Original Sin – Story Of A Broken Heart

Una raccolta di brani molto interessanti e dalle ottime melodie, neanche troppo nascoste sotto l’armatura formata da un hard & heavy che ha le sue radici negli anni ottanta, melodico ma senza smarrire il suo impatto, potenziato da ritmiche hard rock ed epicità.

Vi presentiamo Story Of A Broken Heart, debutto sulla lunga distanza dei ravennati Original Sin, uscito lo scorso anno in regime di autoproduzione.

Attiva da tre anni, dopo un paio di apparizioni in concorsi canori tra cui il Sanremo Rock, la band prova a conquistare i cuori del rockers con questa raccolta di brani molto interessanti e dalle ottime melodie, neanche troppo nascoste sotto l’armatura formata da un hard & heavy che ha le sue radici negli anni ottanta, melodico ma senza smarrire il suo impatto, potenziato da ritmiche hard rock ed epicità.
Matteo Axis Berti (voce e chitarra), Federico Fede Maioli (chitarra), Manuel Mana Montanari (basso) e Luca Canna Canella (batteria) ci fanno partecipi del loro tributo a queste sonorità e Story Of Broken Heart si presenta come un album vario, passando da brani heavy metal a ballad semi acustiche suonate sui marciapiedi delle strade americane.
Gli States chiamano Londra e Londra risponde con brani che tanto hanno dell’epicità di Dio e del classic rock britannico, mentre l’hard rock melodico si insinua tra lo spartito per donare un tocco raffinato al songwriting di brani piacevoli come l’opener Cry With Me.
Non ci sono cadute di tono, l’album mantiene una buona qualità per tutta la sua durata con le chitarre sugli scudi, protagoniste di gustosi solos dal flavour epico (Fighting For Your Love), con lampi che si disegnano nel cielo alternati alle luci che all’imbrunire illuminano le strade metropolitane (I’m Waiting).
Story Of A Broken Heart è sicuramente una partenza convincente per gli Original Sin, con qualche dettaglio da perfezionare come la produzione e la voce migliorabile nei brani più heavy ed epici.

Tracklist
1.Cry With Me
2.Living Life
3.I’m Still Burnin
4.Mr. Danger
5.Rebellion
6.Fighting for Your Love
7.Story of a Broken Heart
8.For Ever
9.I’m Waiting

Line-up
Matteo Berti – Vocals, Guitars
Federico Maioli – Guitars
Manuel Montanari – Basso
Luca Canella – Drums

ORIGINAL SIN – Facebook

V-8 Compressor – Don’t Break My Fuzz

I V-8 Compressor indagano un altro lato della musica pesante, producendo un disco molto divertente, che è un misto di stoner, fuzz, southern metal e tanto hard rock, con momenti maggiormente psichedelici.

Album di debutto per gli imperiesi V-8 Compressor, un gruppo che fa stoner metal a mille all’ora, con tanta velocità ed amore per sua maestà Lemmy Kilmeister.

Fra i componenti possiamo trovare Pixo, che suona anche nei mitici e mefitici Carcharodon, uno dei migliori gruppi rumorosi della costa ovest ligure e non solo. I V-8 Compressor indagano un altro lato della musica pesante, producendo un disco molto divertente, che è un misto di stoner, fuzz, southern metal e tanto hard rock, con momenti maggiormente psichedelici. I membri della band non sono dei novellini e non devono dimostrare nulla, e la loro missione è quella di divertire il pubblico e loro stessi. La produzione li supporta benissimo, perché lascia una patina di sporcizia al suono, che pur essendo limpido ha quel speciale sapore di fango e sudore che calza molto bene. Il disco funziona ottimamente e ha molti livelli, dato che passa agevolmente da un genere all’altro senza mai perdere la sua coerenza ed identità. Il suono del trio ligure è molto ben definito e tutto va nella direzione voluta: verso l’inferno, perché è lì che siamo diretti. Le radici del suono dei V-8 Compressor sono da ricercarsi molto lontano, in quel rock blues di figli maledetti della grande terra oltre l’oceano, ma forse anche prima, in quel milieu di diseredati che vivevano molto veloce e morivano giovani. Don’t Break My Fuzz è un disco che può durare molto nelle orecchie degli ascoltatori, perché ha tante cose da dire e da sentire, il tutto fatto da persone che hanno una passione vera, e che non hanno paura di alzare il volume, senza tante pose o proclami, ma con testa bassa e corna in alto. Ennesima conferma che la provincia dell’impero è sempre prolifica e fa ottime cose, ma sopratutto prova a divertirsi.

Tracklist
1.Don’t Break My Fuzz
2.Stray Hound Dogs
3.No Sissies
4.Loud Knocks
5. Sgrunt Cow
6.Aniridia
7.Snake Charmer
8.Grey City
9.Appaloosa

Line-up
Pixo: bass/vocals
Matt Lithium: guitar/vocals
Doktor T: drums/bardot game

V-8 COMPRESSOR – Facebook

17Crash – Hit The Prey

Si può vestire di abiti eleganti l’hard’n’heavy di ispirazione Motley Crue? Sì, e i 17Crash lo insegnano con Hit The Prey e le sue dieci composizioni più intro, un bellissimo esempio di hard rock ottantiano perfettamente inserito nel nuovo millennio.

Tornano i glamsters toscani 17Crash, con il secondo album sotto l’ala della Volcano Records,centrando il bersaglio a livello qualitativo.

Hit The Prey segue di tre anni il precedente lavoro, e sembra passata una vita, non perché Reading Your Dirty Minds non fosse già un buon lavoro, ma questa raccolta supera le più rosee aspettative e ci regala una band in stato di grazia.
Saranno le tastiere sempre presenti di Alessio Lucatti (Vision Divine, Deathless Legacy), che conferiscono ai brani un tocco aor originalissimo in un contesto sleazy rock, sarà il lavoro in studio sempre all’altezza del mai troppo osannato Simone Mularoni, ricordato spesso per la sua presenza nei DGM ma sempre più protagonista nel suo operato dietro la consolle, ma Hit The Prey si rivela un irresistibile esempio di hard rock melodico, un insieme di singoli che formano un album che definire perfetto è un eufemismo: i 17Crash prendono l’hard rock americano in auge tra i locali del Sunset e lo rivestono di suoni tastieristici da arena rock e tanta melodia da sfiorare, appunto, il più elegante e raffinato aor.
Si può vestire, quindi, di abiti eleganti l’hard’n’heavy di ispirazione Motley Crue? Sì, e i 17Crash lo insegnano con Hit The Prey e le sue dieci composizioni più intro, un bellissimo esempio di hard rock ottantiano perfettamente inserito nel nuovo millennio.
Ros Crash (cantante che fa la differenza) e compagni alternano impennate grintose e dalle graffianti atmosfere sleazy (Can’t Touch, Scream My Name) a brani nati per le radio rock delle università di metà anni ottanta (Don’t You Break My Life, Brighter Day), e ballad che lasciano trasparire ispirate note alla Bon Jovi (In The Eyes Of A Woman).
Su tutto questo ben di Dio i tasti d’avorio ricamano, cuciono, legano le tracce con arrangiamenti altamente melodici, donando un raffinato tocco aor che risulta la carta vincente di questo splendido lavoro.
Hit The Prey è così un degli album più riusciti di questa prima metà dell’anno nel suo genere, e faticherà ad uscire dal vostro lettore per tanto tempo.

