Travelin Jack – Commencing Countdown

I Travelin Jack hanno saputo rielaborare le influenze dei maestri del genere, inventandosi la propria personale rivisitazione del classic rock.

Ora che l’hard rock dai rimandi settantiani è tornato definitivamente ad incendiare le notti dei rockers tra impatto rock’n’roll e splendide note blues, il dibattito si fa sempre più acceso tra i consumatori di musica, con una parte a difendere l’operato dei molti gruppi apparsi sul mercato (tanti davvero interessanti) e l’altra a criticare l’effetto nostalgia che il successo del genere comporta, dimenticando che, in fondo, è solo rock’n’roll.

Quindi lasciate a casa la voglia di criticare a priori e buttatevi a capofitto sul secondo album di questa band tedesca, dal monicker che ricorda passati eroi dell’hard rock blues (Travelin Jack mi ha subito portato alla mente Grand Funk Railroad e Creedence Clearwater Revival), con una cantante nata per essere una blues girl ed un lotto di brani a formare un altro bellissimo album di hard rock vintage, psichedelico e bluesy.
Attiva più o meno da una manciata di anni e con un primo album alle spalle licenziato nel 2015 dal titolo New World, la band dopo la firma per Steamhammer/SPV si presenta con il nuovissimo Commencing Countdown, provando così a scalzare dal trono di spade del rock di questo inizio millennio i vari Pristine, Blues Pills, The Answer e compagnia nostalgica.
Look glam alla T.Rex, una sirena blues al microfono (Alia Spaceface) e una serie di brani affascinanti che, amalgamando in un unico sound hard rock britannico, rock blues e psichedelia, si insinuano come serpenti usciti da un trip nella nostra mente e nel nostro corpo, scuotendolo dalle fondamenta, mentre le chitarre decollano, toccando pianeti dove in passato un essere di nome Ziggy partì verso la conquista della Terra.
Questa caratteristica è la differenza sostanziale tra i Travelin Jack ed i loro colleghi, la forte componente glam che si affaccia tra le trame hard blues di brani straordinari per intensità ed emozionalità, crescendo dall’opener per arrivare alla perfezione quando l’album entra nel vivo e ci regala musica rock d’alta scuola con Cold Blood, lo space rock pregno di blues di Galactic Blue, la sentita Time, il rock’n’roll di Miracles che ricorda opere rock come Tommy, il blues dannato e perdente di What Have I Done e Fire, brano marchiato da un’ interpretazione notevole della Spaceface.
I Travelin Jack hanno saputo rielaborare le influenze dei maestri del genere, inventandosi la propria personale rivisitazione del classic rock: questo è l’unico dato certo, mentre il sottoscritto prima o poi tornerà sulla Terra, forse.

Tracklist
1. Land Of The River
2. Metropolis
3. Keep On Running
4. Cold Blood
5. Galactic Blue
6. Time
7. Miracles
8. What Have I Done
9. Fire
10. Journey To The Moon

Line-up
Alia Spaceface – vocals, guitar
Flo The Fly – guitar
Steve Burner – bass
Montgomery Shell – drums

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T-Roosters – Another Blues To Shout

Another Blues To Shout è composto da tredici splendide canzoni, tredici composizioni dove le note del delta prendono vita, tra il blues classico e lo swing.

Ai lettori della nostra webzine non facciamo mancare niente, partendo dal presupposto che, oltre allo zoccolo duro di metallari dai gusti estremi o classici, ci sia pure (come è nel nostro spirito) chi ama la buona musica a prescindere dagli stili che formano la grande famiglia del rock.

E non può mancare il blues, capostipite di tutto quello che si ascolta ai nostri giorni, specialmente ora che, come negli anni settanta, il rock ha ripreso la strada della frontiera che porta al delta del grande fiume, là dove tutto è nata tra il profumo del tabacco ed il tintinnio delle catene.
Quello che non sapete è che i protagonisti di questo viaggio/sogno tra le rive del Mississippi sono i T-Roosters, band di bluesmen italiani giunti al loro al quarto album in circa un decennio di attività.
Another Blues To Shout è composto da tredici splendide canzoni, tredici composizioni dove le note del delta prendono vita, tra il blues classico e lo swing: poco rock dunque, ma un affascinate percorso musicale nel blues delle origini, dove l’armonica diventa a tratti l’assoluta protagonista di sanguigne e ribelli boogie woogie songs e il ritmo instancabile ricorda le lunghe serate fuori dalle povere case degli schiavi, che esorcizzavano la fatica di lunghe giornate nei campi con interminabili e straordinarie jam.
Scritto a due mani da Paolo Cagnoni e Tiziano Galli (testi, musiche e produzione), Another Blues To Shout conferma l’ottima reputazione del gruppo nella scena del genere, non solo nel nostro paese visto l’exploit dello scorso anno quando i T-Rooster hanno strappato una posizione di tutto rispetto al Blues Contest “IBC”, concorso di blues internazionale tenutosi a Memphis.
L’opener Lost And Gone, i brividi suscitati dall’atmosfera accaldata e rustica della splendida Morning’ Rain Blues, lo swing protagonista di Naked Born Blues e il rock’n’roll dei pionieri nella straordinaria Livin’ On Titanic, sono solo una parte del tesoro musicale che scoprirete ascoltando Another Blues To Shout, un album passionale come solo questo genere sa essere.

