Carmelo Caltagirone – F*ck*d Alien

Questa raccolta racchiude i tre album fin qui incisi dal chitarrista Carmelo Caltagirone, partendo dai brani scarni e rudimentali inclusi in Iron Man, per passare al sound più elaborato di Gemini Man ed in particolare dell’ultimo Cosa Loro, Please.

Carmelo Caltagirone è un chitarrista che si trova nel mondo della musica dall’alba del nuovo millennio, fin da quando ha imbracciato la sei corde e ha cominciato a suonare coverizzando Litfiba e Deep Purple.

In questi ultimi anni ha inciso tre album: Iron man uscito nel 2014, Gemini Man dell’anno seguente e Cosa Loro, Please, nel 2016
Oggi è la volta di pubblicare una raccolta intitolata F*ck*d Alien, che racchiude tutti e tre i lavori pubblicati più una manciata di tracce live.
F*ck*d Alien è sicuramente una raccolta esaustiva del credo compositivo del chitarrista, partendo dai brani scarni e rudimentali inclusi in Iron Man, per passare al sound più elaborato di Gemini Man ed in particolare dell’ultimo Cosa Loro, Please.
Il sound proposto dal musicista varia molto, ma prevalgono la sperimentazione e la voglia di strafare, perdendo qualcosa per strada sul versante prettamente compositivo.
Più di un’ora di trame chitarristiche ispirate dal metal/rock a cavallo dei due millenni e da vari generi come l’alternative dei R.A.T.M., il progressive metal dei Dream Theater o quello più estremo di Nevermore o Lamb Of God, lasciano all’ascoltatore la sensazione di essere al cospetto di un’artista che ha assorbito con passione ed attenzione il meglio che la musica ha proposto in questo secolo, ma d’altra parte una più attenta selezione dei brani avrebbe reso questa collezione più fluida e di più agevole ascolto.

Tracklist
1.God’s Wrath (Alternative Version)
2.Indie Shred
3.Virtual Icon
4.Bass Solo
5.Density
6.Macigno (Alternative Version)
7.Skate Rock
8.The Iron man
9.Sunday Mornong
10.Snob Breack
11.Ipnotic Trauma
12.Rmelo The Boss
13.Prank (Alternative Version)
14.Triskelle
15.her Conversion
16.Cosa loro, please
17.Surf’n’Skate (live)
18.Dark Funk (live)
19.Sunday Morning (live)
20.Winter (live)
21.Density (live)

Line-up
Carmelo Caltagirone – Everything

CARMELO CALTAGIRONE – Facebook

https://youtu.be/AYW3y6q5r9M

Auri – Auri

Lontano dal metal sinfonico dei Nightwish e più vicino all’anima folk e tradizionale della sua terra, Holopainen mette il suo talento al servizio della splendida consorte, affascinante sirena di questo lavoro fuori dai soliti schemi.

L’aurora, quel momento magico delle giornata in cui le fiabe prendono vita e dove la suadente Johanna Kurkela è fata, musa ispiratrice del mondo conosciuto come Auri, ora è anche un album, registrato insieme al suo più famoso consorte Tuomas Holopainen, tastierista e anima dei Nightwish, e al fido Troy Donockley.

E’ nella magia dell’aurora che la musica del trio prende vita e ad accompagnarci tra le note di questo raffinato lavoro c’è la voce incantevole della cantante, davvero sorprendente nella sua eleganza.
Più semplicemente Auri è ispirato dalla protagonista dei libri di Patrick Rothfuss, in una danza folk che ci accompagna per quasi un’ora di ispirazione celtiche, con la musica a risvegliare un villaggio in un’imprecisata regione a nord dei mari conosciuti.
Una magia valorizzata dalle corde che vibrano sotto le dita di Donockley, protagonista con una miriade di strumenti, dalla viola suonata dalla Kurkela e dai tasti d’avorio, mai cosi delicati e a tratti onirici, all’ombra dei quali la cantante trova riparo per la sua raffinata tonalità.
Un lavoro che si specchia nella tradizione finlandese, un sorprendente mondo fatato in cui leggende millenarie prendono vita, tra le note di The Space Between, Night 19, la splendida The Name Of The Wind e lo strumentale dal piglio cinematografico Savant.
Lontano dal metal sinfonico dei Nightwish e più vicino all’anima folk e tradizionale della sua terra, Holopainen mette il suo talento al servizio della splendida consorte, affascinante sirena di questo lavoro fuori dai soliti schemi.
Auri è un album non per tutti, ma sicuramente in grado di trasmettere emozioni sopite nel tempo, mentre la notte lascia spazio all’aurora e il delicato canto della splendida Johanna Kurkela torna a procurare brividi come la brezza mattutina.

Tracklist
1. The Space Between
2.I Hope Your World is Kind
3. Skeleton Tree
4. Desert Flower
5. Night 13
6. See
7. The Name of The Wind
8. Aphrodite Rising
9. Savant
10. Underthing Solstice
11. Them Thar Chanterelles (feat Liquor in the Well)

Line-up
Johanna Kurkela – Voices & viola
Tuomas Holopainen – Keys & backing voices
Troy Donockley – Acoustic and electric guitars, bouzouki, uilleann pipes, low whistles, aerophone, bodhran, keys, voices

AURI – Facebook

BlackHoleDream – The Brightside Vol. II

The Brightside Vol. II è un album piacevolmente solare ed elettrizzante, fatto di rock moderno e radiofonico nella sua forma migliore.

La Volcano Records fa il botto con i BlackHoleDream, band proveniente da Alessandria ed in possesso di un sound dal potenziale altissimo.

The Brightside Vol.II segue di due anni il primo capitolo, nonché debutto sulla lunga distanza, che ha portato il quintetto piemontese ad avere molti riscontri positivi oltre confine e alla possibilità di aprire per i Limp Bizkit al carroponte di Milano.
Di rock si tratta, moderno e radiofonico tanto basta per imprimersi nelle teste dei giovani rockers europei, pregno di refrain dall’appeal esagerato incastonato in belle canzoni, dal tasso melodico molto alto ma senza rinunciare ad una sana dose di grinta.
Non siamo davanti a chissà quale esempio di originalità, anzi l’album è perfetto nei suoi umori che portano alla mente decine di realtà che hanno ispirato i BlackHoleDream, ma il talento per creare bombe rock facilmente memorizzabili e piacevolmente ruffiane portano ad un giudizio positivo sull’operato dei cinque ragazzi piemontesi.
D’altronde, se dall’opener Better Off Dead, passando per l’irresistibile flavour alla Offspring di Bad Girl, l’irriverenza metal/rock di The Game e il refrain super melodico di All That You Want, l’album non scende di intensità e fluidità neanche per una nota, il plauso va tutto ai cinque ragazzi che con il monicker BlackHoleDream hanno dato vita ad un lavoro che non ha nulla da invidiare ai gruppi internazionali di passaggio sui canali satellitari o su Virgin Radio.
The Brightside Vol. II è un album piacevolmente solare ed elettrizzante, fatto di rock moderno e radiofonico nella sua forma migliore.