Tracklist
1.Approaching
2.Lies
3.Can’t Touch
4.Don’t You Break My Life
5.Out Of Hit
6.Rum All Night
7.Scream My Name
8.In The Eyes Of A Woman
9.Brighter Day
10.Dead City
11.Hit The Prey

Line-up
Ros Crash – Vocals
Frankie – Guitars
Steve “Poison” – Guitars
Lawrence kaos – Bass
Phil Hill – Drums

17CRASH – Facebook

Arca Progjet – Arca Progjet

Come quella che migliaia d’anni fa galleggiò per lungo tempo sulle acque che ricoprirono la terra, la nuova e più moderna arca ci porterà verso la salvezza cullati dalla musica, un rock progressivo dall’alto tasso melodico, raffinato ed elegante, creato da una manciata di musicisti dall’esperienza invidiabile.

Chi ci salverà questa volta dalla distruzione prima di una nuova rinascita, se non un’arca spaziale?

E come quella che migliaia d’anni fa galleggiò per lungo tempo sulle acque che ricoprirono la terra, la nuova e più moderna arca ci porterà verso la salvezza cullati dalla musica, un rock progressivo dall’alto tasso melodico, raffinato ed elegante creato da una manciata di musicisti dall’esperienza invidiabile.
La band chiamata Arca Progjet nasce a Torino da un’idea di Alex Jorio ( Elektradrive) e Gregorio Verdun al basso e tastiere, a cui si aggiungono Sergio Toya alla voce, Carlo Maccaferri alla chitarra e Filippo Dagasso alle tastiere e programmazioni.
Con l’aiuto di ospiti d’eccezione come Mauro Pagani (PFM – Premiata Forneria Marconi), Gigi Venegoni e Arturo Vitale (Arti & Mestieri), il gruppo parte per un viaggio nello spazio nel quali si amalgamano il progressive tradizionale, ovviamente ispirato alla scena tricolore, e sonorità più moderne come quelle scritte da Arjen Anthony Lucassen per i lavori firmati Ayreon.
Da qui si parte per questa esplorazione alla ricerca di un mondo nuovo, con il suo carico di musica da tramandare a chi darà nuova linfa vitale per un futuro quanto mai incerto.
Ma l’atmosfera ariosa di brani progressivamente melodici come l’opener Arca o la splendida Metamorfosi riempiono di luminosa speranza questo nuova avventura con l’arca, che continua il suo viaggio tra spettacolari tappeti che i tasti d’avorio creano tra cambi di tempo e ricami progressivi dal taglio settantiano.
Modernità e tradizione sono il tesoro che ritroviamo in Sulla Verticale, traccia che sottolinea la tecnica invidiabile dei protagonisti senza che si perda un briciolo di fluidità nell’ascolto e lasciando che l’hard rock raffinato e melodico di Cielo Nero, la sontuosa Pozzanghere di Cielo e le armonie acustiche della conclusiva Aqua (bonus track della versione in cd), confermino questo riuscito connubio tra hard rock melodico e progressive.
Cantato interamente in italiano, Arca Progjet risulta un opera affascinante e spettacolare: speriamo che l’Arca in futuro continui il suo viaggio e che i cinque capitani al comando ci raccontino ancora delle sue avventure nello spazio.

Tracklist
01. Arca
02. Metà Morfosi
03. Requiend
04. Battito D’Ali
05. Sulla Verticale
06. Neanderthal
07. Cielo Nero
08. Delta Randevouz
09. Un. Inverso
10. Pozzanghere Di Cielo
11. Aqua (Cd Bonus Track)

Line-up
Sergio Toya – Vocals
Gregorio Verdun – Bass
Carlo Maccaferri – Guitar
Alex Jorio – Drums
Filippo Dagasso – Keys, Programmings

ARCA PROGJET – Facebook

Light The Torch – Revival

Revival non è il solito disco di metal moderno per ragazzini, ha profondità e solide radici e suona molto bene, per un ulteriore passo in avanti nella carriera di quello che è un supergruppo che però sa reinventarsi ogni volta senza vivere sugli allori.

I Light The Torch sono la dimostrazione vivente che si può fare buon metal moderno misto al rock, essere radiofonici ed al contempo credibili.

Cosa non difficile visti i membri che compongono il gruppo ed i loro curriculum passati, a partire dal cantante Howard Jones già nei Killswitch Engage e nei Blood Has Been Shed, che con la sua particolare voce è uno dei punti di forza del gruppo. Non tutto è facile però, poiché la band ha dovuto attraversare un difficile momento sia personale di diversi componenti del gruppo, come lo stesso Jones che nel 2016 ha perso suo fratello, sia a livello di gruppo per diversi contrasti al loro interno, come è per certi versi normale. Revival, il titolo del nuovo disco, rispecchia precisamente il suo significato, nel senso di reale rinascita per il gruppo, che dopo aver passato la tempesta è più vivo che mai. In molti parlano di metalcore per descrivere il genere di questa band, ma c’è qualcosa in più e di differente, per cui sarebbe forse meglio parlare di metal rock, anche per la grande quantità di melodia presente. I losangelini hanno lavorato per più di un anno al disco e i miglioramenti sono tangibili, soprattutto nella fusione di melodia e potenza, dando un buon risultato. Le canzoni sono strutturate in maniera più solida e si snodano con vigore, riuscendo ad avvicinare un pubblico maggiore rispetto al mero metalcore. Tutte le canzoni sono potenziali singoli radiofonici, specialmente per il circuito radio metal delle università americane. Revival non è il solito disco di metal moderno per ragazzini, ha profondità e solide radici e suona molto bene, per un ulteriore passo in avanti nella carriera di quello che è un supergruppo che però sa reinventarsi ogni volta senza vivere sugli allori.

