Orville Peck – Pony

Orville Peck compone, scrive, suona e si autoproduce un disco che farà sgorgare lacrime e vi farà guardare l’orizzonte come non l’avete mai guardato.

Incredibile debutto di un cow boy mascherato che vi porterà di notte su polverose strade dimenticate di un Canada che non conosciamo bene.

La voce di Orville Peck è qualcosa di davvero affascinante e si fonde benissimo con una musica strutturata in maniera minimale, ma davvero adeguata: il suo timbro assomiglia terribilmente all’Elvis Presley più dolce ed intimo, infatti Peck è uno straordinario narratore di storie ed accadimenti. La tradizione è quella gotica americana, che ultimamente ha avuto momenti di notevole qualità declinati in maniera diversa, si pensi a King Dude, ma qui è un’altra storia. Orville Peck è posseduto da un rocker americano anni sessanta che ha deciso di raccontare le sue storie in un pomeriggio estivo di afa asfissiante, con le macchine che procedono lentamente come se anche loro sentissero la fatica, le rose cadono a terra, e alcune gonne attirano molti sguardi. Un mondo apparentemente immoto, ma pieno di vita nascosta che Orville ci racconta con la sua splendida musica. Pony non è un disco fuori dal tempo, è un’opera che costruisce un’epoca tutta sua, un unicum spazio temporale nel quale veniamo catapultati e dove si sta benissimo. Immaginario western, paesini, suburbia, tutto scorre come vederlo da un finestrino in un viaggio nell’America del Nord più rurale e vera, dove certe cose non sono cambiate. Si arriva addirittura a pensare che tutto sia un’invenzione pur di aver qualcosa che la voce e la musica di Orville Peck possa narrare. E non ci sono dubbi ragazzi miei, se avete un pugno di dollari (vanno bene anche gli euro, i bitcoin li sconsigliamo), da spendere per comprare un disco decente da quando quel grassone di Memphis è morto, beh questo è il disco giusto. Dolcezza, sesso, vita, morte , polvere, Dio, caldo e tanto altro qui vengono cantati in maniera commovente e bellissima. Ci sono anche alcuni accenni a un certo inglese chiamato Mr.Morrissey, che è forse la cosa più simile al King che ci sia stata dopo il re, ma questo è un’altra storia. Orville Peck compone, scrive, suona e si autoproduce un disco che farà sgorgare lacrime e vi farà guardare l’orizzonte come non l’avete mai guardato.

Tracklist
1 Dead of Night
2 Winds Change
3 Turn To Hate
4 Buffalo Run
5 Queen of the Rodeo
6 Kansas (Remembers Me Now)
7 Old River
8 Big Sky
9 Roses Are Falling
10 Take You Back (The Iron Hoof Cattle Call)
11 Hope to Die
12 Nothing Fades Like the Light

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Blue Cash – When She Will Come

I Blue Cash hanno creato un sound che, se affonda le radici nella musica di Johnny Cash, si muove tra varie pulsioni musicali che hanno attraversato sessant’anni di musica a stelle strisce, madre di tutto quello che si ascolta oggi in ambito rock.

MetalEyes è nato inizialmente per approfondire la parte metallica di In Your Eyes, ma non ha mai fatto mistero delle sue radici rock, radicate in ognuno dei suoi collaboratori, ed è per questo che un album come When She Will Come dei country bluesmen nostrani Blue Cash diventa un momento, come tanti ce ne sono stati e continueranno ad esserci, per dare spazio a suoni in apparenza lontani da quelli ai quali abitualmente ci dedichiamo.