Tracklist
1.Better off dead
2.Bad girl
3.Compromises
4.The game
5.Wrong direction
6.Black & blue
7.All that you want
8.21 Oceans
9.Before it’s too late
10.Aisaka

Line-up
Riccardo Saliceto – Guitar & Vocals
Biagio Totaro – Guitar & Vocals
Andrés Oliveros – Guitar
Edoardo Poggio – Bass
Mattia Caci – Drums

BLACK HOLE DREAM – Facebook

AA.VV. – Prigionieri 1988/2018

In download e streaming gratuito sui canali del Ghigo Renzulli Fan Collaborative, questa sorta di compilation celebrativa, oltre ad essere un tributo alla storica band è un modo riuscito ed originale per tornare a respirare le atmosfere di uno dei lavori più rappresentativi del rock italiano, consigliato non solo ai fans dei Litfiba, ma soprattutto ai giovani ascoltatori che del gruppo ignorano le produzioni ottantiane.

Sono passati trent’anni da Litfiba 3 e il Ghigo Renzulli Fan Collaborative, come già per Desaparecido (30 Desaparecido) ed il capolavoro 17Re (trent’anni di 17Re), dedica una compilation tributo al terzo album della trilogia del potere che i Litfiba scrissero tra 1l 1985 ed il 1988, anno di uscita del bellissimo ed ultimo capitolo.

Con la formazione storica ancora intatta (oltre a Ghigo Renzulli e Piero Pelù, Antonio Aiazzi alle tastiere, Gianni Maroccolo al basso e Ringo De Palma alle pelli) ma con la strada musicale del gruppo che sta per arrivare al crocicchio dove lascerà le ombrose atmosfere dark/wave degli esordi per un approccio molto più rock e commerciale, Litfiba3 risulta un album vario che alterna rock graffiante a bellissime e liquide composizioni legate alla new wave, ancora nelle corde dei fans del rock anni ottanta, ma da li a pochi anni scavalcata dalle sonorità del decennio successivo a cui anche i nostri si dedicheranno.
Prigionieri (che in origine doveva essere il titolo dell’album, poi accantonato per Litfiba3) è prodotto da Davide Forgetta con la collaborazione di Roberto Bruno in qualità di direttore artistico, vede al mastering il prezioso lavoro di Fabrizio Simoncioni e l’artwork realizzato da Claudio Serra, co-fondatore del Ghigo Renzulli Fan Collaborative.
Un album molto esplicito e dai temi socio/politici importanti come Litfiba 3 viene reinterpretato dagli artisti che si danno il cambio sui brani che hanno fatto la storia del rock italiano con ottima personalità, quindi non ci si devono aspettare mere cover copia incolla, ma una matura rivisitazione che soggioga a proprio piacimento il sound di cui si componeva l’opera.
L’opener Santiago, affidata ai Capitolo 21 perde le sfumature da “barricate” per un’attitudine più elettronica, mentre i Junkie Dildoz imprimono una notevole carica metal al rock’n’roll di Amigo.
La splendida Lousiana è valorizzata dall’interpretazione di Daniele Tarchiani in una rivisitazione che tanto sa di U2, mentre Ci Sei Solo Tu è lasciata agli Estetica Noir.
Altro brano clou di Litifba 3 (la “parigina” Paname) trova nuova vita nelle note elettro/dance dei Lip’s Aroma e i Røsenkreütz se la vedono con l’atmosfera intimista e dark di Cuore Di Vetro, mentre la diretta Tex, in mano ai Cani Bagnati, rimane un pugno rock in pieno volto.
Peste degli Elysa Jeph, in versione trip rock, lascia agli ultimi due brani (Corri, cantata da Alteria, e Bambino nella versione dei MnemoS) il compito di chiudere questa nuova versione dell’album che all’epoca chiuse definitivamente la prima fase della carriera del Litfiba i quali, da li a poco erano destinati a diventare il gruppo rock italiano più famoso del decennio successivo.
In download e streaming gratuito sui canali del Ghigo Renzulli Fan Collaborative, questa sorta di compilation celebrativa, oltre ad essere un tributo alla storica band è un modo riuscito ed originale per tornare a respirare le atmosfere di uno dei lavori più rappresentativi del rock italiano, consigliato non solo ai fans dei Litfiba, ma soprattutto ai giovani ascoltatori che del gruppo ignorano le produzioni ottantiane.

Tracklist
1.Santiago – Capitolo 21
2.Amigo – Junkie Dildoz
3.Louisiana – Daniele Tarchiani
4.Ci Sei Solo Tu – Estetica Noir
5. Paname – Lip’s Aroma
6. Cuore Di Vetro – Røsenkreütz
7. Tex – Cani Bagnati
8. Peste – Elyza Jepth
9. Corri – Alteria
10. Bambino – MnemoS

GHIGO RENZULLI FAN COLLABORATIVE – Facebook

 

Crone – Godspeed

Godspeed è un buonissimo disco, tutto da godersi anche per la sua orecchiabilità, a patto di non farsi condizionare dal fatto che vi è coinvolto l’autore di Sun; fatta questa necessaria operazione, l’ascolto fluirà più naturale e soddisfacente.

Ritrovare Phil Jonas “sG”, leader dei Secrets of the Moon, alle prese con un progetto progressive avrebbe potuto sorprendere diversi anni fa, ma di sicuro ciò non accade oggi, alla luce dell’evoluzione che nell’ultimo decennio ha visto la sua band principale evolvere da un black metal già di suo inquieto fino ad una forma che, almeno a livello di intenzioni, non e poi così lontana da quanto offerto con i Crone, a cui nome del resto era già uscito un primi album nel 2014.

