The Price – A Second Chance To Rise

Il disco contiene ottima musica, il suo ascolto rasserena e carica, c’è maturità, ed una certa consapevolezza che nasce dalla sicurezza nei propri mezzi, e un’immensa passione che sfocia nella voglia di fare qualcosa che alberghi bene nelle nostre orecchie.

Marco Barusso da Calice Ligure, è una personalità musicale dalle molte sfaccettature: produttore, arrangiatore, chitarrista e ingegnere del suono, ha collaborato con nomi quali 883, HIM, Coldplay, Gli Atroci, Heavy Metal Kids e Cayne, solo per fare qualche nome.

The Price è il nome del suo nuovo progetto solista, all’esordio con A Second Chance To Rise. La copertina promette già bene, testimonianza di un contratto con qualcuno che puzza di zolfo e che ha pure lui collaborato con diversi musicisti e gruppi. Uno dei messaggi che vuole trasmettere Barusso è che non bisognerebbe prendere scorciatoie, ma essere sempre fedeli a se stessi, lavorando duro. E il duro lavoro, la grande passione e un talento tecnico fuori dal comune sono alcune fra le doti di Marco Barusso che confeziona un gran bel disco, con tante cose dentro, tanti ospiti di spicco ed un tiro micidiale. Come coordinate musicali si potrebbe dire che siamo dalle parti dell’hard rock proposto con estrema eleganza ma c’è molto di più. Punto di partenza è una produzione davvero puntuale e precisa, poi Barusso ci mette dentro tantissimo del suo: i riff della sua chitarra sono sempre caldi e scorrevoli, non eccede mai in inutili virtuosismi, ma si mette al servizio del contesto musicale. Troviamo anche tanto metal qui dentro, soprattutto nel senso di un epic heavy che si fonde molto bene con l’hard rock suonato in maniera eccellente. Un capitolo a parte lo meritano gli ospiti, la crema della scena rock e non solo italiana degli ultimi trent’anni: qui c’è un Enrico Ruggeri in gran forma che canta in inglese, e poi ci sono anche Luca Solbiati (Zeropositivo), Roberto Tiranti (Labyrinth, Wonderworld), Max Zanotti (Casablanca), Alessandro Ranzani (Movida), Axel Capurro (Anewrage), Alessio Corrado (Jellygoat), Enrico “Erk” Scutti (Figure of Six), Alessandro Del Vecchio (Hardline), Marco Sivo (Instant Karma), Fabio “Phobos Storm” Ficarella (The Strigas) e Tiziano Spigno (Extrema). Ospiti importanti, ma soprattutto musicisti che come Barusso preferiscono l’olio di gomito e la sala prove ai social o alle esternazioni ad minchiam. Il disco contiene ottima musica, il suo ascolto rasserena e carica, c’è maturità ed una certa consapevolezza che nasce dalla sicurezza nei propri mezzi, e da un’immensa passione che sfocia nella voglia di fare qualcosa che alberghi bene nelle nostre orecchie. Tutti dovrebbero avere una seconda possibilità, ma a Barusso ne basterà una sola per conquistarvi.

Tracklist
1 Tears Roll Down (Feat. Luca Solbiati)
2 A mg of Stone (Feat. Alessandro Ranzani)
3 My Escape (Feat. Axel Capurro)
4 Enemy (Feat. Alessio Corrado)
5 Take Back our Life (Feat. Enrico “Erk” Scutti)
6 Free from Yesterday (Feat. Roberto Tiranti)
7 Lilith (Feat. Tiziano Spigno)
8 Stormy Weather (Feat. Max Zanotti)
9 On the Edge of Madness (Feat. Enrico Ruggeri)
10 E.C.P. (Electric Compulsive Possession)
11 Under My Skin (Feat. Alessandro Del Vecchio & Marco Sivo)
12 Strange World (Feat. Fabio “Phobos Storm” Ficarella)

Line-up
Marco Barusso – Lead Guitar and Voice

THE PRICE – Facebook

One Step Beyond – In The Shadow Of The Beast

In the Shadow of the Beast è composto da nove brani uno diverso dall’altro, ma clamorosamente perfetti nel seguire il discorso compositivo dell’opera, con picchi di musica metal sopra le righe, attraversati da un’insana voglia di abbattere barriere e confini con la forza di un songwriting ispirato.

