Denied – Freedom Of Speech

Difficile trovare difetti in un album come questo, tributo alle sonorità metalliche tradizionali figlie dei Judas Priest e dei loro adepti che, negli anni, hanno portato avanti il credo di Rob Halford e soci, personalizzandolo con soluzioni power/thrash che sono la firma in calce del gruppo svedese.

Nuovo lavoro per gli svedesi Denied, affacciatisi da una quindicina d’anni sulla scena scandinava con il loro heavy metal old school potenziato da ritmiche thrash.

Il sound del gruppo di Stoccolma risulta un diretto in pieno volto, carico di forza heavy e valorizzato da ottime melodie che ne fanno un esempio di metal classico di origine controllata.
La band, in questo ultimo Freedom Of Speech, successore di altri tre album, si affida per le parti vocali all’ex Johan Fahlberg, ora nei Jaded Heart, protagonista di una prova sopra le righe, con Chris Laney (Pretty Maids), Andreas Larsson, and Madde Svärd come illustri ospiti e Fredrik Folkare (Unleashed, Firespawn) ad occuparsi di missaggio e masterizzazione.
L’album è una bomba heavy metal, con i musicisti impegnati in performance di valore assoluto ed una raccolta di brani che non mancheranno di esaltare i fans dell’heavy metal classico.
Andreas Carlsson e Chris Vowden (chitarre) e Markus Kask (batteria) sono i tre Denied, metallari duri e puri che con Freedom Of Speech confermano la bontà della loro proposta, musica metal fusa nell’acciaio, dalle melodie impeccabili e dalla forza dirompente.
L’album non concede tregua, nessuna ballad lascia riprendere fiato all’ascoltatore, qui si viaggia senza freni tra veloci scudisciate thrash, graffianti solos heavy metal, mid tempo terremotanti e melodie che si stampano in testa, valorizzate dall’ottima prova delle due asce e da quell’animale metallico dietro al microfono che si rivela Johan Fahlberg.
Difficile trovare difetti in un album come questo, tributo alle sonorità metalliche tradizionali figlie dei Judas Priest e dei loro adepti che, negli anni, hanno portato avanti il credo di Rob Halford e soci, personalizzandolo come detto con soluzioni power/thrash che sono la firma in calce del gruppo svedese.
Inutile nominare un brano piuttosto che un altro, quindi glsparatevi questo assalto heavy metal tutto d’un fiato, non ve ne pentirete.

Tracklist
1.Alive
2.Don’t You Know Me
3.Scarred Soul
4.Domestic Warrior
5.The Other Side
6.The Ferryman
7.The Devil in Me
8.Three Degrees of Evil
9.False Truth
10.Freedom of Speech
11.Stay Hungry (Twisted Sister cover)

Line-up
Andreas Carlsson – Guitar
Chris Vowden – Leadguitar
Markus Kask – Drums
Johan Fahlberg – Vocals

DENIED – Facebook

Crying Steel – Stay Steel

Stay Steel è un album dal taglio internazionale che ritroveremo sicuramente nelle classifiche di fine anno, almeno per quanto riguarda il metallo classico.

Si torna a parlare di una delle più importanti band heavy metal della nostra penisola, i Crying Steel, leggendario combo attivo dal lontano 1982, anno di uscita del primo demo.

Ovvio che qui si parli della storia del metal classico tricolore, trattandosi di uno dei dei gruppi proposti dal mitico Beppe Riva nella compilation HM Eruprion, che in quegli anni fu una sorta di Vangelo metallico.
Un primo full length licenziato nel 1987 (On The Prowl) e poi venti lunghi anni di silenzio fino al 2007, quando la band bolognese rientra in gioco con il primo di tre lavori arrivando così al 2018, con un Tony Mills in più dietro al microfono (Shy ,TNT, China Blue, tra gli altri) e dando fuoco alle polveri con questo manifesto all’hard & heavy classico intitolato Stay Steel, un pezzo di acciaio indistruttibile, tagliente e melodico, un ritorno imperdibile per tutti gli appassionati del metal duro e puro.
Le chitarre si incendiano sotto le dita dei due chitarristi Franco Nipoti e JJ Frati, la sezione ritmica supporta potente e massiccia con un Luca Ferri kraken dai devastanti tentacoli e Angelo Franchini preciso al basso, il tutto valorizzato da un Mills debordante: questo risulta in sintesi questo nuovo entusiasmante lavoro che si apre con una Hammerfall che lancia le carte e sbanca il tavolo da gioco, asso di una scala reale metallica.
Con The Killer Inside, Blackout e uno dopo l’altro tutti i brani, Stay Steel rappresenta l’heavy metal che ogni fan di Judas Priest e Accept vorrebbe sentire, suonato da un gruppo che non emula ma che, vista la lunga militanza, è custode della tradizione di un modo di fare metal che continua, malgrado gli anni che passano, ad essere nei cuori dei defenders.
Licenziato dalla Pride & Joy Music, Stay Steel è un album dal taglio internazionale che ritroveremo sicuramente nelle classifiche di fine anno, almeno per quanto riguarda il metallo classico.

Tracklist
1. Hammerfall
2. The Killer Inside
3. Speed Of Light
4. Born In The Fire
5. Blackout
6. Barricades
7. Raise Your Hell
8. Crank It Up
9. Sail The Brave
9. Name Of The Father
10. Name Of The Father
11. Warriors
12. Road To Glory

Line-up
Tony Mills – Vocals
Luca Ferri – Drums
Angelo Franchini – Bass
JJ Frati – Guitar
Franco Nipoti – Guitar

CRYING STEEL – Facebook

Tezza F. – A Shelter From Existence

L’album è vario, non stanca e ci riporta per un’ora nel clima classico e fiero del genere suonato una ventina d’anni fa dai primi Rhapsody, Gamma Ray, Blind Guardian ed Edguy.

Power metal melodico e sinfonico il giusto, epicissimo e che non rinuncia a correre veloce e potente, sullo stile delle uscite che infiammarono i cuori del true defenders di metà anni novanta.

Questo è più o meno il sunto dell’ottima proposta di Filippo Tezza, cantante dei Chronosfear e bassista-cantante degli Empathica, giunto al secondo lavoro del suo progetto solista, attivo dal 2006 e firmato Tezza F.: A Shelter From Existence segue di sei anni il primo album autoprodotto, The Message (…A Story Of Agony, Hope and Faith…) che gli valse la firma con Heart Of Steel Record.
Aiutato da Michele Olmi (Chronosfear, SpellBlast) alla batteria e da Davide Baldelli (Chronosfear), alle tastiere su tre brani,  il polistrumentista e songwriter nostrano dà vita ad un ottimo album incentrato su sonorità classiche, dalle varie impostazioni vocali che sconfinano nello scream di stampo black metal e dove non mancano parti cantante in italiano.
Epico, composto da brani medio lunghi ma non prolissi e piacevoli nella loro fluidità, A Shelter From Existence si rivela un lavoro riuscito, fresco e ben fatto, anche se ovviamente ispirazioni ed influenze sono chiare nel loro seguire i trademark del power metal melodico.
L’album è vario, non stanca e ci riporta per un’ora nel clima classico e fiero del genere suonato una ventina d’anni fa dai primi Rhapsody, Gamma Ray, Blind Guardian ed Edguy.
Tezza dimostra di saperci fare, confezionando un piccolo gioiello classico e lo valorizza con la bellissima suite Of Life And Death Opera, quindici minuti che riassumono in maniera impeccabile il credo musicale del progetto, tra orchestrazioni, ripartenze fulminee, mid tempo epici e tutto quello che gli amanti di queste sonorità vogliono trovare all’ascolto di un’opera del genere.
A Shelter From Existence risulta così una gradita sorpresa e un altro passo assolutamente riuscito per il musicista veronese.

