Perseus – A Tale Whispered In The Night

La musica di gruppi come i Perseus è uno dei pochi luoghi rimasti dove la mente può correre libera e sognare ancora.

Tornano i Perseus, uno dei migliori gruppi in Italia di heavy e power metal.

I brindisini continuano nella loro opera di costante miglioramento, sempre alla ricerca della massima qualità possibile.
Ad ogni disco questi ragazzi aggiungono qualcosa al loro suono e alla loro capacità compositiva, rendendolo ancora più epico e power. Rispetto al disco d’esordio non ci sono grossi cambiamenti, se non che hanno aggiunto ancora più melodia al loro suono. I Perseus grazie alla loro bravura tecnica riescono nella difficile impresa di fare cose difficili facendole sembrare facili. A Tale Whispered In The Night è una gioiosa macchina da guerra, con una gran cascata di note, assoli, doppie casse e la splendida voce di Antonio Abate che si coagula benissimo con il resto del gruppo. Non è facile mettere in evidenza il lato epic e power del metal senza risultare ridicoli, e i Perseus non solo riescono in questo ma vanno ben oltre, facendo un epic power di ottima fattura. La musica di gruppi come i Perseus è uno dei pochi luoghi rimasti dove la mente può correre libera e sognare ancora. Le note vanno veloci e con loro i nostri pensieri, e la melodia dei Perseus regala una vigorosa dolcezza.
Bel disco davvero.

TRACKLIST
1.Intro
2.The Diary
3.Time Over
4.Hidden Murders
5.Magic Mirror
6.Echoes Of Mind
7.Dying Every Time
8.Ana Annur
9.Deceiver
10.Lux Domini
11.Son Of The Rising Sun
12.My Endless Dream
13.Whispers In The Mist
14.I’m The Chosen One
15.Rain Is Falling
16.Legions Of Ravens
17.Never Surrender
18.The Ride Of Pegasus
19.Epilogue

LINE-UP
Antonio Abate – Voce.
Cristian Guzzo – Chitarra.
Gabriele Pinto – Chitarra.
Alex Anelli – Basso.
Feliciano Lamarina – Batteria.

PERSEUS – Facebook

Angarthal – Uranus And Gaia

Ottimo lavoro, consigliato sia ai vecchi rocker che alle nuove leve, che si troveranno al cospetto di quanta magia può scaturire dall’attempato ma immortale hard & heavy di scuola classica, splendidamente interpretato da questo protagonista della scena tricolore.

Non sono pochi i guitar heroes nostrani che si cimentano in album solisti dove ovviamente la protagonista assoluta è la loro sei corde.

Opere che a discapito del mero shred lasciano all’ascoltatore l’impressione di essere al cospetto di artisti completi, ottimi logicamente a livello strumentale ma non male neppure alle prese con il songwriting.
Arriva a noi dopo il bellissimo lavoro di Raff Sangiorgio, axeman della metal band estrema Gory Blister, il lavoro solista di Angarthal, chitarrista di Fire Trails, Dragon’s Cave, Rezophonic e Pino Scotto.
Aiutato in qualche brano da altri musicisti come Luca Saja (Dragon’s Cave), Angelo Perini (Fire Trails), Mauri Belluzzo (Alchemy Divine) e Sergio Pescara (Groovydo), ma di fatto da considerarsi una one man band, visto che il musicista nostrano si occupa di basso, tastiere, voce ed ovviamente chitarra, Uranus And Gaia risulta un bellissimo album incentrato sull’hard & heavy classico, ben rappresentato dalla forma canzone ed assolutamente fuori da ogni mero virtuosismo fine a se stesso.
Certo la bravura di Anghartal è risaputa e non manca di brillare in questa raccolta di brani, dal sound vario e dall’ottima presa.
Oltre alla chitarra, non mancano atmosfere tastieristiche di scuola Rainbow, valorizzate dall’ottima prestazione del nostro dietro al microfono, maschio, grintoso e perfettamente a suo agio con partiture tutto meno che facili.
Non siamo di fronte ad un album innovativo, Uranus And Gaia vive delle atmosfere care al metal più nobile suonato negli anni ottanta, ma la carica epica e sontuosa di molte delle songs presenti non può che fungere da gradito regalo ad ogni metal/rocker che si rispetti.
Più di un’ora in compagnia del classico hard & heavy, accompagnato da spumeggianti brani dai chorus grintosi ma eleganti (Rainbow, Dio, e qualche spunto del Malmsteen meno egocentrico) e tre strumentali, in cui il chitarrista nostrano non manca di stupire, senza diventare prolisso nelle scale su e giù per il manico della sei corde (bellissime Leviathan Rising e Wielders Of Magic).
Non manca la ballatona d’ordinanza (Losing My Direction), lasciata giustamente alla fine dell’opera ed almeno altre tre songs da spellarsi le mani in applausi, la title track, l’epica Sailing At The End Of The World e la Dio oriented After The Rain.
Ottimo lavoro, consigliato sia ai vecchi rocker che alle nuove leve, che si troveranno al cospetto di quanta magia può scaturire dall’attempato ma immortale hard & heavy di scuola classica, splendidamente interpretato da questo protagonista della scena tricolore.

TRACKLIST
01. Punch
02. Uranus And Gaia
03. Morrigan
04. Sailing At The End Of The World
05. Leviathan Rising
06. Holy Grail
07. Miles In The Desert
08. Unbroken
09. The Abyss Of Death
10. Wielders Of Magic
11. A Lie
12. After The Rain
13. Losing My Direction

LINE-UP
Steve Angarthal – Guitars, Keyboards, vocals, Bass
Luca Saja – Drums
Angelo Perini – Bass
Mauri Belluzzo – Keyboards
Sergio Pescara – Drums

ANGHARTAL – Facebook

Tyfon’s Doom – Yeth Hound

Yeth Hound strappa la sufficienza per qualche buon assolo classico inserito in brani che, purtroppo, non decollano e lasciano l’amaro in bocca lasciando intravedere però qualche buona idea.

Proposta che più underground di così non si può è quella che ci arriva dalla Gates Of Hell Records, con questo nuovo lavoro dei Tyfon’s Doom, one man band di Tommi Varsala, musicista finlandese alle prese con l’heavy metal old school tra new wave of british heavy metal e tradizione americana.

Cinque nuovi brani più tutto il primo demo uscito lo scorso anno compongono l’ep in edizione limitata in vinile e cd, sinceramente non una grave perdita se non siete fans del metal classico underground, perché troppi difetti si porta con sé il buon Varsala.
Le songs, specialmente quelle nuove non sarebbero poi così male, Yeth Hound rimane un lavoro ben saldo nel metal classico, prendendo ispirazione dai gruppi storici della nostra musica preferita.
Si passa così dalla vergine di ferro, influenza primaria del musicista finlandese, specialmente quella dell’era Paul Di Anno (Iron Maiden, Killer), a Mercyful Fate e Metal Church per le atmosfere oscure che attanagliano brani come Still Here, Gate To New Reality, Ravenous Hunter e Rapid Revival (prese dal primo demo).
Il problema sta tutto nella produzione deficitaria (il disco sembra registrato in cantina) e la voce poco consona al mood dei brani e soffocata dall’atmosfera ovattata del suono.
Peccato perché pur essendo un lavoro clone delle band citate i brani spingono sufficientemente, ma vengono sviliti dai difetti elencati.
Senza voler bocciare tout court il lavoro del musicista finlandese, mi limito a sottolineare un mio pensiero: la nostra ‘zine tratta quasi esclusivamente opere underground in tutti i generi metallici, ma considerando che viviamo nel 2016, un lavoro più attento in fase di registrazione e produzione è d’uopo per non passare da una proposta senza compromessi ad un’altra che non lascia tracce nell’ascoltatore, anche il più appassionato ed attento.
Yeth Hound strappa la sufficienza per qualche buon assolo classico inserito in brani che, purtroppo, non decollano e lasciano l’amaro in bocca lasciando intravedere però qualche buona idea.