Tracklist
1 Lost And Gone
2 Morning Rain Blues
3 I Wanna Achieve The Aim
4 On This Life Train
5 Naked Born Blues
6 Sugar Lines
7 Beale Street Bound
8 Livin’On Titanic
9 Black Star Blues
10 Still Walkin’ Down South
11 Missing Bones
12 The Way I Wanna Live
13 I’m Rolling’ Down Again

Line-up
Tiziano “Rooster Tiz” Galli – Voce e Chitarre
Giancarlo “Silver Head” Cova – Batteria e Background Vocal
Luigi “Lillo” Rogati – Basso, Contrabbasso e Background Vocal
Marcus “Bold Sound” Tondo – Armoniche e Background Vocal

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RANCHO BIZZARRO

Il video del primo singolo “Garage Part Two”, tratto dal nuovo album omonimo fuori durante l’Autunno 2017 su ARGONAUTA Records.

Gli Stoner Desert Rockers italiani RANCHO BIZZARRO pubblicano il video del primo singolo “Garage Part Two”, tratto dal nuovo album omonimo fuori durante l’Autunno 2017 su ARGONAUTA Records.

I RANCHO BIZZARRO sono il nuovo progetto di Izio Orsini, che dopo il debutto “Weedooism” a nome Bantoriak (il nuovo album uscirà nel 2018), ha deciso di dare vita a una nuova band, un quartetto strumentale formato da due chitarre (Matteo Micheli e Marco Gambicorti), basso (Izio Orsini) e batteria (Federico Melosi), con chiare influenze Stoner Desert Rock.

L’idea originale nasce da jam in sala prove, poi arrangiate in studio con un suono anni ’70 e tra le influenze possiamo annoverare Brant Bjork, MC5, Black Sabbath.

INFO:
https://www.facebook.com/desertyeah
https://www.facebook.com/ArgonautaRecords

The Black Capes – All These Monsters

All These Monsters è un album che scorre via abbastanza liscio, decisamente orecchiabile e ben costruito, ma l’utilizzo stesso di quest’ultimo termine è emblematico di quanto il tutto appaia molto più pianificato che spontaneo.

Chi apprezza sonorità gothic/rock credo che stia attendendo da un pezzo qualcuno in grado di rievocare i fasti del passato: in epoca relativamente recente ci sono riusciti i The 69 Eyes, salvo perdere progressivamente in efficacia dopo i primi 2-3 notevoli lavori.

Ci provano oggi i greci The Black Capes, i quali alla band finlandese si rifanno in maniera abbastanza evidente aggiungendovi un approccio leggermente più robusto e provando talvolta ad attingere, a seconda delle sfumature scelte, da miti del passato come Type 0 Negative, The Cult e, aggiungerei, anche Sentenced.
L’operazione non fallisce ma neppure riesce al 100%, nel senso che All These Monsters è un album che scorre via abbastanza liscio, decisamente orecchiabile e ben costruito, ma l’utilizzo stesso di quest’ultimo termine è emblematico di quanto il tutto appaia molto più pianificato che spontaneo.
Qualche potenziale hit si palesa tra la decina di brani offerti dal gruppo ateniese (Purple Heart, We Will Never Die) facendo battere il piede con convinzione, ma personalmente prediligo la vena doom di Wolf Child o quella più hard rock della title track.
All These Monsters è suonato e prodotto con tutti i crismi e ben interpretato da un vocalist sufficientemente versatile come Alexander S Wamp, bravo nell’alternare un timbro più ruvido al quello più canonico in quota Jirky/Steele, ma sussistono forti dubbi sulla capacità dell’album di restare nel lettore per più di un paio di ascolti; inoltre, fermo restando che sul genere gli spazi di manovra per differenziarsi dai propri modelli non sono moltissimi, i The Black Capes, almeno per ora, paiono saltabeccare tra una e l’altra fonte di ispirazione mettendoci poco o nulla di proprio, e forse è proprio questo lo snodo sul quale dovranno lavorare maggiormennte in futuro.

Tracklist:
1.The Invite
2.Sarah The Witch
3.Wolf Child
4.Purple Heart
5.Now Rise
6.The Black Capes
7.New Life
8.We Will Never Die
9.All These Monsters
10.The Withdrawal

Line-up:
Alexander S Wamp – Vocals
Thanos Jan – Guitar
Irene Ketikidi – Guitar
Chris Rusty – Bass
Christos Grekas – Drums

Dimitri Stathakopoulos – Keys

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