Tracklist
1. Die Alone
2. The God I Deserve
3. Calm Before The Storm
4. Raise The Dead
5. The Safety Of Disbelief
6. Virus
7. The Great Divide
8. The Bitter End
9. Lost In The Fire
10. The Sound Of Violence
11. Pull My Heart Out
12. Judas Convention

Line-up
Howard Jones – Vocals
Francesco Artusato – Guitar
Ryan Wombacher – Bass
Mike “Scuzz” Sciulara – Drums

LIGHT THE TORCH – Facebook

Tracy Grave – Sleazy Future

Con una vera e propria band alle spalle il rocker italiano trova nuove energie e dà alle stampe un album intenso, tra hard rock suonato sui marciapiedi bagnati dalla pioggia a graffianti esempi di street metal sbattuti sul viso degli astanti, dando sfogo a tutta l’attitudine di un mondo dato per morto migliaia di volte e sempre risorto, per la gioia di chi la gloriosa scena ottantiana l’ha vissuta sulla propria pelle.

Si torna a respirare aria di Sunset Boulevard con il nuovo album di Tracy Grave, cantante che dello street/sleazy rock è uno dei massimi esponenti nel nostro paese, affermazione che trova conferma dopo l’ascolto del nuovo album, Sleazy Future, licenziato dalla sempre più presente Volcano Records, ormai da considerare come una delle migliori label che lavorano sul nostro territorio in ambito rock/metal.

Da quasi vent’anni nella scena rock underground, prima come frontman di varie cover band, poi con la sua carriera solista iniziata nel 2015, Tracy torna con questo ottimo lavoro ed una band nuova di zecca, nata dal sodalizio con il chitarrista e compositore Mark Shovel e raggiunti dal basso di Nekro Viper, dalla chitarra ritmica di Enea Grave e dalla batteria di Hurricane John.
Con una vera e propria band alle spalle il rocker italiano trova nuove energie e dà alle stampe un album intenso, tra hard rock suonato sui marciapiedi bagnati dalla pioggia a graffianti esempi di street metal sbattuti sul viso degli astanti, dando sfogo a tutta l’attitudine di un mondo dato per morto migliaia di volte e sempre risorto, per la gioia di chi la gloriosa scena ottantiana l’ha vissuta sulla propria pelle.
E Sleazy Future è pregno di atmosfere che arrivano come flash da quegli anni, anche se come suggerisce il titolo la band lo porta verso il futuro, con la voce da ruvido rocker di Tracy, che alterna graffiante impatto street a sentite interpretazioni su power ballad che ricordano il suono gracchiante delle radio rock incollate al cruscotto di vecchie auto, impolverate dai chilometri consumati alla ricerca di un sogno chiamato rock’n’roll.
E fin dall’opener, nonché primo singolo estratto da Sleazy Future, Cemetery Sin, il mondo di Tracy Grave e le atmosfere stradaiole ci investono alternando graffianti brani tra L.A. Guns e Faster Pussycat a ballate che ricordano il migliore Jon Bon Jovi.
Ottima la prova dei musicisti, con uno Shovel che ci delizia con solos metallici che strappano cuori sotto ai giubbotti di pelle dei rockers, ed un motore ritmico che spara cartucce sleazy/street rock letali.
Una raccolta di brani che non trova imperfezioni nel genere con una manciata di hit come Dirty Rain, Dancing On The Sunset, la super ballata Make You Feel The Pain e Over The Top, terzo scatenato singolo che ci accompagna  presentandoci questo splendido album targato Tracy Grave.
Sleazy Future è sicuramente il lavoro migliore e la massima espressione del credo musicale del musicista nostrano fino ad oggi, ed è caldamente consigliato agli amanti di queste sonorità.

Tracklist
1.Cemetery Sin
2.Dirty Rain
3.Without Scars
4.Dancing On The Sunset
5.Freedom Without Rules
6.Make You Fell the Pain
7.My Last Goodbye
8.Over The Top
9.Pice Of Horizon
10.Return (Back In My Hands)

Line-up
Tracy Grave – Vocals
Mark Shovel – Guitars
Enea Grave – Guitars
Nekro Viper – Bass Guitars
Hurricane John – Drums

TRACY GRAVE – Facebook

Snei Ap – (In)sane Minds

I cinque brani presentati dalla band emiliana non possono che essere altrettante scariche di adrenalina, perfetti nei chorus facilmente memorizzabili come il genere impone, ma ai quali non manca una rabbiosa grinta di stampo street rock.

Cinque brani all’insegna del rock’n’roll, moderno potente e dal piglio hard rock.

Il nuovo ep delle Snei Ap, band di rocker emiliane partite nel 2011 come rock’n’roll band tutta al femminile, ed ora raggiunte da un maschietto (Damage) alla sei corde, parla la lingua del rock duro e lo fa senza timori reverenziali verso act più famosi ed internazionali.
Tre brani originali, più due ri-registrati per l’occasione, ci presentano un gruppo scatenato, intrigante e diretto, con un sound che deflagra dagli altoparlanti ed un tiro a tratti irresistibile.
Un primo ep viene seguito dal full length Sick Society, un tour da headliner nel Regno Unito e qualche assestamento in formazione che ha visto, oltre al cambio alla chitarra, l’arrivo della singer Angie The Lioness Prati, un’iradiddio dietro al microfono.
Con queste premesse, i cinque brani presentati dalla band emiliana non possono che essere altrettante scariche di adrenalina, perfetti nei chorus facilmente memorizzabili come il genere impone, ma ai quali non manca una rabbiosa grinta di stampo street rock, in un sound che mantiene il suo approccio ribelle e moderno.
Menti insane sono il segreto per suonare rock’n’roll irriverente, sfacciato e tripallico come nell’opener Bullet, nell’atmosfera lasciva di ObSEXion e nella super hit Monster Hill.
Snei Ap è una band di cui sentiremo ancora parlare, specialmente ora che ci ha messo lo zampino l’attivissima Volcano Records, label che  sempre più sinonimo di qualità nella scena hard rock e metal nazionale.

Tracklist
1.Bullet
2.ObSEXion
3.I Love You When I’m Drunk
4.Monster Hill
5.Lucifer

Line-up
Angie The Lioness Prati – voice
Adil Damage Bnouhania –  guitar
Valeria Goz Trevisan – bass
Sonia Wild Ghirelli – drums

SNEI AP – Facebook

BlindCat – Shockwave

I BlindCat sono stati per il sottoscritto un’autentica sorpresa, il loro sound è quanto di più irresistibile e sanguigno si possa trovare in giro nel genere, quindi non perdetevi questo gioiellino hard rock.

E’ attiva dal 2012 questa sensazionale band nostrana, originaria di Taranto e al secondo lavoro dopo il debutto intitolato Black Liquid, che tante soddisfazioni ha portato ai BlindCat in questi ultimi anni.