Tracklist
01. The Dawn of Deliverance – intro
02. Nailed to My Dreams
03. A New Dimension
04. Gates To Worlds Unknown
05. Gleams Of Glory
06. Across The Sky
07. The Shelter
08. Rise and Fall
09. Of Life and Death Opera

Line-up
Filippo Tezza – all vocals, all instruments, programming, compositions, lyrics
Michele Olmi – Drums
Davide Baldelli – Keyboards (2,5, 6)

TEZZA F. – Facebook

Parris Hyde – Undercover 1

Thrash, horror metal, hard rock: le ispirazioni per creare musica arrivano da svariati generi e vengono confermate anche in questo ep, nel quale il gruppo si cimenta in canzoni pescate dalle discografie di artisti dei più svariati generi.

Tornano i Parris Hyde, band nostrana capitanata dal compositore e musicista omonimo, ex Bonecrusher poi con gli hard rockers Waywarson, dando alle stampe un ep intitolato Undercover 1, composto da quattro cover, un brano inedito e la “video version” del singolo 2ND2NO1.

Undercover 1 viene licenziato dal gruppo in attesa del nuovo full length, successore del debutto Mors Tua Vita Mea, uscito un paio di anni fa e che vedeva la band inglobare in un unico sound tutte le influenze del musicista italiano, da trent’anni nella scena underground rock/metal.
Thrash, horror metal, hard rock: le ispirazioni per creare musica arrivano da svariati generi e vengono confermate anche in questo ep, nel quale il gruppo si cimenta in canzoni pescate dalle discografie di artisti dei più svariati generi,  da Living Next Door To Alice (Smokie) alla famosissima Bad Romance di Lady Gaga, per tornare al metal con House of 1.000 Corpses di Rob Zombie e la splendida versione del capolavoro Lost Reflection dei Crimson Glory, tributo al grande Midnight, cantante preferito dal singer nostrano.
No Place To Call Me, ripresa dalle session del primo full length è un inedito metal/blues molto suggestivo, una jam tra Lizzy Borden e primi Whitesnake firmata Parris Hyde.
La versione video di 2ND2NO1, secondo brano nella track list di Mors Tua Vita Mea, conclude al meglio questo interessante ep: in attesa, come scritto, del nuovo lavoro del gruppo, nel frattempo godetevi questo ep, a conferma dell’ottima proposta dei Parris Hyde.

Tracklist
01.Living Next Door To Alice
02.Bad Romance
03.House of 1.000 corpses
04.Lost Reflection
05.No Place To Call me
06.2ND2NO1 (Video Version)

Line-up
Parris Hyde – Vocals, Guitars, Keyboards
Paul Crow – Guitars
Max Dean – Bass
Karl Teskio – Drums

PARRIS HYDE – Facebook

Sacro Ordine Dei Cavalieri di Parsifal – Heavy Metal Thunderpicking

Heavy Metal Thunderpicking è un album pensato e suonato per gli amanti dell’heavy metal tradizionale, magari con qualche capello bianco sulla rada chioma ed il chiodo da anni ormai piegato nel baule in soffitta.

Arriva al debutto sulla lunga distanza tramite la Sliptrick la storica band goriziana Sacro Ordine Dei cavalieri di Parsifal, monicker che risveglia antiche leggende e l’istinto metallico degli appassionati meno giovani.

Attivo dall’alba del nuovo millennio per volere del cantante Paolo Fumis e del chitarrista Carlo Venuti, il gruppo dopo il primo demo licenziato nel 2005 ed un live uscito dieci anni dopo, a seguito di un lungo stop e vari cambi di line up, dà alle stampe questo buon lavoro di heavy metal old school, ispirato alla scena del decennio ottantiano ed in particolare alla New Wave Of British Heavy Metal: un heavy metal tradizionale, epico ed evocativo che riprende la tradizione britannica, senza dimenticare la lezione impartita dai Manowar, specialmente nei brani dove le atmosfere si fanno più epiche come in Tears Of Light.
Si torna indietro nel tempo con Heavy Metal Thunderpicking, le spade lucidate dagli scudieri brillano sul campo di battaglia prima di essere sporcate dal sangue di gloriosi cavalieri, e l’heavy metal trionfa, duro e puro come se tutti questi anni non fossero mai passato, in una bolla temporale dove primi Iron Maiden, Saxon, Manowar, Balck Sabbath e Dio, fossero ancora gli unici custodi del Sacro Graal della musica metal.
La produzione, che segue l’atmosfera retrò dell’opera, accentua l’attitudine old school dei vari brani che hanno in Ace Of Clubs, Fate’s Embrance e Stripes On The Sand sono le tracce più marcatamente sabbathiane dell’album, in un clima di scontri eroici ed evocative atmosfere epiche.
Heavy Metal Thunderpicking è un album pensato e suonato per gli amanti dell’heavy metal tradizionale, magari con qualche capello bianco sulla rada chioma ed il chiodo da anni ormai piegato nel baule in soffitta.

Tracklist
01. Intro
02. Ace Of Clubs
03. Fate’s Embrance
04. Earthshaker
05. Tears Of Light
06. Four Kings
07. Endless Worm
08. Stripes On The Sand
09. The Blood Of Your Roots

Line-up
Paolo Fumis – Vocals
Carlo Venuti – Guitar
Davide Olivieri – Guitar
Luca Komavli – Drums
Claudio Livera – Bass

SACRO ORDINE DEI CAVALIERI DI PARSIFAL – Facebook

Daylight Silence – Threshold Of Time

Il sound sprigionato da questo forzato esilio nello spazio è un hard & heavy dal piglio melodico e progressivo, tagliente e graffiante il giusto per non perdere contatti con i fans terrestri del metal old school, nobile nelle sue trame e duro nell’impatto.

Una nuova band è in arrivo dallo spazio profondo, con la Red Cat ad interagire tra la terra e la navicella spaziale su cui viaggiano i Daylight Silence, quintetto romano al debutto con Threshold Of Time, concept fantascientifico nel quale i nostri sono cinque mercenari in un mondo portato allo stremo da guerre, ribellioni e lotte intestine, fino alla repressione da parte di un governo totalitario.

Il progetto Daylight Silence prevedeva di oltrepassare i limiti di spazio e tempo tramite l’utilizzo di una “cronosfera”: un veicolo in grado di creare un mini buco nero, una singolarità, con la quale spostarsi da un luogo all’altro eludendo la velocità della luce.
Il test, con un equipaggio sacrificabile tra i condannati per vari reati politici e sociali, non andò come previsto e la navicella si perse nello spazio, con l’equipaggio che, senza speranza di tornare sulla terra cominciò a suonare.
E il sound sprigionato da questo forzato esilio è un hard & heavy dal piglio melodico e progressivo, tagliente e graffiante il giusto per non perdere contatti con i fans terrestri del metal old school, nobile nelle sue trame e duro nell’impatto.
Threshold Of Time è il frutto di un sodalizio obbligato, una voce metallica che arriva dallo spazio sotto forma di otto brani di buona fattura, grintosi, ma raffinati quel tanto che basta per concedersi spunti progressivi tra Crimson Glory e Queensryche. in un contesto al passo con i tempi.
Heavy metal dallo spazio per il nuovo millennio, così si potrebbe definire il sound creato per The Power Of Speech, grintosa opener dell’album e splendido biglietto da visita spedito dai Daylight Silence.
L’album mantiene le premesse poste con il primo brano e regala ancora ottime trame tra l note delle varie Dreaming Of Freedom, Making Up my Mind e la conclusiva title track.
Una band interessante e un buon debutto consigliato agli amanti dell’heavy metal progressivo e nobile, fatto di chitarre taglienti e splendide melodie.

