhart – Rhythm Guitars,Vocals, Drum Programming
Michael Kilborn – Lead Guitar,Bass

Avulsed – Altar of Disembowelment

Un gran bel lavoro, che conferma lo status della band spagnola e ci dà appuntamento al futuro album sulla lunga distanza che, visto lo stato di grazia qui dimostrato, promette scintille.

Che Dan Swanö sia il Re Mida del death metal degli ultimi vent’anni, non lo dice il sottoscritto ma tutta la musica di qualità che ha creato come musicista prima, ed i tanti capolavori in cui ha messo la sua esperienza ed il suo talento dietro ad un mixer, in seguito.

Fare un elenco degli ultimi album, tutti bellissimi, che hanno invaso il mercato negli ultimi due anni, toglierebbe un po’ d’attenzione a questo ultimo lavoro dei deathsters spagnoli Avulsed, in cui il genio svedese ha curato la masterizzazione ai rinomati Unisound Studios.
Così succede che il buon Swanö si ritrova a collaborare con un altro personaggio, degno di nota nella scena estrema Europea, Dave Rotten, cantante del gruppo madridista e manager della Xtreem music, etichetta spagnola specializzata in metal estremo, molto attiva a livello underground.
D’altronde gli Avulsed sono un monumento della scena death, non solo spagnola, da oltre vent’anni di attività e con una bella sfilza di lavori editi, di cui sei sono full length.
Accompagnato da una copertina di chiara ispirazione brutal, creata dall’artista Juanjo Castellano, Altar of Disembowelment è composto da quattro brani inediti, più la cover di Neon Knights dei Black Sabbath, ciliegina sulla torta di un ep clamoroso dove il gruppo amalgama il classico death metal dai rimandi brutal, amalgamandolo questa volta con richiami al genere, suonato su in Scandinavia nei primi anni novanta, per un risultato entusiasmante.
Come se, alle ritmiche e la struttura del brutal alla Cannibal Corpse, ci si aggiungessero chitarre di chiara impronta Entombed/Dismember, per un ibrido che ha nell’opener To Sacrifice And Devour, la massima espressione.
La band, in piena forma, non fa mancare ritmiche veloci e potenti, Rotten sfodera la solita prestazione da urlo con il suo growl cavernoso e brutale, mentre stop and go, ripartenze fulminee e rallentamenti monolitici sono l’arma con cui il gruppo non fa prigionieri (Red Viscera Serology).
Ma, questa volta sono le chitarre a fare la differenza (Jose “Cabra” e Juancar), assassine, taglienti, ma capaci di aperture melodiche che fanno rizzare le orecchie e spalancare bocche (Ceremony Of Impalement) in una tempesta di suoni old school valorizzati dal lavoro in studio (registrazione e missaggio in balia di Raúl Fournier agli Overhead Studios).
Tremble In Darkness continua imperterrita la mattanza e la citata cover dei Sabbath, impreziosisce un gran bel lavoro, che conferma lo status della band spagnola e ci dà appuntamento al futuro album sulla lunga distanza che, visto lo stato di grazia qui dimostrato, promette scintille.

Tracklist:
01. To Sacrifice And Devour
02. Red Viscera Serology
03. Ceremony Of Impalement
04. Tremble In The Darkness
05. Neon Knights (Black Sabbath)

Line-up:
Dave Rotten: Vocals
Cabra: Guitar
Juancar: Guitar
Tana: Bass
Erik: Drums

Sadist – Hyaena

I Sadist ci danno una dimostrazione di come si possa fare musica totale, travalicando generi e visioni ristrette per aprire veramente la mente, riuscendo a cogliere anche quello che c’è oltre ciò che vediamo.

Ascoltare i Sadist diventa una quaestio filosofica: siete pronti a viaggiare per lo spazio profondo o volete sentire un metal che avete già nella vostra testa?
La questione non è da poco.

I Sadist ci hanno abituato fin dagli albori della loro carriera cominciata nel lontano 1991 a volare molto alto, dischi come il primo “Above The Light” o il clamoroso “Tribe” ci hanno mostrato un modo differente di usare il metal come codice per legare culture molto differenti fra loro, e non nel significato dato dai Sepultura, perché i Sadist operano una sintesi a tutto tondo.
Questa volta la protagonista è la Hyaena e per estensione l’Africa, infatti troviamo anche l’ottimo percussionista senegalese N’Diaye che si unirà ai genovesi anche per i concerti dal vivo.
In questo disco la musica è un mezzo per viaggiare, e si ottiene un fusione di altissimo valore fra prog e metal, ma senza essere per questo un’opera prog metal, recinto che racchiude troppe vacche magre.
I Sadist ci danno una dimostrazione di come si possa fare musica totale, travalicando generi e visioni ristrette per aprire veramente la mente, riuscendo a cogliere anche quello che c’è oltre ciò che vediamo.
Hyaena ci porta in profondità, ricercando le nostre radici con un suono metal che si trasforma in prog e prog che si sublima nel metal, come una nave chi si adatta a seguire le onde.
Non esiste un solo pezzo scritto male od interpretato male, e la rete tessuta dai Sadist non si esaurisce con la fine della canzone ma va ben oltre. Tutte le canzoni sono state scritte da Tommy Talamanca che è uno dei migliori compositori musicisti che ci sia in giro. I testi sono stati scritti da Trevor, e sono unici come sempre. Parliamo un po’ di Trevor, perché in questo disco è in forma strepitosa, cantando oltre le già alte vette da lui toccate precedentemente, e con la sua voce dà un timbro preciso al disco.
Chi già conosce i Sadist sa che questo album sarà differente come tutti gli altri, sicuramente molto diverso dal precedente “Season In Silence” che era il loro lavoro maggiormente metal.
In Hyaena c’è tutto,ed è sicuramente l’album migliore dei Sadist, lo si ascolta in continuazione e se ne vuole ancora.
Torna il quesito posta all’inizio: volete viaggiare o rimanere a terra?

Tracklist:
1. The Lonely Mountain
2. Pachycrocuta
3. Bouki
4. The Devil Riding the Evil Steed
5. Scavenger and Thief
6. Gadawan Kura
7. Eternal Enemies
8. African Devourers
9. Scratching Rocks
10. Genital Mask

Line-up:
Trevor Sadist – Lead Singer.
Tommy Talamanca – Keyboards,Guitars.
Andy Marchini – Bass.
Alessio Spallarossa – Drums

SADIST – Facebook