Un gatto magari non vedente ma che, quando ingrana la marcia e comincia a suonare, difficilmente lascia indifferenti; il gruppo è guidato dal cantante Gianbattista Recchia, più che un gatto una iena, comunque un vero animale rock che risulta una via di mezzo tra Layne Staley e Zakk Wylde.
Domenico Gallo (chitarra) macina riff su riff e la coppia Emanuele Rizzi (batteria) e Pietro Laneve (basso) forma una sezione ritmica portentosa e groovy quel tanto che basta per dare a Shockwave un tocco moderno, tale da non apparire  datato o, come va di moda oggigiorno affermare, vintage.
One Life mette subito le cose in chiaro, il peloso delinquente dalla poca vista ma dall’orecchio fino ne ha per tutti e graffia lasciandoci in balia di una serie di brani adrenalinici, potentissimi ed irresistibili come Laughin’ Devil e soprattutto Stars And Sunset, un crescendo di potenza hard rock seguito da una Until (The Light Of The Day Comes) che aggiusta di varia di poco le coordinate quel tanto che basta per liberare Alice dalle catene e coinvolgerla in un ballo sfrenato.
La band si concede una pausa solo alla settima traccia, un intermezzo acustico che porta alla title track, un altro crescendo di tensione che esplode in una serie di riff mastodontici e ci prepara al finale, con la più intimista What Is Hell e Son And Daughter, cover dei Queen ed esplosiva conclusione di questo bellissimo e roccioso lavoro.
I BlindCat sono stati per il sottoscritto un’autentica sorpresa, il loro sound è quanto di più irresistibile e sanguigno si possa trovare in giro nel genere, quindi non perdetevi questo gioiellino hard rock.

Tracklist
1 One Life
2 Laughin’ Devil
3 Stars And Sunset
4 Until (the Light Of The Day Comes)
5 The Black Knight
6 Nothing Is Forever
7 Rising Moon (instrumental)
8 Shockwave
9 What Is Hell
10 Son And Daughter

Line-up
Gianbattista Recchia – Vocals
Domenico Gallo – Guitars
Emanuele Rizzi – Drums
Pietro Laneve – Bass

BLIND CAT – Facebook

Michael Schenker Fest – Resurrection

Questo nuovo lavoro targato Michael Schenker ci consegna un’artista ancora in grado di dettare le regole dell’hard & heavy, trasformandolo in musica di alta qualità valorizzata dalla tecnica superiore in suo possesso, così come dei musicisti che lo circondano.

UFO, Scorpions e MSG: basterebbe citare queste tre band per accogliere questo nuovo album targato Michael Schenker come una delle uscite più importanti di questa prima metà dell’anno di grazia 2018.

Vero che gli anni passano e che, oggi, l’attempato rocker tedesco è stato sorpassato, in termini di popolarità, da molti dei musicisti che grazie a lui hanno preso in mano per la prima volta una chitarra, ma per chi comincia ad avere qualche primavera di troppo sul groppone il buon Michael rimane un’icona di quel rock ancora lontano dal tramontare.
Con il monicker Michael Schenker Fest il nostro torna con un nuovo album, accompagnato da quattro cantanti di assoluto valore (Gary Barden, Graham Bonnet, Robin McAuley e Doogie White) ed altrettanti musicisti di fama internazionale (Steve Mann alla chitarra e tastiere, Chris Glen al basso e Ted McKenna alla batteria), regalandoci un album di hard’n’heavy ispirato, intitolato Resurrection.
E come vi aspettavate, vi troverete al cospetto di un esempio sfavillante di musica heavy d’autore, con i solos di Schenker che come un mostro fagocitano l’attenzione, un turbine di melodie irresistibili e tanta voglia di suonare rock come si faceva ai bei tempi.
Attenzione però, perché su Resurrection troverete poco di degli UFO, niente degli Scorpions, semmai magari qualche riff che richiama i momenti migliori del Michael Schenker Group, qualche atmosfera epic folk molto suggestiva e cavalcate in tempi medi da smuovere catene montuose.
Prodotto benissimo e pubblicato da Nuclear Blast, nuovo lavoro targato Michael Schenker ci consegna un’artista ancora in grado di dettare le regole dell’hard’n’heavy, trasformandolo in musica di alta qualità valorizzata dalla tecnica superiore in suo possesso, così come dei musicisti che lo circondano.
Heart And Soul (con Kirk Hammett in veste di ospite), l’epico incedere medievale di Warrior, la cavalcata Take Me To The Church e tutte le altre tracce che compongono Resurrection sono il vangelo per gli amanti del genere: bentornato Mr. Schenker.

Tracklist
01. Heart And Soul
02. Warrior
03. Take Me To The Church
04. Night Moods
05. The Girl With The Stars In Her Eyes
06. Everest
07. Messing Around
08. Time Knows When It´s Time
09. Anchors Away
10. Salvation
11. Living A Life Worth Living
12. The Last Supper

Line-up
Gary Barden – Vocals
Graham Bonnet – Vocals
Robin McAuley – Vocals
Doogie White – Vocals
Michael Schenker – Guitars
Steve Mann – Guitars, Keyboards
Chris Glen – Bass
Ted McKenna – Drums

MICHAEL SCHENKER – Facebook

Pino Scotto – Eye For An Eye

Eye For An Eye è un lavoro arcigno e graffiante, fatto di hard’n’heavy duro e puro, con Pino che torna all’idioma inglese e si circonda di vecchi amici con Dario Bucca al basso e Marco Di Salvia alle pelli e il grande Steve Angarthal che, oltre a suonare la chitarra, riveste il ruolo di coautore ed arrangiatore dei brani presenti sull’album.

Pino Scotto torna in questa primavera 2018 e lo fa come se il tempo e tutte le avventure e le collaborazioni che lo hanno visto protagonista nell’ ultimo ventennio fossero state spazzate via da una tempesta magnetica che fa scorrere il tempo a ritroso fino ai gloriosi anni ottanta, quando l’hard & heavy classico e dalle reminiscenze blues era al suo massimo splendore.