Tracklist
1. The Power Of Speech
2.Dreaming Of Freedom
3.Live As One
4.Falling To The Ground
5.Making Up My Mind
6.Someone I Know
7.Sleep
8.Threshold Of Time

Line-up
MR.Wolf – Drums
M.T.Drake – Guitars
Von Braun – Vocals
Doctor X – Bass
El Diablo – Guitars

DAYLIGHT SILENCE – Facebook

Original Sin – Story Of A Broken Heart

Una raccolta di brani molto interessanti e dalle ottime melodie, neanche troppo nascoste sotto l’armatura formata da un hard & heavy che ha le sue radici negli anni ottanta, melodico ma senza smarrire il suo impatto, potenziato da ritmiche hard rock ed epicità.

Vi presentiamo Story Of A Broken Heart, debutto sulla lunga distanza dei ravennati Original Sin, uscito lo scorso anno in regime di autoproduzione.

Attiva da tre anni, dopo un paio di apparizioni in concorsi canori tra cui il Sanremo Rock, la band prova a conquistare i cuori del rockers con questa raccolta di brani molto interessanti e dalle ottime melodie, neanche troppo nascoste sotto l’armatura formata da un hard & heavy che ha le sue radici negli anni ottanta, melodico ma senza smarrire il suo impatto, potenziato da ritmiche hard rock ed epicità.
Matteo Axis Berti (voce e chitarra), Federico Fede Maioli (chitarra), Manuel Mana Montanari (basso) e Luca Canna Canella (batteria) ci fanno partecipi del loro tributo a queste sonorità e Story Of Broken Heart si presenta come un album vario, passando da brani heavy metal a ballad semi acustiche suonate sui marciapiedi delle strade americane.
Gli States chiamano Londra e Londra risponde con brani che tanto hanno dell’epicità di Dio e del classic rock britannico, mentre l’hard rock melodico si insinua tra lo spartito per donare un tocco raffinato al songwriting di brani piacevoli come l’opener Cry With Me.
Non ci sono cadute di tono, l’album mantiene una buona qualità per tutta la sua durata con le chitarre sugli scudi, protagoniste di gustosi solos dal flavour epico (Fighting For Your Love), con lampi che si disegnano nel cielo alternati alle luci che all’imbrunire illuminano le strade metropolitane (I’m Waiting).
Story Of A Broken Heart è sicuramente una partenza convincente per gli Original Sin, con qualche dettaglio da perfezionare come la produzione e la voce migliorabile nei brani più heavy ed epici.

Tracklist
1.Cry With Me
2.Living Life
3.I’m Still Burnin
4.Mr. Danger
5.Rebellion
6.Fighting for Your Love
7.Story of a Broken Heart
8.For Ever
9.I’m Waiting

Line-up
Matteo Berti – Vocals, Guitars
Federico Maioli – Guitars
Manuel Montanari – Basso
Luca Canella – Drums

ORIGINAL SIN – Facebook

Spellblast – Of Gold And Guns

Tornano gli Spellblast, band che coniuga il power metal con atmosfere western: il loro nuovo Of Gold And Guns, senza toccare le vette del precedente lavoro, si rivela comunque un buonissimo album.

Tornano i power metal/cowboy Spellblast dopo il sontuoso Nineteen, album licenziato dal gruppo quattro anni fa.

La band, abbandonato il power/folk delle origini, ha dato alle stampe un buon lavoro che, se non raggiunge le vette artistiche del precedente album, si assesta su un buon esempio di power metal dai richiami western, questa volta anche nei titoli dei brani, ognuno dedicato ad un personaggio della frontiera americana, dai fumetti di Bonelli (Tex Willer) ai pistoleri realmente esistiti come Wyatt Earp o Billy The Kid.
Ovviamente i riferimenti musicali al mondo del Far West sono i maggiori responsabili dell’attenzione dovuta al gruppo, bravo nel saper coniugare il power metal con sfumature tipiche delle colonne sonore di Ennio Morricone, il più grande compositore di musiche da film ed assoluto genio nel trasformare in note la polvere, il caldo, il tintinnio dei penny sul tavolo da gioco dei saloon.
L’album parte con Tex Willer, brano che fatica a decollare, mentre il trittico Wyatt Earp, Billy The Kid e Jesse James risulta uno splendido esempio del sound del gruppo, con il power metal valorizzato dalle atmosfere western che toccano lidi epici da duelli all’O.K. Corral.
Si continua a schivare pallottole in mezzo alla strade polverose fino a Goblins In Deadwood, tributo ai Goblin, ai quali il gruppo aveva già dedicato un brano sul debutto Horns Of Silence (Goblins’ Song), mentre la cover di Wanted Dead Or Alive dei Bon Jovi chiude questo tuffo nel mondo della cultura western in salsa power metal. Come detto, Of Gold And Guns risulta leggermente inferiore al suo splendido predecessore, ma rimane comunque un buonissmo lavoro.

Tracklist
1. Tex Willer
2. Wyatt Earp
3. Billy The Kid
4. Jesse James
5. Sitting Bull
6. William Lewis Manly
7. Crazy Horse
8. Goblins In Deadwood
9. William Barret Travis
10. Wanted Dead Or Alive

Line-up
Luca Arzuffi – Guitars
Xavier Rota – Bass
Dest Ring – Vocals
Manuel Togni – Drums

SPELLBLAST – Facebook

Rusty Nails – Seasons Of Hatred

Seasons Of Hatred vive di potenza metallica valorizzata da una componente power dosata a meraviglia dai suoi creatori, con picchi di notevole qualità, tra trame pacate ma semre sul punto di esplodere e deflagrazioni improvvise.

Si può suonare heavy metal classico, risultando moderni nei suoni ed esplosivi, pur ricordando a più riprese la scena del decennio storico ottantiano?

Chiedetelo ai toscani Rusty Nails, tornati dopo sette anni dal primo ep con in tasca il contratto con Sliptrick Records e di conseguenza con il primo lavoro sulla lunga distanza, questo incendiario Seasons Of Hatred.
Una lunga storia iniziata addirittura nel 2001 con il monicker Avatar, un numero esponenziale di problemi che ne rallentarono la carriera fono all’uscita di Mind Control e poi ancora un lungo stop lungo sette anni prima che le chitarre tornassero a ruggire su questi otto brani di cui un paio ripresi dal precedente lavoro (Mind Control e The End Of All Days).
Ma lasciamo i problemi al passato e prendiamo a capocciate il muro della stanza sotto il bombardamento heavy/power metal di Seasons Of Hatred e delle sue otto tracce che, già dall’opener Years Of Rage, mette subito in chiaro che qui si fa heavy metal di scuola priestiana, potenziata da dosi massicce di power americano alla Iced Earth, teatrale e drammatico il giusto per scuotere i fans addormentati ed impegnati a sognare un giradischi su cui girano i vinili di Painkiller e Something Wicked This Way Comes.
Epico ed interpretato con sanguigna drammaticità dall’ottimo singer Paolo Billi, l’album vive di potenza metallica valorizzata da una componente power dosata a meraviglia dai suoi creatori, con picchi di notevole qualità (su tutti gli otto minuti di The Outer Lords), tra trame pacate ma sempre sul punto di esplodere e deflagrazioni improvvise, dove Day Of Punishment e Mind Control sono uno spettacolo di lampi e saette nel cielo attraversato da burrasche metalliche.
Ottima la prova della sezione ritmica, mai velocissima ma precisa e potente (Federico Viviani alle pelli e Alessandro Crecchi al basso) e sugli scudi la prova dei due chitarristi (Claudio Della Bruna e Matteo Santoni) per un album che è un ascolto obbligato per gli amanti dei suoni heavy/power.
Di tempo ce n’è voluto tanto, ma oggi la band riparte ancora una volta come meglio non si potrebbe con questo ottimo Seasons Of Hatred.

