Distruzione – Endogena

Dopo il come back dello scorso anno si torna a parlare degli storici Distruzione, questa volta con la riedizione da parte della nostrana Jolly Roger del primo devastante lavoro sulla lunga distanza, Endogena.

Uscito originariamente nel 1996 e distribuito dalla major Polygram, Endogena fu l’album che trasformò la band in leggenda, conquistando i favori dei fans del metal estremo underground per la proposta feroce, i testi in lingua madre, ed un impatto terremotante.
Gli allora giovani protagonisti di questo olocausto sonoro si fecero notare per la qualità altissima del proprio sound, accompagnata da una tecnica non indifferente, ed un approccio alla materia estrema che, se pescava dalle band cardine del thrash death, non peccava certo in personalità e voglia di colpire pesantemente.
L’inserto sinfonico che funge da intro all’opener Senza Futuro, risulta un conto alla rovescia prima del decollo di questo, fino ad ora, introvabile lavoro, poi uno tsunami di metal estremo, si abbatte sull’ascoltatore, senza soluzione di continuità.
Ritmiche serrate e devastanti, chitarre aggressive, ed un growl animalesco ma perfettamente chiaro nel vomitare testi di morte, oscurità e distruzione, elevano l’album ad una sorta di must per tutti gli amanti del genere.
Siamo nel 1996, i mezzi a disposizione del gruppo non erano certo quelli in possesso alle giovani band di oggi, ma Endogena aveva in sé una carica così forte e devastante, da stare tranquillamente al passo con le releases dei gruppi europei.
Prodotto da Omar Pedrini dei Timoria, Endogena scarica una sequenza di mitragliate thrash violente e senza compromessi, rese ancora più pesanti da un uso parsimonioso ma geniale di sfumature prese dal famigerato death metal statunitense.
Slayer in primis e, poi, tanto thrash metal di matrice europea sono gli ispiratori del sound di questo monumentale lavoro, che ha nella compattezza il suo massimo punto di forza, anche se è indubbio che Delirio Interiore, Ossessioni Funebri e la conclusiva Agonia fungano da traino a tutto l’album.
Nel frattempo, come ben saprete se seguite la scena undergorund e, di fatto, la nostra ‘zine, i Distruzione sono tornati più forti che mai, ma il fascino di questo lavoro, rimane intatto come vent’anni fa, confermando che nel metal, non solo estremo, il passare degli anni conta poco quando ci si trova davanti a lavori come Endogena.
Complimenti alla Jolly Roger per l’iniziativa assolutamente consona all’importanza del gruppo parmense.

TRACKLIST
1. Senza futuro
2. Delirio interiore
3. Ossessioni funebri
4. Divina salvezza
5. Ombre dell’anima
6. Omicidio rituale
7. Diabolus in Musica
8. Agonia

LINE-UP
David Roncai – Vocals
Dimitri Corradini – Bass
Alberto Santini – Guitars
Massimiliano Falleri – Guitars
Ettore Le Moli – Drums

DISTRUZIONE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=jyyLWkfoSeM

Abscendent – Decaying Human Condition

La proposta del gruppo è un death/thrash composto in egual misura da elementi moderni ed altri riconducibili alla tradizione estrema, suonato in modo impeccabile e prodotto al meglio

La Revalve, confermando di essere una delle migliori label nostrane, licenzia questo bellissimo ed esaltante Decaying Human Condition, primo lavoro degli Abscendent, band laziale che annovera tra le proprie fila due mebri degli Overactive, il chitarrista e cantante Gabriele “Arch” Vellucci, ed il drummer Marcello Del Monte, raggiunti in questa nuova avventura dal bassista Luca Riccardelli (Helslave).

La proposta del gruppo è un death/thrash composto in egual misura da elementi moderni ed altri riconducibili alla tradizione estrema, suonato in modo impeccabile e prodotto al meglio nei 16th Cellar Studio da Stefano Morabito.
Cinque brani bastano per convincersi di essere al cospetto di un trio fenomenale, cinque mazzate devastanti che portano con loro la velocità e le sfuriate care al thrash classico, la potenza inesauribile del death metal e la pesantezza del moderno metal estremo statunitense, che fanno di questo esordio un’esplosione di tritolo metallico come pochi.
Come detto la tecnica dei musicisti è di altissimo livello, valorizzata dall’ottimo lavoro in fase di produzione, un songwriting notevole ed ottime idee al servizio di queste cinque detonazioni, una più devastante dell’altra.
Il gran lavoro della sezione ritmica, sommato alle trame chitarristiche di un Vellucci sontuoso, rendono l’ascolto del disco un esaltante tuffo nel metal estremo, un perfetto esempio di cosa può dare il genere in termini di qualità se suonato a questi livelli.
Dall’opener Penance, scelta come singolo e video, l’album è un susseguirsi di vorticosi sali e scendi sulla montagna del metal estremo, la pesantezza di brani come Solipsia, Compelled ed il piccolo capolavoro Nausea è bilanciata da un’enorme fruibilità e freschezza compositiva, abbinata al gran talento per le melodie, scaturite dalla sei corde dell’axeman, perfettamente incastonate nella tregenda ritmica ad opera della coppia Del Monte/Riccardelli.
Tra i solchi di Decaying Human Condition rivivono le gesta dei Death di Chuck Schuldiner, le cavalcate del thrash della Bay Area (Exodus e Testament) e il moderno incedere del nuovo metallo estremo made in U.S.A.: da avere e custodire gelosamente.

TRACKLIST
1. Penance
2. Solipsia
3. Compelled
4. Doppelgänger
5. Nausea

LINE-UP
Gabriele “Arch” Vellucci: Guitar – Vocals
Luca Riccardelli: Bass
Marcello Del Monte: Drums

ABSCENDENT – Facebook

Goholor – In Saeculis Obscuris

Sedici minuti sono pochi per dare un giudizio definitivo, ma è vero che , dalla prima all’ultima nota, il sound non si libera delle catene con cui il gruppo ha imprigionato la musica prodotta senza impedire che i quatto brani risultino troppo simili tra loro.

La Symbol Of Domination Prod. licenzia questo esordio di quattro brani dei Goholor, gruppo di malvagi metallari provenienti dalla Slovacchia.