In ogni caso, non avendo idea di quali siano le mosse previste per il prossimo lavoro dei Secrets of the Moon, credo che comunque il musicista tedesco abbia fatto bene fin da subito a riversare in un differente contenitore pulsioni che comunque non hanno alcun richiamo al metal.
L’operazione riesce in virtù del talento innato del nostro e della sua spalla musicale in tale frangente, Markus Renzenbrink (Embedded), anche se le brillanti intuizioni che hanno reso Sun uno dei dischi migliori degli ultimi anni qui vengono edulcorate, lasciando spazio ad un rock che alterna passaggi più malinconici e soffusi in quota Katatonia e affini ad altri più nervosi che costituiscono un ideale trait d’union tra i Secrets of the Moon ed i Crone.
Tra questi ultimi spicca senz’altro una traccia come Leviathan’s Lifework, dotata non solo di un buon tiro ma anche di ottimi passaggi chitarristici e nel complesso di linee melodiche più decisamente memorizzabili, mentre le più morbide e melodiche The Ptilonist, Mother Crone (un hard rock radiofonico con un testo splendido) e la conclusiva e lunga title track scorrono via leggere ma lasciando sensazioni oltremodo gradevoli.
Va detto che l’album, benché non sia un concept vero e proprio, a livello lirico tratta di argomenti tutt’altro che divertenti raccontando ogni volta di morti avvenute in circostanze particolari, alcune drammatiche (vedi il suicidio di un padre con la sua bambina in Mother Crone o il ben noto ritrovamento del piccolo profugo siriano sulla spiaggia turca di Bodrum in The Perfect Army),  altre a modo loro grottesche (l’esplosione accidentale di chi stava evidentemente preparando una attentato, in Leviathan’s Lifework, o quella del pioniere del paracadutismo Franz Reichelt avvenuta lanciandosi dalla Torre Eiffel, in The Ptilonist), il tutto però ammantato da sonorità tutt’altro che drammatiche ma semmai appena velate di malinconia.
Godspeed è un buonissimo disco, tutto da godersi anche per la sua orecchiabilità, a patto di non farsi condizionare dal fatto che vi è coinvolto l’autore di Sun; fatta questa necessaria operazione, l’ascolto fluirà più naturale e soddisfacente.

Tracklist:
1. Lucider Valentine
2. The Ptilonist
3. Mother Crone
4. The Perfect Army
5. Leviathan’s Lifework
6. H
7. Demmin
8. Godspeed

Line-up:
Pascal Heemann – Guitars / Vocals
Markus Renzenbrink – Drums / Guitars / Vocals
Phil “s G” Jonas – Vocals / Guitars
Daniel Meier – Bass Guitars / Vocals
Guest:
Job “Phenex” Bos – Keyboards / Organs

CRONE – Facebook

Shadygrove – In The Heart Of Scarlet Wood

Una manciata di musicisti della scena folk/symphonic/gothic nostrana si unisce alla natura e alle leggende di un mondo antico per un viaggio nel mito celtico, creando una musica che profuma di pozioni e rituali, completamente acustica e dannatamente coinvolgente.

La scena metal tricolore non smette di stupire rivelandosi in questi ultimi anni una fucina di talenti e diventando una delle massime espressioni del genere, almeno nella vecchia Europa.

E per metal si intendono anche e soprattutto tutti i sottogeneri ispirati dalla voglia di mettersi in gioco e trovare spunti da tradizioni antiche e non solo dai molti spunti moderni.
E’ cosi che una manciata di musicisti della scena folk/symphonic/gothic nostrana (provenienti da band come Elvenking, Evenoire e Sound Storm) si unisce alla natura e alle leggende di un mondo antico per un viaggio nel mito celtico, creando una musica che profuma di pozioni e rituali, completamente acustica e dannatamente coinvolgente.
Gli Shadygrove vengono rapiti da un mondo di magia, in un viaggio emozionante alla ricerca di sfumature ed atmosfere ormai perse nel tempo, nascoste nell’anima di ognuno di noi e pronte a tornare protagoniste nella nostra vita lasciata in mano al mostro che ci divora tutti i giorni: la modernità.
Presi per mano dall’intensa e magica interpretazione di Lizy Stefanoni (anche al flauto), musa di questo bellissimo In The Heart Of Scarlet Wood, accompagnata dai delicati arpeggi folk/acustici dei musicisti che formano con la cantante questa incredibile realtà fuori dal tempo (Fabio Lethien Polo al violino, Matteo Comar alla chitarra, Davide Papa al basso, Elena Crolle alle prese con tastiere ed orchestrazioni e Simone Morettin alla batteria e percussioni), ci inoltriamo tra le foreste in un passato imprecisato dove la poesia musicale del gruppo si unisce al tempo e ai luoghi nei quali ci muoviamo affascinati da quanta naturale bellezza ci circonda.
Basterebbe la meravigliosa Cydonia per decretare la completa riuscita di questo lavoro, ma l’opera vive di nove sognanti perle acustiche, seguendo le strade tortuose che conducono chi sa ancora sognare verso i paesaggi rurali dei Blackmore’s Night.

Tracklist
01. Scarlet Wood
02. My Silver Seal
03. The Port Of Lisbon
04. Eve Of Love
05. This Is The Night
06. Cydonia
07. Northern Lights
08. Let The Candle Burn
09. Queen Of Amber

Line-up
Lisy Stefanoni – Vocals, Flute
Fabio “Lethien” Polo – Violin
Matteo Comar – Guitar
Elena Crolle – Keyboards
Davide Papa – Bass
Simone Morettin – Drums, Ethnic Percussions

SHADYGROVE – Facebook

Viboras – Eleven

I Viboras sono ancora, e forse anche più di prima, un ottimo gruppo punk rock.

Reunion per il gruppo italiano punk rock dei Viboras, che tornano dopo l’interruzione delle attività voluta nel 2010.

Nati nel 2003, mentre l’onda lunga del punk rock italiano si era trasformata in risacca, i Viboras, che hanno sempre avuto un approccio particolare alla materia, hanno prodotto fin dall’inizio un punk rock veloce e fisico, molto melodico, con punte di hardcore, il tutto assai apprezzabile. Nel 2015 tornano in pista con con un disco, e da quel momento la storia continua fino ai giorni nostri. Rispetto ai giorni gloriosi nei quali i Viboras erano sull’epica Ammonia Records molta acqua è passata sotto i ponti e tantissime cose sono mutate, specialmente nel mercato discografico. A quei tempi la cantante del gruppo Irene faceva video con J Ax e il genere era sulla bocca di tutti, mentre ora gli adepti sono sensibilmente calati, ma l’ottima notizia è che i Viboras fanno ancora ottimo punk rock. Le canzoni sono veloci, con ottime melodie, ben composte e ben prodotte, la carica ed il talento ci sono sempre e ne viene fuori un album entusiasmante, che non lascia spazio a dubbi o ripensamenti: la reunion di qualche anno fa è molto positiva e sta dando buoni frutti. Per i Viboras è inoltre molto importante la dimensione dal vivo, che completa e supera l’esperienza fonografica. Irene è in splendida forma, e con lei tutto il gruppo è oliato molto bene, anche grazie ai numerosi live che stanno facendo in giro per la penisola. I Viboras sono ancora, e forse anche più di prima, un ottimo gruppo punk rock.