TRACKLIST
1. Yeth Hound
2. Still Here
3. Rockers
4. Gate to New Reality
5. Galactic Flash / Last Ray of Light
6. Got to Love the Midnight Train (Bonus – Demo 2015)
7. Ravenous Hunter (Bonus – Demo 2015)
8. Rapid Revival (Bonus – Demo 2015)
9. Stay Down (Bonus – Demo 2015)

LINE-UP
Tommi Varsala – All instruments

TYFON’S DOOM – Facebook

Lucifer’s Hammer – Beyond The Omens

Stupisce questa maturità al debutto, ma si sente chiaramente che i Lucifer’s Hammer hanno molto di più rispetto ad altri gruppi.

Dal Cile arriva uno dei miglior gruppi di heavy metal delgi ultimi tempi.

Ascoltando Beyond The Omens si può facilmente capirne il motivo. I Lucifer’s Hammer fanno un heavy metal con spirito epico, molto vicino agli insegnamenti degli Iron Maiden, e dei gruppi inglesi degli anni ottanta. I cileni rendono facile ed orecchiabile ciò che riesce difficile ad altri gruppi, e riescono a fare canzoni che sono dei piccoli romanzi epici, molto legate alle arti occulte. L’incedere dei Lucifer’s Hammer appartiene alla ristretta cerchia dei grandi gruppi, ed hanno il potere di riportarci agli anni ottanta. La loro non è però una mera operazione nostalgica, ma è uno stile particolare che certamente è debitore di certi suoni, ma trova una via personale. La velocità non è tutto per i Lucifer’s Hammer, la loro particolarità è un giusto compromesso tra parti veloci e parti melodiche, e tutto è molto bilanciato e ben composto. Il risultato è seriamente notevole, avendo Beyond The Omens una forza ed una chiarezza molto forti. Il loro suono ti avvolge dolcemente, ti culla come solo un certo tipo di heavy metal sa fare, e ti lascia con una sensazione di benessere e di bei ricordi.
Ci sono suoni che fanno parte del nostro dna, e questo disco ce ne mostra alcuni, rielaborando il tutto con estrema intelligenza e gusto. Stupisce questa maturità al debutto, ma si sente chiaramente che i Lucifer’s Hammer hanno molto di più rispetto ad altri gruppi.

TRACKLIST
1. The Hammer of the Gods
2. Lucifer’s Hammer
3. Dying
4. Shinning Blade
5. Black Mysteries
6. Nightmares
7. Warriors
8. Beyond the Omen

LINE-UP
Hades – Vocals, Guitars
Titan – Drums

LUCIFER’S HAMMER – Facebook

Blizzen – Genesis Reversed

Genesis Reversed è un album consigliato agli amanti delle sonorità classiche, figlie di quel metal ottantiano che nell’underground continua imperterrito a sfornare dalla sua covata buoni gruppi e album piacevoli, lontani dall’estremismo sonoro di questi anni e con un orecchio sempre attento alla melodia.

Puro heavy metal old school racchiuso in questo buon Genesis Reversed, primo lavoro sulla lunga distanza dei tedeschi Blizzen, giovane band attiva da un paio di anni e con già due lavori alle spalle, il primo demo omonimo e l’ep Time Machine dello scorso anno.

L’album si sviluppa su una raccolta di brani che pescano a piene mani dalla new wave of british heavy metal, ed in parte dal power/speed, lasciato a qualche ritmica più veloce e sostenuta, poi Genesis Reversed è tutto un susseguirsi di piacevoli cliché direttamente dagli anni ottanta.
I Maiden sono i padrini di una buona fetta del songwriting del gruppo, così come la vena epica di Warlord e Stomwich fa del disco un buon esempio di metal melodico e dalle reminiscenze epiche.
E Giove aiuta il gruppo a vincere la sua battaglia (come illustrato dalla copertina che dice molto sul mood imperante nell’album), con le chitarre che richiamano ritmiche di quel metal vecchio stampo ancora nei cuori di molti fans, con la voce melodica e le ritmiche che alternano mid tempo a fughe con qualche accelerazione convincente.
Il lavoro fila liscio fino alla fine, i brani scivolano tra solos maideniani e cori epici, la produzione in linea con le sonorità proposte risulta senza infamia e senza lode e la band non fa mancare qualche scintilla metallica che alza il valore dell’intera opera come nelle piacevoli metal songs The Beast Is on Your Back , The World Keeps Still e Bestride the Thunder.
Genesis Reversed è un album consigliato agli amanti delle sonorità classiche, figlie di quel metal ottantiano che nell’underground continua imperterrito a sfornare dalla sua covata buoni gruppi e album piacevoli, lontani dall’estremismo sonoro di questi anni e con un orecchio sempre attento alla melodia.

TRACKLIST
1. Intro – Anthem To A Distant Star
2. Trumpets Of The Gods
3. Masters Of Lightning
4. The Beast Is On Your Back
5. Hounded For Good
6. Genesis Reversed
7. Gone Wild
8. The World Keeps Still
9. Devil In Disguise
10. Bestride The Thunder
11. Skid Into Death

LINE-UP
Daniel Stecki – Vocals, Bass
Andi Heindl – Guitar
Marvin Kiefer – Guitar
Gereon Nicolay – Drums

BLIZZEN – Facebook

Grand Magus – Sword Songs

We are warriors, defenders of steel, cantano i Grand Magus….unitevi al coro.

Sword Songs, nuovo lavoro degli svedesi Grand Magus è più di quanto heavy metal si può ascoltare quest’anno, epico, guerresco, esaltante ed attraversato da uno spettacolare sentore manowariano.