Growl rigorosamente death metal, cavernoso e demoniaco , una violenza oscura e blasfema, proveniente da secoli di marcia putrescenza, formano un sound molto evil, colmo di blast beat, ventate di zolfo e malvagità, buone ritmiche e sei corde in perenne ribasso, così da accentuare l’atmosfera infernale di In Seaculis Obscuris.
Il trio è composto da Anton al microfono, Demo alla sei corde e Pio a spaccare bacchette sul drumkit, un combo arcigno e dal sound che risveglia anime dannate e ci scaraventa nella dannazione eterna.
Behemoth e Dissection, ma anche tanto death metal old school, sono le influenze maggiori che si respirano in queste prime avvisaglie di guerra da parte dei Goholor, che danno tanto in approccio ed impatto, lasciando qualcosa indietro nel songwriting che risulta un po’ troppo monocorde.
Sedici minuti sono pochi per dare un giudizio definitivo, ma è vero che , dalla prima all’ultima nota, il sound non si libera delle catene con cui il gruppo ha imprigionato la musica prodotta senza impedire che i quatto brani risultino troppo simili tra loro.
Un ascolto ai fans del genere più oltranzisti può essere consigliato, aspettando un futuro full length con il quale poter valutare meglio le potenzialità del trio slovacco; per ora i Goholor strappano una sufficienza per via delle buone atmosfere malate e demoniache che comunque l’ep contiene.

TRACKLIST
1.Art Of Infernal Power
2.Naberius Daemon
3.Obscurus Sacramentum
4.Symbols Of Blasphemy

LINE-UP
Anton – vocals
Demo – guitars,vocals
Pio – drums

GOHOLOR – Facebook

Rotting Flesh – Infected Purity

Death metal con intarsi sinfonici e fortissime influenze black metal, il tutto fatto con grande potenza e passione.

I Rotting Flesh arrivano da Salonicco: attivi da vent’anni sono vere e proprie glorie dell’underground ellenico, e Infected Purity è la ristampa del loro terzo lavoro uscito nel 2014.

Death metal con intarsi sinfonici, e fortissime influenze black metal, il tutto fatto con grande potenza e passione. I Rotting Flesh sono un gruppo che ha dovuto passare diverse difficoltà, infatti nonostante la loro longeva carriera e i loro tantissimi concerti la loro discografia è di sei demo e soli tre album ufficiali, poco come quantità, ma tutto di alta qualità. Il loro suono ha un incedere epico, una forza diabolica e tanto da insegnare, con un patrimonio frutto dell’esperienza e del talento. Sono solo in tre, un piccolo esercito del nero rumore, e hanno fatto un bel disco qui ristampato dalla sotto etichetta della Satanath, Symbol Of Domination, e dall’italiana Murdher Records, che propone sempre ottime cose del vero underground.

TRACKLIST
1.Altar Of Eclipse
2. Terrorscope
3. Infected Purity
4.Withdraw Cristianity
5.Sadness Of Empathy
6.Life And Torment
7.Shadowgloom
8.Flickering Rituals
9. Mental State
10. Abaddon
11. Skullgrinder
12. Nocturne

LINE-UP
Blackmass – Guitar, Vocals
Vincer – Guitar
Morbid Seraph – Keys
Mancer – Drums

ROTTING FLESH – Facebook

Bloodphemy – Blood Will Tell

Tornano dopo un lunghissimo silenzio gli olandesi Bloodphemy, con questi venti minuti di metal estremo che non passeranno inosservati ai deathsters sparsi per il globo.

Tornano dopo un silenzio di ben quattordici anni dal loro primo demo gli olandesi Bloodphemy, mostro death metal devastante, con questo ep licenziato dalla label greca Sleaszy Rider, venti minuti di metal estremo, un massacro portentoso che non passerà inosservato ai deathsters sparsi per il globo.

Il gruppo è formato da cinque musicisti che in questi anni non sono stati certo a guardare, collaborando con varie realtà della scena estrema come Devious, Altar, Bleeding Gods, Pleurisy, Beyond Belief, ed ora tornano con il monicker storico per travolgerci con il loro carro armato in assetto di guerra.
Non mancano ospiti graditi come Robbie Woning dei Dead Head e Michiel Dekker (The Monolith Deathcult) ed il tutto è stato registrato ai the Soundlodge Studios in Germania (God Dethroned, Sinister, Nightfall, Dew-Scented) .
Quattro brani più bonus di death metal arrembante, convincente sotto ogni aspetto, con una prova all’altezza in tutte le sue componenti, dalle sei corde (Rutger van Noordenburg e Winfred Koster) che impazzano con riffoni pesantissimi e solos taglienti, la sezione ritmica che risulta uno schiacciasassi (Edwin Nederkoorn alle pelli e Wicliff Wolda al basso) e un portentoso vocalist (Arnold Oudemiddendorp), che ricorda non poco Jan-Chris DeKoeyer dei conterranei Gorefest.
E ai Gorefest dei primi lavori la mente vola, così come ai God Dethroned, insomma, tra le varie tracce di Blood Will Tell è marchiata a fuoco la bandiera dei Paesi Bassi, altra scuola fondamentale per lo sviluppo del genere.
Strumenti che viaggiano su toni ribassati, un tocco di groove nelle ritmiche per non sembrare troppo old school e tanta pesantezza sono le maggiori virtù di Folie A’ Deux, Catch 23, la spettacolare Disgusted e Undesired, a chiudere l’ascolto (la bonus track Blood For Me non è presente sul promo, ma solo nel cd) di un mini cd che si spera funga da antipasto al primo full length e  non sia, invece, solo una riapparizione estemporanea.
Per gli amanti del genere una band tutta da scoprire.

TRACKLIST
1. Folie A’ Deux
2. Catch 23
3. Disgusted
4. Undesired
5. Blood For Me

LINE-UP
Arnold Oudemiddendorp – Vocals
Edwin Nederkoorn – Drums
Rutger van Noordenburg – Guitars
Wicliff Wolda – Bass
Winfred Koster – Guitars

BLOODPHEMY – Facebook

Grey Heaven Fall – Black Wisdom

In quest’album non si inseguono vanamente i nomi di punta del black/death, bensì vengono ampliati non poco gli orizzonti sonori grazie ad un impeto avanguardistico sempre equilibrato e ben sorretto dalla tecnica individuale.

I russi Grey Heaven Fall sono una realtà ben più che interessante, in quanto portatori di una proposta musicale a suo modo originale o, perlomeno, capace di differenziarsi il giusto dalla massa riuscendo così a spiccare in maniera netta.

