Bastian – Among My Giants

Riedizione a cura della Underground Symphony del bellissimo album per Sebastiano Conti,che, con il monicker Bastian, raccoglie una manciata di stelle del metal mondiale per regalrci un lavoro sulla scia di Black Sabbath,Dio e Rainbow.

Lo scorso anno uscì, autoprodotto, questo bellissimo lavoro di metal classico e hard rock ottantiano ad opera del chitarrista siciliano Sebastiano Conti che, con il monicker Bastian, riunì un manipolo di stelle come vocalist del calibro di Mark Boals e Michael Vescera, entrambi ex Malmsteen, e batteristi di pari fama quali Vinnie Appice (Black Sabbath e Dio), John Macaluso (Riot, James Labrie, Malmsteen, TNT) e Thomas Lang (Paul Gilbert, Glenn Hughes).

Impreziosito dalla chitarra e dal talento compositivo del musicista nostrano, Among My Giants esplodeva in tutto il suo splendore, una splendida opera che riproponeva i fasti dell’hard rock di metà anni ’80: un tributo al metal più nobile, di cui fu il cordone ombelicale e che portò la nostra musica preferita a viaggiare tra i decenni successivi fino ai giorni nostri.
Un sogno per Sebastiano che si realizzò, circondandosi di musicisti leggendari di cui lui è stato ed è un fan, unendoli sotto il programmatico titolo Among My Giants: un lavoro mastodontico, nel quale Conti si prese cura di tutti i dettagli, regalando ai fortunati ascoltatori più di un’ora di musica immortale.
Purtroppo, senza il concreto supporto di una label alle spalle, l’album rischiava di passare inosservato, annegato nel mare di uscite che ogni giorno si affacciano sul mercato discografico, poco incline alla qualità e molto affascinato dai generi più cool.
Finalmente qualcuno che non sia una piccola ‘zine come la nostra si è accorto di quest’opera: la Underground Symphony, storica label nostrana, ha messo nelle mani di Sebastiano una penna per la firma sul contratto ed è così che Among My Giants esce completamente rinnovato nella sua veste grafica, ma soprattutto lo si potrà trovare in qualsiasi negozio di musica, in modo che chiunque possa avere la possibilità di far suo questo splendido lavoro.
Si potranno assaporare quindi le atmosfere dell’opener Odissey, in pieno stile Black Sabbath era Tony Martin, la fantastica performance del chitarrista su brani come Hamunaptra, Magic Rhyme e Mother Earth, il blues rock di Justify Blues, jam strumentale in compagnia di Giuseppe Leggio alle pelli e Corrado Giardina al basso, le atmosfere cangianti che passano dal metallo epico di Rainbow/Dio, ai ritmi più stradaioli di Sexy Fire e che rendono il lavoro molto vario, toccando vette emozionali altissime nelle due ballad The Fisherman e An Angel Named Jason Becker, dedicata al chitarrista americano.
Un lavoro enorme, un sogno che si è realizzato per il musicista nostrano e che vede i propri sforzi ulteriormente premiati da un contratto e dal vedere la propria opera finalmente a disposizione di tutti gli amanti di queste sonorità.
Non avete più scuse, fate vostro questo album ed anche voi vi troverete “tra i giganti”.

Tracklist:
1.Odyssey
2.Mother Earth
3.Hamunaptra
4.Tamburine Song
5.Secret and Desire
6.Sexy Fire
7.Lights and Shadows
8.Justify Blues
9.Magic Rhyme
10.The Beach
11.The Fisherman
12.Song of the Dream
13.Soul Hunters
14.An Angel Named Jason Becker

Line-up:
Sebastiano Conti – Guitars
Guests:
Michael Vescera – Vocals
Mark Boals – Vocals
Vinnie Appice – Drums
Thomas Lang – Drums
John Macaluso – Drums
Giuseppe Leggio – Drums
Corrado Giardina – Bass

BASTIAN – Facebook

Forgotten Tomb – Hurt Yourself And The Ones You Love

L’ennesima prova maiuscola di una grande band, con un album inattaccabile sotto qualsiasi punto di vista.

Per comprendere il valore effettivo dei Forgotten Tomb è sufficiente fare un ripasso mentale delle proprie conoscenze musicali cercando di ricordare quante siano le band che, nell’arco di oltre quindici anni di carriera ed almeno sette album all’attivo, abbiano mantenuto costantemente uno standard qualitativo così elevato.

Ben poche, immagino, e tra queste la creatura di Herr Morbid è una tra quelle che sono tutt’oggi attive senza alcuna intenzione di mollare la presa, come dimostra un lavoro eccellente come Hurt Yourself And The Ones You Love.
Come ebbi già occasione di dire in occasione del precedente “… And Don’t Deliver Us From Evil”, i Forgotten Tomb hanno cambiato pelle rispetto alle asperità degli esordi, eppure, paradossalmente, non sono mai stati pesanti come oggi, con un sound riconoscibile in ogni passaggio e capace di attingere da svariati generi mantenendo un’impronta oscura e tutt’altro che che rassicurante dalla prima all’ultima nota.
Rispetto al precedente album i brani appaiono ancor più profondi e la componente doom forse spicca come non mai nella pur abbondante produzione della band piacentina: le chitarre suonano corposamente distorte e, a tale approdo, potrebbe non essere del tutto estranea l’esperienza di Herr Morbid con i Tombstone Highway, band che lo ha visto alle prese con una formidabile proposta di southern “doomizzato”.
Non a caso i due brani che maggiormente impressionano sono proprio quelli che trasportano questo seme: prima Bad Dreams Come True, specie nella sua fase iniziale, visto che in seguito si apre ad una delle rare quanto impressionanti sfuriate di black melodico, poi soprattutto la monolitica Dread the Sundown, traccia che segna probabilmente uno dei momenti più elevati dell’intera discografia del gruppo emiliano, con il suo riff dalla pesantezza quasi estenuante che, specie nella parte conclusiva, provoca un effetto straniante difficile da spiegare se non provandolo di persona.
L’opener Soulless Upheaval, la title track, Mislead the Snakes e la più  orecchiabile (relativamente, si intende) King of the Undesirables, portano al loro interno le stimmate di un sound che mai come oggi rasenta le perfezione, grazie al mirabile e graduale inserimento di elementi che lo hanno traghettato dal depressive black dei primi album fino a questa forma di metal che ne mantiene inalterato lo spirito, pur senza esibirlo in maniera cruda e diretta come avveniva al’inizio dello scorso decennio.
Il malinconico ambient di Swallow the Void mette la parola fine su un album inattaccabile sotto qualsiasi punto di vista.
Fuori dai nostri confini i Forgotten Tomb ci vengono invidiati un po’ da tutti; sarebbe il momento di dimostrare finalmente che anche in Italia un numero consistente di persone è in grado di apprezzare forme artistiche più estreme, come già avviene da tempo in molti altri paesi …

Tracklist:
1. Soulless Upheaval
2. King of the Undesirables
3. Bad Dreams Come True
4. Hurt Yourself and the Ones You Love
5. Mislead the Snakes
6. Dread the Sundown
7. Swallow the Void

Line-up:
Herr Morbid – Guitars, Vocals
Algol – Bass
Asher – Drums
A. – Guitars (lead)

FORGOTTEN TOMB – Facebook

David Schankle Group – Still A Warrior

“Still A Warrior” si può certamente considerare come una delle uscite più importanti nel genere di questa prima metà dell’anno.

C’è una band che ha incarnato lo spirito heavy metal più di qualunque altra, aldilà di quello che poi è il mero successo commerciale, entrando nella leggenda e diventando un’icona del nostro genere preferito: che li si ami o li si odi, al grido di “death to false metal” i Manowar hanno regalato pagine gloriose ed epiche, raccogliendo migliaia di fans in tutto il mondo rivendicando l’orgoglio metallaro ed ottenendo una posizione di prestigio per il genere nella musica moderna.