Tracklist
1. Pray
2. I don’t care
3. Where were you
4. Run away
5. Leave this place
6. Drives me insane
7. Can’t breathe
8. No more
9. Jaime
10. Away from here
11. Raise

Line-up
Irene Viboras
Giò Poison
Beppe Best
Sal Viboras

VIBORAS – Facebook

Gianluca Magri – Reborn

Un buon inizio per il chitarrista bellunese, che ci fa testimoni della sua bravura in un contesto armonioso e mai fine a sé stesso.

Debutto solista per il chitarrista bellunese Gianluca Magri, con un passato nella metal band Phaith, con la quale ha inciso un album nel 2011 (Redrumorder).

In questa nuova avventura discografica, intitolata Reborn, il musicista nostrano affida il basso alle mani di Diego Maioni, la batteria a Raffaele Fiori ed i tasti d’avorio a Lorenzo Mazzucco per dar vita alla sua idea di rock strumentale, assolutamente fuori dai binari ipertecnici dei guitar heroes, ed orientati come spesso accade tra le nuove leve verso una forma canzone che ne facilita la fruibilità.
Anche se in poco più di una ventina di minuti, ma sicuramente di buon livello, Reborn ci presenta un musicista preparato ed assolutamente in grado di ben figurare nel vasto mondo del rock/metal strumentale, con cinque brani che passano in rassegna le varie ispirazioni che hanno portato Magri ad imbracciare una sei corde, dai Led Zeppelin, a Gary Moore e Satriani, con un occhio agli anni settanta quanto al metal del decennio successivo.
Bellissime e varie, a mio parere, sono Snowballed e A.D.R., cuore di questo gioiellino strumentale iniziato con la title track (brano alla Satriani) e Cloudbreaker, poi concluso con le armonie acustiche e zeppeliniane della sognante Atlas Bound che prova a far rivivere la magia di Bron-Y-Aur, dal mastodontico Physical Graffiti.
Un buon inizio per il chitarrista bellunese, che ci fa testimoni della sua bravura in un contesto armonioso e mai fine a sé stesso.

Tracklist
1.Reborn
2.Cloudbreaker
3.Snowballed
4.A.D.R.
5.Atlas Bound

Line-up
Gianluca Magri – Guitars
Diego Maioni – Bass
Raffaele Fiori – Drums
Lorenzo Mazzucco – Hammond, Synth

GIANLUCA MAGRI – Facebook

Earthless – Black Heaven

Lo stoner rock degli Earthless è sempre stato molto piacevole, ma qui tocca forse le vette più alte della loro lunga carriera, perché c’è qualità, passione, potenza e veemenza in questo stoner rock molto fisico, dove si continua la tradizione della psichedelia pesante americana, con lunghe jam potenti e lisergiche che portano lontano.

Quarto disco per i californiani Earthless, in giro dall’ormai lontano 2001. La maggiore novità è data dal fatto che a differenza degli altri dischi questo ha la maggior parte delle canzoni cantate dal chitarrista Isaiah Mitchell, che ha un voce molto adatta al genere.

La cosa è nata spontanea all’interno del gruppo, un cambiamento naturale che non va a snaturare nulla, anzi. Rimangono sempre le cavalcate di psichedelia pesante che hanno sempre contraddistinto la band. Un’altra novità, anche se minore rispetto alla prima, è che il gruppo ha un tiro maggiormente rock rispetto al passato, facendo emergere le sue radici profonde. Gli Earthless devono moltissimo ai Cream, e hanno sempre affermato che senza di loro non ci sarebbe stato nulla. Ascoltando Black Heaven si capisce molto bene questa loro affermazione. La band americana ci mette molto del suo e produce un disco davvero molto godibile e forte, potente e composto di lunghe canzoni che sono jam infuocate sotto il sole della California. Con il trasferimento di Isaiah Mitchell da San Diego, base del gruppo, al nord della California, il gruppo è passato dal vedersi e provare spesso al diradare le occasioni di fare musica insieme. Ciò non ha tolto nulla, anzi ha agito come un rasoio di Occam, andando a perfezionare ulteriormente taluni passaggi. Lo stoner rock degli Earthless è sempre stato molto piacevole, ma qui tocca forse le vette più alte della loro lunga carriera, perché c’è qualità, passione, potenza e veemenza in questo stoner rock molto fisico, dove si continua la tradizione della psichedelia pesante americana, con lunghe jam potenti e lisergiche che portano lontano. Un gran bel disco da una band che si migliora costantemente e che intrattiene molto bene l’ascoltatore.

Tracklist
1. Gifted by the Wind
2. End to End
3. Electric Flame
4. Volt Rush
5. Black Heaven
6. Sudden End

Line-up
Mario Rubalcaba
Isaiah Mitchell
Mike Eginton

EARTHLESS – Facebook

The Rumpled – Ashes And Wishes

Oltre ai The Pogues, le ispirazioni sono quelle classiche dei gruppi del genere con in testa Dropkick Murphys e Flogging Molly, d’altronde una delle virtù principali di questo tipo di musica non è certo l’originalità, ma la capacità di coivolgere e trascinare l’ascoltatore in canti e balli.

Per una volta lasciamo le terre oscure del metal estremo e le strade bruciate dai pneumatici di macchine nelle quali rimbombano chitarre hard & heavy, per tuffarci nelle verdi valli d’Irlanda con questa band italiana, i The Rumpled.

Il gruppo proveniente da Trento ci invita a ballare sulle note della musica tradizionale dell’isola di smeraldo, in una continua festa, attraversando le valli e i pascoli prima di salpare per un viaggio attraverso l’oceano e portare un po’ di quell’entusiasmo e l’energia tipiche della musica originaria di quelle lande.
Nato nel 2013 e con un ep autoprodotto alle spalle uscito tre anni fa, il gruppo licenzia il suo primo full length, questo irresistibile Ashes and Wishes, raccolta di brani folk/rock che seguono la scia dei nomi storici del genere, con accenni al punk diretto e senza fronzoli in un delirio festaiolo che coinvolge fin dalla prima nota dell’opener Rumpled Time.
Oltre ai The Pogues, le ispirazioni sono quelle classiche dei gruppi del genere con in testa Dropkick Murphys e Flogging Molly, d’altronde una delle virtù principali di questo tipo di musica non è certo l’originalità, ma la capacità di coivolgere e trascinare l’ascoltatore in canti e balli.
Ashes And Wishes è un vero spasso, i brani si alternano uno dopo l’altro con il compito di divertire, ed è così che tra una Jig Of Death, The Ugly Side o Ramblin’ On si arriva a far mattina, storditi dalla birra e sfiniti ma felici per l’energia sprigionata nel saltare avanti e indietro senza soluzione di continuità.
I The Rumpled porteranno l’album in giro per nei principali Festival Celtici di tutta Italia durante l’estate, quindi il consiglio è di non perdervi almeno un’ora e mezza di serenità.