Infatti, nel black/death che ne costituisce l’asse portante, il trio di Podolk immette un tecnicismo asservito al mantenimento di una tensione costante del sound, ed è proprio grazie a ciò che la bravura di questi musicisti non resta un esercizio fine a sé stesso e trova sbocco, invece, in un’ora di musica certamente impegnativa, ma talmente ricca di spunti da riuscire nell’intento di tenere alla larga ogni parvenza di noia.
Quelli che, in molti dischi prodotti da band con la stessa attitudine, si rivelano passaggi solo cervellotici, in Black Wisdom si ammantano di oscurità, giungendo persino ad evocare un mood malinconico che parrebbe antitetico alle robuste partiture della band russa: in quest’album non si inseguono vanamente i nomi di riferimento del genere suonato, bensì vengono ampliati non poco gli orizzonti sonori grazie ad un impeto avanguardistico sempre equilibrato e ben sorretto dalla tecnica individuale.
Black Wisdom trova la sua sublimazione in un ascolto attento e non frammentato, essendo un album che va consumato nella sua interezza perché possa appagare in maniera totale tutti i sensi: già, perché qui la tensione prodotta da un sound di rara profondità si assapora, si tocca, si annusa e si osserva; velenosa ed amara, come i suoi testi critici nei confronti della religione (cantati in lingua madre ma lodevolmente restituiti in inglese nella confezione curata dalla Aesthetics Of Devastation), la musica dei Grey Heaven Fall si esalta nella sua reiterazione, annichilendo una potenziale concorrenza magari di pari livello per maestria tecnica ma inferiore per efficacia e sintesi del songwriting.
Cito ad esempio solo To The Doomed Sons Of Erath, un brano che lacera l’anima con le sue dissonanze che non riescono ad imprigionare un afflato melodico e drammatico come di rado è dato ascoltare, ma mi spingo a anche a rimarcare assoli chitarristici di grande classe che spiccano come oasi improvvise nel cuore di maelstrom sonori quali Spirit of Oppression e That Nail in a Heart ; black, death, doom, progressive, ambient, in Black Wisdom entra tutto questo ma viene risputato fuori in una forma che non appartiene di diritto ad alcun illustre progenitore.
Vi diranno che ci possono essere somiglianze con il black avanguardistico di band come Deathspell Omega o Blut Aus Nord: sarà anche vero, ma secondo me i Grey Heaven Fall superano a tratti anche questi inattaccabili esempi, in virtù di un’espressione sonora che nasce da un sentire profondo, da un’inquetuidine che trova sfogo in una furia metronomica ma nel contempo inarrestabilmente creativa.
Black Wisdom è un disco che quando entrerà in circolo lascerà strascichi irreparabili, sappiatelo.

Before trying to find God in beauty, look for him in the deepest abomination

Tracklist:
1.The Lord is Blissful in Grief
2.Spirit of Oppression
3.To the Doomed Sons of Earth
4.Sanctuary of Cut Tongues
5.Tranquillity of the Possessed
6.That Nail in a Heart

Line-up:
Arsagor – Guitars, Vocals
SS – Bass
Pavel – Drums

GREY HEAVEN FALL – Facebook

Blade of Horus – Monumental Massacre

La durata ridotta dell’ep e l’ottimo songwriting fanno sì che Monumental Massacre scorra via senza far perdere all’ascoltatore l’attenzione che merita ogni brano

Cultura egizia e sci-fi sono un connubio vincente sia sul grande schermo sia nel mondo delle sette note, infatti sono molte le realtà che attingono al sapiente ed antico popolo del Nilo, il primo a studiare l’immenso mare di stelle sopra la propria testa.

Un concept lirico che viene usato anche nel metal estremo e Monumental Massacre, primo lavoro degli australiani Blade Of Hours, non ne è che l’ultimo esempio.
Il gruppo nato nella terra dei canguri è formato da tre musicisti di provata esperienza nel mondo del metal, come il vocalist Eric Jenkins ex di Torture Inc., Putrefaction, War Faction e Eviscerator, Ivan Ellis e James Buckman, chitarristi provenienti dagli Eviscerator, così da poter considerare i Blade Of Hours una continuazione di quella band attiva dal 2011 al 2015.
L’album, che esce per la Lacerated Enemy Records in questo inizio d’anno, andando ad infoltire le truppe celesti del death metal tecnico e brutale, si apre con un’intro fantascientifica, le astronavi arrivate da galassie lontane si posano sulla sabbia del deserto e ne escono esseri dalle intenzioni bellicose, proprio come la musica del gruppo, che fin dalla titletrack dà avvio al massacro estremo fatto di intricatissimo brutal death.
Grande la prova del trio, tra growl di estrazione brutal e vortici di riff che si incastrano alla perfezione sul tappeto ritmico programmato, con corse a perdifiato sui manici delle asce, cambi di ritmo e solos molto ben congegnati.
Inhumane Experimentations e Descent into the Cosmic Realm of Everlasting Madness sono i brani che colpiscono maggiormente, anche se la durata ridotta dell’ep e l’ottimo songwriting fanno si che Monumental Massacre scorra via senza far perdere all’ascoltatore l’attenzione che meritano branidall’elevato spessore tecnico, elargito tra questa tempesta di suoni potentissimi.
Il technical death metal è questo, prendere o lasciare, perciò non aspettatevi particolari novità da questa raccolta di brani, se non un buonissimo lavoro di genere.

TRACKLIST
1. Intro
2. Monumental Massacre
3. Succumb to the Overwhelming Stench of Necrophagia
4. Inhumane Experimentations
5. Death of a Spartan King
6. Descent into the Cosmic Realm of Everlasting Madness
7. Return of the Dark Gods

LINE-UP
James Buckman – Guitars
Ivan Ellis Guitars – Drum programming
Eric Jenkins Vocals – Lyrics

BLADE OF HORUS – Facebook

Mithridatic – Miserable Miracle

Dalla terra transalpina cova e si genera un’orda di realtà metalliche dall’alto potenziale estremo, un’aggressione sonora che dai confini francesi avanza verso l’Europa non risparmiando le terre italiche

Dalla terra transalpina cova e si genera un’orda di realtà metalliche dall’alto potenziale estremo, un’aggressione sonora che dai confini francesi avanza verso l’Europa non risparmiando le terre italiche, invase da questo morboso e violento tsunami di metal estremo.

La Kaotoxin, label specializzata nel genere, licenzia il primo lavoro sulla lunga distanza dei devastanti Mithridatic, gruppo nato quasi dieci anni fa a Saint Etienne, città nel nord della Francia.
Dopo un demo ed un ep, uscito lo scorso anno, anche per i Mithridatic è giunto il momento del tanto atteso full length, ed il gruppo le sue carte l’ha giocate alla grande con Miserable Miracle, un album di metal estremo che unisce in sé tradizione e modernità, ritmiche black/thrash e potenti anthem colmi di di insano groove, il tutto condito da un impatto ed un’attitudine sopra le righe.
Certo qualche difetto da correggere col tempo non manca (le songs tendono ad assomigliarsi un po’ troppo), ma il sound c’è, così come una certa predisposizione a non fossilizzarsi troppo nel corso del lavoro verso uno stile preciso, creando un devastante sound che pesca tanto dall’old school quanto dal moderno metal, rimandando alla scena blackened polacca e richiamando atmosfere di morboso industrial e death estremo, insomma un massacro.
L’attacco frontale è di quelli che scaraventano al muro con una forza sovrumana, le atmosfere apocalittiche ed insane ( Oxydized Trigger Sabotage ) non fanno che aumentare la claustrofobica sensazione di malessere che pervade le songs racchiuse in questo armageddon sulla Terra, alternando veloci bombardamenti in blast beat a cadenzate cadute verso l’abisso, oscuro, pesante e destabilizzante (la title track, Funambule Pénitent).
Sul versante death l’angelo morboso è il protagonista indiscusso della musica dei nostri, potenziato dal black dei Behemoth e riminiscenze industrial, così da creare un inferno di musica estrema e sconvolgente.
Buon lavoro dunque, una mazzata estrema con tutti i crismi per piacere agli amanti dei suoni estremi con tendenze apocalittiche.