La band di JB Christoffersson taglia definitivamente i ponti con lo stoner/doom e le reminiscenze Spiritual Beggars (ex gruppo di JB e Ludwig Witt) per inoltrarsi nelle lande dove dei e uomini combattono una guerra che dura da quando esistono il sole e la luna, e le canzoni che raccontano di spade, scudi spezzati ed eroici guerrieri trovano in quest’opera una delle massime espressioni.
Una band prolifica i Grand Magus, dall’alba del nuovo millennio con le vele spiegate ha fatto rotta verso il Valhalla del metal mondiale con una serie di album rocciosi di cui, probabilmente, Iron Will del 2008 era, fino ad ora, il picco più alto, con un sound perfettamente bilanciato tra la granitica forza dello stoner/doom e l’epicità del metal tradizionale.
Sword Songs è composto da nove inni metallici che rinverdiscono le gesta di Manowar ed in parte Bathory, un sanguinario quadro dove i colori predominanti sono il rosso del sangue ed il grigio dell’acciaio, di cui le spade sono forgiate.
Sword Songs è tutto un susseguirsi di mid tempo, chorus epici che si ripetono all’infinito, solos che emanano sentore di punte affilate che si fanno spazio tra le carni, inni di guerra da cantare quando il nemico è in ritirata o sotto un palco, messo a ferro e fuoco dai tre guerrieri svedesi in preda a deliri di conquista.
Dopo la monolitica opener Freja’s Choice, un muro di watt innalzato dal gruppo come il castello di Grande Inverno ci travolge con l”epicità di Varagian e della seguente Forged In Iron – Crowned In Steel, dove i Manowar vengono sedotti dalla vergine di ferro per uno dei brani cardine di questo lavoro, heavy metal epico alla massima potenza.
Ci si destreggia tra lo scontro cercando di rimanere vivi, mentre gli inni metallici si sprecano, così come l’alternanza tra attimi di velocità e monolitica potenza, (Master Of The Land, Frost And Fire), così che l’album continua a mantenere forte l’atmosfera fiera instaurata dal primo minuto dell’opener.
Every Day There’s A Battle To Fight chiude l’opera, una marcia verso la gloria, un esaltante inno metallico che il gruppo guerriero intona mentre il campo di battaglia si avvicina e si può sentire l’alito fetido del nemico davanti a noi.
Un lavoro clamoroso che sarà divinizzato da tutti i true defenders, pregno di quel metal tradizionale troppe volte sottovalutato e che rilancia alla grande i Grand Magus come band di culto nel panorama heavy mondiale; un disco che ha nella propria tracklist brani che diventeranno classici nella discografia del gruppo e soprattutto in sede live.
We are warriors, defenders of steel, cantano i Grand Magus … unitevi al coro.

TRACKLIST
01. Freja’s Choice
02. Varangian
03. Forged In Iron – Crowned In Steel
04. Born For Battle (Black Dog Of Brocéliande)
05. Master Of The Land
06. Last One To Fall
07. Frost And Fire
08. Hugr
09. Everyday There’s A Battle To Fight

LINE-UP
Fox – Bass, Vocals (backing)
JB – Guitars, Vocals (lead)
Ludwig – Drums

GRAND MAGUS – Facebook

Vardis – Red Eye

Un gradevole tuffo nel passato, anche se non mancano motivi per apprezzarlo sia nel presente che nel futuro

Il trio proveniente dal Regno Unito, composto oggi dal talentuoso chitarrista/cantante Steve Zodiac e dalla sezione ritmica che vede Joe Clancy alle pelli e Martin Connolly al basso (che ha sostituito dopo l’uscita dell’abum Terry Horbury, putroppo scomparso lo scorso dicembre), può tranquillamente essere considerato un gruppo storico del metal/rock ottantiano anche se discografia non è così colma di full length (Red Eye è il quarto) in quanto la band ha interrotto le uscite discografiche per un lungo periodo tra il 1986 ed il 2015.

L’attività è iniziata nel lontano 1979 e la prima metà del decennio successivo ha visto i Vardis impegnati nel produrre tre lavori su lunga distanza, The World’s Insane nel 1981, Quo Vardis l’anno dopo e l’ultima prova nel 1986, quel Vigilante che rimase per molto tempo il testamento discografico della band.
Red Eye segna il ritorno sulle scene del trio anglosassone, una macchina di metal/rock dalle forti influenze blues, pregna di micidiale groove e di riff che si modellano su un hard rock tra Ac/Dc e Status Quo.
Rock vecchio stile, insomma, che trasuda rock’n’roll potente e tanto divertimento, affiancato da una componente metallica pescata a piene mani dalla new wave of british heavy metal, genere in cui i Vardis si rispecchiano a sufficienza.
L’album risulta una buona mazzata hard rock, la sei corde, a tratti hendrixiana è l’assoluta protagonista delle canzoni che compongono il lavoro, impetuosa, tremendamente blues ma graffiante quando Zodiac la fa urlare di orgoglio metallico.
Red Eye è un album old school, suonato, cantato e vissuto da musicisti che di anni di musica alle spalle ne hanno da vendere, e le sanguigne Paranoia Strikes, The Knowledge, l’irresistibile di Back To School e l’ammiccante Head Of The Nail, brano che porta Angus Young a suonare negli Status Quo, non potranno che far luccicare di nostalgia gli occhi a chi, a dispetto degli anni, hanno ancora voglia di sentire del sano rock.
L’album prende quota quando il vecchio blues prende le redini del sound e ne escono brani travolgenti come Hold Me, un ritorno nelle strade polverose in cui i fantasmi del passato vi prenderanno per mano accompagnadovi davanti a chi offre il successo in cambio della dannazione eterna.
Detto della produzione perfetta e corposa, della sezione ritmica che asseconda il chitarrista con una prova tutta grinta e sudore, ed un lotto di brani che si mantengono di buon livello, non mi rimane che consigliarvi questo tuffo nel passato, anche se i motivi non mancano per apprezzarlo sia nel presente che nel futuro.

TRACKLIST
1. Red Eye
2. Paranoia Strikes
3. I Need You Now
4. The Knowledge
5. Lightning Man
6. Back to School
7. Jolly Roger
8. Head of the Nail
9. Hold Me
10. 200 M.P.H.

LINE-UP
Steve Zodiac -Guitar, Voice
Joe Clancy – Drums
Terry Horbury – Bass

VARDIS – Facebook

Cardinal’s Folly – Holocaust of Ecstasy And Freedom

Uno dei migliori album di doom classico dell’anno, confermando la netta supremazia finlandese nel campo.

Doom, classico senza fronzoli e da ascoltare a volumi criminali. Riffoni che colano dal grasso di un caprone mentre brucia, teste slogate dall’oscillare, tenebre e vizio, ecco ciò che offrono i Cardinal’s Folly nella loro terza uscita.

Questo è doom metal fatto bene e con tutti i crismi dell’ortodossia, ed in più c’è una classe abbastanza enorme. In tempi nei quali è sempre più difficile trovare un buon album doom classico, ecco arrivare questo Holocaust Of Ecstasy & Freedom, lento freddo eppure eccezionalmente caldo. Ci sono anche forti echi settantiani e un tocco di metallo tipicamente inglese che fa molto NWOBH. Insomma un’ottima opera, con un giusto bilanciamento fra accelerazioni, lentezza e pesantezza.
Uno dei migliori album di doom classico dell’anno, confermando la netta supremazia finlandese nel campo.

TRACKLIST
1.The Poison Test
2.Goats on the Left
3.Her Twins of Evil
4.Nocturnal Zeal (Winter Orgy)
5.Holocaust of Ecstasy & Freedom
6.Psychomania
7.La Papesse

LINE-UP
Mikko Kääriäinen – Bass, Vocals
Juho Kilpelä – Guitar
Joni Takkunen – Drums

CARDINAL’S FOLLY – Facebook

Savior From Anger – Temple Of Judgment

Un album di metal classico da gustarsi fino alla fine, colmo di canzoni che riprendono, senza risultare copie sbiadite dei grandi classici, il mood aggressivo, epico ed oscuro delle migliori uscite del genere.