David Schankle, fenomenale chitarrista, è stato membro della band dal 1989 al 1993, registrando il fenomenale “The Triumph Of Steel”, uno dei capisaldi della discografia del gruppo di New York.
Lasciata la band di Joey DeMaio, ha formato il David Schankle Group con cui ha inciso due full length, “Ashes To Ashes” nel 2003 ed “Hellborn” nel 2007: album di tipco heavy metal americano, dove il chitarrista dava sfoggio della propria tecnica, non rinunciando ad incendiare gli animi con brani di puri, incontaminati ed arrembanti.
In Still A Warrior, licenziato tramite Pure Steel, sono della partita l’ottimo vocalist Warren Halvarson e la portentosa sezione ritmica composta da Gabriel Anthony alle pelli e Mike Dooley al basso, per una cinquantina di minuti dove verrete catapultati in un vortice di metal old school, con la sei corde di Schankle assoluta protagonista.
Non fraintendetemi, l’album non è il classico lavoro shred, i brani si susseguono incalzanti lasciando al solo Demonic (From The Movie Jezebeth) ed allo strumentale The Hitman il proscenio all’axeman americano: il resto risulta invece una raccolta di brani bellissimi ed aggressivi, dove il lavoro chitarristico impreziosisce senza vanificarla una scorrevolezza di fondo che rende piacevolissimo l’ascolto di un puro US metal esplosivo ed epico.
Dalla title track posta in apertura, le atmosfere oscure ed epiche del metal classico suonato aldilà dell’oceano prendono il sopravvento; le orchestrazioni oscure della seguente Ressecution, la prova sontuosa del vocalist su Glimpse Of Tomorrow, l’esplosiva Fuel For The Fire e la devastante Eye To Eye, sono tacche sulla cintura del musicista americano, che non si risparmia e rifila solos tecnici ed infuocati.
L’album non ha cedimenti e, duro e melodico allo stesso tempo, arriva alla conclusione con la canzone più ariosa, Across The Line, subito dopo il power di Suffer In Silence (Agenda 21) e la cadenzata Into The Darkness.
Ritorno coi fiocchi per Dave Schankle con un album da non farsi mancare per ogni appassionato che si rispetti: Still A Warrior si può certamente considerare un album all’altezza rivelandosi una delle uscite più importanti nel genere di questa prima metà dell’anno.

Tracklist:
1. Still A Warrior
2. Ressecution
3. Glimpse Of Tomorrow
4. Demonic Solo* (From the movie Jezebeth)
5. Fuel For The Fire
6. Eye To Eye
7. The Hitman (instrumental)
8. Suffer In Silence (Agenda 21)
9. Into The Darkness
10. Across The Line

Line-up:
David Shankle – guitars
Gabriel Anthony – drums
Mike Dooley – bass
Warren Halvarson – vocals

 

Saxon – Heavy Metal Thunder / The Saxon Chronicles

Due ottime ristampe edite dalla UDR Records che ripercorrono la carriera di una delle più importanti band heavy metal della storia.

Era l’alba del decennio più glorioso per i suoni metallici (gli anni ottanta), e sulla scena musicale europea, divisa ancora tra i suoni ribelli del punk e quelli patinati e spettacolari del progressive e dell’hard rock, eredità del decennio precedente, irruppero come un fulmine a ciel sereno un manipolo di band che fecero la storia della nostra musica preferita, conosciute dai posteri come le band della New Wave Of British Heavy Metal e di cui i Saxon furono una delle maggiori e più conosciute espressioni.

La band britannica, capitanata dal leggendario vocalist Peter Rodney Byford, in arte Biff, dopo l’album omonimo rifilò almeno cinque capolavori, tra il 1980 e il 1984, di cui i primi tre rimasero scolpiti nella storia dell’heavy metal: “Wheels Of Steel”, “Strong Arm Of The Law” e “Denim And Leather”, usciti nel giro di un paio di anni, tra il 1980 e il 1981 (gli altri due “Power And Glory” del 1983 e “Crusader” del 1984, leggermente inferiori ai primi tre, rimangono di una qualità altissima), fecero il botto e l’esercito sassone a suon di bombardamenti metallici conquistò i kids di tutto il mondo.
Sono passati quasi quarant’anni dalla formazione della band, nata nello Yorkshire nel 1976, e Biff è ancora qui, nel nuovo millennio, ad esaltare le truppe con queste nuove uscite discografiche che ripercorrono la carriera di una band che definire fondamentale è un eufemismo.
Via Udr Records, in attesa del nuovo dvd” Warriors Of The Road- The Saxon Chronicles II”, escono in contemporanea due compilation della band già edite ma di un’importanza assoluta.
La prima vede la riedizione della compilation Heavy Metal Thunder, originariamente pubblicata nel 2002 con l’aggiunta del Live in Bloodstock del 2014: la band, per l’occasione, risuona tutto il materiale donandogli un approccio più fresco ed in linea coi tempi, ed è così che le migliori canzoni dei primi lavori deflagrano in tutta la loro potenza metal e, se già allora erano in odore di immortalità, qui sono rese devastanti da una produzione folgorante.
Ci sono tutte i brani che hanno fatto la storia, da Heavy Metal Thunder, a Strong Arm Of The Law, passando per le monumentali Crusader, 747 (Strangers In The Night), Wheels Of Steel, Motorcycle Man e quella che personalmente ritengo la song metal con il più bel riff di tutti i tempi, Princess Of The Night.
Il live che fa da bonus cd ci consegna una band ancora sul pezzo ed esaltante quando sprigiona la sua forza su un palco: Biff stupisce per la carica che possiede intatta, e la band gira a mille tra vecchi classici e nuove canzoni che reggono tranquillamente il confronto con gli storici brani ottantiani.
The Saxon Chronicles uscì nel 2003, e si tratta di un doppio dvd: il primo vede la band cimentarsi sul palco del Wacken Open Air davanti ad una marea di fan nell’estate del 2001, e non esagero nel dichiarare che è uno dei più bei concerti visti col supporto ottico, almeno per quanto riguarda il metal classico.
I Saxon appaiono in forma strepitosa, con brani classici e non che si danno battaglia sullo stage metal più famoso d’Europa con un’ambientazione (quella di Wacken non ha eguali) che esalta a più riprese, anche se si è comodamente seduti sul divano di casa.
L’aquila dei guerrieri sassoni vola alta sul palco teutonico, regalando una performance eccezionale, apprezzata non poco dall’immenso pubblico accorso a quello che, ormai una quindicina d’anni fa, fu un evento; segue un un’intervista a Byford, ad impreziosire ulteriormente questo primo dvd.
Nel secondo trovano spazio video e riprese inedite, documentari e photo gallery, insomma, tutto quello che un fan può desiderare sulla sua band preferita e, per chi non la conoscesse a sufficienza, The Saxon Chronicles rimane un ottimo modo per approfondire la storia di una della icone del metal.
Anche qui troviamo un bonus cd audio: trattasi di Rock’n’roll Gypsie, live edito nel 1989, altro ottimo testamento live dei Saxon.
Inutile dire che, a chi sfuggì l’uscita di questi due ottimi capitoli del gruppo, è consigliato l’acquisto, del resto una buona fetta della “nostra” storia è racchiusa tra questi dischetti: lunga vita all’aquila sassone.

Heavy Metal Thunder
Tracklist
CD I:
01. Heavy Metal Thunder
02. Strong Arm of the Law
03. Power & the Glory
04. And the Bands played on
05. Crusader
06. Dallas 1PM
07. Princess of the Night
08. Wheels of Steel
09. 747 (Strangers in the Night)
10. Motorcycle Man
11. Never Surrender
12. Denim & Leather
13. Backs to the Wall

CD II – Live at Bloodstock 2014
01. Sacrifice
02. Power and the Glory
03. Heavy Metal Thunder
04. Battalions of Steel
05. Motorcycle Man
06. And the Bands Played On
07. To Hell and Back Again
08. 747 (Strangers in the Night)
09. Crusader
10. Wheels of Steel
11. Princess of the Night
12. Denim and Leather

The Saxon Chronicles
Tracklist:
DVD I Wacken Open Air Festival, Germany 2001:
01. Motorcycle Man
02. Dogs Of War
03. Heavy Metal Thunder
04. Cut Out The Disease
05. Solid Ball Of Rock
06. Metalhead
07. The Eagle Has Landed
08. Conquistador (Drum Solo)
09. Crusader
10. Power And The Glory
11. Princess Of The Night
12. Wheels Of Steel (Guitar Solo)
13. Strong Arm Of The Law
14. 20,000 Ft.
15. Denim And Leather

Bonus Stuff :
Interview with Biff Byford

DVD II – Saxon on Tour
Official Videos:
01. Suzie Hold On
02. Power And The Glory
03. Nightmare
04. Back On The Streets Again
05. Rockin’ Again
06. (Requiem) We Will Remember
07. Unleash The Beast + Behind The Scenes
08. Killing Ground

Saxon on TV – Interviews, History, TV-Appearances:
01. And the Band Played On
02. Back on the Streets
03. Never Surrender
04. Denim And Leather
05. Wheels of Steel

Bonus Stuff: Text/Photo Gallery

Rock’n’Roll Gypsies – 1989 Live AudioCD
1. Power And Glory
2. And The Bands Played On
3. Rock The Nation
4. Dallas 1PM
5. Broken Heroes
6. Battle Cry
7. Rock ‘N Roll Gypsies
8. Northern Lady
9. I Can’t Wait Anymore
10. This Town Rocks
11. The Eagle Has Landed
12. Just Let Me Rock

Lords Of The Trident – Frostburn

Un album di hard & heavy ottantiano composto da un lotto di brani mozzafiato.