TRACKLIST
1. The Supply…
2. …For Terror and the Crowd
3. Miserable Miracle
4. I Will Harm
5. Funambule Pénitent
6. Hell Compasses Points
7. Oxydized Trigger Sabotage
8. Dispense the Adulterated
9. Vitrified Desert

LINE-UP
Guitou – Vocals
Alexandre Brosse – Guitars
Romain Sanchez – Guitars
Remolow – Bass
Kévin Paradis – Drums

MITHRIDATIC – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=1d_pCKRxSUs

Decrepit Soul – The Coming Of War

I Decrepit Soul fanno un death metal che travolge ciò che incontra, devastando tutto nello stile dei migliori Bolt Thrower.

Questo disco potrebbe essere la colonna sonora di un assalto di truppe di qualsiasi epoca, da quelle con lance od archibugi, alle future pistole laser come raffigurato in copertina.

I Decrepit Soul fanno un death metal che travolge ciò che incontra, devastando tutto nello stile dei migliori Bolt Thrower. Questi australiani hanno avuto un’evoluzione costante, passando dal black metal tendente al tradizionale degli esordi fino ad arrivare a questo potentissimo death metal che non lascia mai tregua. Persino nelle parti più lente l’intensità è molto alta. La produzione precisa e pulita senza però essere sterile, rende ancora meglio il senso di violenza e massacro che il gruppo vuole rendere. L’ingresso del nuovo batterista Marcus Hellcunt (Vomitor, Bestial Warlust e Gospel Of The Horns) giova molto ad un impianto già ben rodato. Si è tirati da ogni parte da questo disco, proprio come se si fosse su di un campo di battaglia. Raramente si sente un disco death così quadrato ed appagante, con potenza, ritmo e mid tempos omicidi. Uno dei dischi death migliori di questo anno cominciato da poco.

TRACKLIST
1. Awaken
2. Feral Howling Winds
3. The Coming of War
4. Perished in Flames
5. Piscatorial Death
6. Black Goats Breath
7. Storm of Steel

LINE-UP
Astron – Bass
Kakorot – Vocals, Guitar
Marcus Hellcunt – Drums

DECREPIT SOUL – Facebook

Torture Rack – Barbaric Persecution

Un lavoro nel più puro spirito underground, un’altra opera per chi del genere vuole avere tutto e scoprire nuove realtà, ma se non si è fans incalliti dei suoni estremi di marca death si può passare tranquillamente oltre.

La storia insegna che le barbarie perpetrate dall’uomo sui propri simili non è un abitudine di questo secolo, anzi, forse il periodo più brutale che si ricordi è stato il medioevo, non solo quindi violenza portata dalle guerre, ma malvagità e torture nel vivere quotidiano, dove la vita valeva davvero poco.

Vero è che oltre la storia, le leggende su signori feudali diventati mostri di malvagità si sprecano, così come i resoconti sulle le stanze delle torture, sinistre caverne che si possono visitare in ogni castello sopravvissuto ai secoli.
I Torture Rack sono una death metal band statunitense e su questo argomento hanno costruito il loro concept che portano avanti dal 2012, anno di nascita del quartetto, arrivato pochi mesi fa all’esordio sulla lunga distanza, dopo il classico primo demo uscito un paio d’anni fa (Medieval Mutilation).
Barbaric Persecution continua il viaggio del gruppo nelle stanze delle torture medievali, tra asce, coltelli, vergini di ferro e ruote varie, in uno tsunami di violenza senza freni.
Il loro death metal si avvicina al brutal, specialmente nel growl animalesco del bassista Jason, mentre il sound risulta oscuro, cavernoso e old school.
I brani viaggiano a velocità medie, le ritmiche difficilmente si fanno veloci e seguono di pari passo la lenta agonia dei prigionieri, chiusi nelle mura del castello e facili vittime di soldati dai pochi scrupoli e tanta voglia di sangue.
La Memento Mori ha licenziato l’album, originariamente uscito lo scorso anno nel solo supporto musicassette, altro indizio di cultura old school senza compromessi, undici brani, undici modi di torturare e seviziare senza pietà portando la vittima alla morte, lentamente, molto lentamente.
Talent for Torture, Chamber of Morbidity e Coffin Breath, lasciano intravedere sufficienti potenzialità, anche se l’opera inciampa spesso nel già sentito, tra accenni a Morbid Angel e Cannibal Corpse.
Un lavoro nel più puro spirito underground, un’altra opera per chi del genere vuole avere tutto e scoprire nuove realtà, ma se non si è fans incalliti dei suoni estremi di marca death si può passare tranquillamente oltre.

TRACKLIST
1. Intro
2. Talent for Torture
3. Apocalyptic Wrath of the Undead
4. Chamber of Morbidity
5. Entrail Intruder
6. Open Casket Funeral Puker
7. Field of Mutilation
8. Coffin Breath
9. Sentenced to Gang Rape
10. Coven Crusher
11. Beheaded for the Bloodbath

LINE-UP
Seth – Drums
Pierce Williams – Guitars
Tony – Guitars (lead)
Jason Vocals, Bass

TORTURE RACK – Faceboook

Cult of Lilith – Arkanum

I musicisti islandesi mettono sul piatto una buonissima tecnica al servizio di cinque brani che, nelle loro vorticose scale, risultano fluidi così da rendere facile assimilare il loro violento death metal tecnico.

Islanda e Italia, mai così vicine se si parla di questa nuova band, con base sull’isola più a nord d’Europa, una piccola terra in mezzo al freddo mare del nord, ma molto attiva in ambito musicale, specialmente quando volgiamo lo sguardo e l’udito ai suoni metallici.