La Wormholedeath licenzia il quarto album di questa incredibile band australiana chiamata One Step Beyond, una camaleontica creatura musicale che sotto la veste di band death metal sperimentale nasconde una predisposizione nel confondere l’ascoltatore, amalgamando in un unico sound una marea di generi presi dall’immenso oceano della scena metal.

Attivo da più di vent’anni il gruppo, oggi composto da “Mad” Matt Spencer (Basso, Voce e programmazioni) e Justin Wood (voce), dà alla luce un pazzesco lavoro in cui death, grind, melodic death metal, doom, power e thrash si mischiano in un orgiastico sound che strappa applausi ad ogni passaggio, tra anime maligne e progressive in una quarantina di minuti nel corso dei quali stupire e non lasciare punti di riferimento è la parola d’ordine.
In the Shadow of the Beast è composto da nove brani uno diverso dall’altro, ma clamorosamente perfetti nel seguire il discorso compositivo dell’opera, con picchi di musica metal sopra le righe, attraversati da un’insana voglia di abbattere barriere e confini con la forza di un songwriting ispirato.
Si passa dunque dal death metal della title track, al brutal/grind della successiva The Streetcleaner, dal mid tempo power della melodica Enlightenment, dal doom evocativo della superba The Sentinel, al death melodico di Atombender.
Pitch Black Within è un brano thrash/black dall’anima progressiva, mentre la conclusiva Isolde torna su sentieri epico/melodici di stampo death.
Ne sentirete delle belle all’ombra di questa bestia, perché è difficile pure trovare delle similitudini con altre realtà visto che il duo si ispira a molte band senza assomigliare in particolare a qualcuna, risultando una bella sorpresa da non perdere se si è amanti del metal estremo a 360°.

Tracklist
1. In The Shadow of the Beast
2. The Streetcleaner
3. Enlightenment
4. Shadow Warriors
5. The Sentinel
6. Atombender
7. Pitch Black Within
8. Another World
9. Isolde

Line-up
“Mad” Matt Spencer – Bass/Vocals and Drum Programming
Justin Wood – Vocals

ONE STEP BEYOND – Facebook

Heart – Live In Atlantic City

L’ottima forma del gruppo, sommata ad una scaletta straordinaria, rendono questo live un evento imperdibile per tutti gli amanti del hard rock, tributato con il giusto talento dalle sorelle Wilson e dai loro ospiti.

Nell’universo del rock a stelle e strisce un posto tra i grandi è riservato agli Heart, il gruppo capitanato da Ann e Nancy Wilson, per anni le sorelle più famose del rock’n’roll.

Una storia lunga più di quarant’anni, con alti e bassi fisiologici in una carriera che vede la band ancora in sella nel nuovo millennio, portando in dote una discografia che vede il suo picco nei tre album usciti sul finire degli anni settanta (Little Queen, Dog & Butterfly e Bébé le Strange) e nella coppia Heart e Bad Animals, risalenti al decennio successivo.
Tra hard rock, blues, folk e patinate sonorità da arena rock, gli Heart hanno scritto pagine importanti nella storia del rock americano: nel 2006 ebbero l’occasione di registrare un live per il programma di VH1 Decades Rock Live, nel corso del quale la band diede spettacolo in compagnia di altre stelle del firmamento musicale statunitense.
Gli artisti che presenziarono a questo tributo al rock delle sorelle Wilson furono tanti e di spessore: dagli Alice In Chains a Dave Navarro, dalla star del country Carrie Underwood a Duff McKagan, dalla la cantante country Gretchen Wilson per finire con il compositore Rufus Wainwright.
Live In Atlantic City vede la band alle prese con i brani che hanno segnato la sua storia, come Bebè La Strange, Barracuda e Lost Angel e con cover dei Led Zeppelin come Rock ‘n’ Roll e Misty Mountain Hop, quest’ultima con Navarro a fare il Jimmy Page sullo storico brano tratto dal quarto album degli Zep.
Ma il culmine della performance arriva quando salgono sul palco gli Alice In Chains (con Duff Mckagan) e prima una graffiante Would? e poi le note della sentita Rooster alzano il clima emozionale del concerto.
L’ottima forma del gruppo, sommata ad una scaletta straordinaria, rendono questo live un evento imperdibile per tutti gli amanti del hard rock, tributato con il giusto talento dalle sorelle Wilson e dai loro ospiti.