D’altronde, il carismatico cantante è senza ombra di dubbio l’unica vera icona del rock tricolore, e quei temi li ha vissuti in prima persona, in principio con i Pulsar e poi con gli ormai leggendari Vanadium, ancora oggi probabilmente la band più conosciuta fuori dai confini nazionali, parlando di heavy metal e hard rock (e non me ne vogliano le molte e bravissime realtà odierne).
Un nuovo album targato Pino Scotto è quindi da considerare un evento in una scena che, aldilà dell’ottima qualità di cui si può fregiare negli ultimi anni, fatica a trovare un minimo di considerazione in un paese sempre più lontano dalla cultura rock e metal e in tempi nei quali anche la musica è ormai considerata una mera cornice alle nefandezze che riempiono il web.
Eye For An Eye è un lavoro arcigno e graffiante, fatto di hard’n’heavy duro e puro, con Pino che torna all’idioma inglese e si circonda di vecchi amici con Dario Bucca al basso e Marco Di Salvia alle pelli e il grande Steve Angarthal che, oltre a suonare la chitarra, riveste il ruolo di coautore ed arrangiatore dei brani presenti sull’album.
Con la partecipazione come ospite del bluesman Fabio Treves all’armonica, Eye For An Eye è stato registrato all’Asgardh Music Studio di Milano da Steve Angarthal, e mixato e masterizzato da Tommy Talamanca (Sadist) ai Nadir Music Studios di Genova per un risultato a dir poco straordinario, ovvero un album dal taglio internazionale che esalta con il ritorno al sound che ha reso famoso Pino Scotto.
Quasi un’ora di grande hard’n’heavy, quindi, animato da una vena blues marchio di fabbrica del rocker, una prestazione all’altezza dei musicisti coinvolti, con un Angarthal che dimostra ancora una volta il suo talento facendo piangere la sua sei corde, tra solos heavy metal che alzano la temperatura e sanguigni passaggi nei quali la mera grinta lascia spazio all’emozione provocata da un sound forgiato sul delta del grande fiume americano.
La title track, One Against The Other, la diretta Two Guns, le ballate heavy/blues Angel Of Mercy e Wise Man Tale, il rock blues di One Way Out che odora di palude limacciose, alternano classic metal, hard rock e blues in un uno scontro tra tradizione britannica e statunitense, ma con la bandiera tricolore che sventola fiera, almeno questa volta, sullo spartito di queste undici canzoni …. ancora una volta merito di Pino Scotto, e non è una novità.

Tracklist
1.Eye for an Eye
2.The One
3.One Against the Other
4.Two Guns
5.Cage of Mind
6.Crashing Tonight
7.Angel of Mercy
8.Looking for the Way
9.Wise Man Tale
10.There’s Only One Way to Rock
11.One Way Out

Line-up
Pino Scotto – Vocals
Steve Angarthal – Guitars
Marco Di Salvia – Drums
Dario Bucca – Bass

PINO SCOTTO – Facebook

Venus Mountain – Black Snake

I Venus Mountain sono ripartiti alla conquista del pianeta Terra: il lancio senza sosta di bombe con la scritta Black Snake porterà distruzione a colpi di rock’n’roll ed allearsi con i venusiani sarà l’unico modo possibile per sopravvivere.

Preparatevi ad un terremoto causato dall’esplosione di questi dieci brani più cover e conseguente tsunami, una catastrofe con i colpevoli provenienti dal pianeta Venere, extraterrestri che come transformers si scompongono per diventare delle irresistibili macchine da guerra rock’n’roll.

I Venus Mountain sono atterrati nel nostro paese, hanno costruito la loro base vicino a Brescia, sulle colline di Franciacorta,  da lì girano in lungo ed in largo per i palchi di mezzo mondo dal 2009 e sono al terzo lavoro licenziato dalla Volcano Records.
Il loro è un sound esplosivo, pura adrenalina hard rock sparata dai dischi volanti venusiani, ancora più devastanti delle solite armi nucleari e che, dalle bocche di fuoco delle navicelle spaziali, distruggono le città a suon di rock’n’roll tra hard & heavy e street rock di chiara matrice losangelina (e al Whisky A Go Go loro ci hanno suonato per davvero, laggiù nella città degli angeli dove negli anni ottanta si faceva la storia tra capelli cotonati e spandex colorati).
L’opener Rock City vi avverte che la detonazione sarà devastante, un brano alla Crue che letteralmente deflagra, graffiante ed irresistibile come la seguente We Are Coming From The Mountains of Venus e la title track, a formare un trittico che lascia senza fiato.
Il riff che tanto sa di Ac/Dc di Down To The Rainbow dà inizio al saliscendi tra i due generi basilari per la band, con ispirazioni che vanno dai Motorhead agli Whitesnake rifatti del periodo statunitense, dagli Zep ai Motley Crue e Cinderella, in un’orgia di suoni rock da un altro pianeta.
Impossibile resistere a RnR Burning, brano che risveglia immagini di show pirotecnici firmati Lee/Sixx , alla motorheadiana Hammer ed al classico Venus, una delle canzoni più coverizzate della storia.
I Venus Mountain sono ripartiti alla conquista del pianeta Terra: il lancio senza sosta di bombe con la scritta Black Snake porterà distruzione a colpi di rock’n’roll ed allearsi con i venusiani sarà l’unico modo possibile per sopravvivere.

Tracklist
1. Rock city
2. We are coming from the mountains of Venus
3. Black Snake
4. Down to the rainbow
5. You make me feel
6. RnR burning
7. Hammer
8. JJ the cowboy
9. Wake up call
10. Walk in the way
11. Venus

Line-up
Frax – Voice & Guitar
Mick – Guitar
Sexx Doxx – Bass
Morris – Drums

VENUS MOUNTAINS – Facebook

Maidavale – Madness Is Too Pure

Le Maidavale si confermano realtà a sé stante nel panorama dell’hard rock vintage, con un’altra opera fuori dai soliti schemi dai suoni affascinanti, ipnotici e a loro modo pericolosissimi.

Tornano dopo pochi mesi dal loro ottimo esordio le quattro sacerdotesse di Fårösund, che sotto il monicker Maidavale ci invitano al secondo sabba sotto il cielo svedese.

Tales Of The Wicked West aveva trovato buoni riscontri, confermati da questo Madness Is Too Pure, viaggio a ritroso nel rock psichedelico e nell’hard rock di settantiana memoria.
Le Maidavale suonano musica vintage, retro rock con una forte ispirazione psichedelica, ma a differenza delle band di maggior successo il loro approccio è meno ruffiano e molto più underground.
Madness Is Too Pure non è un album di facile ascolto, l’atmosfera da jam viene distorta da sfumature psichedeliche e i balli intorno al fuoco sono dettati da una forte connotazione lisergica, lasciando l’approccio blues rock del precedente lavoro e puntando tutto su sfumature stregate dalla magia della psichedelia.
Una lunga jam che si divide in nove capitoli mentre ci contorciamo, rapiti dalla musica e storditi da sostanze preparate dalle quattro streghe svedesi, che non ne vogliono sapere di scrivere un riff di facile presa e ci bombardano con il loro rock che rapisce, stordisce e confonde.
Tra le note dell’opener e singolo Deadlock, e delle altre litanie che compongono l’album, si respira vecchie atmosfere psichedeliche degli anni sessanta, ancora più accentuate rispetto al con l’ipnotica Dark Clouds e la magica Trance a dettare gli incantesimi per ammaliare ascoltatori in ogni parte del mondo.
Le Maidavale si confermano realtà a sé stante nel panorama dell’hard rock vintage, con un’altra opera fuori dai soliti schemi dai suoni affascinanti, ipnotici e a loro modo pericolosissimi.