Infatti il gruppo di Reykjavík, attivo da appena un anno, è di fatto un duo, con Daniel Thor Hannesson (chitarra) e Jon Haukur Petursson (voce), aiutati dal batterista nostrano Alessandro Vagnoni, in forza ai Dark Lunacy, e Manuele Pesaresi, a cui è stato affidato il mixaggio del disco ai Dyne Engine Studio.
Pur essendo alla prima esperienza i musicisti islandesi mettono sul piatto una buonissima tecnica, al servizio di cinque brani che, nelle loro vorticose scale, risultano fluidi, così da non rendere faticosa l’assimilazione del loro violento death metal tecnico.
Gran lavoro del nostro Vagnoni, valore aggiunto alle pelli, ed ottima la produzione, abbastanza cristallina per far risaltare il sound proposto, un death metal che abbonda di groove, violento, ipertecnico e dall’ottimo impatto.
Growl vario, ritmiche serrate e funamboliche, sfumature tastieristiche perfettamente incastonate in un sound che prende per mano l’attitudine old school e l’accompagna verso l’inizio di una storia musicale che promette scintille estreme.
Le tracce hanno una durata medio corta, non stancando nel loro svolgimento, tutte con un’anima diversa abbastanza per renderle riconoscibili dopo pochi ascolti, ora tempestate dal veloce vento del nord, ora pesanti come macigni dove la sei corde impazza con solos intricati, ma dal buon appeal.
Con influenze che stanno tutte nella storia del genere (Spawn Of Possession, Death), Arkanum è una buona partenza per i Cult Of Lilith: un prodotto altamente professionale, ma per le band che arrivano da quei paesi non è certo una novità.

TRACKLIST
1. Abaddon
2. Tomb of Sa’ir
3. Arkanum
4. Detested Empress
5. Night Hag

LINE-UP
Daniel Thor Hannesson – Guitars
Jon Haukur Petursson – Vocals

Alessandro Vagnoni – Drums

CULT OF LILITH – Facebook

Abyssus – Once Entombed …

Once Entombed è un buon modo per avere in mano praticamente il meglio inciso in questi anni dalla band.

Tornano, a distanza di pochi mesi gli Abyssus di Kostas Analytis, trio ellenico di cui vi avevamo parlato a suo tempo per l’uscita del primo full length, Into The Abyss.

Once Entombed è una compilation che pesca da tutti il lavori fin qui usciti sotto il moncker Abyssus, pescando dai primi ep e split della band, con l’aggiunta di una manciata di cover.
Per chi non conoscesse il gruppo, la sua proposta segue le coordinate del death metal old school, con chiari riferimenti alla scena statunitense (primi Obituary), con qualche sconfinamento nel thrash dei maestri Slayer.
Come vi avevamo riferito nel precedente articolo, il trio che vede Analytis sbraitare nel microfono nefandezze, su morte, guerra e horror di serie B, Panos Gkourmpaliotis accompagnare il leader con riffoni di putrido death/thrash e Costas Ragiadakos seguire il passo dei due compari con le quattro corde, risulta il classico gruppo, palla lunga e pedalare, tra velocità, classici rallentamenti e fulminee ripartenze in quarta marcia.
Un sound che si avvale di un impatto ed un’attitudine old school, confinando i nostri tra le band esclusiva dei soli fans più incalliti.
Questo nuovo lavoro è interessante soprattutto per le cover, che sguazzano tra il thrash crucco dei Sodom (Outbreak of Evil), il punk degli Exploited (Chaos Is My Life), il death/doom degli immensi Asphyx (Deathhammer) e i tributi a gruppi intoccabili del metal estremo come Death (Sacred Serenity) e Slayer (Postmortem).
Il resto non si discosta da quanto offerto nel primo full length, la produzione rimane old school seguendo pari passo il sound, così come il disegno di copertina con un cimitero in bella mostra, molto fumettistico e senza pretese.
Per gli amanti del genere, gli Abyssus possono riservare poche sorprese, ma tanta attitudine, virtù che nell’underground è ben gradita: a chi è piaciuto Into The Abyss, Once Entombed si rivelerà un buon modo per avere in mano il meglio inciso in questi anni dalla band.

TRACKLIST
1. Phobos
2. Chaos Is My Life (The Exploited cover)
3. Morbid Inheritance
4. Summon the Dead
5. Sacrifice
6. Remnants of War
7. Outbreak of Evil (Sodom cover)
8. Days of Wrath
9. Remnants of War
10. Left to Suffer
11. Unleash the Storm
12. Deathhammer (Asphyx cover)
13. Servants to Hypocrisy
14. Reprisal
15. Left to Suffer
16. Compromised
17. No Tolerance
18. Sacred Serenity (Death cover)
19. Postmortem (Slayer cover)

LINE-UP
Kostas Analytis – Vocals
Panos Gkourmpaliotis – Guitars
Costas Ragiadakos – Bass

ABYSSUS – Facebook

Comatose – The Ultimate Revenge

Album sufficientemente brutale e senza compromessi, una discreta opportunità per chi è curioso e non manca di ascoltare nuove realtà da ogni parte del mondo.

Nei molti vulcani che si trovano sul territorio delle Filippine nascono demoniache realtà che, nell’inferno della lava che scorre nel sottosuolo, si nutrono e crescono per raggiungere la superficie e dispensare metal estremo, forgiato a temperature inumane nelle cavità delle naturali ed enormi bocche di fuoco.

Non sono poche infatti le band nell’arcipelago dedite ai generi più estremi della musica metallica, specialmente se si parla di death metal ed i suoi derivati.
Liriche improntate su guerra, satanismo, religione e naturalmente morte, un sound che si avvicina pericolosamente al brutal e non solo per il growl animalesco e profondo, ma sopratutto per l’immane impatto, sono le caratteristiche di questi quattro figli del vulcano, sputati fuori da una devastante eruzione in quel di Cebu City nell’ormai lontano 2003 e con un lavico fiume di uscite tra demo, compilation ed ep, ora finalmente giunti al primo lavoro sulla lunga distanza.
Loro sono i Comatose, quartetto che dispensa death metal brutale come caramelle davanti ad una scuola, ed il loro The Ultimate Revenge risulta un lavoro devastante, suonato bene, anche se qualche difetto qua e là, lo rendono più che sufficiente ma nulla più.
Sicuramente piacevole per le anime brutali che si aggirano tra gli umani, The Ultimate Revenge è il classico album di genere, anche se la band si districa bene tra le numerose ed intricate parti dal buon tasso tecnico, peccando nel songwriting, a tratti leggermente monocorde.
Blast beat, tempeste di note che si aggrovigliano in trombe d’aria metalliche, un growl assatanato e cavernoso, chitarre che urlano dolore, bruciate dalla lava infernale e sezione ritmica posseduta da demoni con lingue di fuoco, compongono i nove gradini che scendono e si avvicinano al centro della terra, nove brani di furioso ed oscuro brutal death con le devastanti Army of Darkness, Plague Bearer e Hypochristianity a fare da colonna sonora alla discesa verso gli inferi.
Album sufficientemente brutale e senza compromessi, una discreta opportunità per chi è curioso e non manca di ascoltare nuove realtà da ogni parte del mondo.