Avevamo lasciato Marco Ruggiero (alias Mark Ryal) ed i suoi Savior From Anger all’indomani dell’uscita del precedente Age of Decadence, uscito tre anni fa con la formazione a due elementi ed un ottimo lavoro incentrato su un’incendiario e quanto mai efficace U.S. power metal, lo ritroviamo oggi con un contratto importante con Pure Steel Records, ed una line up a quattro elementi, con gli innesti di musicisti dall’elevata esperienza ed un curriculum assolutamente da top band.

Un passo indietro per ripercorrere in poche righe l’avventura del gruppo campano, iniziata dieci anni fa con l’ep No Way Out e proseguita con il debutto sulla lunga distanza Lost In The Darkness uscito nel 2008.
Una line up cangiante vedeva appunto la band ridursi ad un duo, con il polistrumentista napoletano che, aiutato dal solo Michael Coppola alle pelli, si sobbarcava tutto il lavoro strumentale dello scorso album, compreso le fatiche al microfono.
Tre anni sono passati e ritroviamo la band in gran forma e che, sotto l’ala della prestigiosa label tedesca, licenzia questo bellissimo Temple Of Judgement.
Con Ryal troviamo un terzetto di musicisti niente male, partendo da Bob Mitchell ex Sleepy Hollow, Wycked Synn, Alchemy X, Attacker tra le altre e vocalist di assoluto valore, il drummer Michael Kusch anche lui alle prese con una nutrita schiera di bands tra cui Adligate, Denial e Polaris e Frank Fiordellisi al basso.
E Temple Of Judgement esplode in tutta il suo metallico DNA americano, supportato da un ottimo songwriting e da una produzione ora all’altezza della situazione, mentre il chitarrista nostrano concentrato unicamente sulla sei corde regala solos classici ispiratissimi e riff che odorano di scuola ottantiana ma senza risultare vintage.
Un album di metal classico da gustarsi fino alla fine, colmo di canzoni che riprendono, senza risultare copie sbiadite dei grandi classici, il mood aggressivo, epico ed oscuro delle migliori uscite del genere, con un Mitchell che si conferma vocalist di razza, aggressivo, tagliente e melodico, così come la sezione ritmica che bombarda senza pietà, cavalcando a spron battuto su queste undici power metal songs.
Difficile trovare un brano non all’altezza, l’album è ricco di spunti esaltanti, almeno per chi, nel marasma dei suoni moderni e con l’orecchio ormai abituato alle divagazioni sinfoniche delle power metal band europee, non si fa mancare del buon U.S. metal, tra Vicious Rumors, Metal Church, primi Savatage ed Armored Saint.
Temple Of Judgement può tranquillamente considerarsi l’apice qualitativo dei Savior From Anger, alzato di molto da brani esplosivi come In The Shadows, la seguente Bright Darkness, la devastante e cruenta Thunderheads, The Eyes Open Wide e la conclusiva title track.
Un ritorno sontuoso per la band, un album dall’acquisto obbligato per ogni defender che si rispetti.

TRACKLIST
1.Across The Seas
2.In The Shadows
3.Bright Darkness
4.The Eye
5.Thunderheads
6.Chosen Ones
7.The Calling
8.Starlight
9.The Eye Opens
10.Repentance”
11.Temple Of Judgment

LINE-UP

Bob Mitchell – vocals
Mark Ryal – guitars
Frank Fiordellisi – bass
Michael Kusch – drums

SAVIOR FROM ANGER – Facebook

Assassin’s Blade – Agents of Mystification

Una raccolta di ottime canzoni, cantate al meglio dal singer canadese con la sua timbrica che sta perfettamente nel mezzo tra Halford e la sirena maideniana, e colme di solos taglienti come la lama dell’assassino

La lama dell’assassino, fredda e crudele sfiora la gola della vittima, un rasoio che senza pietà lacera la carne, taglia via ogni speranza, quando il sangue comincia a sgorgare ed il respiro si fa sempre più lieve mentre il freddo buio della morte ha la meglio sull’ultimo bagliore di vita.

Un assassino diabolico che scova le sue vittime nell’oscurità mentre le note metalliche della nuova creatura di Jacques Bélanger, ex vocalist degli storici Exciter, riecheggiano sul misfatto, come una colonna sonora delle sue abominevoli imprese.
Agents Of Mystification è il primo album di questa band che vede lo storico vocalist collaborare con tre musicisti svedesi, David Stranderud (ex-Portrait, Instigator, Trap), Peter Svensson (Void Moon, Trap) e Marcus Rosenkvist (Void Moon).
Agents Of Mystification è un ottimo album di heavy metal old school, dalle incendiarie cavalcate speed, gagliardo e senza fronzoli come la forma più pura del genere comanda.
Una raccolta di ottime canzoni, cantate al meglio dal singer canadese con la sua timbrica che sta perfettamente nel mezzo tra Halford e la sirena maideniana, e colme di solos taglienti come la lama dell’assassino.
Le songs si alternano tra mid tempo epici, crescendo maideniani e veloci ripartenze speed, la produzione risulta perfettamente in linea con la musica prodotta e il tutto funziona alla grande.
Heavy metal, alla fine è di questo che si tratta, puro come l’acqua di sorgente, battagliero e duro come l’acciaio suonato a meraviglia dai tre complici svedesi che uccidono, a suon di ritmiche e riff classici che stendono senza pietà.
Belanger è il mattatore, grande singer di genere, varia tono, esplora note vocali altissime e personalizza ogni passaggio di questo killer album che vede come colpevoli della mattanza brani dall’alto contenuto metallico come, Herostratos, The Demented Force, Autumn Serenade e il lungo mid tempo maideniano League Of The Divine Wind.
Se siete amanti dell’heavy metal classico non potete assolutamente perdervi questo lavoro, che segna il ritorno di uno dei migliori cantanti in circolazione nel genere, supportato da musicisti all’altezza della situazione.

TRACKLIST
1. Agents of Mystification
2. Herostratos
3. The Demented Force
4. Dreadnought
5. Autumn Serenade
6. Transgression
7. Nowhere Riders
8. Crucible Of War
9. Frosthammer
10. League Of The Divine Wind
11. Prophet’s Urn

LINE-UP
Jacques Bélanger – vocals
David Stranderud – lead guitars
Marcus Rosenkvist – drums
Peter Svensson – bass

ASSASSIN’S BLADE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=rHtNGkeRZRI

Salem – Dark Days

Dotato di un songwriting ispirato, Dark Days non manca di stupire per freschezza compositiva e brani che esplorano l’hard & heavy dei primi anni ottanta

Non può che far piacere il ritorno dei Salem con un nuovo album, specialmente se si cominciano ad avere abbastanza primavere per aver vissuto gli anni d’oro della new wave of british heavy metal.