Tracklist
1.Minutes of Hatred
2.Years of Rage
3.Day of Punishment
4.Dagon
5.Mind Control
6.Out of This World
7.The Outer Lords
8.The End of All Days

Line-up
Claudio Della Bruna – Guitars
Paolo Billi – Vocals
Federico Viviani – Drums
Alessandro Crecchi – Bass
Matteo Santoni – Guitars

RUSTY NAILS – Facebook

https://www.facebook.com/rustynailsmetal/

Michael Schenker Fest – Resurrection

Questo nuovo lavoro targato Michael Schenker ci consegna un’artista ancora in grado di dettare le regole dell’hard & heavy, trasformandolo in musica di alta qualità valorizzata dalla tecnica superiore in suo possesso, così come dei musicisti che lo circondano.

UFO, Scorpions e MSG: basterebbe citare queste tre band per accogliere questo nuovo album targato Michael Schenker come una delle uscite più importanti di questa prima metà dell’anno di grazia 2018.

Vero che gli anni passano e che, oggi, l’attempato rocker tedesco è stato sorpassato, in termini di popolarità, da molti dei musicisti che grazie a lui hanno preso in mano per la prima volta una chitarra, ma per chi comincia ad avere qualche primavera di troppo sul groppone il buon Michael rimane un’icona di quel rock ancora lontano dal tramontare.
Con il monicker Michael Schenker Fest il nostro torna con un nuovo album, accompagnato da quattro cantanti di assoluto valore (Gary Barden, Graham Bonnet, Robin McAuley e Doogie White) ed altrettanti musicisti di fama internazionale (Steve Mann alla chitarra e tastiere, Chris Glen al basso e Ted McKenna alla batteria), regalandoci un album di hard’n’heavy ispirato, intitolato Resurrection.
E come vi aspettavate, vi troverete al cospetto di un esempio sfavillante di musica heavy d’autore, con i solos di Schenker che come un mostro fagocitano l’attenzione, un turbine di melodie irresistibili e tanta voglia di suonare rock come si faceva ai bei tempi.
Attenzione però, perché su Resurrection troverete poco di degli UFO, niente degli Scorpions, semmai magari qualche riff che richiama i momenti migliori del Michael Schenker Group, qualche atmosfera epic folk molto suggestiva e cavalcate in tempi medi da smuovere catene montuose.
Prodotto benissimo e pubblicato da Nuclear Blast, nuovo lavoro targato Michael Schenker ci consegna un’artista ancora in grado di dettare le regole dell’hard’n’heavy, trasformandolo in musica di alta qualità valorizzata dalla tecnica superiore in suo possesso, così come dei musicisti che lo circondano.
Heart And Soul (con Kirk Hammett in veste di ospite), l’epico incedere medievale di Warrior, la cavalcata Take Me To The Church e tutte le altre tracce che compongono Resurrection sono il vangelo per gli amanti del genere: bentornato Mr. Schenker.

Tracklist
01. Heart And Soul
02. Warrior
03. Take Me To The Church
04. Night Moods
05. The Girl With The Stars In Her Eyes
06. Everest
07. Messing Around
08. Time Knows When It´s Time
09. Anchors Away
10. Salvation
11. Living A Life Worth Living
12. The Last Supper

Line-up
Gary Barden – Vocals
Graham Bonnet – Vocals
Robin McAuley – Vocals
Doogie White – Vocals
Michael Schenker – Guitars
Steve Mann – Guitars, Keyboards
Chris Glen – Bass
Ted McKenna – Drums

MICHAEL SCHENKER – Facebook

Against Evil – All Hail The King

Ritorno con il botto per i quattro guerrieri metallici provenienti dalla lontana India, con un nuovo lavoro imperdibile per gli appassionati di heavy metal classico.

Tornano gli indiani Against Evil con il loro debutto sulla lunga distanza intitolato All Hail The King, bellissimo lavoro che segue di tre anni l’ep Fatal Assault, ep che aveva fatto conoscere il quartetto fuori dai confini della loro immensa terra.

Prodotto dalla band, che ha lasciato come in passato il compito al nostro Simone Mularoni di masterizzare e mixare il tutto ai Domination Studio, l’album continua a strabiliare gli amanti dell’heavy metal classico con una serie di brani epici, dai suoni cristallini ed assolutamente irresistibili.
La leggenda di Zoltan, tra spade, scudi e sangue, crea un’atmosfera di epico metallo che ricorda a più riprese le prime battaglie del guerriero degli Hammerfall, anche se gli eroi indiani continuano a mantenere un poco di legame con il thrash metal, genere che aveva caratterizzato il primo ep, all’interno di una valanga di melodie incastonate come diamanti sullo spartito di un album heavy metal quasi perfetto.
Una bella copertina e Jeff Loomis ad impreziosire con la sua chitarra la thrash oriented Sentenced To Death sono dettagli importanti di questa tempesta metallica, assolutamente old school, per niente originale ma entusiasmante, soprattutto se siete fans dell’heavy metal duro e puro.
I musicisti indiani ci mettono pochi minuti a convincervi che siete al cospetto di un lavoro magnifico, il tempo che l’intro Enemy At The Gates lasci spazio all’epico mid tempo di The Army Of Four, seguita dalla title track, primo inno gridato al cielo un attimo prima di buttarsi nella mischia in nome del re.
L’album non ha pause e ci trascina in un delirio di refrain, solos e cori che strappano lacrime di sangue con Stand Up And Fight! che segue la title track alla conquista della gloria eterna.
All Hail The King arriva alla fine in un attimo, lasciandoci con la voglia di ributtarci a capofitto nello scontro accompagnati dalle note che illuminano la notte insanguinata, con We Won’t Stop e Gods Of Metal.
Ritorno con il botto, quinsi, per i quattro guerrieri metallici provenienti dalla lontana India, con un nuovo lavoro imperdibile per gli appassionati di heavy metal classico.

Tracklist
1.Enemy At The Gates
2.The Army Of Four
3.All Hail The King
4.Stand Up And Fight!
5.Sentenced To death
6.Bad Luck
7.We Won’t Stop
8.Gods Of Metal
9.Mean Machine

Line-up
Siri – Vocals, Bass
Sravan – Vocals, guitars
Shasank – Guitars
Noble John – Drums

AGAINST ALL EVIL – Facebook

Pino Scotto – Eye For An Eye

Eye For An Eye è un lavoro arcigno e graffiante, fatto di hard’n’heavy duro e puro, con Pino che torna all’idioma inglese e si circonda di vecchi amici con Dario Bucca al basso e Marco Di Salvia alle pelli e il grande Steve Angarthal che, oltre a suonare la chitarra, riveste il ruolo di coautore ed arrangiatore dei brani presenti sull’album.