TRACKLIST
1. Intro
2. The Ultimate Revenge
3. Army of Darkness
4. The Sickening Ways
5. Plague Bearer
6. Prophets Dream
7. Carnage in the Promise Land
8. Hypochristianity
9. Rivals of the Throne

LINE-UP
LD “Bellz” Lee – Guitars, Vocals (backing), Songwriting, Lyrics
Moloy Ordinal – Vocals
Rex Padron – Guitars, Bass, Vocals (backing)
Franco “Coco” Acha – Drums

COMATOSE – Facebook

Ad Vitam – Stratosfear

Grande band ed ulteriore esempio di come nel nostro paese si possa suonare metal ai massimi livelli: non fate gli esterofili e fate vostro questo eccellente lavoro.

Un’altra band notevole si affaccia con convinzione ed ottima tecnica sulla scena italica, un altro colpo della Revalve Records, un altro bellissimo lavoro che a mio parere farà proseliti tra gli amanti dei suoni estremi, dalle mille sfumature.

Loro vengono dalla Sardegna, si chiamano Ad Vitam ed irrompono sul mercato con questo gioiellino, Stratosfear, un ottimo esempio di progressive death metal oscuro, maturo ed assolutamente devastante nelle molte sfuriate estreme, tra potenza death e cattiveria black, valorizzate da armonie che vanno dall’atmosferico, all’orchestrale e da cavalcate su e giù per il manico delle sei corde di stampo classico, per un tuffo nella parte più elegante del signore e padrone dei generi estremi, il death.
I brani sono tutti di notevole impatto, non c’è un attimo di tregua, la band ci investe con vortici di note che si intrecciano a velocità sostenute, mantenendo un’attenzione maniacale per il songwriting.
Gli Ad Vitam hanno una virtù che, a molti gruppi presi dallo sfoderare bravura tecnica, ma freddi e poco attenti ad elaborare brani convincenti, manca: le loro songs si nutrono di emozioni, crescono dentro di noi, perfettamente bilanciate da tecnica e gusto, sempre con l’oscurità, tipica del genere, drammatica, un fiume in piena che travolge, facendoci vorticare tra le acque agitate, nere ed impazzite, sotto la forza dell’uragano.
Prodotto perfettamente (l’album è stato registrato e mixato presso Hangar 18 Recording Studio e masterizzato presso i Conen Mastering Studio), Stratosfear ha ben in evidenza le influenze del gruppo, ma le propone con una forza espressiva impressionante, non scendendo dal livello di eccellenza per tutta la sua durata, con picchi di esaltante e matura musica estrema che escono prepotentemente dai solchi di There Was Blood Everywhere, Spektrum Walz, Six Feet Under My Sins ed Inception, tanto per citare una manciata di esempi, facendo convivere con assoluta disinvoltura Dimmu Borgir, Symphony X e Opeth.
Grande band ed ulteriore esempio di come nel nostro paese si possa suonare metal ai massimi livelli: non fate gli esterofili e fate vostro questo eccellente lavoro.

TRACKLIST
1. Exosfear
2. There Was Blood Everywhere
3. Bite Me Immortal
4. Join Me in Farewell (There Will Be Blood Everywhere)
5. Chronosfear
6. Six Feet Under My Sins
7. Under a Cypress Root
8. Plagues of Nothing
9. Mesosfear
10. Spektrum Walz
11. Inception
12. Stratosfear
13. Fall of Collective Consciousness

LINE-UP
Mattia “Vigor” Amadori – Voce
Daniel Matta – Batteria
Roberto Schirru – Chitarra ritmica
Federico Raspa – Basso
Lorenzo Mariani – Chitarra Solista

AD VITAM – Facebook

Horror Necros – The Bite Of A Hornet

The Bite Of A Hornet è un esordio che raggiunge la sufficienza e nulla più, il sound è quello giusto ma una maggiore varietà renderebbe l’ascolto sicuramente più intrigante

Death metal brutale, con un tocco di modernità, è quello che ci offrono gli Horror Necros, band russa formata da soli due musicisti, Dmitriy Kuznetsov e Maxim Smeliy.

The Bite Of The Hornet è il primo lavoro di questi deathsters dell’est europeo, che affrontano la materia forti di un sound dal buon impatto ma sinceramente dalle poche idee.
Groove apocalittico e modernista fa da tappeto sonoro al vocione brutal, accompagnato da chitarre squassanti e qualche solos melodico, concentrati in un monolitico muro di note compresse.
Senza lesinare watt, gli Horror Necros mostrano un sound ancora da perfezionare, troppa potenza monocorde sprigionano brani che rischiano di essere dimenticati, tanto è il senso di ascoltare un’unica devastante song.
Le tracce si susseguono senza guizzi qualitativi, in parte cantate in lingua madre, la produzione rende il sound sferragliante mentre il duo imperterrito sprigiona violenza metallica che ricorda dei Cannibal Corpse dal mood industriale.
Per la cronaca le due cover, poste in chiusura (I’m in Hate degli Ektomorf e Roots Bloody Roots dei Sepultura), risultano i brani più riusciti.
The Bite Of A Hornet è un esordio che raggiunge la sufficienza e nulla più, il sound è quello giusto ma una maggiore varietà renderebbe l’ascolto sicuramente più intrigante, aspettiamo il prossimo passo sperando di constatare ulteriori passi avanti.

TRACKLIST
1. Death сад
2. The Bite of a Hornet
3. Color Blindness
4. Дробь в свиной голове
5. Экзорцист
6. My Reflection
7. Jumanji
8. Тема зла
9. I’m in Hate (Ektomorf cover)
10. Roots Bloody Roots (Sepultura cover)

LINE-UP
Dmitriy Kuznetsov – Guitars, Vocals
Maxim Smeliy – Guitars

Aleph – Thanatos

Il suono è subito riconoscibile, e già questo è un segno di bravura, e il disco sale fino a raggiungere vette davvero alte, usando registri diversi fra loro, tenuti insieme dalla bravura del gruppo.

Ambizioso terzo disco per questo gruppo bergamasco, con un death metal con forti inserti di sympho di ottima fattura e sicura resa. Disco diviso in due movimenti, per entrambi l’argomento principale è la morte, che è la nostra unica vera divinità.