Tracklist
1. Bébé Le Strange (with Dave Navarro)
2. Straight On (with Dave Navarro)
3. Crazy On You (with Dave Navarro)
4. Lost Angel
5. Even It Up (with Gretchen Wilson)
6. Rock’n Roll (with Gretchen Wilson)
7. Dog & Butterfly (with Rufus Wainwright)
8. Would? (with Alice In Chains & Duff McKagan) *
9. Rooster (with Alice In Chains & Duff McKagan)
10. Alone (with Carrie Underwood)
11. Magic Man
12. Misty Mountain Hop (with Dave Navarro)
13. Dreamboat Annie
14. Barracuda

Line-up
Ann Wilson – Vocals
Nancy Wilson – Guitars
Ben Smith – Drums
Craig Bartock – Guitars
Dan Rothchild – Bass
Chris Joyner – Drums

HEART – Facebook

ELECTROCUTION

Il video di “Psychonolatry (The Icons of God and the Mirror of the Souls)” dall’album Psychonolatry in uscita a febbraio.

Il video di “Psychonolatry (The Icons of God and the Mirror of the Souls)” dall’album Psychonolatry in uscita a febbraio.

Legendary Italian death metal band ELECTROCUTION have released a video for their track “Psychonolatry (The Icons of God and the Mirror of the Souls)”. The song is taken from their upcoming album Psychonolatry which will be released in February.

Pre-order the album here: https://tinyurl.com/psychonolatry

Helevorn – Aamamata

Non era facile riuscire a fare un ulteriore passo avanti rispetto ad un disco già splendido come Compassion Forlorn, ma gli Helevorn si sono letteralmente superati pubblicando un’opera con la quale si dovrà confrontare da oggi in poi chiunque voglia cimentarsi con il gothic doom.

Gli Helevorn appartengono a quella categoria di band che tipicamente, in ambito doom, si prendono tutto il tempo necessario tra un disco e l’altro decidendo di proporre nuovo materiale solo quando hanno realmente qualcosa da dire.