Fate come credete: scaricatelo, compratelo nel vostro negozio di fiducia ma, cari metal fan amanti dell’ hard & heavy ottantiano carico di anthem e melodie, fate vostro questo clamoroso album, ultimo lavoro degli americani Lords Of The Trident.

La band, nata nelle aule dell’università di Madison (Wisconsin), si presenta all’appuntamento con il nuovo anno fresca di firma con la Killer Metal e, con tanto di maschere, testi dissacranti e voglia di divertirsi, se ne esce con un album clamoroso.
Il gruppo nasce nel 2008 ed arriva al debutto l’anno dopo con “Death Or Sandwich”, seguito da “Chains Of Fire” del 2011 e due Ep; Frostburn risulta così il terzo lavoro sulla lunga distanza e vede la band in stato di grazia, azzeccando ogni melodia, ogni chorus, ogni riff inserito sul nuovo album: un hard & heavy ottantiano dall’appeal straordinario, una raccolta di brani uno più bello dell’altro che passano dal classico heavy metal alla Judas Priest (Kill To Die) a brani dalle ritmiche graffianti ma dalle melodie ariose e sopratutto vincenti, regalando una cinquantina di minuti di musica metallica esaltante, da urlare a squarciagola, fregandosene altamente dei troppi capelli bianchi sulla testa e della vicina col telefono in mano in procinto di chiamare le forze dell’ordine.
Un vocalist d’altri tempi (Fang VonWrathenstein), melodico, grintoso, sul pezzo per tutto l’album, due chitarristi che sciorinano ritmiche e solos che esaltano a più riprese (Asian Metal e Killius Maximus) ed una sezione ritmica d’assalto (Pontifex Mortis al basso e Dr. Vitus alle pelli) compongono una band che a questo giro gioca il jolly e, forte di un songwriting straordinario, compone dieci perle che del metal sono l’ossigeno, la linfa, la sorgente.
Dall’iniziale e strepitosa Knight’s Of Dragon Deep è tutto un susseguirsi di monumenti al genere, costruiti usando acciaio e fuoco, incudine e martello, strumenti per cesellare Winds Of The Storm, Manly Witness, Haze Of The Battlefield, Kill To Die e di seguito tutte le canzoni che compongono Frostburn.
Dalle info pare che la band, tra costumi e fuochi, in sede live sia strepitosa e sinceramente il sottoscritto ha pochi dubbi al riguardo, non mi rimane che rinnovarvi l’invito a supportare questa meraviglia metallica che di nome fa Frostburn.

Tracklist:
1. Knights of Dragon’s Deep
2. The Longest Journey
3. Winds of the Storm
4. Manly Witness
5. Haze of the Battlefield
6. Kill to Die
7. Den of the Wolf
8. Light This City
9. The Cloud Kingdom
10. Shattered Skies

Line-up:
Pontifex Mortis – Bass
Dr. Vitus – Drums
Asian Metal – Guitars
Killius Maximus – Guitars
Fang VonWrathenstein – Vocals

LORDS OF THE TRIDENT – Facebook

Revenge – Harder Than Steel

Assolutamente da avere, “Harder Than Steel” è un ottimo tributo ai suoni classici

Un monolite di heavy speed metal fuso nell’acciaio ottantiano: questo è, per la gioia dei true metallers innamorati dei suoni old school, Harder Than Steel dei sudamericani Revenge.

La band colombiana, veterana della scena heavy mondiale, arriva al sesto full-length di una discografia infinita, colma di Ep e split, iniziata sulla lunga distanza dieci anni fa con “Metal Warriors”.
Una carriera tutta incentrata sui suoni old school arriva al culmine con il nuovo lavoro, entusiasmante per gli amanti dei suoni classici, una tranvata suonata alla velocità della luce, epica come solo l’heavy metal sa essere e piena di quei meravigliosi cliché che ne fanno un monumento al genere.
L’heavy della band viaggia su territori speed, i brani sono quasi tutti a rischio autovelox e sfoggiano grinta e fierezza metallica, impreziositi da un ottimo songwriting che li rende imperdibili.
I quattro guerrieri di Medellin, in stato di grazia, offrono una prova sopra le righe, cominciando dai solos al fulmicotone che sprizzano scintille come una fresa al lavoro (Esteban M. Garcia), passando per la sezione ritmica martellante composta da Jorge Rojas (basso) e Daniel Hernandez (piovra dai mille tentacoli alle pelli) fino all’ottima prova al microfono di Esteban Mejia, grandioso anche nelle parti ritmiche con la sua chitarra.
Pronti e via, Harder Than Steel parte a cento all’ora per travolgere tutto fino alla fine ed oltre: brani dall’ottimo appeal metallico, si susseguono senza soluzione di continuità e, veloci come il vento e duri come il ferro, non fanno prigionieri, avvicinandosi in alcuni casi al thrash dei primi Testament, ma con il power teutonico come nume tutelare della band (non è un caso che l’ultimo brano sia proprio Chains And Leather dei maestri Running Wild).
Assolutamente da avere, Harder Than Steel ha nella title track, Back For Vengeance, At The Gates Of Hell e nella “sassone” Motorider gli episodi migliori di un album tutto da ascoltare: suoni classici all’ennesima potenza, un tributo ai classici suoni old school davvero ben fatto …. long live heavy metal!

Tracklist:
1. Headbangers Brigade
2. Harder Than Steel
3. Witching Possession
4. Gravestone
5. Back for Vengeance
6. Torment & Sacrifice
7. Flying to Hell
8. At the Gates of Hell
9. Motorider
10. Chains and Leather

Line-up:
Jorge “Seth” Rojas – Bass
Esteban “Hellfire” Mejía – Vocals, Guitars
Daniel “Hell Avenger” Hernandez – Drums
Night Crawler – Guitars (lead)

Story Of Jade – Loony Bin

Un album trascinante, non solo per appassionati del genere ma, forte delle sue ottime melodie, adatto un po’ a tutti gli amanti dei suoni metallici.

Nuovo capitolo della storia di Jade: Loony Bin è il terzo lavoro in studio della band nostrana e rappresenta un altro tuffo nell’horror metal.

Gli Story Of Jade, per chi non li conoscesse, sono attivi dal 2002 e hanno già archiviato due lavori, l’ep “The Factory Of Apocalypse” del 2006 ed il primo full lenght “The Damned Next Door (Know Your Neighbors)”, uscito nel 2011 per WormHoleDeath e prodotto da Carlo Bellotti e Alessandro Paolucci.
Una buona attività in sede live ha portato la band a dividere i palchi con nomi del calibro di Eldritch, Tankard, Sinister, Necrodeath e Cadaveria, tra gli altri, per arrivare all’alba di questo 205 con l’uscita del nuovo Loony Bin, prodotto da Pier Gonnella.
Ospiti illustri fanno capolino su tre tracce dell’album: Gerre dei Tankard su Blood Hangover, le tastiere di Antonio Aiazzi dei Litfiba impreziosiscono il singolo Psychosis In A Box, e Steva dei Deathless Legacy appare su Symphonies From The Grave.
Un nuovo contratto (Black Tears) e piccole ma significative rivoluzioni nella line-up, che portano l’entrata di Vrolok Lavey al basso lasciando Bapho Matt a dedicarsi alle sole parti vocali, oltre ad un maggior uso delle tastiere, sono le novità su cui poggia un album che risulta una bella mazzata heavy metal, dalle atmosfere horror sì, ma sempre tenendo ben alta l’elettricità dei brani, a partire fin dall’intro.
Tecnicamente ineccepibili, i brani si susseguono in un clima da grand guignol, anche se nel lavoro dei nostri non si perde tempo in rallentamenti atmosferici, ma si bada ad aggredire l’ascoltatore con ottime parti tastieristiche inserite nella struttura heavy di brani che non cedono di un passo, continuando per tutta la durata dell’album a martellare.
Ottimo Bapho Matt alla voce, teatrale e molto melodico dona un certo appeal orecchiabile a canzoni quali la title track, Psychosis In A Box, Sick Collector e la travolgente Symphonies From The Grave.
Direi che Loony Bin mi ha ricordato tanto il King Diamond solista, leggermente modernizzato nel sound del gruppo, ma spiritualmente presente tra i solchi di questi ottimi undici brani.
Molto riuscita la conclusiva Horror Me(n)tal Disorder, una via di mezzo perfetta tra il sound del vocalist danese ed i nostrani ed ultimi Death SS, che archivia come meglio non potrebbe un album trascinante, non solo per appassionati del genere ma, forte delle sue ottime melodie, adatto un po’ a tutti gli amanti dei suoni metallici.