Operazione nostalgica? Non direi visto la qualità della musica di cui è composto Dark Days e poi non stiamo certo parlando
di un gruppo su cui una label possa contare economicamente, quindi ben vengano le band storiche dell’underground metallico, zoccolo duro di un mondo che a dispetto del passare degli anni è ben lungi da lasciare il passo, qualitativamente parlando.
Fondati nel lontano 1979, i britannici Salem diedero alle stampe una serie di demo, tra il 1981 ed il 1983, per poi perdersi nei meandri dell’underground, tornando sul mercato con la compilation In The beginning … datata 2010.
In questi ultimi sei anni il gruppo ha trovato nuovi stimoli ed una buona costanza discografica, licenziando due ep ed il primo full length, Forgotten Dreams uscito tre anni fa.
Per la label tedesca Pure Steel, una garanzia di qualità nei i suoni classici, esce questo nuovo album, molto bello e ben curato a partire dall’artwork e dall’ottima produzione, non troppo moderna ma neanche persa nel vintage a tutti i costi, così da risultare perfetta per il sound del gruppo inglese.
Capitanati dal singer Simon Saxby, vero animale al microfono con l’ugola che si avvicina a Biff, maestro sassone se si parla di heavy metal, il gruppo propone la sua personalissima rivisitazione del sound che fu il padre di tutti o quasi i generi di cui è composto il mondo metallico, ammantando di ritmiche hard rock il suo metallo pesante.
Dotato di un songwriting ispirato, Dark Days non manca di stupire per freschezza compositiva e brani che esplorano l’hard & heavy dei primi anni ottanata, alternando songs dall’impatto metallico, suggestivi crescendo maideniani e hard rock di chiara ispirazione Thin Lizzy.
La classe non manca, il sound chiaramente derivativo non intacca la performance dei nostri e brani come Nine Months, Complicated, l’esaltante titletrack e la bellissima semiballad Prodigal Son, hanno il compito di far rivivere le gesta di band storiche come Saxon, UFO ed Iron Maiden.
Un ritorno più riuscito non si poteva auspicare: certo, Dark Days rimane un lavoro adatto ai vecchi amanti del classic metal e difficilmente troverà estimatori nella nuova generazione di fans tutti blast beat e velocità a palla, ma noi vecchi marpioni del metallo pesante facciamo spallucce e ci godiamo questa bellissima raccolta di canzoni.

TRACKLIST
1. Not Guilty
2. Ninth Months
3. Complicated
4. Lost My Mind
5. Dark Days
6. Second Sight
7. Tormented
8. Fallen Angel
9. Toy Story
10. Prodigal Son
11. Tank

LINE-UP
Simon Saxby – vocals
Paul Macnamara – guitars
Paul Mendham – drums
Mark Allison – guitars
Adrian Jenkinson – bass

SALEM – Facebook

https://www.reverbnation.com/SalemUK

Barbarian – Cult Of The Empty Grave

Il loro metal è fortemente debitore di oscuri dischi anni ottanta, ma anche di echi dei grandi come Venom, Running Wild o Manowar, a seconda della canzone.

Metal barbarico ed assoluto per questo gruppo italiano in attività dal 2009, che nel 2014 ha dato alle tenebre il bellissimo Faith Extinguisher per Doomentia.

In questo nuovo disco per Hells Headbangers, i nostri fanno il loro Absolute Metal, come giustamente recita una loro canzone ivi contenuta. I Barbarian sono una macchina da guerra potente e che non fa prigionieri. Il loro metal è fortemente debitore di oscuri dischi anni ottanta, ma anche di echi dei grandi come Venom, Running Wild o Manowar, a seconda della canzone, con il risultato di fare un suono davvero accattivante e quasi commovente per gli amanti del metal, perché è questo il vero metal. Tutte le canzoni divertono, hanno un bel tiro e il suono è vintage il giusto, senza esagerare, e si può ascoltare la grande passione che hanno questi ragazzi per il genere. Absolute Metal !!!!

TRACKLIST
1.Bridgeburner
2.Whores of Redemption
3.Cult of the Empty Grave
4.Absolute Metal
5.Supreme Gift
6.Bone Knife
7.Remoreless Fury

LINE-UP
BORYS CROSSBURN – Necroharmonic guitarmageddon and invocations of baltic storms and polish metal albums
D.D. PROWLER – Bass-tard mock of human morals, eruptions of evil from the cracked earth
LORE STEAMROLLER- Fuck off bombardment

BARBARIAN – Facebook

Rampart – Codex Metalum

I Rampart con questo nuovo lavoro confermano la bontà della propria proposta, adatta agli appassionati ancorati al metal tradizionale, i quali troveranno pane per i loro denti tra le trame di Codex Metalum.

Fiero heavy metal old school dalla capitale bulgara Sofia in compagnia dei Rampart, band attiva dai primi anni del nuovo millennio e con una nutrita discografia alle spalle.

La band della cantante Maria “Diese” Doychinova, molto conosciuta in patria , taglia il traguardo del quarto lavoro sulla lunga distanza; Codex Metalum segue di tre anni l’ultimo lavoro e conferma la buona costanza del gruppo che non ha mai fatto passare periodi più lunghi da una release all’altra.
L’album è stato masterizzato da Arne Lakenmacher ( Gamma Ray, Doro, Stormwarrior) ai High Gain Studios di Amburgo, capitale del power metal tedesco e vanta nove brani, inclusa la cover della storica Majesty del guardiano cieco.
La band alterna speed metal e new wave of british heavy metal ed i brani sono caratterizzati da mid tempo e crescendo sufficientemente suggestivi per far innamorare i fans di Iron Maiden, Saxon , Bind Guardian e Doro Pesch.
La singer, senza strafare, è protagonista di una buona prova, le canzoni regalano chorus epici, tutti acciaio, fuoco e gloria immortale, i solos nascono dalla covata metallica ottantiana e le accelerazioni power/speed arrivano a noi dalla storia del metallo teutonico.
Una buona raccolta di brani che vivono dei cliché del genere, con un paio di questi che alzano la qualità dell’opera come la lunga The Metal Code e la speed Into the Rocks, il resto si mantiene a galla grazie ai vari cambi di ritmo e l’abbondanza di chorus dall’elevato tasso epico.
Band che, con coerenza e passione, porta avanti il verbo delle sonorità classiche, i Rampart con questo nuovo lavoro confermano la bontà della propria proposta, adatta agli appassionati ancorati al metal tradizionale, i quali troveranno pane per i loro denti tra le trame di Codex Metalum.

TRACKLIST
1 Apocalypse Or Theater
2 Diamond Ark
3 The Metal Code
4 Of Nightfall
5 Sacred Anger
6 Into The Rocks
7 Colors Of The Twilight
8 Crown Land
9 Majesty – Blind Guardian Cover

LINE-UP
Maria “Diese” Doychinova- vocals
Victor Georgiev- Guitars, B.vocals
Sebastian Agini- Guitars, B.vocals
Yavor Despotov- Live guitars, B.vocals
Alexandar Spiridonov- Bass
Jivodar Dimitrov- Drums

RAMPART – Facebook

Battle X – Imminent Downfall

Un lavoro di una bellezza metallica che commuove, esplosivo e dirompente ma anche intimista, drammaticamente melodico, fiero nel portare questa raccolta di note nell’olimpo del genere

Rigorosamente autoprodotto, come già l’ep di debutto datato 2010, Imminent Downfall è un album di metallo old school come attitudine, d’altronde i brani presenti richiamano a gran voce i Metallica del black album (The Hierophant), i Testament più melodici, accompagnati poi con elementi che portano ancora più indietro negli anni e alla New Wave Of British Heavy metal, il tutto suonato e prodotto talmente bene che potrebbe essere tranquillamente un album pubblicato da una grossa label.