E da dire c’è davvero molto in questi tempi, specialmente per chi non accetta di restare indifferente di fronte alle tragedie umane che la maggior parte di noi preferirebbe nascondere sotto al tappeto, facendo finta di niente per non essere costretto a fare i conti con la propria coscienza.
Gli Helevorn, essendo maiorchini, come tutti gli isolani hanno un rapporto speciale  con quel Mare Nostrum che negli ultimi anni si e trasformato nell’estrema dimora di migliaia di esseri umani, costretti a rischiose e spesso fatali traversate per sfuggire alle guerre o semplicemente alla povertà,  e spinti virtualmente sott’acqua da una politica volta solo ad ottenere facile consenso da parte di popoli colpevoli, a loro volta, di una ributtante ignavia.
L’aver dedicato un intero album al dramma dei migranti, in un momento in cui chi solleva il problema viene visto quasi sospetto, fa onore alla sensibilità di una band che d’altra parte anche in passato non ha mai rinunciato a prendere posizioni ben definite in ambito sociale o politico.
A livello musicale quella degli Helevorn è stata una crescita lenta ma costante e se già Compassion Forlorn aveva sancito l’ingresso del gruppo iberico tra i  nomi di punta della scena gothic death doom europea, Aamamata rafforza questa posizione con il valore aggiunto, come detto, di contenuti lirici importanti.
Per capire appieno la potenziale levatura dell’album basta godersi la visione di un’opera che unisce magistralmente musica, filmati e grafica come è il video di Blackened Waves, brano commovente per intensità e drammatica evocatività: Josep Brunet riesce a lacerare l’anima dell’ascoltatore utilizzando praticamente la sola voce pulita, in virtù di una profondità interpretativa che non lascia dubbi alcuni sulla sincerità del suo sentire, e il growl che affiora solo nell’ultimissima parte del brano è strettamente funzionale a rimarcare con forza il dolore, la rabbia e l’impotenza di chi vuole avere ancora occhi per vedere.
Il valore dell’intero lavoro emerge poi con prepotenza ascolto dopo ascolto, facendo sì che ad ogni passaggio un brano sempre diverso si manifesti di volta in volta in tutto il suo splendore: così, se il singolo appena citato appare difficilmente superabile, successivamente la stessa impressione verrà fornita dalle ritmiche coinvolgenti e dalle aperture melodiche di A Sail to Sanity e Forgotten Fields, dalla paradiselostiana Once upon a War o dalla superba Aurora, il cui incedere nel finale riporta inevitabilmente alla più grande metal band iberica (in questo caso lusitana) di sempre.
E ancora la struggente Goodbye Hope, dall’enorme potenziale evocativo tra passaggi più soffusi e sussulti drammatici, appare quale picco qualitativo insuperabile, ma successivamente lo stesso può valere per la cangiante The Path to Puya, che dal doom più cupo passa senza alcun contraccolpo alla cristallina voce di Heike Langhans (Draconian), per arrivare al dolente e controllato finale dell’album affidato a La Sibil·la, canzone dal testo interamente in catalano.
Una citazione a parte la merita Nostrum Mare, traccia che è di fatto il manifesto lirico dell’album, con la quale gli Helevorn hanno voluto coinvolgere idealmente gran parte delle le nazioni che si affacciano sul Mediterraneo affidando parti del testo a voci recitanti nelle diverse lingue (è una grande soddisfazione scoprire che per quella italiana sia stato scelto un caro amico come Pablo Ferrarese dei Tenebrae); “Et deixo un pont d’esperança i el far antic del nostre demà perquè servis el nord en el teu navegar / Et deixo l’aigua i la set, el somni encès i el record / Et deixo un pont de mar blava / El blau del nostre silenci d’on sempre neix la cançó”: ecco, chi avesse voglia di tradursi questi versi avrà ben chiaro quale sia lo spessore dell’intero lavoro anche sul piano strettamente poetico.
La produzione affidata ad un fuoriclasse come Jens Bogren rende Aamamata inattaccabile anche dal punto di vista della resa sonora e il resto lo fa la band, capace di tessere melodie assimilabili rapidamente ma destinate a fissarsi per sempre nella memoria, sulle quali poi si staglia la prestazione vocale di un Josep Brunet che, oggi, nella speciale classifica combinata tra clean vocals e growl, si può considerare a buon diritto uno dei migliori cantanti in circolazione.
Non era facile riuscire a fare un ulteriore passo avanti rispetto ad un disco già splendido come Compassion Forlorn, ma gli Helevorn si sono letteralmente superati pubblicando un’opera con la quale si dovrà confrontare da oggi in poi chiunque voglia cimentarsi con il gothic doom.; senza dimenticare, infine, che per le sue caratteristiche Aamamata potrebbe risultare gradito non solo ai doomsters più incalliti aprendo agli Helevorn la possibilità di raggiungere un’audience più vasta, visto che, pur inducendo con costanza alla commozione, il sound non mostra quasi mai le caratteristiche più opprimenti e depressive del genere lasciando spazio solo ad una malinconia che, come un indolente moto ondoso, si infrange sulla nostra anima erodendola poco alla volta.

May the waves remind us of our shame and misery, forever

Tracklist:
1. A Sail to Sanity
2. Goodbye, Hope
3. Blackened Waves
4. Aurora
5. Forgotten Fields
6. Nostrum Mare (Et deixo un pont de mar blava)
7. Once upon a War
8. The Path to Puya
9. La Sibil·la

Line-up:
Josep Brunet – Voices
Samuel Morales – Guitars
Guillem Morey – Bass
Sandro Vizcaino – Guitars
Enrique Sierra – Keys
Xavi Gil – Drums

HELEVORN – Facebook