Tracklist:
1- Corridor
2- Loony Bin
3- The Book Of Lies
4- Sick Collector
5- Psychosis In A Box – feat. Aiazzi (Litfiba)
6- Symphonies From The Grave – feat. Steva (Deathless Legacy)
7- Lobotomy
8- Merculah
9- Room 501
10- Blood Hangover – feat. Gerre (Tankard)
11- Horror Me(n)tal Disorder

Line-up:
YNDY T.WITCH – Lefthanded Drums
AG – Lead/Rhythm Guitars
Mr.VROLOK LAVEY – Bass Guitar
BAPHO MATT – Lead Vocals

STORY OF JADE – Facebook

Phantasmal – The Reaper’s Forge

Demo d’esordio per i Phantasmal, duo statunitense votato al metal old school.

I Phantasmal provengono dagli Stati Uniti e sono votati al thrash metal old school, con chiare influenze heavy e black: fondati nel 2012, il loro primo passo discografico è questo demo autoprodotto dal titolo The Reaper’s Forge.

Psychopomp, basso e voce, e Wraith, che si divide tra la sei corde e il drumkit, realizzano tre brani dal buon impatto, influenzati dai maestri Venom, nome che più di tutti spicca sul lavoro dei nostri old metallers, tra ritmiche thrash, vocals black e buoni solos di matrice heavy ottantiana.
The Reaper’s Forge apre le danze, ed è un susseguirsi di cliché di quello che negli anni ottanta erano i primi vagiti del metal estremo, ben confezionati dal duo americano: le vocals al vetriolo di Psychopomp, accompagnano sferragliate thrash e assoli chitarristici, come nella seguente The Eternal Campaign.
Queen Nightshade rallenta il tiro, il sound si fa più cadenzato e ne esce un ottimo brano, l’heavy metal classico prende le redini del sound, ed i Phantasmal regalano un brano notevole, bello nel suo essere tradizionale racchiudendo in cinque minuti tutto quello che un true metaller vorrebbe sempre ascoltare.
La produzione in linea con la musica proposta, fa di questi tre brani una piacevole sorpresa per i fan del metal di scuola ottantina: la strada presa dal duo porterà, se le buone sensazioni suscitate da questi tre brani saranno confermate dalle prossime uscite, ad un buon riscontro tra gli estimatori del metal old school.

Tracklist:
1. The Reaper’s Forge
2. The Eternal Campaign
3. Queen Nightshade

Line-up:
Wraith – Guitars, Drums
Psychopomp – Vocals, Bass

PHANTASMAL – Facebook

Ancillotti – The Chain Goes On

Elegante,metallico, epico, struggente, esaltante, in poche parole un must per gli appassionati dell’hard & heavy.

I lettori della nostra ‘zine che all’apertura della home cliccano sulla sezione metal, non avranno certamente bisogno che mi dilunghi per presentare Bud Ancillotti, un nome che è strettamente legato ad una band leggendaria dell’hard & heavy nazionale come la Strana Officina.

Il singer, accompagnato dal figlio Brian dietro le pelli e dal fratello Sandro al basso, con l’aggiunta dell’ottimo Luciano Toscani alla sei corde, arriva all’esordio sulla lunga distanza (dopo il demo “Down This Road Toghether”) con il progetto che porta il suo glorioso cognome.
Licenziato dall’etichetta tedesca Pure Steel Records, firma di prestigio per i suoni heavy classici, The Chain Goes On aggiunge un’altra tacca sull’asta del microfono del vocalist nostrano, risultando un ottimo lavoro, suonato e prodotto benissimo, uno splendido spaccato di hard & heavy tradizionale che , inevitabilmente, porta alla mente (specialmente a chi quei gloriosi anni li ha vissuti) il passato di una musica che molti danno per morta ma che, al contrario, non solo è la fonte da cui nasce l’immenso fiume metallico, ma vive ed è perfettamente in salute, magari lontana dai riflettori ma sempre fiera ed assolutamente protagonista.
Una raccolta di brani rocciosi dove la grintosa voce di Bud declama anthem metallici, esaltanti, un songwriting sopra le righe che regala momenti pregni di quel sano heavy metal di cui non ci si può che innamorare, acciaio che fonde e si modella tra ritmiche ruvide ma dall’enorme appeal, solos sferraglianti e ballad splendide (Sunrise), a comporre un lavoro completo, curato ed elettrizzante dalla prima all’ultima nota.
Bang Your Head mette subito in chiaro che qui si fa hard rock al suo massimo livello, seguita dalla veloce Cyberland, ma siamo solo all’inizio, perché irrompe poi uno dei brani più belli del disco, Victims Of The Future, cadenzata, sostenuta da un riff mastodontico e da una prova di Bud da applausi: sanguigno ma allo stesso tempo elegante, il singer toscano invita a sedersi al banco e con attenzione seguire la lezione su come si canta su un album di questo tipo.
The Chain Goes On scorre che è un piacere tra canzoni eccezionali come Legacy Of Rock (un brano che i Saxon non scrivono più da vent’anni), I Don’t Wanna Know, Warrior e la già citata e bellissima Sunrise.
Elegante, metallico, epico, struggente, esaltante, in poche parole un must per gli appassionati dell’hard & heavy: l’esordio della band toscana regala brividi a profusione, colmando il vuoto delle uscite discografiche in questo genere, specialmente a questi livelli, aspettando il singer con una nuova prova degli altrettanti grandi Bud Tribe.

Tracklist:
1. Bang Your Head
2. Cyberland
3. Victims of the Future
4. Monkey
5. Legacy of Rock
6. Liar
7. I Don’t Wanna Know
8. Devil Inside
9. Warrior
10. Sunrise
11. Living for the Night Time

Line-up:
Sandro “Bid” Ancillotti – Bass
Brian Ancillotti – Drums
Luciano “Ciano” Toscani – Guitars
Daniele “Bud” Ancillotti – Vocals

ANCILLOTTI – Facebook

Wyld – Stoned

Ottimo esempio di heavy/stoner questo Ep di debutto dei parigini Wyld.

Da Parigi arriva questa band che, se confermerà le buone sensazioni avute all’ascolto di questo Ep, al prossimo giro potrebbe davvero fare il botto (qualitativamente parlando).

Loro sono gli Wyld e suonano un heavy/stoner che più americano non si può, devoti allo zio Zakk Wylde ed ai suoi Black Label Society.
Niente di nuovo, vero, ma il bello è che gli Wyld fanno tutto davvero bene presentandoci tre brani, più un’outro strumentale da applausi, votati alle sonorità d’oltreoceano, tremendamente orecchiabili e settantiani, una vera sferzata di adrenalina pura, cantati alle grande dal bravissimo Raphael Maarek.
Le coordinate dell’Ep sono appunto un heavy/stoner-ock’n’roll sparato a mille, come nell’opener Venomous Poison, oppure cadenzato e potentissimo come in Just Another Lie.
Le influenze del resto sono palesi, oltre ai BLS, le canzoni richiamano anche le ultime fatiche dei Black Stone Cherry e dei gruppi che hanno riportato in auge i suoni stonerizzati, con più di un occhio al southern dei maestri Down e Corrosion of Conformity.
Efficace e dall’ottimo impatto la sezione ritmica (Jerome Serignac al basso e Remi Choley alle pelli) e buoni i ricami delle due chitarre, tra ritmiche stonate e solos heavy/rock della coppia Chante Basma e Jeffrey Jacquart.
La title-track conferma il buon talento dei cowboys parigini e l’outro strumentale Crossroads ci dà appuntamento ad un futuro full-length che, a questo punto, diventa un passo obbligatorio per la band.
La valutazione finale risente della brevità del lavoro, ma la band transalpina conferma la buona salute dell’odierno genere guida delle sonorità provenienti dal nuovo mondo, reclamando la giusta dose di attenzione.