Pino Scotto torna in questa primavera 2018 e lo fa come se il tempo e tutte le avventure e le collaborazioni che lo hanno visto protagonista nell’ ultimo ventennio fossero state spazzate via da una tempesta magnetica che fa scorrere il tempo a ritroso fino ai gloriosi anni ottanta, quando l’hard & heavy classico e dalle reminiscenze blues era al suo massimo splendore.

D’altronde, il carismatico cantante è senza ombra di dubbio l’unica vera icona del rock tricolore, e quei temi li ha vissuti in prima persona, in principio con i Pulsar e poi con gli ormai leggendari Vanadium, ancora oggi probabilmente la band più conosciuta fuori dai confini nazionali, parlando di heavy metal e hard rock (e non me ne vogliano le molte e bravissime realtà odierne).
Un nuovo album targato Pino Scotto è quindi da considerare un evento in una scena che, aldilà dell’ottima qualità di cui si può fregiare negli ultimi anni, fatica a trovare un minimo di considerazione in un paese sempre più lontano dalla cultura rock e metal e in tempi nei quali anche la musica è ormai considerata una mera cornice alle nefandezze che riempiono il web.
Eye For An Eye è un lavoro arcigno e graffiante, fatto di hard’n’heavy duro e puro, con Pino che torna all’idioma inglese e si circonda di vecchi amici con Dario Bucca al basso e Marco Di Salvia alle pelli e il grande Steve Angarthal che, oltre a suonare la chitarra, riveste il ruolo di coautore ed arrangiatore dei brani presenti sull’album.
Con la partecipazione come ospite del bluesman Fabio Treves all’armonica, Eye For An Eye è stato registrato all’Asgardh Music Studio di Milano da Steve Angarthal, e mixato e masterizzato da Tommy Talamanca (Sadist) ai Nadir Music Studios di Genova per un risultato a dir poco straordinario, ovvero un album dal taglio internazionale che esalta con il ritorno al sound che ha reso famoso Pino Scotto.
Quasi un’ora di grande hard’n’heavy, quindi, animato da una vena blues marchio di fabbrica del rocker, una prestazione all’altezza dei musicisti coinvolti, con un Angarthal che dimostra ancora una volta il suo talento facendo piangere la sua sei corde, tra solos heavy metal che alzano la temperatura e sanguigni passaggi nei quali la mera grinta lascia spazio all’emozione provocata da un sound forgiato sul delta del grande fiume americano.
La title track, One Against The Other, la diretta Two Guns, le ballate heavy/blues Angel Of Mercy e Wise Man Tale, il rock blues di One Way Out che odora di palude limacciose, alternano classic metal, hard rock e blues in un uno scontro tra tradizione britannica e statunitense, ma con la bandiera tricolore che sventola fiera, almeno questa volta, sullo spartito di queste undici canzoni …. ancora una volta merito di Pino Scotto, e non è una novità.

Tracklist
1.Eye for an Eye
2.The One
3.One Against the Other
4.Two Guns
5.Cage of Mind
6.Crashing Tonight
7.Angel of Mercy
8.Looking for the Way
9.Wise Man Tale
10.There’s Only One Way to Rock
11.One Way Out

Line-up
Pino Scotto – Vocals
Steve Angarthal – Guitars
Marco Di Salvia – Drums
Dario Bucca – Bass

PINO SCOTTO – Facebook

Nightwish – Decades

La monumentale raccolta che riassume i primi vent’anni di carriera della più famosa symphonic metal band del pianeta.

Sembra ieri quando per la prima volta mi imbattei nei Nightwish, signori indiscussi del power metal sinfonico da ormai vent’anni ed una delle poche band della generazione di fine secolo che può sedersi al tavolo con i grandi del metal.

Un genere portato al successo a colpi di album bellissimi, specialmente nella prima fase con la divina Tarja come sirena operistica al microfono, poi un calo e la crisi dopo la partenza del soprano più famoso del metal e l’entrata frettolosa della pur brava Annette Olzon, seguita dall’arrivo della valkiria olandese Floor Jansen e al ritorno in pompa magna con l’ultimo lavoro targato 2015 Endless Forms Most Beautiful.
E proprio dall’ultimo lavoro e dalla suite The Greatest Show on Earth che parte questo viaggio a ritroso nel mondo della band di Tuomas Holopainen, una monumentale raccolta che raccoglie in sè tutte le facce della creatura scandinava, dalle suite e dai brani più classici a quelli più diretti e prettamente metallici in un’apoteosi di suoni bombastici e magniloquenti che risultano praticamente il meglio che il symphonic metal abbia regalato per entrare di diritto nella storia.
Ovviamente Decades è pur sempre una raccolta, quindi i fans della band non troveranno che brani conosciuti a memoria e che costituiscono un esaustivo riassunto dei primi vent’anni di carriera, mentre il tutto è invece molto più congeniale a chi non ha mai approfondito la conoscenza del gruppo; il lavoro viene licenziato dalla Nuclear Blast nelle versioni doppio cd, triplo vinile e doppio cd Earbox, lasciando ai fans una buona scelta di acquisto.
Ovviamente seguirà un tour mondiale che porterà i Nightwish su tutti i palchi del mondo, compreso il nostro paese, in quello che si prospetta come l’evento metallico dei prossimi 12 mesi.
I brani sono quelli nella loro versione originale, quindi si possono assaporare le varie fasi della carriera di Holopainen e soci, scandita dal cambio delle muse al microfono e da un’evoluzione che, di fatto, non si è mai fermata arrivando alla piena maturazione con l’ultimo bellissimo lavoro, aspettando la calata in Italia e la celebrazione di questa favola metallica chiamata Nightwish.

Tracklist
1. The Greatest Show On Earth
2. Élan
3. My Walden
4. Storytime
5. I Want My Tears Back
6. Amaranth
7. The Poet And The Pendulum
8. Nemo
9. Wish I Had An Angel
10. Ghost Love Score
11. Slaying The Dreamer
12. End Of All Hope
13. 10 th Man Down
14. The Kingslayer
15. Dead Boy’s Poem
16. Gethsemane
17. Devil & The Deep Dark Ocean
18. Sacrament Of Wilderness
19. Sleeping Sun
20. Elvenpath
21. Carpenter
22. Nightwish (Demo)

Line-up
Tuomas Holopainen – Keyboards
Floor Jansen – Vocals
Marco Hietala – Bass & Vocals
Emppu Vuorinen – Guitar
Troy Donockley – Uilleann pipes & whistles
Kai Hahto – Drummer

NIGHTWISH – Facebook

Stormwolf – Howling Wrath

L’album è consigliato agli amanti dei suoni tradizionali che, in Howling Wrath, troveranno di che godere tra atmosfere fantasy, un numero infinito di duelli tra le chitarre, la prova maiuscola di una cantante dai toni magici e ritmiche che passano con disinvoltura da sfuriate power a cavalcate su tempi medi.

Leggi tutto “Stormwolf – Howling Wrath”

Sacred Leather – Ultimate Force

Un ottimo cantante e buone idee che confluiscono in un sound legato alla tradizione hard/heavy metal fanno di Ultimate Force un lavoro riuscito, per certi versi datato (anche nelle scelte in fase di produzione) ma piacevole se si è amanti dell’heavy metal classico.