Tracklist
1.Rumpled Time
2.Just Say No!
3.Jig Of Death
4.I Wanna Know
5.The Ugly Side
6.Don’t Follow Me
7.County Clare
8.Bang!
9.Dead Man Runnin’
10.Ramblin’ On
11.Letter To You

Line-up
Marco Andrea Micheli – voce
Davide Butturini – chitarra acustica, chitarra elettrica, cori
Luca Tasin – basso, cori
Patrizia Vaccari – violino
Michele Mazzurana – batteria, cori
Tommaso Zamboni – fisarmonica

THE RUMPLED – Facebook

2018 Folk/Rock 7.50

The Julius Peppermint Band – Tides EP

Prendete sotto braccio il surf e cercatevi delle onde da cavalcare perché Tides EP profuma di spiagge assolate, più o meno in uno spazio temporale tra il 1968 e il 1972.

La vita artistica di un musicista non è solo ripetere all’infinito la solita formula, infatti per alcuni diventa vitale cambiare, rigenerarsi e ripresentarsi a chi ascolta sotto altre bandiere musicali.

Ed é così che passare dal metal estremo al rock diventa più facile di quello che si possa pensare: la conferma arriva proprio da questo mini cd di debutto dei The Julius Peppermint Band.
Il gruppo nasce da un’idea di Bertuzz, alias Julius Peppermint, musicista nostrano incontrato più volte nel corso di questi ultimi anni, come chitarrista e cantante nei seminali e quanto mai estremi Anthem Of Sickness e chitarrista degli Underwell, band metalcore di casa Wormholedeath.
Bertuzz torna quindi con un nuovo progetto e con nuova musica, questa volta facendoci fare un viaggio a ritroso nel rock con la sua The Julius Peppermint Band, accompagnato da Tiaz (batteria), Mali (basso) e Clod (chitarra).
Tides EP è composto da cinque brani, registrati e mixati da Bertuzz, con Wahoomi Corvi (guru di casa Wormholedeath) ad occuparsi della masterizzazione nei Realsound Studio.
Prendete sotto braccio il surf e cercatevi delle onde da cavalcare, perché Tides EP profuma di spiagge assolate, più o meno in uno spazio temporale tra il 1968 e il 1972, e la title track è un trip che arriva fulmineo, con quel riff che sa tanto di rock psichedelico e che continua a girare in testa anche quando White Cadillac ci porta a spasso in compagnia di Marc Bolan.
The Mad Cat e With You It’s Alright sono due brani irresistibili che fondono punk rock alla Ramones al garage suonato dai leggendari Miracle Workers, mentre lo strumentale che conclude l’ep (Jellyfish Suite) torna a farci viaggiare sulle ali di un trip dai colori vintage.
Un buon inizio, quindi, per questa nuova avventura del musicista nostrano, lontana dalla musica alla quale ci ha abituato in questi anni, ma altrettanto affascinante.

Tracklist
1.Tides
2.White Cadillac
3.The Mad cat
4.With You It’s Alright
5.Jellifish Suite

Line-up
“JP” Bertuz – Vocals, guitars
Tiaz – Drums
Mali – Bass
Clod – Guitars, backing vocals

THE JULIUS PEPPERMINT BAND – Facebook

Claudio Signorile – Groove Experience

Come ci hanno abituato ormai da tempo i musicisti che si cimentano in lavori strumentali, anche Claudio Signorile riesce ad impressionare senza necessariamente smarrire la strada maestra che conduce ad una scrittura rivolta non solo agli iniziati, bensì a chiunque ami la buona musica.

La musica contemporanea ha dato, da parecchi anni, sempre maggiore importanza agli strumenti ritmici, con il basso ad ergersi a protagonista principale, in più di un caso anche più della stessa chitarra: nell’economia dei vari generi con il suo suono caldo ha abbracciato migliaia di ascoltatori, ed anche nel metal e nel rock ha sempre trovato maestri indiscussi.

Groove Experience è il secondo ep del musicista pugliese Claudio Signorile, che i cultori del basso e dei lavori strumentali ricorderanno con A song 4 each day…, primo album uscito nel 2011 che lo vedeva impegnato quasi completamente con la programmazione degli altri strumenti, registrazione e mix.
Questa volta il bassista barese è accompagnato da una serie di ottimi musicisti che valorizzano i brani presenti in Groove Experience, dove il basso viene presentato sia come accompagnamento sia come strumento principale, offrendo una panoramica soddisfacente sul mondo delle quattro corde.
Ovviamente, in un album interamente strumentale, i pericoli dietro l’angolo sono l’ autocompiacimento e la tecnica fine a se stessa, a discapito di una fruibilità che per chi ascolta diventa vitale se non si è musicisti e non si ha confidenza con le tecniche di esecuzione.
Invece, per fortuna, Groove Experience lascia trasparire la voglia da parte di Signorile di rendere partecipi tutti quelli che si soffermeranno su queste sette gemme strumentali, nelle quali le capacità tecniche sono esclusivamente funzionali allo scorrere del fiume di musica che passa da rimandi jazz, al funky, dal rock, al metal, con il basso a dettare i tempi e, di conseguenza, le emozioni scaturite da bellissime cascate strumentali come Bass Suite, Groove Experiment e la magnifica Mosaic.
Come ci hanno abituato ormai da tempo i musicisti che si cimentano in lavori strumentali, anche Claudio Signorile riesce ad impressionare senza necessariamente smarrire la strada maestra che conduce ad una scrittura rivolta non solo agli iniziati, bensì a chiunque ami la buona musica.

Tracklist
01. Horizon
02. Bass Suite
03. Unforgettable
04. Groove Experiment
05. When love ends
06. Mosaic
07. In my memory

Line-up
Claudio Signorile – bass
Pierluigi Balducci,Vincenzo Maurogiovanni – Lead bass
Michele Campobasso – piano
Francesco Adessi and Danny Trent – acoustic guitar
Aurelio Follieri – electric guitar
Rha Stranges Francesco “Frums” Dettole – drums
Marcello Leanza – sax
Aurelio Follieri – electric guitar
Danny Trent – acoustic guitar

CLAUDIO SIGNORILE – Facebook

Fish Taco – Il Suono Dei Campi

I Fish Taco traggono ispirazione dal grunge e dal rock alternativo anni novanta, eruttando in una maniera del tutto inaspettata, anche grazie a testi che si possono definire sconvolgenti per sincerità e potenza.

Ci sono momenti nei quali, pur ascoltando molta musica la maggior parte della quale senza molto gusto, ci si trova a pensare a quale disco, a quale commistione di suoni farebbe piacere dedicare uno o più ascolti.