Tracklist:
1. Venomous Poison
2. Just Another Lie
3. Stoned
4. Crossroads

Line-up:
Raphael Maarek – Lead Vocals
Chante Basma – Rhythm Guitars, Backing vocals
Jeffrey Jacquart – Lead, Rhythm Guitars
Jérôme Sérignac – Bass Guitar, Backing vocals
Gabriel Deloffre – Drums

Kalidia – Lies’ Device

La band toscana riesce nella non facile impresa di consegnarci un disco semplice ma costruito su belle canzoni, metalliche ma nel contempo orecchiabili, e va oltre le più rosee aspettative con il proprio power classico ma dal sapore melodico.

Un altro bellissimo album di power metal melodico tutto italiano uscito in questa prima metà dell’anno di grazia 2014, ed un’altra band da scoprire e da seguire per tutti i fan del genere.

Si chiamano Kalidia, vengono da Lucca ed arrivano al debutto sulla lunga distanza dopo un EP del 2012 dal titolo “Dance of the four winds”, prodotto da Alessio Lucatti (Vision Divine, Etherna) che offre loro la possibilità di intraprendere un’intensa attività live, suonando con la crema del power/prog metal nazionale ed internazionale (Vision Divine, DGM, Timo Tolkki, Etherna). Le registrazioni dell’album di debutto iniziano lo scorso anno, sempre sotto l’ala di Alessio Lucatti che produce, masterizza e mixa questo notevole Lies’ Device. La band, guidata dalla voce della bravissima Nicoletta Rosellini, che “interpreta” in modo caldo con il suo tono ricco di pathos ed emozionalità le trame presenti in questo debutto, riesce nella non facile impresa di consegnarci un disco semplice ma costruito su belle canzoni, metalliche ma nel contempo orecchiabili, e va oltre le più rosee aspettative con il proprio power classico ma dal flavour melodico, di gran lunga superiore a tanti artisti più famosi. Dimenticatevi suoni sinfonici, gothic e vocals baritonali, questo è power e, dove necessita, i Kalidia picchiano da par loro, lasciando spazio a momenti dove esce un po’ di anima prog, specialmente nella drammatica Harbinger of Serenity cantata in duetto da Nicoletta con Andrea Racco degli Etherna (freschi dello splendido “Forgotten Beholder”). Si passa così da momenti heavy ad altri dove la band lascia spazio al talento della vocalist, che spadroneggia su tutto l’album deliziandoci con Shadow Will Be Gone, ballad sopra le righe, The Lost Mariner, song che apre l’album tra ottime melodie e bissata dalla più potente Hiding From the Sun, e Dollhouse (Labyrinth of Thoughts), dalle melodie ariose che sfiorano l’AOR. Lies’ Device è a suo modo trascinante e l’ascolto sempre piacevole, tanto che arrivare alla conclusiva In Black and White, dove compare come ospite Alessandro Lucatti con la sua sei corde, è un attimo, passando per almeno altri due brani coinvolgenti come Reign of Kalidia e la title-track. L’abilità della band nello strutturare su un tappeto tastieristico l’ottimo power, addolcito dalla voce della cantante, fornisce a questo lavoro una marcia in più e ci consegna un altro debutto coi fiocchi da parte di una band nostrana, ovviamente consigliato a tutti gli amanti del metal melodico.

Tracklist:
1. The Lost Mariner
2. Hiding from the Sun
3. Dollhouse (Labyrinth of Thoughts)
4. Reign of Kalidia
5. Harbinger of Serenity
6. Black Magic
7. Shadow Will Be Gone
8. Lies’ Device
9. Winged Lords
10. In Black and White

Line-up:
Federico Paolini – Guitars
Nicola Azzola – Keyboards
Nicoletta Rosellini – Vocals
Roberto Donati – Bass
Gabriele Basile – Drums

KALIDIA – Facebook

Holy Shire – Midgard

Interessante debutto per i lombardi Holy Shire,che si allontanano dai soliti clichè symphonic per un album folk/epic metal d’autore.

Interessante debutto sulla lunga distanza per i milanesi Holy Shire, freschi di firma con Bakerteam e autori di un album che di questi tempi riesce ad essere originale, allontanandosi dai soliti clichè power, gothic e symphonic cari a molte band della scena, mostrando un approccio più ottantiano, meno pomposo ma altrettanto riuscito.

Fondato nel 2009, con all’attivo un demo ed un Ep (“Pegasus” – 2011), il gruppo è composto da ben otto elementi; Midgard, che si rifà per la maggior parte, a livello di tematiche, alla saga “Il trono di spade”, opera Fantasy di George R.R Martin, è un’opera prima affascinante e molto raffinata. Di non semplice lettura, il lavoro come detto è spogliato da tutti quegli elementi che caratterizzano le classiche opere che tanto vanno di moda in questi tempi, qui l’heavy metal dalla forte epicità è levigato da una spiccata connotazione folk cantautorale e da tanto Rock; i suoni, mai troppo magniloquenti nelle orchestrazioni, rendono il disco sognante, maturo nel saper trasmettere le atmosfere senza forzare la mano, arrivando all’ascoltatore in modo genuino. Gli Holy Shire sanno anche essere incisivi, infatti chitarre metalliche e ritmiche più heavy sono protagoniste in brani potenti ed epici come l’opener Bewitched, The Revenge of The Shadow e Holy War, mentre il flauto e le tastiere ricamano melodie che si fanno a tratti incantevoli nelle magnifiche Winter Is Coming e Holy Shire. Buone le voci delle vocalist e di spessore le prove dei musicisti, in particolare quella di Ale che coinvolge con il suono del suo flauto, strumento protagonista indiscusso di tutto il lavoro e che, a tratti, riprende sonorità provenienti direttamente dagli anni ’70 (Jethro Tull). È indubbio che l’epic metal ottantiano faccia parte del background della band, così come penso siano ascolti abituali per il gruppo quelli di cantanti folk come Loreena McKennitt, elemento che contribuisce a fornire quel tocco di originalità rendendo quello che poteva essere un “semplice” album metal un lavoro d’autore. Complimenti alla band, quindi, così come alla Bakerteam per aver dato fiducia ad un gruppo dalle sonorità leggermente fuori dagli schemi abituali. Senza ombra di dubbio, buona la prima.

Tracklist:
1. Bewitched (My Words Are Power)
2. Winter Is Coming
3. Gift of Death
4. Overlord of Fire
5. Holy Shire
6. The Revenge of the Shadow
7. Beyond
8. Holy War
9. Midgard

Line-up:
theMaxx – Drums
Reverend Jack – Keyboards
Aeon – Vocals (lead)
Ale – Flute
Andrew Moon – Guitars (lead)
Ed Gibson – Guitars (rhythm)
Piero Chiefa – Bass
Sisiki – Vocals (choirs)

HOLI SHIRE – Facebook

Tenebrae – Il Fuoco Segreto

Da sentire, risentire e sentire ancora, finchè la musica composta dai Tenebrae a supporto della storia tragica, ma illuminante, del protagonista Johann Georg, riuscirà a rapire la vostra anima senza che possiate opporre la minima resistenza.

Siete convinti di vivere in una nazione nella quale tutto va catastroficamente alla rovescia ? Pensate che ci deve essere qualche grosso equivoco alla base di una realtà che vede milioni di persone perbene faticare per sbarcare il lunario mentre le camere della repubblica sono affollate da pregiudicati e da plurindagati? Ebbene, l’ascolto di un disco come Il Fuoco Segreto  rafforzerà ulteriormente la vostra convinzione riguardo all’andamento delle cose in questo splendido quanto contraddittorio frammento di pianeta.