I Battle X sono un quartetto, hanno in Jaka Črešnar non solo il chitarrista ritmico ma un cantante eccellente, perfetto ed emozionale, non solo un urlatore rabbioso ma monocorde, come tanti suoi colleghi, bensì interprete del sound altamente metallico del gruppo.
Blaž Lorenčič al basso e Simeon Garkov alle pelli formano una sezione ritmica precisa e potente, mentre la chitarra solista di Filip Gornik valorizza con bellissimi passaggi questo entusiasmante lavoro.
Perché di questo si tratta, un lavoro di una bellezza metallica che commuove, esplosivo e dirompente ma anche intimista, drammaticamente melodico, fiero nel portare questa raccolta di note nell’olimpo del genere, anche se magari rimarrà ad esclusiva di pochi fortunati che godranno di tanta qualità.
I Battle X hanno scritto una delle pagine più belle del genere degli ultimi tempi, e brani straordinariamente efficaci come l’opener Break Your Bones, la seguente e devastante Raise Hell, il capolavoro The Hierophant, la potentissima Whispers In The Sand e la conclusiva title track sconvolgeranno i thrashers che non vogliono fermarsi alle apparenze o al paese di provenienza.
Noi siamo Iyezine e non abbiamo paura di dare a Cesare quel che è di Cesare, anche se non c’è dietro una label di riferimento da blandire: per Imminent Downfall c’è solo da spellarsi le mani in scroscianti applausi.

TRACKLIST
1. Break Your Bones
2. Raise Hell
3. Final Confrontation
4. Face to Face
5. Dignity
6. The Hierophant
7. Whispers in the Sand
8. Circus of Trust
9. The Ascent
10. Imminent Downfall

LINE-UP
Blaž Lorenčič – Bass
Simeon Garkov – Drums
Filip Gornik – Guitars (lead)
Jaka Črešnar – Vocals, Guitar (Rhythm)

BATTLE X – Facebook

Mightiest – Sinisterra

Un album che non deve scorrere tra l’indifferenza degli amanti dell’epicità in musica, assolutamente consigliato sia ai fans dei suoni estremi estremi che a quelli più orientati verso sonorità classiche ed old school.

Strana storia quella dei Mightiest, arrivati solo ora al debutto sulla lunga distanza, pur essendo una band considerata storica nel panorama estremo tedesco.

Il gruppo, nato nel 1994 e facente parte della seconda ondata delle truppe di blacksters che invasero l’Europa in quel periodo, non ha mai trovato la giusta stabilità di line up, o forse, le buone vibrazioni dei fans non andarono a braccetto con quelle degli addetti ai lavori, fatto sta che la discografia del gruppo non andò oltre ad un paio di demo, altrettanti ep ed uno split.
Arrivano così, dopo oltre vent’anni, al primo full length, licenziato dalla Cyclone Empire, ed il risultato non può che essere ottimo.
Sinisterra è una perfetta via di mezzo tra il black metal e l’heavy metal epico, ne esce un lavoro potente, permeato da atmosfere colme di epicità e fierezza, come se i Bathory più classici si alleassero con il melodic black metal di gruppi come i Naglfar, senza far mancare le atmosfere dei Secrets Of The Moon e dei Lunar Aurora ed una battagliera enfasi alla Manilla Road.
Sei brani medio lunghi, colonne sonore di epoche dove l’acciaio e gli dei comandavano sugli uomini, cavalcate di metallo votato all’oscura gloria, scritta con il sangue dei vinti e glorificata dalle urla vittoriose dei conquistatori.
La title track riassume il mood dell’album, magari lasciandosi andare ad una troppa prolissità, ma dall’indubbia presa, specialmente nel saper mantenere un’atmosfera epica mai doma.
I tasti d’avorio fanno da tappeto al sound che sprizza rabbia guerresca, gli strumenti sono armi in mano a musicisti/guerrieri, che formano un’orda barbarica, l’heavy metal epico valorizza a suon di solos classici ed atmosfere epiche songs come Soular Eclipse, mentre il mid tempo melodicissimo, che caratterizza l’inizio di Ocean Empires, travolge con la sua carica epica, prima che il crescendo si tramuti in una cavalcata di tremebondo black metal.
L’album si conclude con il brano più orientato verso il metal estremo (The Purifire), un vento ritmico che spazza via l’odore del sangue, anche se i solos si mantengono molto melodici e lo scream riecheggia di spirito epico, un lungo inno alla gloria della vittoria, tenendo ben salda tra le mani, avvolte nel metallo dell’armatura, la bandiera dell’heavy metal.
Un album che non deve scorrere tra l’indifferenza degli amanti dell’epicità in musica, assolutamente consigliato sia ai fans dei suoni estremi estremi che a quelli più orientati verso sonorità classiche ed old school.

TRACKLIST
1. Devour The Sun
2. Animalevolence
3. SinisTerra
4. Soular Eclipse
5. Oceanic Empires
6. The Purifire

LINE-UP
O. – throat
C. – battery
S. – guitars, bass
Ral – guitars, keys

MIGHTIEST – Facebook

Lizzies – Good Luck

Non cambieranno il mondo della nostra musica preferita, ma in quanto ad impatto ed attitudine le Lizzies superano di molto i giovani fenomeni pubblicizzati a più riprese dagli addetti ai lavori.

Dalla Spagna, tramite The Sign Records arrivano queste quattro ragazze al debutto sulla lunga distanza con Good Luck, un buon lavoro di metal old school, che non disdegna un approccio hard & roll.

La band, attiva dal 2010 ha già licenziato un demo ed un ep, End Of Time, uscito nel 2013, ed ora si lancia sul mercato con le minime credenziali per non passare inosservata nell’universo underground.
Il gruppo di Madrid ha nell’impatto ruvido e senza fronzoli la sua più accentuata virtù, il sound proposto è una buona versione delle influenze, marcate dei gruppi storici del rock/metal mondiale, a partire dai Motorhead, per passare da casa Iron Maiden e Thin Lizzy.
Si potrebbe tranquillamente parlare di rock’n’roll, non fosse che molti dei solos guardano alla New Wave Of British Heavy Metal e l’atmosfera rimane tesa e poco riscontrabile con il rock da party.
Le Lizzies non sono qui per rallegrare la serata, il loro sound vive di una sana attitudine metallica, le songs forse mancano di ritornelli facilmente orecchiabili, ma l’intensità è buona ed una manciata di brani di discreta fattura.
L’opener Phoenix richiama la storica For Those About To Rock degl AC/DC, mentre Viper guarda al sound britannico ed alla vergine più famosa del metal, a tratti le ritmiche si fanno rockeggianti, segno che le ragazze hanno preso lezione dal Prof.Lemmy, con Good Luck che continua il suo viaggio tra le influenze del gruppo.
Night In Tokio e la conclusiva 8 Ball regalano ancora del buon metal old school, arrivando in fondo senza neanche una ballad, segno dell’attitudine da rockers dure e pure delle Lizzies.
Detto di una buona prova generale delle musiciste, Good Luck rimane un disco piacevole, suonato con l’anima e senza grosse cadute di tono, per cui lo si promuove e consiglia agli amanti delle sonorità classiche e delle band di riferimento.
Non cambieranno il mondo della nostra musica preferita, ma in quanto ad impatto ed attitudine le Lizzies superano di molto i giovani fenomeni pubblicizzati a più riprese dagli addetti ai lavori.