Missione non semplice, perché raramente arriva il colpo di fulmine, oppure l’innamoramento dopo un lungo corteggiamento. E invece, quando meno te lo aspetti arriva nelle tue orecchie un disco gigantesco, un insieme di opera parole e musiche che ti danno una scossa. I fautori di tutto ciò sono i Fish Taco da Ardea, e il disco si chiama Il Suono dei Campi. Il disco suona benissimo, con la prepotenza ed i sentimenti del rock, una fortissima ossatura grunge e molti sconfinamenti nello stoner. La produzione fa risaltare un rock distorto che nasce da un impasto sonoro molto bene congegnato, che è davvero personale. I Fish Taco traggono ispirazione dal grunge e dal rock alternativo anni novanta, eruttando fuori in una maniera del tutto inaspettata, anche grazie a testi che si possono definire sconvolgenti per sincerità e potenza. Ci sono dei passaggi sull’immigrazione, che viene vista da noi solo come tale, ovvero come entrata nel nostro paese, e mai come uscita degli individui dal loro habitat e dai loro affetti. I testi ci portano a ragionare, sono amari e spronano a vivere come pochi altri gruppi. In Italia è difficile avere un gruppo come i Fish Taco, sia per la loro bravura musicale, sia per la loro brutale sincerità, perché chi racconta la verità in maniera cruda dura poco in Italia, la patria del meglio non vedere o sentire. Qui entra in gioco l’ascoltatore, che ascoltando e valorizzando questo disco ha innanzitutto la possibilità di godere di un disco notevolissimo, ed inoltre può effettuare una precisa scelta di campo, schierandosi dalla parte di chi si guarda dentro e fuori anche se ciò fa male.
Un album che in un’altra galassia sarebbe un disco epocale, o anche in un mondo normale.
Attenzione, questo disco vi guarda dentro, e non vi lascia come eravate prima d’averlo sentito.

Tracklist
1.Lampedusa
2.Ardea
3.Zero gradi
4.Confine
5.Magnete
6.L’aratro
7.Lorenzo
8.Polyphemus
9.La prospettiva di chi perde
10.1992

Line-up
Salvatore Tortora
Matteo Gherardi
Daniele Picchi
Umberto Andreacchio
John Mezza

FISH TACO – Facebook

Black Space Riders – Amoretum Vol.1

Tornano i rockers psichedelici Black Space Riders con il quinto album della loro carriera, la prima parte di un concept che vede la seconda già pronta ed in uscita entro l’anno.

Tornano i rockers psichedelici Black Space Riders con il quinto album della loro carriera, prima parte di un concept che vede la seconda già pronta ed in uscita entro l’anno.

Amorentum Vol.1 tratta il tema dell’amore come cura per l’odio che imperversa nel mondo, ed esso è descritto tramite una musica rock che amalgama psichedelia vintage, rock moderno e trame heavy sotto la bandiera della New Wave of Heavy Psychedelic Spacerock, termine forgiato dal gruppo tedesco.
In definitiva questa prima parte ed i suoi capitoli continuano la tradizione musicale del gruppo che abbandona le digressioni elettroniche sperimentate sull’ultimo lavoro (l’Ep Beyond Refugeeum che seguiva di un anno il full lenght Refugeeum uscito nel 2015), per un approccio più vintage e rock.
Atmosferico e dalle forti sfumature space rock, l’album ha momenti molto intensi come in Movements, capolavoro e cuore dell’album, alternati a brani più lineari e meno forti sia come interpretazione che come sviluppo (Another Sort Of Homecoming, Friends Are Falling) piccole cadute che non inficiano il giudizio positivo sull’intero album.
Meno heavy di quello che ci si possa aspettare e molto più incentrato su chiaroscuri tra il post rock sviluppatosi negli ultimi anni ed i suoni old school, Amoretum Vol.1 si può considerare un lavoro riuscito in parte e che ci presenta un gruppo dedito a trasformare i suoni psych rock di Beatles, Pink Floyd e David Bowie, in un sound al passo coi tempi, attraversato da spunti moderni che traspongono il tutto in un epoca in cui la battaglia tra odio ed estremismi assortiti da una parte ed amore e accoglienza dall’altra,  fanno parte del vivere quotidiano di ognuno di noi.

Tracklist
1. Lovely lovelie
2. Another sort of homecoming
3. Soul shelter (Inside of me)
4. Movements
5. Come and follow
6. Friends are falling
7. Fire! Fire! (death of a giant)
8. Fellow peacemakers

Line-up
JE – Vocals, Guitars
SLI – Guitars
SAQ – Bass
CRIP – Drums
SEB – Vocals

BLACK SPACE RIDERS – Facebook

Burning Leaf – And The Fire Burns Inside

Nuova band per il batterista Steve Foglia, al debutto con i quattro brani racchiusi in questo primo ep dal titolo And The Fire Burns Inside.

Steve Foglia torna dopo Steve In Wonderland, il bellissimo secondo lavoro solista che l’ex batterista dei Jennifer Scream licenziò nel 2014: il musicista sannremese si ripresenta oggi con una nuova band, i Burning Leaf, e quattro brani racchiusi nell’ep d’esordio And The Fire Burns Inside.

Il quartetto è composto (oltre che da Steve Foglia alla batteria), da Federico Motta alla chitarra, Eric Locci al basso e Francesca Foglia al microfono.
Le quattro canzoni alternano hard rock, frustate street e sfumature dark anni ottanta, per una miscela esplosiva di generi ed influenze racchiuse in un sound che, a ben sentire, non manca di quel tocco di originalità necessario per non farlo passare inosservato.
Ovviamente è presto per dire dove potranno arrivare i Burning Leaf, sicuramente si può affermare che la loro musica nasce dall’interazione di musicisti dal passato differente, unito in un rock duro che non disdegna passaggi intimisti e strutture alternative, così da valorizzare brani come l’opener Wonderer (la più glam rock del lotto), l’alternativa So Slowly, l’hard rock che tanto sa di Who di You See I’m Free e la semi ballad Your Drum Still Shine, pezzo conclusivo nel quale spicca la prestazione della cantante.
Diamo il bentornato a Steve Foglia, augurandogli una buon proseguimento con la sua nuova band, e godiamoci And The Fire Burns Inside attendendo ulteriori buone nuove dai Burning Leaf.

Tracklist
1.Wonderer
2.So Slowly
3.You See, I’m Free
4.Your Drum Still Shine

Line-up

Steve Foglia – Drums
Francesca Foglia – Voclas
Federico Motta – Guitars
Eric Locci – Bass

BURNING LEAF – Facebook

https://youtu.be/voaisX5Z-p4

A Devil’s Din – One Hallucination Under God

Il terzo album dei rockers canadesi A Devil’s Din è un’ opera che si destreggia tra il rock psichedelico a cavallo tra gli anni sessanta ed il decennio successivo.