Tracklist
1.Deadlock
2.Oh Hysteria!
3.Gold Mind
4.Walk In Silence
5.Späktrum
6.Dark Clouds
7.Trance
8.She Is Gone
9.Another Dimension

Line-up
Matilda Roth – Vocals
Johanna Hansson – Drums
Linn Johanesson – Bass
Sofia Ström – Guitar

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The Dead Daisies – Burn It Down

Burn It Down è il quarto album in studio e la band fa un ulteriore balzo temporale all’indietro, inglobando in un sound che ha sempre poggiato le basi negli anni ottanta impulsi rock blues del decennio precedente, come se John Corabi e compagni avessero lasciato gli Whitesnake dopo il loro approdo a Los Angeles, per recuperare quelli più rudi e selvaggi delle origini.

I The Dead Daisies sono la più grande band che i fans dell’hard rock classico possono ascoltare di questi tempi su disco e vedere in versione live sui palchi di tutto il mondo.

Quello che era partito come un super gruppo dall’incerta durata nel tempo, si è trasformato in una meravigliosa realtà che, a ogni passo, lascia in eredità album di un’altra categoria incentrati sul rock duro e puro.
Burn It Down è il quarto album in studio e la band fa un ulteriore balzo temporale all’indietro, inglobando in un sound che ha sempre poggiato le basi negli anni ottanta impulsi rock blues del decennio precedente, come se John Corabi e compagni avessero lasciato gli Whitesnake dopo il loro approdo a Los Angeles, per recuperare quelli più rudi e selvaggi delle origini.
Ovviamente il tutto avviene in un contesto assolutamente potente e moderno e i The Dead Daisies, con il nuovo grande acquisto dietro alle pelli, Deen Castronovo (Bad English, Journey), che va ad affiancarsi e si affianca alle altre leggende presenti nella band, offrono uno spettacolo di hard rock impossessato dal demone del blues: la tracklist offre brani che spezzano schiene sotto i colpi inferti dai riff della coppia Lowy/Aldrich, con le ritmiche che vomitano tonnellate di groove potente e scarno (Castronovo/Mendoza formano una delle coppie ritmiche più potenti della scena), lasciando che Corabi sciorini la prestazione più emozionante, vera e bluesy che il sottoscritto ricordi nella lunga carriera del vocalist americano.
Ora, con queste premesse è ovvio che siamo al cospetto dell’ennesimo capolavoro che non avrà sicuramente il successo dei lavori dei gruppi leggendari dai quali prendono ispirazione e che in altri tempi avrebbe fatto scrivere fiumi di inchiostro e portato la band sulle copertine delle migliori riviste di settore, prima dell’ennesimo tour negli stadi delle grandi città.
Di questi tempi meglio goderseli in qualche teatro o locale più intimo, ma soprattutto far nostro questo bellissimo Burn It Down, che da Resurrected in poi non scende dall’eccellenza, grazie ad una tracklist spettacolare nella quale  hard rock, street e blues ancora una volta si alleano per regalare grande musica dura, emozionante, sanguigna, maleducata ed irresistibile.
Neppure quando mid tempo come la title track o stupende ballate blues come Set Me Free smorzano quell’inconfondibile impatto rock’n’roll che è marchio di fabbrica del gruppo, il livello emozionale si abbassa, anzi, è proprio con le calde note di Set Me Free che Corabi sfiora la perfezione nella sua prestazione di cantante a cui la natura ha donato un carisma riconosciuto a pochi prima di lui.
Burn It Down è dunque un altro magnifico album di hard rock firmato da questi cinque musicisti uniti sotto il monicker The Dead Daisies, approfittatene!

Tracklist
1. Resurrected
2. Rise Up
3. Burn It Down
4. Judgement Day
5. What Goes Around
6. Bitch
7. Set Me Free
8. Dead And Gone
9. Can’t Take It With You
10. Leave Me Alone
11. Revolution (Bonus Track)

Line-up
Deen Castronovo – Drums
David Lowy – Guitars
John Corabi – Vocals
Doug Aldrich – Guitars
Marco Mendoza – Bass

THE DEAD DAISIES – Facebook

Stormwolf – Howling Wrath

L’album è consigliato agli amanti dei suoni tradizionali che, in Howling Wrath, troveranno di che godere tra atmosfere fantasy, un numero infinito di duelli tra le chitarre, la prova maiuscola di una cantante dai toni magici e ritmiche che passano con disinvoltura da sfuriate power a cavalcate su tempi medi.

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The Crystal Flowers – Crystallized

I fiori di cristallo ornano ancora oggi, come negli anni a cavallo tra i 60′ e 70′, il collo degli amanti della cultura rock di quel periodo, delicati ed eleganti ad un primo sguardo, ma resistenti agli impulsi elettrici dell’hard rock e del blues.

I fiori di cristallo ornano ancora oggi, come negli anni a cavallo tra i 60′ e 70′, il collo degli amanti della cultura rock di quel periodo, delicati ed eleganti ad un primo sguardo, ma resistenti agli impulsi elettrici dell’hard rock e del blues.

La loro arma migliore è il ritmo, un costante fiume di note che sono il di quel rock divenuto in quegli anni il genere più importante sia a livello musicale che sociale.
E i The Crystal Flowers il rock duro infarcito di atmosfere rhythm and blues lo sanno suonare come meglio non si potrebbe, regalandoci poco più di mezzora di grande musica che ferma il tempo e comincia a far scorrere il calendario al contrario, tornando ai tempi delle grandi kermesse musicali in parchi newyorkesi, su qualche isoletta britannica o semplicemente in piccole città rurali come la storica Bethel.
Crystallized non è affatto una mera operazione nostalgica, bensì un sincero e coinvolgente tributo ai nomi che più hanno segnato la storia della nostra musica preferita, con l’opener Ain’t Alright che ci dà il benvenuto tra il profumo inebriante dei petali cristallizzati di fiori color rosso sangue.
Sanguigni, appunto, come il blues, il quale accoppiandosi con il rock diventa una micidiale macchina ritmica, supportata da riff e sfumature maleducate quando entrano in noi senza permesso e ci fanno muovere il piede a tempo con le note sprigionate dagli strumenti, come in Unturned, Calling o la magnifica Broken Glass.
Oggi molte delle atmosfere di Crystallized vengono catalogate come southern, genere cool di questi tempi, ma è fondamentale sottolineare che quello che troviamo nell’album è solo rock’n’roll, suonato da questi esperti musicisti con la dovuta sagacia e senza alcun timore di apparire poco originali.
Troverete così un po’ di Rolling Stones, e poi Led Zeppelin, Cream, Lynyrd Skynyrd, Bob Dylan e i The Beatles: tutto sarà riflesso in un mazzo di fiori di cristallo e sarà bellissimo avere il privilegio di osservalo e, soprattutto, di ascoltarlo.