TRACKLIST
1. Phoenix
2. 666 Miles
3. Viper
4. Mirror Maze
5. Night in Tokyo
6. Speed on the Road
7. One Night Woman
8. Russian Roulette
9. 8 Ball

LINE-UP
Motorcycle Marina – Bass
Patricia Strutter – Guitars
Elena Zodiac – Vocals
Saray Sáez – Drums

THE LIZZIES – Facebook

Lizzies – Good Luck

Bastian – Rock Of Daedalus

Un album compatto, valorizzato dalla prova di un Vescera sontuoso, di un Macaluso che sfodera tutta la sua esperienza alle pelli, ben sostenuto dal basso di Giardina, e dalla sei corde dell’axeman nostrano, un chitarrista sanguigno che lascia ad altri virtuosismi fini a se stessi e mette il suo talento a disposizione dei brani

Quello che poteva sembrare un progetto estemporaneo, ha trovato la sua definitiva consacrazione con l’uscita di questo secondo album e i Bastian di Sebastiano Conti possono essere considerati una band a tutti gli effetti.

Due anni fa il chitarrista siciliano aveva stupito tutti con Among My Giants, un bellissimo album di hard’n’heavy che vedeva il buon Conti circondato da un nugolo di musicisti storici della scena come Vinnie Appice, Mark Boals, Michael Vescera e John Macaluso.
Lo scorso anno Among My Giants tornava a far parlare di sé con la riedizione curata dall’Underground Symphony, label per cui esce questo nuovo Rock Of Daedalus con il gruppo ridotto a quattro elementi : Sebastiano Conti alla sei corde, Michael Vescera al microfono, John Macaluso alle pelli e Corrado Giardina al basso.
Rock Of Daedalus non sposta di una virgola il concept musicale su cui si destreggia il chitarrista siciliano: il sound influenzato dalla scena ottantiana e dai mostri sacri del genere, perfettamente bilanciato tra hard rock ed heavy metal, continua a mietere vittime con questi dieci brani ruvidi e diretti, aggressivi e potenti ma tremendamente efficaci.
Una album compatto, valorizzato dalla prova di un Vescera sontuoso, di un Macaluso che sfodera tutta la sua esperienza alle pelli, ben sostenuto dal basso di Giardina, e dalla sei corde dell’axeman nostrano, un chitarrista sanguigno che lascia ad altri virtuosismi fini a se stessi e mette il suo talento a disposizione dei brani, così che possano esplodere in tutta la loro carica hard rock.
Massiccio è forse il termine più adatto per descrivere il sound di questo lavoro, e la band, fin dall’opener Strange Toughts, sfodera ritmiche dal groove viscerale, molto più zeppeliniane rispetto al suo predecessore.
Il mid tempo roccioso di The Pide Piper torna ad esplorare il sound dei Black Sabbath era Tony Martin, mentre Vlad e Terminators confermano la voglia di far male di questa multinazionale dell’hard & heavy, supportata da un Vescera in stato di grazia, epico ed emozionale.
Conti ricama di solos sanguigni e riff tutta grinta e potenza le varie songs, e siamo già alla metallica Steel Heart, apice di questo bellissimo lavoro, un brano heavy metal disegnato coi colori dell’arcobaleno più famoso della nostra musica preferita.
Smokin’ Joe e la ballad Wind Song, chiudono questo ritorno sopra le righe dei Bastian, confermando quello di Sebastiano Conti un gruppo che non può mancare tra gli ascolti degli amanti dell’hard’n’heavy di estrazione classica.

TRACKLIST
1.Strange Thoughts
2.The Pide Piper
3.Vlad
4.Terminators
5.Man Of Light
6.Man In Black
7.18 In Woodstock
8.Steel Heart
9.Smokin’ Joe
10.Wind Song

LINE-UP
Sebastiano Conti- Guitars
Michael Vescera- Vocals
John Macaluso- Drums
Corrado Giardina- Bass

BASTIAN – Facebook

Inishmore – The Lemming Project

Tanta melodia, dunque, per un album piacevolmente metallico in il songwriting si dimostra all’altezza ed i musicisti, senza strafare, ottengono un bel voto per tecnica e feeling.

La Svizzera ha una tradizione metallica di tutto rispetto, specialmente per quanto riguarda i suoni hard rock e metal classici, le band che nel tempo hanno trovato i favori dei fans, anche fuori confine, non sono poche e tra le cime dei monti alpini, così come nelle fiabesche valli, il genere ha trovato un sicuro rifugio, anche nei periodi che hanno visto i suoni classici perdere popolarità tra gli amanti della musica dura.

Gli Inishmore sono una band proveniente da Baden, il loro viaggio nella musica metallica è iniziato nel lontano 1997 e all’alba del nuovo millennio il gruppo licenziò il primo full length, The Final Dance, cui seguirono altri due lavori, Theatre of My Life del 2001 e Three Colours Black del 2004.
Un lungo silenzio discografico ha caratterizzato gli ultimi undici anni, anche se il gruppo si è riformato in effetti nel 2011 arrivando finalmente a dare un seguito all’ultimo lavoro con The Lemming Project, licenziato dalla Label Dark Wings.
Il sound della band si sviluppa con un power metal di scuola teutonica, impreziosito da ottime ritmiche e melodie hard rock;,il cantato femminile non punta alle solite linee sinfoniche, care ai gruppi odierni, ma offre una buona prestazione dal timbro melodico e personale della bravissima Michela Parata.
Tanta melodia, dunque, per un album piacevolmente metallico in cui il songwriting si dimostra all’altezza ed i musicisti, senza strafare, ottengono un bel voto per tecnica e feeling.
Tastiere presenti, ma non invadenti, asce a cui non manca la giusta grinta, chorus dal buon appeal e ritmiche che si alternano tra fughe power e ritmi hard rock, fanno di The Lemming Project un ottimo album, vario e ben fatto, dove ogni brano non scende sotto un livello buono e forma con gli altri un lavoro tutto da ascoltare.
Tra i solchi dei vari brani presentati le sonorità power la fanno da padrone, ma, come detto, non mancano sfumature da arena rock, che mantengono comunque un piglio ruvido, metallico, ottimo per scaldare i cuori dei true defenders, così come dei più pacati rockers vecchia scuola.
Merciful, la folk oriented Finally a Love Song, la cadenzata e old school Manifest, la bellissima Red Lake, power metal song dal piglio drammatico, e i dodici minuti della suite che dà il titolo all’album, un piccolo capolavoro di metal orchestrale e progressivo, sono all’origine del buon risultato finale; un disco che raccoglie una moltitudine di atmosfere hard/power e le ingloba in un unico lavoro che, a tratti, risulta entusiasmante.
Pink Cream 69, Masterplan e Rough Silk, sono i primi nomi che affiorano tra le trame di The Lemming Project, dategli un ascolto, ne vale la pena.