Non che i Tenebrae  si occupino di questioni sociali, intendiamoci, anzi, le tematiche trattate dalla band genovese si ispirano all’opera di un gigante della letteratura dello scorso millennio quale fu Goethe; il motivo che mi ha spinto ad introdurre in questa maniera il disco è l’amara constatazione di quanto la meritocrazia da queste parti si riveli, in qualsiasi campo, una pura utopia: al termine dell’ascolto di Il Fuoco Segreto  buona parte di voi, in particolare quelli che non conoscevano i Tenebrae, non potranno fare a meno di chiedersi come gli autori di un’espressione artistica di tale livello abbiano faticato persino a trovare una label desiderosa di promuoverli, prima del recente accordo raggiunto con la House Of Ashes.
Se non altro il buon Marco Arizzi, anima e unico superstite della formazione originaria, non si è mai perso d’animo in tutti questi anni, fatti di line-up rivoluzionate e mille altri problemi che avrebbero fatto desistere chiunque non fosse stato mosso dalla ferma convinzione d’avere ancora molto da dire (e da fare) in una scena musicale spesso afflitta da un’inspiegabile cecità.
Per certi versi, i Tenebrae sono probabilmente vittime della difficoltà di catalogarli in un genere ben definito (e non è un caso se lo stesso leader ama definirne lo stile “art rock”), essendo alla fine molto più spostati verso un ambito progressive nonostante i musicisti che ne fanno parte abbiano fondamentalmente un background metal; per quanto mi riguarda non ci sono dubbi di alcun tipo: Il Fuoco Segreto è un album progressive in tutto e per tutto, in grado di rivaleggiare dal punto di vista qualitativo con un altra perla partorita lo scorso anno dalla Superba, ovvero “Le Porte Del Domani” de La Maschera Di Cera.
Attenzione, però, pur partendo da posizioni contigue, le due band esplorano differenti versanti musicali proprio alla luce della diversa estrazione di ciascuno: se gli uni, quindi, rivolgono il loro sguardo principalmente verso l’epopea settantiana del prog italiano, andando addirittura a proporre un sequel di “Felona e Sorona”, gli altri vanno ad attingere al migliore rock nostrano (Litfiba, Timoria) senza omettere di conferire al tutto un’aura oscura attraverso frequenti incursioni nell’heavy metal, con tanto di voce in growl a rimarcare l’asprezza di tali momenti.
Le chiavi della riuscita del lavoro sono sostanzialmente due: l’indubbio talento compositivo di Marco Arizzi e la voce di Pablo Ferrarese, un cantante conosciuto in ambito locale anche per le sue performance vocali in una tribute band di Ozzy Osbourne, un ruolo per certi versi riduttivo se rapportato alla voce del “Madman” (sia detto con il dovuto rispetto), alla luce della versatilità esibita nell’interpretare, con la giusta dose di enfasi e teatralità, i profondi testi, rigorosamente in italiano e liberamente adattati dal “Faust” da Antonella Bruzzone.
Dopo essere stato folgorato dalla loro esibizione di supporto ai Secret Sphere lo scorso 29 marzo, Il Fuoco Segreto è entrato definitivamente in loop nel mio lettore e, anche grazie alla sua lunghezza non eccessiva, è possibile goderne ogni intenso attimo, a partire dalla intro Faust sino all’ultima nota di Limite, in un ininterrotto susseguirsi di emozioni in grado di toccare vette altissime nel capolavoro Margarete, un brano che, pur sapendo di attirarmi le ire o gli sberleffi di qualche purista del prog, mi azzardo a definire la “750.000 anni fa l’amore” del nuovo millennio, tale è la capacità di portare alla commozione l’ascoltatore grazie al perfetto connubio tra le dolenti note del pianoforte e la magnifica interpretazione di Ferrarese.
La verità è che non si ravvisa un solo momento di stanca in un disco per il quale, tutto sommato, la durata limitata si traduce nella sintesi perfetta grazie alla quale nessuna nota viene sprecata per diluire inutilmente un contenuto musicale che rasenta la perfezione.
Rock, prog e metal per una volta vanno a braccetto come pochi sono riusciti a fare nel recente passato, e i Tenebrae lo fanno per di più attingendo meritoriamente alla nostra tradizione musicale che rimane, questa sì, uno degli aspetti del paese di cui andare fieri.
Da sentire, risentire e sentire ancora, finchè la musica composta a supporto della storia tragica, ma illuminante, del protagonista Johann Georg, riuscirà a rapire la vostra anima senza che possiate opporre la minima resistenza.

Tracklist:
1. Faust
2. Luce nera
3. Mephisto
4. Perdizione
5. Fuoco segreto
6. Margarete
7. Occhi spezzati
8. Schegge di specchio
9. Limite

Line-up :
Marco “May” Arizzi – Chitarre
Francesco Mancuso – Tastiere
Alessandro Fanelli – Batteria
Pablo Ferrarese – Voce e Cori
Fabrizio Bisignano – Basso

TENEBRAE – Facebook

Spellblast – Nineteen

Gli Spellblast confezionano un grande album di power metal dalle atmosfere western, amalgamando la nostra musica preferita con le colonne sonore di Ennio Morricone.

L’ho ascoltato e riascoltato quest’album perché ancora stento a credere che una band di tale portata non abbia un’etichetta alle spalle e che, quindi, un disco di tale levatura debba uscire autoprodotto.

Non ne conosco i motivi (anzi, diciamo che un’idea me la sono fatta) ma cominciano ad essere davvero troppe le band meritevoli prive dell’appoggio, a mio avviso fondamentale, di qualcuno che creda nelle loro potenzialità e che possa occuparsi di tutti gli aspetti organizzativi e promozionali lasciando ai componenti delle band il compito essenziale di suonare e comporre musica. Gli Spellblast provengono da Bergamo e sono attivi dal 1999 ma, dopo un demo nel 2004, l’esordio su lunga distanza avviene con “Horns Of Silence” solo nel 2007, mentre il secondo album “Battlecry” risale al 2010, impreziosito dalla partecipazione di Fabio Lione. In questa sua ultima bellissima uscita il combo lombardo abbandona il folk metal dei dischi precedenti per regalarci un power metal dalle originalissime atmosfere western, che aiutano la band a raccontare le vicende tratte dalla “The Dark Tower Saga”, monolite cartaceo ad opera di Stephen King. Ora, se siete incuriositi dalla parola western, chiarisco subito che Nineteen è un gran bel pezzo di metallo, duro, oscuro, dove le orchestrazioni e le atmosfere da cavalli e polvere sono magistralmente inserite nel contesto, rendendo la musica epicissima senza per una volta scomodare Tolkien, draghi e folletti. Daniele Scavoni, singer dalla voce possente, protagonista di una prova maiuscola per tutta la durata dell’album, ricorda a tratti il miglior Zachary Stevens, assecondato da un songwriting eccelso e da compagni di viaggio altrettanto bravi, che formano una banda degna di Butch Cassidy e Billy the Kid. Accontenterà un pò tutti i fan del power questo disco, sia chi preferisce un approccio più diretto, si gli amanti del sound orchestrale; le song non mancano di picchiare duro e lo fanno praticamente sempre, mentre laddove la frontiera prende il sopravvento, lo fa tenendo ben alta la tensione con atmosfere perennemente da duello allo scoccare del mezzogiorno. Non si può non chiamare in causa il Maestro Ennio Morricone e le sue straordinarie colonne sonore, ciliegina sulla torta dei film di Sergio Leone e della saga di Ringo con il compianto Giuliano Gemma, e gli Spellblast assorbono il meglio del compositore romano e lo usano al servizio del loro metal per un risultato entusiasmante. In materia di power metal siamo al cospetto di un grande album, il migliore di quiest’anno finora insieme all’ultimo Persuader: A World That Has Moved On, Into Demon’s Nest, Shattered Mind, We Ride, The Calling sono solo alcuni stupendi esempi del livello altissimo del lavoro di questa grande band nostrana.

Tracklist:
1. Banished
2. Eyes in the Void
3. Highway to Lud
4. A World That Has Moved On
5. The Reaping
6. Into Demon’s Nest
7. Blind Rage
8. Shattered Mind
9. Until the End
10. We Ride
11. Programmed to Serve
12. Endless Journey
13. The Calling

Line-up:
Daniele Scavoni – Voce
Luca Arzuffi – Chitarra
Aldo Turini – Chitarra
Xavier Rota – Basso
Michele Olmi – Batteria

SPELLBLAST – Facebook

Demon Eye – Leave The Light

Un album che nei suoi quarantasei minuti di durata racchiude il meglio degli anni settanta/ottanta in materia doom classico.

La Soulseller Records, dopo il bellissimo disco dei Bloody Hammers, entrato di diritto nella mia top ten del 2013, rilascia nei primi giorni dell’anno nuovo il debut album dei Demon Eye, band del North Carolina, con all’attivo un Ep dello scorso anno dal titolo “Shades Of Black” ,autrice di un album che nei suoi quarantasei minuti di durata racchiude il meglio degli anni settanta/ottanta in materia doom classico.