I Sacred Leather suonano heavy metal old school duro e puro, con in bella mostra tutti i cliché tipici degli anni ottanta ed un tocco hard che ricorda i momenti più taglienti della discografia dei Kiss.

Colpevolmente nelle note di presentazione di rito si parla di thrash, ma vi assicuro che su Ultimate Force del genere in questione non se ne sente traccia, mentre credo più veritiero parlare di almeno tre storiche band che hanno maggiormente influenzato i Sacred Leather: appunto i Kiss, i Judas Priest ed i Mercyful Fate.
Il quintetto dell’Indiana ha all’attivo una manciata di lavori minori ed un live, mentre Ultimate Force risulta il primo lavoro sulla lunga distanza.
Il grande felino in copertina. pronto ad assalire la preda. raffigura perfettamente il sound tagliente e diretto del combo americano, valorizzato dalla voce di Wrathchild al microfono, animale metallico che risulta una via di mezzo tra Halford e King Diamond.
Le prime tre tracce sono da manuale, fuse nell’acciaio, sostenute da un approccio hard & heavy e con l’alternanza delle ispirazioni descritte con buoni risultati, confermandosi come il momento migliore dell’album.
Al quarto brano la ballad Dream Searcher smorza troppo i toni facendo perdere un po’ di quell’adrenalina che aveva caricato a mille il sottoscritto, ritornata ad alzare la tensione con l’ottima Master Is Calling, il crescendo di Prowling Sinner e la conclusiva The Lost Destructor / Priest of the Undoer, che con i suoi quasi dieci minuti mette la parola fine a questo full length.
Un ottimo cantante e buone idee che confluiscono in un sound legato alla tradizione hard/heavy metal fanno di Ultimate Force un lavoro riuscito, per certi versi datato (anche nelle scelte in fase di produzione) ma piacevole se si è amanti dell’heavy metal classico.

Tracklist
1.Ultimate Force
2.Watcher
3.Power Thrust
4. Dream Searcher
5. Master Is Calling
6. Prowling Sinner
7. The Lost Destructor / Priest Of The Undoer

Line-up
Dee Wrathchild- Vocals
JJ Highway- Lead Guitar
Magnus LeGrand- Bass Guitar
Carloff Blitz- Lead Guitar
Jailhouse – Drums

SACRED LEATHER – FAcebook

The Order Of Chaos – Night Terror

I The Order Of Chaos sono un gruppo irrinunciabile se siete amanti di Judas Priest, Skid Row e Primal Fear.

Dopo il bellissimo Apocalypse Moon, licenziato ormai tre anni fa, tornano i canadesi The Order Of Chaos, con questo ep di tre brani che segue quel lavoro ed anticipa quello che sarà un appuntamento da non perdere per gli amanti dell’heavy/power metal.

Avvalendosi sempre della prestazione sopra le righe della singer Amanda Kiernan, la band continua nell’arrembante e cattivissima rivisitazione del genere visto in chiave moderna, con produzione al top, suoni che escono come mitragliate ad altezza d’uomo ed un talento melodico straordinario che arricchiscono di appeal le varie Night Terror (brano che da il titolo al mini cd), False Security e New World Order.
Ottimi intrecci chitarristici ad opera dei due axeman (John Simon Fallon e John Saturley) e una sezione ritmica che risulta un rullo compressore (Tim Prevost alle pelli e Barret Klesko al basso) accompagnano la singer canadese nella sua entusiasmante performance, dandoci appuntamento al prossimo full length.
I The Order Of Chaos sono un gruppo irrinunciabile se siete amanti di Judas Priest, Skid Row e Primal Fear.

Tracklist
1. Night Terror
2. False Security
3. New World Order

Line-up
Amanda Kiernan – Vocals
John Simon Fallon – Guitars
John Saturley – Guitars
Tim Prevost – Drums
Barrett Klesko – Bass

THE ORDER OF CHAOS – Facebook

LE INTERVISTE DI OVERTHEWALL: ZEPHYR

Grazie all’avvio della reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni mercoledì alle 21.30 ed ogni domenica alle 22.00 su www.energywebradio.it.

Grazie all’avvio della reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni mercoledì alle 21.30 ed ogni domenica alle 22.00 su www.energywebradio.it.
Oggi è il turno degli Zephyr, storica band heavy metal guidata da Alessandro Zazzeri. Buona lettura.

MC Gli Zephyr si formano nel 1979 riscuotendo immediatamente un ottimo successo. Ci parli dell’inizio di quest’avventura?

Il primo nucleo degli Zephyr nacque per caso dalla passione per la musica da parte mia, il tastierista Nicola Castanò, il bassista Marco Capecci e il batterista Fabio Chiarini. Eravamo tre quattordicenni tranne il batterista che era quindicenne. Successivamente Capecci nel 1984 fu sostituito con Paolo Rinaldini al basso. Subito ci mettemmo a fare cover dei Deep Purple, Led Zeppelin, Black Sabbath, Uriah Heep e brani nostri in linea con quel sound, in
quanto erano quelli i nostri gruppi preferiti. Eravamo decisamente fuori moda per i tempi. In particolare in italia in quel periodo la musica mainstream era la disco music e la primissima new wave pop, niente a che fare con l’hard rock. Anzi la musica rock nel vero senso della parola era quasi sparita dai media italiani. Insomma eravamo una delle poche piccole realtà fuori dagli schemi imperanti del periodo. A dir la verità lo siamo sempre stati anche negli anni
a seguire. Questo a creato interesse nei nostri confronti da parte di una fedele, e devo dire, inaspettatamente numerosa nicchia di appassionati. Ovviamente ci ha chiuso anche qualche porta a livello mediatico, ma noi ce ne fregavamo, per noi contava suonare ciò che ci piaceva e facevamo parecchi concerti. Ci siamo molto divertiti. Questa era la nostra filosofia, lo è sempre stata. E ne andavamo fieri.

MC Nel 82 vincete il “Cantagiro Romagnolo” e immediatamente dopo trionfate al festival “Heavy Mass”, primo raduno hard rock/heavy metal per gruppi emergenti. Quali sono i ricordi più significativi di quelle esperienze?

Nel 1982 registrammo il primo nostro demo con pezzi originali e partecipammo al Cantagiro romagnolo, una kermesse molto popolare allora, per cantanti e gruppi emergenti… e lo vincemmo. Madrina delle numerose serate di quel festival era una certa Cicciolina, che poi faceva il suo spettacolo molto, molto osè… incurante dei minorenni (noi compresi). Che dire, altri tempi. Successivamente nel 1985 registrammo il nostro secondo demo e lo spedimmo a Clive Griffith, indimenticato presentatore della fu Video Music, poi diventata MTV, prima emittente di video musicali in Italia. A Clive piacemmo molto e ci intervistò all’interno di un programma della medesima emittente (Heavy con Kleever) primo programma di video heavy metal in Italia. In seguito Clive si ricordò di noi e quando Video Music organizzò il primo raduno di gruppi hard/heavy “Heavy Mass”, ripreso dalla emittente nel palazzetto dello sport di Pistoia, in occasione della uscita del primo numero di “H.M” prima rivista del genere in italia, ci chiamò per partecipare. Il tutto venne trasmesso dalla emittente Video Music e noi risultammo il gruppo più apprezzato, sia dal pubblico in loco sia da quello televisivo che dagli stessi organizzatori della emittente televisiva, tanto che ci
commissionarono la sigla per un programma, “Road show”, andato in onda nel 1987.