Se ci pensiamo bene tutto la nostra vita ruota intorno alla sua nemesi ,ovvero la morte, e le visioni che essa genera sono descritte molto bene in questo lavoro. Gli Aleph sono un gruppo molto capace tecnicamente e con grande capacità di composizione, il disco è notevole e non registra mai un momento ovvio o un qualcosa di lontanamente avvicinabile ad un cliché, è sempre in cerca di novità e di stupire con improvvise epifanie l’ascoltatore. Ascoltando Thanatos si possono trovare tantissimi spunti, dal death metal più ortodosso a una forte dose di prog, il tutto condito da tastiere davvero incisive. Il respiro globale del disco è molto forte ed ampio, e Thanatos è uno dei migliori prodotti metal uscito ultimamente in Italia. Il suono è subito riconoscibile, e già questo è un segno di bravura, e il disco sale fino a raggiungere vette davvero alte, usando registri diversi fra loro, tenuti insieme dalla bravura del gruppo.

TRACKLIST
1. The Snakesong
2. The Old Master
3. A Game Of Chess
4. The Severed Skull
5. Fire Demon
6. Nightmare Crescendo
7. Sea Of Darkness
8. …The Silence…
9. Thanatos
10. Winterlude
11. Smoke and Steel / Multitudes
12. Still Inside
13. A Renegade’s Path
14. Remains/Remained

LINE-UP
Dave Battaglia: Vocals, Guitar
Giuseppe Ciurlia: Guitar
Manuel “Ades” Togni: Drums
Giulio Gasperini: Keyboards
Antonio Ceresoli: Bass

ALEPH – Facebook

Akhenaten – Incantations Through the Gates of Irkalla

Il lavoro di ricerca dei fratelli Houseman è qualcosa di peculiare, soprattutto dal punto di vista dell’amalgama della strumentazione tradizionale egizia con la struttura del metal estremo.

Prendete due fratelli del provenienti dal Colorado, irrimediabilmente affascinati della storia egizia e date loro in mano degli strumenti musicali: ecco gli Akhenaten.

Qualcuno potrebbe pensare che non ci sia alcunché di nuovo in tutto questo, specialmente se la base musicale sulla quale riversare la propria passione per le sonorità mediorientali è un robusto black death: in fondo non lo fanno già da molti anni i Nile e i Melechesh ?
Beh, permettetemi di dire che il lavoro di ricerca dei fratelli Houseman è qualcosa di differente e, per certi versi, persino superiore, perlomeno dal punto di vista dell’amalgama della strumentazione tradizionale con la struttura del metal estremo. Della band di Karl Sanders abbiamo sempre amato l’approccio ed i riferimenti alla storia egizia che, alla fin fine, sono più presenti a livello lirico che non musicale, laddove viene esibito un death brutale quanto tecnicamente sopraffino e che ha ben pochi eguali.
Quello che viene messo in atto dagli Akhenaten, invece, assomiglia molto di più a quanto fatto dagli Al Namrood, con la differenza non da poco che questi ultimi, pur vivendo in Canada, sono di nascita saudita, mentre i nostri la cultura araba l’hanno solo acquisita.
Va detto che il deus ex machina del duo è Jerred, che si occupa di tutti gli strumenti, mentre Wyatt presta il suo canonico growl a completamento dell’opera. La maestria nel maneggiare la materia e la strumentazione tradizionale è esattamente ciò che rende speciale Incantations Through the Gates of Irkalla, facendone un lavoro irrinunciabile per chi ama il metal abbondantemente annaffiato da atmosfere arabeggianti.
Non c’è dubbio che gli Houseman traggano qualche spunto anche dai Septicflesh della svolta sinfonica, e non è un caso se la band ellenica viene omaggiata con una fedele ed efficace cover di Anubis, brano capolavoro tratto da Communion.
Per il resto, tutte le tracce meritano d’essere ascoltate con curiosità mista a piacere, facendo attenzione al peculiare lavoro percussivo di Jarred, vero e proprio valore aggiunto di un album davvero eccellente.

Tracklist
1. Incantations Through the Gates of Irkalla
2. The Watchers
3. Enlil: Lugal Kurk Ur Ra
4. Ninurta: The Fall of Anzu
5. The Passage Through Flames
6. Brahma Astra
7. Anunnaki
8. Apkallu: Seven of the Abzu
9. Mis Pi
10. Golden Palace of the Lamassu
11. Abu Simbel
12. Anubis (Septic Flesh cover)

Line-up:
Jerred Houseman – Guitars, Drums, Bass
Wyatt Houseman – Vocals

AKHENATEN – Facebook

Dead Twilight – Endless Torment

Album da ascoltare con attenzione, Endless Torment racchiude in sé una brutale aggressione alla mente umana, stravolta da cotanta belligeranza

La Sicilia non smette di regalare musica di un certo livello, che sia estrema o meno, i gruppi che si affacciano sulla scena underground non difettano certo in personalità e hanno tutti qualcosa da dire, in termini musicali, senza ancorarsi a cliché triti e ritriti.

Il trio estremo dei Dead Twilight conferma quanto scritto, licenziando un album di death metal brutale, disturbante e dall’atmosfera apocalittica.
Nato da un’idea del chitarrista Luca Bellante, uscito dalla death metal band Pantheist nel 2001, il gruppo vede Marco Bellante al growl e Calogero Schillaci al basso, mentre i suoni di batteria sono lasciati ad una drum machine.
Poco male, il sound dei nostri è un inferno sulla terra, un alienante massacro estremo che senza pietà si riversa sull’ascoltatore, tramortito dai micidiali colpi portati di una band oltranzista ed estrema all’ennesima potenza.
Primo lavoro sulla lunga distanza, Endless Torment segue due demo usciti tra il 2006 e il 2011 (…a Litany for the Deads… e Echoes from Nothingness) e si affaccia sulla scena portando morte e distruzione, con chitarre e growl al limite dell’umano e un’attitudine estrema che trova pochi eguali.
Qualche somiglianza con il death metal di estrazione americana, poi Endless Torment vive di luce propria: gli strumenti si rincorrono senza tregua, in un tornano di suoni da tregenda; per i testi vengono usati vari idiomi, dal greco antico al tedesco ed al latino, mentre l’assalto sonoro portato dal gruppo non si ferma fino all’ultimo secondo della conclusiva Letzer Wille.
Eternal City segue l’intro Finis Infinitatis e ci invita a questo massacro sonoro dalla violenza allucinata, lungo una mezz’ora circa di armageddon musicale, ed il risultato è una sequela di brani dall’alto tasso brutale tra i quali Eos e Legion fanno da traino per tutto il lavoro.
Album da ascoltare con attenzione, Endless Torment racchiude in sé una brutale aggressione alla mente umana, stravolta da cotanta belligeranza, consigliato.