Tracklist
1.Ain’t alright
2.Unturned
3.Calling
4.Me Changed
5.Wastin’ Vision
6.Goin’
7.Greed
8.Broken Glass
9.Next To Nothing Next To All
10.Within Our Days

Line-up
Fauxcul – Voice and Guitars
Steve – Guitars
Grit – Bass
Moran – Drums

THE CRYSTAL FLOWERS – Facebook

Overhung – Moving Ahead

Forse la scaletta di questo lavoro andava distribuita meglio, fatto sta che gli Overhung alternano piccoli candelotti di dinamite glam rock a brani che soffocano l’atmosfera da party selvaggio, un difetto che il gruppo saprà sicuramente correggere in futuro.

La lontana e misteriosa India non si fa notare solo in ambito estremo, grazie ad ottime realtà che si dedicano a generi classici come l’heavy metal e l’hard rock.

Questo album di glam rock proveniente da Mumbai, ma con natali nel Sunset Boulevard, si intitola Moving Ahead, uscì originariamente nel 2016 e viene ristampato dalla Test Your Metal per la distribuzione in Nord America.
La band portatrice di cotanta attitudine rock’n’roll si chiama Overhung, alle spalle ha solo un ep del 2012 (Extended 4Play) e Moving Ahead risulta così il suo unico lavoro sulla lunga distanza, formato da dieci brani ispirati al glam rock anni ottanta con impennate hard rock e street che ne fanno un’opera piacevole, anche se qualche difettuccio non manca e il già sentito (se non si è fans sfegatati del genere) è di casa, ma il genere questo è quindi, prendere o lasciare.
L’album parte benissimo con l’hit Sex Machine, brano che sembra pescato da uno dei primi lavori dei Crue, con ritmiche di scuola Young a rendere il brano una vera bomba.
Qui andava sparata un’altra street song per far carburare al meglio l’ascoltatore, invece la band piazza Insane, un mid tempo di sei minuti che spezza l’atmosfera adrenalinica creata dall’opener.
Prima di tornare a far scorrere sangue nelle vene ai rockers dai colorati spandex, gli Overhung ci mettono ben tre brani, un po’ troppi a mio avviso, con Waiting che, come ballad, lascia il tempo che trova.
La band va molto meglio quando corre su e giù per la città degli angeli con I Am I, l’irriverente Must Drink, l’hard blues di Casual Bitch e la conclusiva You Think You’re Soo Cool, street punk rock tra Motley Crue e L.A.Guns.
Forse la scaletta di questo lavoro andava distribuita meglio, fatto sta che gli Overhung alternano piccoli candelotti di dinamite glam rock a brani che soffocano l’atmosfera da party selvaggio, un difetto che il gruppo saprà sicuramente correggere in futuro.

Tracklist
1. Sex Machine
2. Insane
3. Waiting
4. I Don’t Believe Her
5. Through The Slime
6. Waste
7. I Am I
8. Must Drink
9. Casual Bitch
10. You Think You’re So Cool

Line-up
Sujit Kumar – Vocals
Howard Pereira – Guitars
Crosby Fernandes – Bass
Sheldon Dixon – Drums

OVERHUNG – Facebook

https://youtu.be/ds_3sRHZNOY

Thundermother – Thundermother

Il clamoroso debutto è solo in parte sfiorato da questi nuovi tredici brani che tanto perdono dell’urgenza e della sfacciataggine rock’n’roll dell’esordio, per un approccio più ragionato, meno scanzonato ed in parte più blues.

Filippa Nässil, leader di quella bomba rock’n’roll che di nome fa Thundermother e che un paio di anni fa ci era esplosa tra le mani grazie ai brani che componevano Road Fever, primo fantastico album del gruppo tutto al femminile proveniente dalla Svezia, deve aver faticato non poco prima di uscire da una crisi che ha visto tre quinti del gruppo fare le valigie e partire per altri lidi.

Altre tre ragazze terribili sono state assunte per dare vita a questo secondo album omonimo: la sanguigna cantante Guernica Mancini, la bassista Sara Pettersson e la batterista Emlee Johansson; le Thundermother possono così tornare a farci male con il loro hard rock classico, strutturato su un irresistibile mix di Ac/Dc e rock’n’roll scandinavo.
Diciamolo subito, il clamoroso debutto è solo in parte sfiorato da questi nuovi tredici brani che tanto perdono dell’urgenza e della sfacciataggine rock’n’roll dell’esordio, per un approccio più ragionato, meno scanzonato ed in parte più blues.
Sarà che la Mancini ci delizia con la sua voce che tanto sa di hard rock alcolico, affascinate e ruvida il giusto per spezzare cuori in qualche locale fumoso della Stoccolma rock style, ma Thundermother ci consegna una band cambiata inevitabilmente anche nell’approccio al rock che qui si fa più maturo e scafato.
L’opener Revival ci dà il benvenuto, mentre scorrono i brani di questo lavoro, tra Ac/Dc, accenni blues alla Mother Station e diretti al volto di marca Backyard Babies.
Racing On Mainstreet, il blues che accompagna Fire In The Rain, l’irresistibile Original Sin, i canguri australiani che saltano al ritmo di We Fight For Rock ‘n’ Roll, fanno parte di una raccolta di brani che, se lascia indietro un po’ di quell’entusiasmo contagioso del primo lavoro, supera la prova di un ritorno così sofferto e faticoso.
Tanto di cappello alla Nässil, rocker tripallica che dimostra di non fermarsi davanti alle avversità andando avanti a testa alta per la sua strada… We Fight For Rock ‘n’ Roll.

Tracklist
01. Revival
02. Whatever
03. Survival Song
04. Racing On Mainstreet
05. Fire In The Rain
06. Hanging At My Door
07. Rip Your Heart Out
08. The Original Sin
09. Quitter
10. We Fight For Rock ‘n’ Roll
11. Follow Your Heart
12. Children On The Rampage
13. Won’t Back Down

Line-up
Filippa Nässil – Guitars
Guernica Mancini – Vocals
Sara Pettersson – Bass
Emlee Johansson – Drums

THUNDERMOTHER – Facebook

Greystone Canyon – While The Wheels Still Turn

L’album lascia leggermente l’amaro in bocca, perché è composto da brani che faticano a decollare con questa loro ispirazione al mondo del western che, purtroppo, si limita solo alla copertina e alla conclusiva The Sun Sets.