Quest’anno verrà ricordato dagli amanti del rock (oltre che per una serie di reunion più o meno riuscite) per il giusto tributo ad un album che è stato uno dei più influenti della storia della musica, SGT Pepper’s Lonely Hearts Club Band, capolavoro dei The Beatles.

Partiamo da qui per raccontarvi in due parole One Hallucination Under God, terzo lavoro sulla lunga distanza del trio canadese denominato A Devil’s Din, opera che si destreggia tra il rock psichedelico a cavallo tra gli anni sessanta ed il decennio successivo.
Il trio canadese formato da David Lines (voce, chitarra e tastiere), Tom G. Stout (basso e chitarra) e Dominique Salameh (batteria) dà un seguito al primo album uscito nel 2011 (One Day All This Will Be Yours) e a Skylight, uscito lo scorso anno, con questo buon lavoro di rock vintage che qualche tempo fa avremmo probabilmente definito nostalgico, ma che in tempi di rivalutazione delle radici della nostra musica preferita fa bella mostra di sé seguendo i deliri consumati tra erba e LSD dei quattro geni inglesi.
Ovviamente sono passati cinque decenni di rock e gli A Devil’s Din la storia la conoscono a menadito, così che il confine del loro spartito si allarga per abbracciare altre icone e la loro musica si espande, viaggiando su una nuvola di space rock progressivo.
Quaranta minuti in contemplazione, nel giardino dalle siepi formate da piante illegali, abbandonati a sogni dove si incontrano Marc Bolan, Pink Floyd (era Syd Barret) e Hawkwind, il tutto rimaneggiato a creare un cocktail letale di musica psichedelica, rock che trascende per arrivare alla mente dell’ascoltatore in mille e più forme.
Un buon lavoro di musica vintage, consigliato a vecchi rockers dai sogni flower power, o semplicemente agli amanti del rock classico. 2017 s Psychedelic Rock 7.20

Tracklist
1. Eternal Now
2. Brave New World
3. Nearly Normal
4. Home
5. Who You Are
6. Where Do We Go
7. One Hallucination Under God
8. Sea of Time
9. Evolution

Line-up
Dave Lines – Guitar/Keyboards/Vocals
Tom G. Stout – Bass/Guitar/Vocals
Dom Salameh – Drums/Perc/Vocals

A DEVIL’S DIN – Facebook

Descrizione Breve

Autore
Alberto Centenari

Voto
72

The Adicts – And It Was So !

Non si può resistere a questa melodia, a questa bellezza che permea da sempre le note suonate dai questo gruppo inglese: arrendersi ai The Adicts è sempre dolce, quando senti quei giri di chitarra, quei cori da urlare sotto al palco o in una serata balorda al pub.

Quando un gruppo punk rock torna dopo cinque anni dall’ultimo disco, è in giro dal 1975 e ha pubblicato il primo bellissimo disco nel 1981, hai il fondato timore che ascoltando il nuovo disco nulla sia come prima, o che la band in questione stenti.

Invece, quando comincia la musica, entra la voce di Monkey, tornano quelle antiche e belle sensazioni che hai sempre avuto quando ascoltavi i The Adicts, uno dei maggiori gruppi punk di sempre, ma soprattutto l’unico ad avere quel particolare impasto sonoro tra voce e strumenti, quella melodia unica. La magia è tornata, i The Adicts sono nuovamente fra noi in forma smagliante, e ciò lo si ascolta chiaramente nelle tracce di questo disco, sempre particolare come sono tutti quelli di questo gruppo di Ipswich che molti considerano questo troppo sconosciuto rispetto al suo valore e alla bellezza degli album, ma bisogna anche dire che si tratta di un qualcosa di non facile comprensione per il fan medio del punk rock inglese. Questi ragazzi del Suffolk hanno sempre fatto di testa loro, introducendo anche strumenti estranei fino a quel momento all’estetica punk, come i bonghi, le fisarmoniche ed altro, e poi hanno sempre portato avanti un discorso musicale che pone al di sopra di tutto la melodia e un certo surrealismo sia visivo che musicale. I drughi hanno colpito ancora una volta il bersaglio grosso, pubblicando un disco molto bello e vario, con una grande libertà e gioia di composizione. I The Adicts si sono divertiti a scrivere e a registrare And It Was So !  e tutto ciò viene fuori durante l’ascolto, che è molto piacevole. Molto forte la loro carica surreale fin dalla prima traccia Picture The Scene, dove dicono spesso che nulla è reale, e questo è un loro credo convinto. Con questo gruppo non vi è mai nulla di definito o di incontrovertibile, ci si diverte e il punk rock viene usato per raccontare storie, anche politiche, ma senza la pesantezza e la mancanza di ironia di certe band. Inoltre il disco consente molti soddisfacenti ascolti, perché ha parecchi elementi di diversità tra una traccia e l’altra. Non si può resistere a questa melodia, a questa bellezza che permea da sempre le note suonate dai questo gruppo inglese. Arrendersi ai The Adicts è sempre dolce, quando senti quei giri di chitarra, quei cori da urlare sotto al palco o in una serata balorda al pub. Sempre immensamente drughi.

Tracklist
1. PICTURE THE SCENE
2. FUCKED UP WORLD
3. TALKING SHIT
4. IF YOU WANT IT
5. GOSPEL ACCORDING TO ME
6. GIMME SOMETHING TO DO
7. LOVE SICK BABY
8. AND IT WAS SO
9. DEJA VU
10. I OWE YOU
11. WANNA BE
12. YOU’LL BE THE DEATH OF ME

Line-up
Monkey – Vocals & Chop Sticks
Pete Dee – Lead Guitar
Kid Dee – Drums
Little Dave – Bass

THE ADICTS – Facebook

Superhorror – Hit Mania Death

Hit Mania Death sa tanto di States, di quei viali ricoperti in autunno dalle foglie che, nel giorno dei morti vengono spazzate dai piedi che strisciano verso le vostre case mentre il punk rock dei Ramones gira senza fermarsi sul vostro piatto ed il cd dei Murderdolls aspetta il suo turno sullo scaffale.

One, two, three, four… rock’n’roll, anzi rock/punk/metal/hard’n’roll, irriverente, totalmente pazzoide, schizzato come una belle figliola che la notte di Halloween si accorge che il tipo incontrato al party è più morto che vivo, anzi, è proprio un morto vivente, ciondolante ed affamato e cerca disperatamente di accanirsi sulla sua carne con mire bel lontane da quelle sessuali.