Il quartetto friulano, formato da ottimi musicisti con svariate esperienze nel mondo musicale, suona un rock semiacustico, ispirato in primis al grande Johnny Cash, leggenda del country rock americano, musicista, compositore e poeta, amato anche da molti artisti lontani dalle corde musicali del man in black.
Da Johnny Cash la band parte per un viaggio nel rock, fatto di strade impervie, crocicchi sperduti nelle pianure polverose degli States, di blues e psichedelia, di rock’n’roll e jazz lungo una quarantina di minuti ma che potrebbe durare mezzo secolo.
I Blue Cash, quindi, non si accontentano di tributare il grande artista americano, ma esplorano con l’aiuto della sua influenza il vasto mondo della musica americana, con la personalità di chi ha il talento per marchiare a fuoco con il proprio monicker il sound di cui si compone When She Will Come.
Si passa così da brani country folk a bellissime tracce che ricordano l’assolato confine con il Messico (Stay With Me), dal rock swing di Message To A Friend al rock’n’roll venato di jazz della divertentissima Jenny Doin’ The Rock.
Andrea Faidutti (chitarra e voce), Alan Malusà Magno (chitarra e voce), Marzio Tomada (contrabasso e voce) e Alessandro Mansutti (batteria) hanno creato un sound che, se affonda le radici nella musica di Johnny Cash, si muove tra varie pulsioni musicali che hanno attraversato sessant’anni di musica a stelle strisce, madre di tutto quello che si ascolta oggi in ambito rock.

Tracklist
01.Intro Death & the Devil
02.The End
03.Junkie Man
04.Do It for Nothing
05.Stay with Me
06.King of Nothing
07.Message to a Friend
08.The Gift
09.Jenny Doin’ the Rock
10.When She Will Come
11.Outro the Devil & Death
12.Maledetti Cash

Line-up
Andrea Faidutti – chitarra e voce
Alan Malusà Magno – chitarra e voce
Marzio Tomada – contrabasso e voce
Alessandro Mansutti – batteria

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Hoofmark – Stoic Winds

Per le sue caratteristiche è comprensibile che l’album proceda un po’ a strappi, ma nel complesso questo approccio non dispiace affatto per coraggio e creatività.

Il primo full length degli Hoofmark è di fatto la riedizione a cura della Ultraje, etichetta fondata dall’omonima rivista portoghese, del demo uscito nel 2016.

Se ci si chiede se tale operazione, invero molto frequente, abbia una sua valenza la risposta è affermativa, perché l’interpretazione del black metal offerta dal musicista lusitano Nuno Ramos, detentore delle chiavi del progetto, è quanto mai ricca di spunti interessanti.
Di sicuro Stoic Winds non è un album monotematico: infatti possiamo rinvenire il genere rivisto nelle sue diverse forme, tutte in maniera piuttosto convincente sia quando i ritmi si fanno più incalzanti finendo su territori crust punk hardcore, sia quando i rallentamenti spostano la barra verso il doom.
Il colpo di scena arriva però con Dust Trails, quando Nuno assume improvvisamente le sembianze di un Johnny Cash sui generis, piazzando un brano country che magari potrà apparire fuori contesto ma possiede un suo malsano fascino.
In effetti il nostro mostra un’irrequietezza compositiva della quale gli va dato atto e, se il tutto rende il lavoro chiaramente disomogeneo, ha sicuramente il grande pregio di una certa imprevedibilità.
Del resto subito dopo arriva la versione denominata Dust Trails Blazing, che riconduce il tutto su un mid tempo classico mantenendo però un’interpretazione vocale sempre piuttosto anomala per il black metal.
Con tali caratteristiche è comprensibile che l’album proceda un po’ a strappi, ma nel complesso questo approccio non dispiace affatto per coraggio e creatività, anche se l’inedito connubio tra metal estremo e country lascerà perplesso più d’uno.
Così, dopo il black’n’roll notevole di Horror Maximus, Nuno chiude le ostilità con Hoofmarks, una sorta di di manifesto del suo procedere con passo sghembo lungo un sentiero tortuoso ma foriero di scenari cangianti; senza voler spingermi a trovare significati che magari non corrispondono al vero, questo lavoro targato Hoofmark è quanto mai strano, lo-fi per indole ancor più che per resa sonora, e nonostante questo (o forse proprio per questo …) mi sono sorpreso ad apprezzarlo non poco.

Tracklist:
1. Yours Should be a Heavy Casket
2. Amongst a Sea of Darkness
3. Stoic Winds
4. Dust Trails
5. Dust Trails Blazing
6. An Arrow Long Due
7. From the Foot of God’s Throne
8. Horror Maximus
9. Hoofmarks

Line-up:
Nuno Ramos

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