MC  Nonostante questi successi la band si scioglie e tu collabori con i Rex Inferi altra band storica dell’heavy metal italiano. Ci parli di questa parentesi della tua attività?

La pubblicità che ci venne dalla esperienza Video Music ci consentì di fare numerosi concerti molto apprezzati; ci sentivamo pronti per il grande salto…. Ma come spesso accade, e allora più di ora, il salto di qualità non avvenne; questo portò allo scioglimento del gruppo. Troppe aspettative tradite. Col senno del poi eravamo solo degli illusi, in quanto in quegli anni avere successo, nel vero senso della parola, per una band italiana hard/metal era praticamente impossibile. Tante le band che avrebbero meritato… In realtà però sempre rimaste un fenomeno di nicchia. Noi poi eravamo una band atipica, in quanto più sul versante hard rock, quindi fuori moda anche per quel movimento. Facevamo parte di una nicchia nella nicchia, e se da un lato questo ci caratterizzava in positivo, dal punto di vista commerciale ci castrava ulteriormente.
L’esperienza con i Rex Inferi è dovuta alla mia amicizia con Maurizio Samorì, grandissimo chitarrista. Cantai su tre brani (uno andò perso) nell’ottimo “Like a hurricane”. I Rex Inferi erano un grande e storico gruppo, sono orgoglioso di avervi partecipato

MC Ma gli Zephyr restano il fulcro della tua creatività musicale e con un provino dove suoni tutti gli strumenti, riesci a convincere la LM Records a mettere la band sotto contratto.
Quanto ti ha aiutato la passione per la musica in tutti questi anni?

La passione per me è tutto. Ho continuato e continuo a scrivere canzoni e ho realizzato due cd a nome Zephyr, a testimonianza di quella esperienza che nel mio piccolo porto nel cuore con grande orgoglio.

MC Nel 91 ti affermi in varie manifestazioni musicali molto importanti anche da solista e con un altro progetto, gli Washing Machine, e nel 97 riformi gli Zephyr e nel 2008 pubblicate finalmente”The Last Dawn”.
Cosa ha rappresentato questo disco per te?

Sì, io ho continuato a suonare e cantare in vari progetti e mi sono tolto anche qualche soddisfazione: come arrivare secondo nel 1991 al “Festival di Ariccia” trasmesso in diretta su Rai 2 e più recentemente, nel 2007, con gli Washing Machine con un nostro brano trasmesso Su Radio Rai 2.
Il mio primo disco The Last Dawn è uscito postumo nel 2008 per problemi (fallimento) della LM Records. In realtà si tratta di una registrazione del 1989. In quel disco suonai tutti gli strumenti e ovviamente cantavo. Sfortuna volle che uscì quasi 20 anni dopo e questo ha sicuramente nuociuto al nome Zephyr e all’esser meno popolari di quello che forse avrebbero meritato. Ma pazienza, sono cose che succedono.

MC  Nel 2015 Taste The Bomb, che contiene ben 18 tracce, conferma il definitivo ritorno della band. Ci parli di quest’album?

Più recentemente  ho realizzato Taste The Bomb … 18 tracce! Contiene numerose ballate, questo ha fatto storcere il naso a qualcuno, ma altri lo hanno apprezzato proprio per questo. Personalmente ne vado fiero. Forse la produzione non è all’altezza del precedente (nel 1989 il nome Zephyr aveva un’altra risonanza) ma i pezzi secondo me sono validi, gli arrangiamenti molto più complessi e maturi e la mia voce si esprime in varie coloriture, era quello che volevo. Anche in questo caso, tranne la batteria (Guido Minguzzi), tutte le voci e strumenti sono suonati da me. Ci sono anche brani in italiano.

MC  La componente live è sempre stata importante per te e per la band. Com’è cambiato il pubblico rispetto gli anni 80/90?

Penso di non sbagliare a dire che gli Zephyr siano state tra le band del genere ad aver all’attivo più live della media. Questo perché il pubblico rispondeva positivamente e semplicemente i gestori di festival e locali ci richiamavano volentieri. Noi ci divertivamo e ci facevamo le ossa. I nostri live duravano all’incirca 2 ore e mezza e davamo tutto noi stessi.
Forse è proprio questo che è cambiato negl’ultimi anni. Ora vedo gruppi tecnicamente molto validi ma freddi, quasi distanti, che si atteggiano molto, e soprattutto sembrano cloni di cloni. Ecco io penso che i gruppi della nostra generazione fossero più sinceri, più veri, anche perché le difficoltà erano talmente grosse che se non eri veramente convinto di quello che facevi non potevi sopravvivere. Al di là della qualità e della serietà (c’erano sfigati e figli di papà anche allora), ora vedo un sacco di gente che nonostante i capelli lunghi, le borchie, gli atteggiamenti e le classiche pose plastiche da rocker, sembrano, e spesso lo sono, degli “impiegati del catasto” che giocano a fare i duri su un palco. Sì, ritengo che il discrimine sia proprio la spontaneità e la credibilità; qualità che mancano a molti musicisti odierni. Il pubblico se ne accorge, secondo me.

MC Cos’è previsto nel futuro degli Zephyr? Ci sono progetti che vorresti realizzare?

Ora sto componendo nuovo materiale che registrerò in un Cd appena posso e ho voglia. Sarà più heavy del precedente anche se non mancherà qualche ballata acustica. Non per scelta “commerciale” ma perché mi va così. Il non dover dipendere dal successo ha almeno questo lato positivo: te ne puoi fregare altamente e fare quel che ti pare. Per me vale solo la testimonianza e il mio divertimento, poi se con la mia musica si diverte anche qualcun’altro, tanto meglio. Se devo essere sincero trovo un po’ patetico chi, come nel mio piccolo, arrivato agli ‘anta pretenda qualcosa di più di questo e si atteggi ancora a essere considerato la miglior rockstar del proprio pianerottolo…

MC Dove i nostri ascoltatori possono seguirvi sul web?

Non sono un cultore del web e non mi interesso più di tanto a questo aspetto, ma comunque sul Web gli Zephyr sono presenti in qualche video su Youtube, oppure su Facebook direttamente come Zephyr dove si troveranno soltanto notizie veramente importanti; non qualsiasi “scorreggia” come fanno certi altri gruppi che pensano di essere i Rolling Stones “de noartri”. Ci tengo a non fare certe figure (da noi si dice: non sono un “pataca”).

MC Ti ringrazio di essere stato con noi. Ti lascio l’ultima parola

Coltivate le vostre passioni fino a che potete, al di là della qualità delle stesse. Non pretendete troppo, non tutti possono fare successo, non tutti se lo meritano, non tutti hanno fortuna e il carattere adatto. Il successo non deve essere il solo traguardo, l’importante è essersi divertiti ed aver espresso sé stessi o comunque una parte importante di sé stessi. Io ho avuto la fortuna di centrare questi obiettivi. Lo auguro a tutti

Crucifyre – Post Vulcanic Black

La band si muove a meraviglia tra sfuriate slayerane, devastanti ripartenze thrash/black e mid tempo metallici dai rimandi sabbathiani.

La title track di questo bellissimo nuovo album degli svedesi Crucifyre ci dà il benvenuto come meglio non si sarebbe potuto tra le note di Post Vulcanic Black, terzo full length del quartetto attivo in quel di Stoccolma dal 2006.