TRACKLIST
1. Finis Infinitatis (Intro)
2. Eternal City
3. Neun Tugenden
4. Eos
5. Apocalypsis
6. Legion
7. Dead Realm
8. Carmen Saliare Mars Dicatur
9. Letzer Wille

LINE-UP
Marco “Asavargr” – Voce
Luca – Chitarra, programmazione batteria
C.S. Jack – Basso

DEAD TWILIGHT – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=28pYKyTk9gc

Purtenance – …to Spread the Flame of Ancients

Una notevole prova di forza da parte del quartetto finlandese, ormai ripulito dalla ruggine del tempo e pronto per dire la sua nel panorama underground estremo.

Con un po’ di ritardo sull’uscita, vi proponiamo questo ottimo lavoro di death metal old school, licenziato dai finlandesi Purtenance, datato combo attivo dall’alba degli anni novanta.

Non più dei novellini, dunque, ma una realtà che ha vissuto all’ombra delle band storiche del genere e tornata dopo un lungo stop a deliziarci con il loro metal estremo putrido e marcissimo.
La band infatti nasce in quel di Nokia, nel 1991, in un periodo di pieno sviluppo del genere nelle fredde terre del nord; il primo ep è seguito dal full length Member of Immortal Damnation del 1992, poi un lungo silenzio interrotto dalla firma con la Xtreem e la reunion che porta, nel 2012, alla pubblicazione dell’ep Sacrifice the King.
La band trova continuità ed il 2013 è l’anno del secondo lavoro sulla lunga distanza, il buon Awaken from Slumber.
Ritroviamo i Purtenance alla fine dello scorso anno con questo nuovo album che li riporta un livello consono alla fama underground del gruppo: …to Spread the Flame of Ancients, pur rimanendo ancorato ai dettami della scuola classica del genere, ha nel songwriting la sua arma letale.
Ottimi brani, tra death metal old school, rallentamenti di scuola Asphyx e passaggi brutali che potenziano ancora di più l’impatto di songs monolitiche e debordanti come On the Far Side of Knowledge, Blood Oath e mazzate estreme come Disseminated Death e The Unseen, risultano davvero devastanti, valorizzate da ritmiche chirurgiche e riffing scritti nell’abisso infernale dove il gruppo risiede, a fianco dei maestri del genere.
Una notevole prova di forza da parte del quartetto finlandese, ormai ripulito dalla ruggine del tempo e pronto per dire la sua nel panorama underground estremo.
Per i fans dei vari Dismember, Entombed, Asphyx e i vari nascituri della nidiata malefica dei primi novanta, …to Spread the Flame of Ancients è un album assolutamente consigliato, a riprova di un ottimo ritorno.

TRACKLIST
1. Invocatio
2. Preventio
3. Waiting to Be Free
4. I, the Sacrificed
5. On the Far Side of Knowledge
6. Destroyed Human Mind
7. Blood Oath
8. Cornerstone of Insanity
9. Disseminated Death
10. The Unseen
11. Kaaos on Kanssamme (Chaos Is with Us)

LINE-UP
Harri Saro – Drums
Juha Rannikko – Guitars
Ville – Bass, Vocals
Ville Nokelainen – Guitars

PURTENANCE – Facebook

Stigmata – The Ascetic Paradox

Gli Stigmata viaggiano tra tutti i sottogeneri del metal, la loro musica risplende di digressioni jazzate, folkloristiche, in uno tsunami di ritmiche devastanti

Che bello viaggiare virtualmente per il mondo alla ricerca di realtà musicali che, se non fosse per la collaborazione con IYE, avrei sicuramente perso, per quanto nella mia lunga vita da appassionato di musica non abbia mai smesso di cercare e scovare band interessanti e, magari agli inizi della loro carriera, poco conosciute.

Ed ecco che, come ormai d’abitudine, mi immergo nel mondo metallico asiatico, questa volta è lo Sri Lanka ad accogliermi, paese che ha dato i natali nell’ormai lontano 1999 a questa clamorosa band che prende il nome da un album degli Arch Enemy, gli Stigmata.
Il quintetto, proveniente dalla città di Colombo, è in possesso di una nutrita discografia, iniziata nei primi anni del nuovo millennio con un ep (Morbid Indiscretion) e proseguita con tre lavori sulla lunga distanza, Hollow Dreams del 2013, Silent Chaos Serpentine del 2006, Psalms of Conscious Martyrdom del 2010 e quest’ultimo, eccellente The Ascetic Paradox.
Come avrete notato in alto a destra, il genere descritto è semplicemente metal: troppo lunga sarebbe stata la lista se fossi andato nello specifico, perché questi cinque ottimi musicisti inglobano nel loro sound praticamente tutti i generi di cui il mondo metallico è composto.
Il bello è che lo fanno con una semplicità disarmante e quello che ne esce non è un minestrone di suoni, ma un’ apoteosi di metalliche atmosfere devastanti, ipertecniche, progressive, potenti, drammatiche ed assolutamente originali nel loro saltare da un genere all’altro.
Partendo da una base sonora che si avvicina terribilmente ai Nevermore più progressivi (anche per la voce spettacolare del singer che ricorda non poco quella di Warrel Dane), gli Stigmata viaggiano tra tutti i sottogeneri del metal, la loro musica risplende di digressioni jazzate, folkloristiche, in uno tsunami di ritmiche devastanti: le sei corde valorizzano il tutto con riff e solos dalla tecnica formidabile, molte volte a velocità inaudita.
I testi di denuncia politico, sociale e religiosa sono interpretati con toni tragici e drammatici da Suresh de Silva, vocalist sontuoso, dotato di una personalità debordante così come l’album, che risulta un’opera fuori dal comune.
Tra i solchi di questi otto brani, lunghi ed articolati, tutti d’ascoltare, ma guidati dalla progressiva Rush Through The Twilight Silver Slithering Stream e dalla conclusiva suite estrema, di ben oltre tredici minuti, And Now We Shall Bring Them War!, troverete ad aspettarvi Nevermore, Death, Cynic, Tool, Arch Enemy, Pestilence, Dream Theather, Rush e molti altri, uniti in questo stupendo affresco metallico al secolo The Ascetic Paradox.

TRACKLIST
1. Our Beautiful Decay
2. An Idle Mind is The Devil’s Workshop
3. Stillborn Again
4. Rush Through The Twilight Silver Slithering Stream
5. Calm
6. Axioma
7. Let The Wolves Come & Lick Thy Wounds
8. And Now We Shall Bring Them War!

LINE-UP
Suresh de Silva – Vocals, Lyrics
Tennyson Napoleon – Rhythm Guitar
Andrew Obeyesekere – Lead Guitar
Lakmal Chanaka Wijayagunarathna – Bass Guitar
Roshan Taraka Senewirathne – Drums

STIGMATA – Facebook