TRACKLIST
1. Cup of Lies
2. Merciful
3. Better off Dead
4. Finally a Love Song
5. Part of the Game
6. Manifest
7. Eternal Wanderer
8. Red Lake
9. Where Lonely Shadows Walk
10. The Lemming Project
11. Where Lonely Shadows Walk (Acoustic)

LINE-UP
Michela Parata-Vocals
Fabian Niggemeier-Guitars
Jarek Adamowski-Guitars
Alex Ortega-Drums
Pascal Gysi-Keyboards

INISHMORE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=Tv3RTkKZY5k

Savage Master – With Whips and Chains

Dal più profondo abisso dell’underground metallico statunitense, risalgono in superficie i Savage Master, della coppia Adam Neal e Stacey Peak, a caccia di streghe in quel di Salem e nei paesi dell’America occulta di due secoli fa.

Dal più profondo abisso dell’underground metallico statunitense, risalgono in superficie i Savage Master, della coppia Adam Neal e Stacey Peak, a caccia di streghe in quel di Salem e nei paesi dell’America occulta di due secoli fa.

Con fruste e catene, come da titolo, il gruppo proveniente dal Kentucky fa strage di chiunque viene sospettato di stregoneria e adorazione del satanasso, un massacro perpetuato più per soddisfazione sadica della bella sacerdotessa del male, che vera missione contro le forze demoniache.
Non viene risparmiato nessuno, in un’orgia di violenza sadica e senza pietà, paesi e villaggi vengono dati alle fiamme dal gruppo di incappucciati musicisti e dalla terribile Stacey.
La musica che accompagna questa carneficina è un heavy metal old school, dalle buone trame chitarristiche, Iron Maiden e Stormwitch riecheggiano a più riprese nel sound del gruppo che riprende, senza tanti fronzoli, il discordo musicale intrapreso con il primo full length, uscito un paio di anni fa (Mask of the Devil).
La produzione mantiene le caratteristiche old school come il sound proposto, la vocalist urla e sbraita mentre la frusta schiocca sulla pelle di donzelle innocenti accusate di stregoneria, il quartetto di boia incappucciati al servizio della crudele dama affilano le asce e costruiscono altari di legno per bruciare e purificare anime e corpi, mentre le varie songs accompagnano le brutali azioni dei nostri senza però contribuire in modo convincente all’atmosfera oscura del concept.
Produzione soffocata, come le terre avvolte nella nebbia fredda e terrificante scesa ad abbracciare in una stretta morbosa i luoghi dei misfatti, qualche cavalcata metallica dal buon passo, tirano fuori il disco da un mood piatto che attanaglia i brani, così come i solos, taglienti ed abrasivi, la vocalist fa di tutto per caricare l’atmosfera di malvagità e violenza, ma ci riesce solo in parte.
With Whips And Chains scivola così, fino alla fine, senza picchi, non andando oltre una sufficienza risicata, dando l’impressione di un lavoro che non va oltre le preferenze degli amanti del genere.

TRACKLIST
1. Call Of The Master
2. Dark Light Of The Moon
3. With Whips And Chains
4. Path Of The Necromancer
5. Vengeance Is Steel
6. Looking For A Sacrifice
7. Satan’s Crown
8. Burned At The Stake
9. Black Hooves
10. Ready To Sin

LINE-UP
Stacey Peak – Vocals
Adam Neal – Guitar
Larry Myers – Guitar
Brandon Brown – Bass
Zach Harris – Drums

SAVAGE MASTER – Facebook

Fear Theories – The Predator

The Predator convince, la produzione lascia qualche pecca ma sono dettagli, il classico pelo nell’uovo nel contesto di una valutazione più che positiva

Heavy metal old school, ipervitaminizzato da ritmiche che richiamano il thrash made in Bay Area, questo il sound proposto dai norvegesi Fear Theories, metallo fiero, ruvido e grintoso, una mazzata che varia tra cavalcate veloci e mid tempo epici e dalla forza bruta, insomma, un album dedicato alle sonorità che più ci hanno fatto innamorare, parlando di metal classico.

Nord europeo, ma dalla forte impronta statunitense nel sound, il gruppo di Haugesund, molto giovane, promette davvero bene, The Predator sa come far male, nel suo alternare il metal old school britannico (Judas Priest e Maiden), alle più estreme performance delle realtà thrash d’oltreoceano (Metallica), così da formare un compatto e piacevole esempio di musica pesante, dove le ritmiche inchiodano al muro, i solos non mancano di essere melodici il giusto e la voce, maschia e ruvida si impossessa di tutti i cliché epici che le sonorità usate richiedono.
Il quartetto scandinavo è al debutto sulla lunga distanza, l’ep di tre anni fa (So It Begins) è valso alla band la firma per la Crime Records, label che licenzia questo ottimo lavoro e The Predator conquisterà non pochi cuori metallici in giro per il globo.
My Own Worst Enemy apre le danze, la tensione si fa subito altissima, il quartetto norvegese spinge subito sull’acceleratore, badando al sodo, metal che esplode in tutta la sua nobile fierezza, accompagnato dallo scudiero valoroso che di nome fa thrash metal e nel variegato mondo metallico è il più accreditato compagno d’avventure di sir heavy.
Il gruppo con buon saper fare, alterna brani più diretti, a mid tempo ottantiani di sicura presa: Cancelled, The End Of Time, risuonano di fragore metallico, mentre Andreas Tjøsvoll urla tutta la sua devozione all’immortale e leggendario suono, nato nelle strade grigie di fumo e nebbia del Regno Unito e trasferitosi negli States neanche maggiorenne.
Il riff portante della title track è quanto di più vicino al perfetto esempio di metal old school si possa trovare in giro e trasformandosi in un crescendo esaltante, si avvicina pericolosamente al sound della vergine di ferro, mentre il tono vocale del singer mantiene un mood aggressivo e thrash oriented.
Metal Lives Forever è il classico inno da cantare on stage, per ringraziare gli dei dell’immortalità regalata al nostro genere preferito, mentre i saluti sono lasciati alla song che prende il titolo dal monicker del gruppo, un altro metal anthem, dal tiro micidiale e dalle ottime melodie chitarristiche.
The Predator convince, la produzione lascia qualche pecca ma sono dettagli, il classico pelo nell’uovo nel contesto di una valutazione più che positiva, dategli un ascolto anime metalliche, non ve ne pentirete.

TRACKLIST
01. My Own Worst Enemy
02. Atonement
03. Cancelled
04. Heroes of Today
05. The End of Time
06. The Predator
07. Metal Lives Forever
08. Addicted
09. Fear Theories

LINE-UP
Ole Sønstabø – Lead guitars
Andreas Tjøsvoll – VocaLS, guitars
Brage Nygaard – Drums
Joakim Antonsen – Bass

FEAR THEORIES – Facebook