Non molto ricca, ma sicuramente di qualità, la discografia di questo satanico gruppo, fatta di un terzetto di lavori minori che fungono da corollario per lavori sulla lunga distanza che trovano in Post Vulcanic Black il picco qualitativo.
L’album si apre come detto con i sei minuti della title track, un mid tempo dai tratti heavy, molto atmosferica e dai solos armonici in un crescendo di tensione culminante nella seguente Thrashing With Violence che, come suggerisce il titolo, risulta un brano di ruvido thrash metal old school.
Si torna all’heavy metal con la splendida Mother’s Superior Eyes, mentre le sfumature black di War Chylde tornano a rivestire di estremo il sound del gruppo.
I nuovi arrivati (Karl Buhre alla voce e Cristian Canales al basso) risultano perfettamente a loro agio, inseriti in un contesto collaudatissimo capitanato dal batterista Yasin Hillborg (ex Afflicted), e la band gira come un orologio tra sfuriate slayerane (Murder And Sex And Sel-Destruction), devastanti ripartenze thrash/black (Död Människa?) e mid tempo metallici dai rimandi sabbathiani (Copenhagen In The Seventies, altro brano da applausi insieme alla title track).
Non resta quindi che cercare la vostra copia di Post Vulcanic Black, mentre la conclusiva Serpentagram , oltre a richiamare un noto gruppo doom nel titolo, vi accompagna lentamente verso la fine del viaggio nel mondo di questa ottima band estrema.

Tracklist
1. Post Vulcanic Black
2. Thrashing With Violence
3. Mother’s Superior Eyes
4. War Chylde
5. Hyper Moralist (Deemed Antichrist)
5. 200 Divisions
6. Död Människa?
7. Murder And Sex And Self-Destruction
8. Copenhagen In The Seventies
9. Serpentagram

Line-up
Karl Buhre – Vocals
Patrick Nilsson – Lead Guitar
Alex Linder – Lead Guitar
Christian Canales – Bass
Yasin Hillborg – Drums

CRUCIFYRE – Facebook

Desolation Angels – King

Vecchi guerrieri che non mollano mai, che vogliono essere salvati dal loro “demon inside”. Gran bel ritorno di una leggenda minore della NWOBHM.

Vecchi guerrieri che non mollano mai, che vogliono essere salvati dal loro “demon inside”! Il ritorno di questa leggenda minore della NWOBHM, già avvenuto con l’EP del 2014 Sweeter the meat, si compie completamente per Dissonance Records che commercializza King, uscito l’estate scorsa sul sito della band.

Via ogni dubbio, il disco è bello, molto bello, ricco di freschezza, ricco di atmosfera, dove i due chitarristi originali (Robin Brancher e Keith Sharp) assemblano magnifiche canzoni nelle quali si mescolano antichi suoni con un tocco di modernità; il senso melodico dei Desolate Angels dà vita a brani trascinanti, energetici (Doomsday) e nei quali la voce espressiva e sentita del singer Paul Taylor (qualcuno lo ricorderà negli Elixir di Son of Odin) riempie la scena di emozioni importanti, come in Another turn of the screw, dove il lavoro intrecciato delle chitarre srotola note vibranti fino al delizioso assolo. Queste due songs che aprono l’opera ci fanno capire che la band ci crede, è convinta, se ne frega delle mode e ci vuole far viaggiare con la memoria ai primi anni 80, quando la band emerse in U.K.: due full length nel 1986 (Desolation Angels) e nel 1990 (While the flame still burns), poi il silenzio, interrotto dal box del 2008 Feels like thunder, ricco di demo, live e inediti. I musicisti hanno gusto, sanno suonare e il disco non conosce momenti di stanca: quarantacinque minuti di buone vibrazioni anche quando si rallentano i ritmi, ma non il coinvolgimento (Devil Sent); i toni convulsi di Your Blackened Heart e l’urgenza vocale di Taylor infiammano i cuori e già me la immagino in sede live far esplodere i piccoli locali dove presumo possano fare sfracelli. Le delicate e malinconiche note di Find your life esplodono in momenti di rabbia dove ci ammoniscono che è necessario …find your life, or be lost forever… mentre le killer song Hellfire e Sky of pain rammentano che l’arte del riff non è cosa per tutti. I toni più cupi di My demon inside  suggellano un gran ritorno che consiglio caldamente.

Tracklist
1. Doomsday
2. Another Turn of the Screw
3. Devil Sent
4. Rotten to the Core
5. Your Blackened Heart
6. Find Your Life
7. Hellfire
8. Sky of Pain
9. My Demon Inside

Line-up
Keith Sharp – Guitars
Robin Brancher – Guitars
Clive Pearson – Bass
Chris Takka – Drums
Paul Taylor – Vocals

DESOLATION ANGELS – Facebook

Visigoth – Conqueror’s Oath

I barbari statunitensi si ripresentano dopo due anni da The Revenant King con un buon lavoro devoto ai canoni dell’epic true heavy metal,roccioso e fiero, ma inferiore allo splendido esordio.

Duri come l’acciaio, i barbari di Salt Lake City si ripresentano dopo l’ottimo debutto del 2015, The Revenant King, con un nuovo disco forgiato con il classico epic true heavy metal.

Le radici sono profondamente immerse nel suono epic americano dei bei tempi e i cinque musicisti ripercorrono con grinta, tenacia e discreta personalità questa strada, sguainando riff devoti e abbastanza memorabili, vocals e chorus rocciosi e carichi di pathos: il loro intento è sincero e convinto, non volendo modificare le regole del genere ma solo scrivere canzoni battagliere e indomite. Otto brani per quaranta minuti di musica dal forte impatto energetico: fin dall’opener Steel and Silver i canoni del genere vengono rispettati, con grandi chitarre che tagliano l’aria con riff e assoli fortemente epici ed il vocalist Jake Rogers che intona fieri inni accompagnato da chorus che esaltano l’atmosfera.Tutti i brani sono di buon livello, tranne forse Salt City, un po’ fuori fuoco e più “easy”, ma le vere punte del lavoro si trovano in Warrior Queen (bel titolo) compatta e decisa nel suo incedere, con un bel interplay di chitarra che ha sentori di NWOBHM e un’interpretazione molto sentita di Rogers. La melodia iniziale di Traitor’s Gate, accompagnata dalle accusatorie vocals, esplode in un tornado irrefrenabile scandito dal chorus vibrante e teso per una song che alza la temperatura della battaglia e sarà memorabile in sede live. La velocissima Blades in the Night continua a infiammare gli animi e non concede tregua attraversata da assoli perentori, mentre la title track è un mid-tempo quasi marziale dove sono ripercorsi con inalterata fierezza i canoni del genere e nel quale non mancano momenti esaltanti, con chitarre tonanti e chorus il cui motto è “sing through our souls like thunder and blood”. Una classica ma splendida cover completa un buon lavoro che a mio parere rimane però al disotto del disco d’esordio.

Tracklist
1. Steel and Silver
2. Warrior Queen
3. Outlive Them All
4. Hammerforged
5. Traitor’s Gate
6. Salt City
7. Blades in the Night
8. The Conqueror’s Oath

Line-up
Jamison Palmer Guitars
Leeland Campana Guitars
Matthew Brown Brotherton Bass
Mikey Treseder Drums
Jake Rogers Vocals

VISOGOTH – Facebook