Australia ed America hanno in comune la frontiera, un vasto paesaggio che ispira racconti western, ma vero è che anche al cinema le pellicole che raccontano di cavalli e polvere sul territorio australiano ne sono usciti non pochi nel corso degli anni, con alcuni famosi (Australia, Carabina Quigley) ed altri diventati film di culto (Ned Kelly).

I Greystone Canyon sono un quartetto di cowboy provenienti da Melbourne con la passione per il cinema western, e il loro debutto in uscita per Rockshots si intitola While The Wheels Still Turn, ispirato appunto al mondo della frontiera a livello concettuale, perché all’ascolto l’album risulta un hard & heavy come di moda di questi tempi, vario nel saper alternare sfumature settantiane e moderne, con accenni ad armonie sporche di sabbia e sangue.
Una mezzoretta di piacevole hard rock l’album la regala sicuramente, anche se ci si aspetta sempre una nota southern, un’armonica che preluda all’arrivo di una banda di pistoleri, con il cinturone legato in vita per il duello sulle note blues dell’ottima River Of Fire.
Mixato dal leggendario Glen Robinson (Annihilator, Queensryche and Voivod) l’album lascia leggermente l’amaro in bocca, perché è composto da brani che faticano a decollare con questa loro ispirazione al mondo del western che, purtroppo, si limita solo alla copertina e alla conclusiva The Sun Sets.
Se si tratta di un’occasione sprecata o di fisiologico rodaggio per un gruppo all’esordio, lo scopriremo con la prossima uscita targata Greystone Canyon, per ora la diligenza non è ancora passata.

Tracklist
01. Keeping Company With The Dead
02. Astral Plane
03. In These Shoes
04. Cinco Cuerda Bandito
05. Take Us All
06. Sombrero Serenade
07. River of Fire
08. Path We Stray
09. The Sun Sets

Line-up
Darren Cherry – Guitar, Vocals
Luke Wilson – Drums
Rich Vella – Guitar
Dave Poulter – Bass

GREYSTONE CANYON – Facebook

Cruthu – The Angle Of Eternity

Un lavoro che non supera i confini del mood nostalgico di moda in questi tempi, quindi ad esclusiva degli amanti dell’hard rock tradizionale pervaso da atmosfere doom metal di scuola seventies.

Nella rivalutazione delle sonorità old school, il doom metal entra diritto nella schiera di quei generi a cui il trend ha sicuramente reso giustizia, soprattutto se lo sguardo cade, inevitabilmente sulle sonorità classiche.

Gli anni settanta, decennio d’oro e natale anagrafico per molti generi che vanno a comporre l’universo metal/rock, possono vantare tra i suoi nipoti gli statunitensi Cruthu, quartetto del Michigan attivo dal 2014 e al debutto con The Angle Of Eternity, album che in sé porta attitudine doom metal ed heavy per una proposta che più vintage di così non si può.
Licenziato dalla The Church Within Records, l’album risulta un primo esempio del credo musicale del gruppo: doom metal infarcito di ispirazioni settantiane, vintage e fuori dal tempo quel tanto che basta per accontentare principalmente i reduci dalle battaglie hard rock psichedeliche avvenute quarant’anni fa, tra citazioni occulte e rock di non facile presa ed assolutamente underground.
Si ritorna alle messe sabbatiche di inizio del decennio storico per il rock, anni in cui l’audience si divideva tra le sonorità progressive e quelle più orientate al credo hard & heavy di Black Sabbath ed Uriah Heep, maestri del combo in brani come Seance, per poi sconfinare negli anni ottanta e nella NWOBHM con la conclusiva title track.
Un lavoro che non supera i confini del mood nostalgico di moda in questi tempi, quindi ad esclusiva degli amanti dell’hard rock tradizionale pervaso da atmosfere doom metal di scuola seventies.

Tracklist
1. Bog Of Kildare
2. Lady In The Lake
3. Seance
4. From The Sea
5. Separated From The Herd
6. The Angle Of Eternity

Line-up
Ryan Evans-Vocals
Dan McCormick-Guitar
Erik Hemingsen-Bass
Matt Fry-Drums

CRUTHU – Facebook

Naxatras – III

Non ci sono davvero punti deboli per un viaggio che è molto piacevole e che pone i Naxatras fra i primi gruppi strumentali di questi anni in ambito psichedelico.

Tornano i greci Naxatras per portarci nuovamente lontano con la loro fantastica psichedelia pesante.

III parte da un viaggio attraverso una terra sconosciuta, un antico meccanismo ed una profezia. Con queste premesse arriva la musica del gruppo ellenico, un misto di psichedelia, fuzz e stoner non convenzionale. I Naxatras dipingono paesaggi con la loro musica strumentale, narrando i suoni che ne sono al centro della poetica. La loro musica nasce in assenza di canto, ed è un gran bel sentire che porta molti punti a favore della musica strumentale, per molti un valore aggiunto e non una sottrazione. III è un disco molto ben composto e suonato in maniera eccellente e che va molto oltre i generi, per immergersi in acque sconosciute attingendo molto da fertili jam. Le canzoni viaggiano tra sospensioni, momenti di intensità e tante dilatazioni, la perfetta produzione coglie nel segno i vari passaggi che costellano questa opera, che cattura fin da subito l’attenzione dell’ascoltatore e non tradisce mai le sue aspettative. Questo disco può essere letto come un libro o approcciato come quando ci si ascolta chiudendo gli occhi, essendo un variegato cosmo che abita dentro e fuori di noi. Non ci sono davvero punti deboli per un viaggio che è molto piacevole,  che pone i Naxatras fra i primi gruppi strumentali di questi anni in ambito psichedelico. Ci sono giri di chitarra assolutamente ipnotici, una sezione ritmica che puntella il tutto con fare davvero fine ed adeguato: tutto è al servizio di una particolare idea di suono, che viene portata avanti dall’inizio alla fine senza cedimenti. Un viaggio potente e raffinato, una grande affermazione di classe e bravura senza alcuna paura dell’ignoto.

Tracklist
1.You Won’t Be Left Alone
2.On the Silver Line
3.Land of Infinite Time
4.Machine
5.Prophet
6.White Morning
7.Spring Song

Line-up
John Delias – Guitar
Kostas Harizanis – Drums
John Vagenas – Bass & Vocals

NAXATRAS – Facebook