Con i Superhorror, con un Fuck in meno nel monicker ma ancora più voglia di divertirsi e far divertire, siamo in pieno regime glam/metal/punk rock e Hit Mania Death è il loro potentissimo calcio nel deretano al mondo, una serie di straordinarie e stravolte tracce che vi faranno tornare, soprattutto concettualmente, agli anni ottanta, quando gli zombie facevano ancora paura nelle loro grottesche camminate verso il cibo che aveva sempre due gambe per scappare dal banchetto e due braccia da lasciare tra le fauci della vostra nonnina trasformata in una famelica razziatrice di budella altrui.
Hit Mania Death sa tanto di States, di quei viali ricoperti in autunno dalle foglie che, nel giorno dei morti vengono spazzate dai piedi che strisciano verso le vostre case mentre il punk rock dei Ramones gira senza fermarsi sul vostro piatto ed il cd dei Murderdolls aspetta il suo turno sullo scaffale.
Sarebbe inutile nominare un brano piuttosto che un altro, quindi se volete risvegliare il non-morto che è in voi fatevi travolgere dalla carica che sprigionano i Superhorror, e in overdose da Hit Mania Death comincerete a non resistere, quando vostra sorella o fidanzata vi gireranno intorno ed il vostro appetito aumenterà di conseguenza con il letale virus che si svilupperà all ascolto delle varie ed irresistibile Ready, Steady…Die!, Nazi Nuns From Outer Space, Ed Wood Blues, Rock Is Dead (Like Us) e Nekro-Nekro Gim.

Tracklist
01. Ready, Steady… Die!
02. Nazi Nuns From Outer Space
03. Mr. Rrigor Mortis
04. Ed Wood Blues
05. No Love For The Deceased
06. Dead To Be Alive
07. Rock Is Dead (Like Us)
08. Nice To Meat You
09. Little Scream Queen
10. Mourir, C’Est Chic
11. Selfish Son Of A Witch
12. Nekro-Nekro Gym

Line-up
Edward J. Freak: Vocals
Didi Bukz: Guitar, Kazoo, Backing Vocals
Mr.4: Bass, Backing Vocals
Franky Voltage: Drums, Backing Vocal

SUPERHORROR – Facebook

Deaf Havana – All These Countless Nights

L’album alterna canzoni più incisive ad altre che risultano pennellate rock, un contorno di musica che riesce ad emozionare coinvolgendo l’ascoltatore in questo risorgere dalle proprie dalle ceneri di una band ripartita per donarsi una nuova chance.

Si torna a parlare di rock dalle ispirazioni mainstream con il nuovo album dei Deaf Havana, gruppo inglese arrivato al quarto lavoro sulla lunga distanza di una carriera iniziata nel 2009.

Storia colma di mille problemi quella del quintetto di Norfolk, con un passato da gruppo alternativo e dal sound che passava da post hardcore all’emo, per poi arrivare dopo alcuni cambi di line up ed un periodo buio lastricato di ostacoli di ogni genere, all’uscita di All These Countless Nights, nuovo inizio all’insegna di un rock moderno e pregno di una disperata ricerca della giusta forza per ricominciare.
Album perfetto sotto l’aspetto melodico, molto melanconico ed intenso, anche se siamo nel mondo del rock alternativo tra indie e pop, All These Countless Nights vive di queste atmosfere, ma riesce a non stancare, grazie ad un lotto di brani che gravitano tra le sensazioni descritte, ora più elettriche ora più apertamente leggere, sottolineate dall’ottima interpretazione di James Veck-Gilodi.
L’album così alterna canzoni più incisive ad altre che risultano pennellate rock, un contorno di musica che riesce ad emozionare coinvolgendo l’ascoltatore in questo risorgere dalle proprie dalle ceneri di una band ripartita per donarsi una nuova chance.
L.O.V.E., il contrasto tra le intense ballate come Seattle ed il rock dalle sei corde che lanciano note dalle ispirazioni dal sapore noise di Sing, sono il motivo conduttore di un lavoro che si assesta su livelli buoni per tutta la sua durata.
Non resta che fare gli auguri alla band per un cammino più sereno nel mondo del rock e consigliare l’ascolto di All These Countless Nights a chi si nutre di queste sonorità.

Tracklist
01.Ashes, Ashes
02.Trigger
03.L.O.V.E
04.Happiness
05.Fever
06.Like a Ghost
07.Pretty Low
08.England
09.Seattle
10.St. Paul’s
11.Sing
12.Pensacola

Line-up
James Veck-Gilodi – Vocals, Guitars
Matthew Veck-Gilodi – Guitars
Lee Wilson – Bass
Tom Ogden – Drums, Percussions
Max Britton – Piano, Keyboards

DEAF HAVANA – Facebook

The Dark Red Seed – Stands With Death

Tosten Larson ci offre un sound tipicamente americano, con un incedere cantautorale e venato di blues che nasconde una vena inquieta e malinconica.

The Dark Red Seed è il nuovo progetto solista promosso dal chitarrista di Portland Tosten Larson, appartenente alla band che accompagna dal vivo l’estroso King Dude: come sempre la Prophecy porta alla luce realtà che si muovono lungo i confini del rock e del metal, fornendo interpretazioni per lo più di grande interesse e che hanno anche il pregio di consentire ai più curiosi di ampliare la propria gamma di ascolti.

Il breve ep intitolato Stands With Death, come si può intuire dal titolo, verte sul rapporto dell’uomo con la morte; un argomento, questo, che in molti hanno già sviscerato ma che offre sempre sfaccettature mai banali a seconda delle angolazioni dal quale lo si guarda: Larson offre una sua visione che vorrebbe essere di serena accettazione ma che non nasconde, però, quel velo d’inquietudine corrispondente all’isolata nuvoletta che improvvisamente oscura il sole in una giornata apparentemente serena.
Il musicista statunitense veicola tutte queste sensazioni attraverso un sound tipicamente americano, con l’incedere cantautorale e venato di blues soprattutto nel primo brano The Antagonist, mentre già in The Tragedy of Ålesund una prima parte più rarefatta viene percossa da un improvvisa sfuriata elettrica; molto più robusta senz’altro la conclusiva The Master and the Slave, che dopo un inizio non esaltante si immerge nella sua seconda metà in un’apprezzabile atmosfera psichedelica.
Personalmente prediligo il bravo Larson quando assume le sembianze di un moderno Johnny Cash, come fa ottimamente nella prima parte di questo breve lavoro: vedremo cosa sarà in grado di offrirci quando nella prossima estate dovrebbe essere realizzato un primo full length a nome The Dark Red Seed, alla luce delle buone basi gettate con Stands With Death.

Tracklist:
1.The Antagonist
2.The Tragedy of Ålesund
3.The Master and the Slave

Line up:
Tosten Larson

THE DARK RED SEED – Facebook