Il disco, infarcito di suoni vintage, raccoglie infatti quello che i grandi maestri del suono del destino (Black Sabbath, Pentagram, Saint Vitus, Trouble, Obsessed, Sleep) hanno lasciato in eredità, : qui troverete di che dissetarvi alla fonte del doom, con accenni all’occulto a livello lirico, come il verbo sabbathiano insegna. A rendere il lavoro piacevole magari a chi non è un amante dei suoni pieni e ovattati, classici di questo genere, è la produzione che restituisce un suono pulito, dando risalto al lato hard rock del combo che, nei brani più dinamici, risulta oltremodo convincente. Da Hecate, che apre la danza sabbatica, in poi è un susseguirsi di ottime song, dove i suoni più duri degli anni settanta sono interpretati dalla band con ottimo piglio, non cadendo mai nel tranello stoner, ma mantenendo una linea guida per tutta la sua durata. Shades Of Black,Song, dall’incedere ritmato, con la chitarra di Larry Burlison, protagonista di un riff trascinante, lascia spazio alla bellissima Secret Sect, dove compaiono accenni all’heavy metal, chiaramente old school; Edge a Knife, altro gran brano, torna su atmosfere più doom, mentre Witch’s Blood, aperta da un riff hard rock, è un classico brano alla Pentagram. Ancora la band di Joe Hasselvander fornisce il suo marchio in Fires Of Abalam, vero manifesto di genere, dove il plauso va al vocalist Erik Sugg, cantore messianico del combo americano. C’è ancora tempo per The Banishing, altro brano che entusiasma per melodie e ritmiche, prima che From Beyond e Silent One chiudano un album davvero molto bello, aiutato da un songwriting elevatissimo, per un ascolto mai noioso, dal buon tiro, suonato da una band preparata.

Tracklist:
1. Hecate
2. Shades of Black
3. Secret Sect
4. Adversary
5. Edge of a Knife
6. Witch’s Blood
7. Fires of Abalam
8. Devil Knows the Truth
9. The Banishing
10. From Beyond
11. Silent One

Line-up
Paul Waltz – bass
Bill Eagen – drums, vocals
Larry Burlison – guitars
Erik Sugg – guitars, vocals

DEMON EYE – Facebook

Deathless Legacy – Rise From The Grave

Un bellissimo lavoro, complimenti al gruppo, che dal vivo immagino grandissimo, e disco consigliato non solo ai fans dei Death SS.

Questa recensione mi permette di spendere due parole sul più grande gruppo metal nato nella nostra penisola, riconosciuto in tutto il mondo, guidato da un leader che è una delle nostre poche icone, dotato di carisma e personalità e vero artista a 360°: sto parlando ovviamente dei Death SS e naturalmente di Steve Sylvester.

Questo grande gruppo ha rilasciato dei dischi fondamentali, prima negli anni 80′ basati su un Metal più classico, e diventando poi un’entità a parte e inventando, di fatto, un genere come l’horror Metal. Impossibile quindi non essersi imbattuti in almeno uno dei loro numerosi capolavori, da “In Death Of Steve Sylvester” a “Black Mass”, da Heavy Demons alla svolta semi-industrial di “Do What Thou Wilt” e “Panic”, fino ad arrivare all’ultimo “Resurrection”,datato 2013: una grande band che ha rilasciato lavori bellissimi e sempre con quell’integrità e coerenza (dicendola alla Pino Scotto, altra icona del nostro metal) che l’hanno resa un mito
I toscani Deathless Legacy nascono come tribute band dei Death SS e, dopo innumerevoli apparizioni dal vivo, arrivano al debutto discografico con un album di horror metal scritto come Steve Sylvester insegna, e non poteva essere altrimenti.
Anche loro, come i maestri, hanno optato per travestimenti e pseudonimi, la copertina con le mani di zombie che escono dal terreno è rigorosamente in stile horror ma, fortunatamente, in questo disco c’è anche tanta buona musica.
Intanto i brani sono cantato da una vocalist, al secolo Steva La Cinghiala, protagonista di una prova magistrale (non è così facile cantare su di un disco del genere e risultare perfetta); le somiglianze, inevitabili, con i Death SS si riscontrano nei suoni delle tastiere, poi però l’album ha una sua vita ( anche in questo caso sarebbe meglio dire morte … ) propria, i brani sono belli, tra song dall’impatto più moderno e altri intrisi di atmosfere più classiche.
Apre il sabba Will-O’-The Wisp, e si entra subito al centro del Grand Guignol dove è protagonista una band che sfodera tutte le proprie virtù musicali, con brani dal forte impatto e dalla immediata presa.
Queen Of Necrophilia, Octopus,la sparata Killergeist, fanno da antipasto al picco dell’album, quella Flamenco De La Muerte, dove il Metal del combo accompagna una chitarra spagnola in una song geniale.
Ancora ottimi brani sono Spiders e Devil’s Thane, prima di arrivare ad un altro brano top, Death Challenge, dove Steva inasprisce la voce e si accentuano i suoni moderni, per un brano dal sapore nu metal.
Step Into The Mist conclude un bellissimo lavoro, complimenti al gruppo che dal vivo immagino grandissimo e disco consigliato, non solo ai fans dei Death SS.

Tracklist:
01 – Will-O’-The Wisp
02 – Queen Of Necrophilia
03 – Bow To The Porcellan Altar
04 – Octopus
05 – Killergeist
06 – Flamenco De La Muerte
07 – Spiders
08 – Devil’s Thane
09 – Death Challenge
10 – Step Into The Mist

Line-up
Steva La Cinghiala – Vocals and Performances
Frater Orion (The Beast) – Drums and Scenographies
El “Calàver” – Guitar
C-AG1318 (The Cyborg) – Bass and Vocals
Pater Blaurot – Keyboard
The Red Witch – Performances

DEATHLESS LEGACY – Facebook

Root – Viginti Quinque Annis In Scaena

“Viginti Quinque Annis In Scaena” contiene un’ora di musica ruspante , messa su cd così come è stata suonata senza ricorrere a trucchi da studio.

Il nome di Jiri Valter dalle nostre parti dice poco o nulla e, probabilmente, lo stesso vale per il nome d’arte con il quale è conosciuto in ambitoo musicale, Big Boss.

In realtà il personagio del quale stiamo parlando è una sorta di istituzione del metal nell’est europeo, in particolare in Repubblica Ceca dove è nato e svolge la propria attività. Superati da poco i 60 anni , etò sempre inusuale per chi si dedica al metal estremo, il nostro è stato anche il fondatore del ramo della Church Of Satan in Cecoslovacchia, poco prima che la nazione sparisse per dar vita ai due paesi indipendenti che conosciamo oggi. Dopo aver preso le distanze in un secondo tempo dall’organizzazione di Anton LaVey, Big Boss non ha certo rinnegato il satanismo, continuando coerentemente a condurre una vita, artistica e non, all’insegna del “do what thou wilt”
Questa introduzione si rende necessaria dato che nella recensione si parlerà del live celebrativo della band fondata proprio da Big Boss, i Root, che mossero i primi passi ben venticinque anni fa: il combo ceco viene immortalato (oltre alla versione audio esiste anche un dvd con altre immagini live e diversi contenuti extra) nel corso di un concerto tenuto nel 2011 a Brno, fornendo la possibilità di ascoltare i brani migliori di una carriera lunga e prolifica, con ben nove album incisi oltre a demo, split, compilation, live e quant’altro .
La collocazione teorica dei Root all’interno del black metal non deve trarre in inganno: qui non si ascolta nulla di avvicinabile al sound delle band nordiche bensì un heavy metal che prende le mosse da quanto fatto qualche anno prima dai Venom, anche se , con il senno di poi, il satanismo che ne permea i testi appare decisamente più sincero e meno di facciata rispetto a quello di Cronos e soci.
Viginti Quinque Annis In Scaena contiene un’ora di musica ruspante , messa su cd così come è stata suonata senza ricorrere a trucchi da studio, mantenendo intatti gli effetti dell’interazione di Big Boss con i fan, anche se purtroppo, il ricorso alla lingua madre ci impedisce di capire ciò che dice, con ogni probabilità piuttosto divertente a giudicare dalle reazioni del pubblico …
Hrbitov, In Nomine Satanas, Lucifer sono alcuni degli anthem eseguiti dai Root nel corso di un’esibizione di circa un’ora, che sicuramente non annoia pur senza rappresentare qualcosa di epocale.
Piuttosto, quello che abbiamo tra le mani è un documento interessante, che fotografa un evento al quale, chi avesse avuto l’opportunità di parteciparvi si sarebbe divertito un mondo ma che, ridotto ad un semplice supporto sonoro, perde gran parte del suo potenziale fascino; il metal dei Root infatti si rivela alquanto essenziale e l’impressione è che trovi proprio nella già citata interazione tra pubblico e musicisti la propria sublimazione. Meglio quindi, per chi volesse approfondire la conoscenza della storica band ceca, optare per la versione in dvd.

Tracklist:
1. Talking Bones
2. Sonata of the Choosen Ones
3. Hrbitov
4. The Endowment
5. In Nomine Satanas
6. The Festival of Destruction
7. And They Are Silent
8. Lucifer
9. The Aposiopesis
10. The Old Ones
11. Písen Pro Satana
12. 666

Line-up :
Big Boss – Vocals
Ashok – Guitars
Igor Hubík – Bass
Pavel Kubát – Drums
Jan Konečný – Guitars

ROOT – Facebook

Infinita Symphonia – Infinita Symphonia

Gli Infinita Symphonia vanno ad aggiungersi al cospicuo numero di band tricolori dedite ad un heavy metal dai tratti sinfonici e lo fanno senza sfigurare al cospetto dei nomi più celebrati della scena.

Gli Infinita Symphonia vanno ad aggiungersi al cospicuo numero di band tricolori dedite ad un heavy metal dai tratti sinfonici e lo fanno senza sfigurare al cospetto dei nomi più celebrati della scena.

Il sound della band nettunese unisce in maniera efficace power e prog, mantenendo comunque sempre connotati alquanto melodici senza per questo risultare necessariamente stucchevoli. L’opener If I Could Go Back è un perfetto esempio di ciò che riserverà il resto dell’album, trattandosi di un brano immediatamente memorizzabile e lo stesso dicasi per la successiva (e ancor più efficace) The Last Breath; il quartetto laziale pare trovarsi perfettamente a proprio agio con brani di questo tipo, e lo stesso accade con una ballad come l’emozionante In Your Eyes (a noi una canzone con questo titolo deve piacere per forza …) dal vago sentore Shadow Gallery, nella quale Luca Micioni, coadiuvato da una voce femminile, sfodera una prestazione di assoluto rilievo. Pregevoli anche Fly, non solo per il contributo vocale del “mostro sacro” Michael Kiske, e la coinvolgente Waiting For A Day. La chiusura di quest’album autointitolato è affidata a Limbo, degno epilogo per un lavoro che, pur essendo forse un po’ “leggerino” per chi è abituato a sonorità più robuste, mostra una sorprendente crescita dopo ogni ascolto, denotando una tenuta sulla lunga distanza non sempre rinvenibile in uscite di questo genere. Se cercate novità epocali passate pure oltre, altrimenti, se vi “accontentate” di ascoltare del buon metal melodico, suonato con gusto e padronanza della materia, gli Infinita Symphonia fanno sicuramente al caso vostro.

Tracklist :
1. If I Could Go Back
2. The Last Breath (Slideshow)
3. Welcome to My World
4. Drowsiness
5. In Your Eyes
6. Fly
7. Interlude
8. Waiting for a Day of Hapiness
9. X IV
10. Limbo

Line-up :
Luca Micioni – Vocals
Gianmarco Ricasoli – Lead Guitar & Backing Vocals
Alberto De Felice – Bass & Backing Vocals
Ivan Daniele – Drums

Attractha – Engraved

“Engraved” mette in evidenza una band dalle notevoli potenzialità e dalla sufficiente personalità in grado di regalare soddisfazioni a chi apprezza il metal nella sua veste più classica.

I brasiliani Attractha appartengono all’affollata categoria di band che, a causa di varie vicissitudini legate all’instabilità della line-up, riescono solo dopo diversi anni di attività a presentare al pubblico il frutto del proprio impegno.

In questo caso, il quartetto paulista , con l’Ep intitolato Engraved, fornisce un assaggio di quello che dovrebbe essere il full-length d’esordio programmato entro la fine di quest’anno.
La musica prodotta dai nostri è un heavy metal ricco di diverse sfumature che vanno dall’hard rock al prog-metal, passando per il grunge e l’heavy classico, facendo sì che le quattro tracce proposte possiedano una certa immediatezza che rende davvero piacevole l’ascolto.
Darkness, scelta come singolo per il lancio dell’Ep, mette subito in evidenza sia le ottime doti tecniche del quartetto sia la buona prestazione vocale di Marcos De Canha, ma ancora meglio è la successiva The Choice, dotata di una splendida linea melodica.
Più ordinarie per quanto valide la semi-ballad Blessed Life, impreziosita comunque da un bellissimo assolo di Ricardo Oliveira, e la conclusiva Beginning, dagli evidenti rimandi novantiani.
Engraved mette in evidenza una band dalle notevoli potenzialità e dalla sufficiente personalità in grado di regalare soddisfazioni a chi apprezza il metal nella sua veste più classica.

Tracklist :
01. Darkness
02. The Choice
03. Blessed Life
04. Beginning

Line-up :
Marcos da Canha – Vocals
Ricardo Oliveira – Guitars & vocals
Guilherme Momesso – Bass
Humberto Zambrin – Drums & vocals

ATTRACTHA – Facebook

Soundcloud – The Choice

Kaledon – Altor: The King’s Blacksmith

I Kaledon dimostrano come sia possibile, anche dopo anni di attività, continuare a progredire e a migliorarsi quando la passione rende l’incisione di un nuovo disco la finalizzazione di un processo creativo e non la periodica timbratura di un cartellino.

I Kaledon sono sulle scene ormai da diversi anni proponendo un power sinfonico dalle forti sfumature epiche; Altor: The King’s Blacksmith è già il loro settimo full-length ma è il primo dopo la conclusione della saga strutturata sui sei capitoli che hanno contrassegnato la passata produzione, anche se rimane collegato alle tematiche passate visto che il concept è incentrato sul fabbro del re, uno dei personaggi (pur se minori) presenti nella loro “Legend Of The Forgotten Reign”.

Al di là dell’aspetto concettuale, ciò che preme evidenziare è la notevole caratura di quest’ultimo lavoro, che appare come un riuscitissimo tributo ad un genere che, troppo spesso invece, è afflitto da un’asfittica ridondanza; a detta della stessa band, l’essere stati in tour per gran parte del periodo successivo alla pubblicazione di “Chapter VI”, ha portato ad una naturale evoluzione sia dal punto di vista tecnico sia da quello compositivo. Dopo una canonica intro, Childhood apre alla grande grazie a uno splendido incipit chitarristico in grado di restare impresso a lungo nella memoria; la successiva Between The Hammer And The Anvil è un classico brano power che unisce con buon equilibrio ritmo e melodia. My Personal Hero è un altro brano dal buon impatto mentre Lilibeth è una ballad invero un pò zuccherosa; A New Beginning apre la parte finale del disco che d’ora in poi mostra il volto migliore dei Kaledon: questo è un altro brano davvero riuscito nel quale va evidenziato l’ottimo lavoro delle tastiere. Kephren è un esempio calzante di come il songwriting si sia attestato su livelli ragguardevoli, mentre Screams In The Wound possiede una certa drammaticità di fondo che lo rende l’ideale antipasto del botto finale costituito da A Dark Prison, autentico gioiello impreziosito dalla presenza di un nome che non ha bisogno di presentazioni come quello di Fabio Lione. Un evidente progresso rispetto al precedente full-length, unito al ritorno a sonorità più dirette e maggiormente votate ad un più classico power melodico, fa di Altor: The King’s Blacksmith un lavoro che, pur non essendo epocale, rappresenta la migliore risposta a chi pensa che questo genere abbia ormai poco o nulla da dire. I Kaledon, al contrario, dimostrano come sia possibile, anche dopo anni di attività, continuare a progredire e a migliorarsi quando la passione rende l’incisione di un nuovo disco la finalizzazione di un processo creativo e non la periodica timbratura di un cartellino.

Tracklist:
1. Innocence
2. Childhood
3. Between the Hammer and the Anvil
4. My Personal Hero
5. Lilibeth
6. A New Beginning
7. Kephren
8. Screams in the Wind
9. A Dark Prison

Line-Up:
Paolo Lezziroli – Bass, Vocals
Alex Mele – Guitars (lead)
Tommaso Nemesio – Guitars (rhythm)
Daniel Fuligni – Keyboards
Marco Palazzi – Vocals
Luca Marini – Drums

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