Immortal Guardian – Age Of Revolution

Age Of Revolution è un lavoro spettacolare, assolutamente da non perdere se siete amanti di queste sonorità, che eleva gli Immortal Guardian al ruolo di una delle migliori realtà nel panorama power metal odierno.

Qualche anno fa il power metal melodico, progressivo e di ispirazione neoclassica era materia proveniente dal centro e dal nord Europa, terre che avevano dato i natali ai maestri del genere.

Con il passare del tempo anche gli altri paesi hanno visto nascere band di un certo spessore, con il genere diventato uno dei più seguiti nella terra del sol levante, mentre negli States il metal classico è sempre stato sinonimo di U.S. power, molto più oscuro e thrash oriented.
Il ritorno sul mercato degli Immortal Guardian è la classica eccezione che conferma la regola, visto che il quartetto di texano è una delle più convincenti realtà del genere che non giunga dal Sud America.
Nata nel 2008, la band ha inciso due demo e due ep, Super Metal del 2011 e Revolution Part I, bombe speed/ power dai tratti progressivi, epici, magniloquenti, veloci e impeccabilmente suonati dai quattro superheroes degli strumenti, ora alle prese con il primo full length, licenziato a tre anni dall’ultimo ep, che conferma l’altissima qualità della loro proposta.
Age Of Revolution è un album splendidamente progressivo nei suoi accenni al jazz e alla fusion, in un contesto power che ricorda la scena melodica tedesca e quella neoclassica scandinava, unite in un susseguirsi di colpi di scena e valorizzate da un songwriting davvero originale per il genere proposto.
Carlos Zema, vocalist già alla corte dell’ex Manowar David Shankle, e la sezione ritmica protagonista di cambi di tempo al limite dell’umano composta dal tentacolare Cody Gilliland alle pelli e Thad Stevens al basso, sono capitanati dal talentuoso chitarrista e tastierista Gabriel Guardiola, soprattutto songwriter di un’altra categoria, almeno per quello che si può ascoltare nei brani che compongono Age of Revolution.
Malmsteen, Gamma Ray, Stratovarius, Dream Theater, Angra e Dragonforce vengono uniti sotto lo stesso tetto e spettacolarizzati da un sound che corre veloce tra devastanti canzoni power metal, progressive ed illuminate da trovate compositive straordinarie come Zephon, la splendida Never To Return, Hunters o la violentissima State Of Emergency.
Age Of Revolution è un lavoro spettacolare, assolutamente da non perdere se siete amanti di queste sonorità, che eleva gli Immortal Guardian al ruolo di una delle migliori realtà nel panorama power metal odierno.

Tracklist
1. Excitare
2. Zephon
3. Aeolian
4. Trail of Tears
5. Never to Return
6. Stardust
7. Hunters
8. Fall
9. State of Emergency
10. Awake

Line-up
Carlos Zema – Vocals
Thad Stevens – Bass
Gabriel Guardian – Guitars & Keyboards
Cody Gilliland – Drums/Vocals

IMMORTAL GUARDIAN – Facebook

Arte a luce rock: Giger dal prog al metal

Lo svizzero Hans Rudolf Giger (1940-2014), artista conosciutissimo per avere creato l’iconografica figura del mostro di Alien (portato per la prima volta sugli schemi, da Ridley Scott, nel 1979), ha riservato molti dei suoi lavori alle copertine di numerosi musicisti e band dell’universo rock.

Le sue creature surreali – ai limiti del body horror, di cronenberghiana memoria – erano fatte di carne e di meccanica. Mostri partoriti da una mente visionaria, lovercraftiana, di infinito orrore e bellezza. Si può capire, dunque, perché questo artista estremo abbia trovato un così largo consenso, nel mondo musicale, tanto che oltre alla sua copertina capolavoro di ELP (Brain Salad Surgery, 1973) con quel volto femminile triste e regale presagio di un mondo futuro infernale e tecnologico, abbia avuto poi al suo attivo lavori con i Korn, con Debbie Harry (in Koo Koo), con gli svizzeri Shiver, i francesi Magma, band black metal (come gli elvetici Celtic Frost, Triptykon), gothic-death metal come gli Atrocity, dark-punk come i Danzig e Dead Kennedys. La freddezza metallica della sua arte, unita alla dimensione tecnologica e fantascientifica, ne hanno fatto un’icona imprescindibile, per tutti quei gruppi rock e metal che si sono avvicinati e si avvicinano all’estremo.
E’ un estremo visuale e sonoro, quello di Giger e delle band che si sono avvalse dei suoi favori. Nel 1973, Brain Salad Surgery di ELP fu un disco avveniristico e contro-corrente per l’epoca: infatti, se pensiamo che, in quell’anno, i Genesis pubblicavano il melodico e romantico Selling England by the Pound, un album come quello di Emerson e compagni rappresentava un qualcosa di antitetico: un disco futuristico ed oscuro, elettronico e fantascientifico, forse persino troppo in anticipo sui tempi, per venire compreso ed apprezzato allora sino in fondo. Naturale pertanto che a firmare la copertina sia stato appunto Giger, la cui inquietante pittura era perfettamente confacente a quel sound, nero ed atmosferico, cinematografico e magniloquente, zeppo di tessiture per sintetizzatore e freddissimo sul piano formale. In assoluto, uno dei più grandi dischi della storia del rock, con la Jerusalem del grande poeta William Blake (1757-1827) e la suite Karn Evil 9 sugli scudi.

Quattro anni dopo, nel 1977, Giger venne anche invitato a realizzare la cover per Pictures, debutto e unico album dei suoi connazionali Island, band di culto, molto influenzata dai Van der Graaf, assai dark oltre che progressive, quindi. In copertina, con due anni d’anticipo sul film, troviamo già Alien, all’interno di un scenario, e orrorifico e biomeccanico, che precorre la cultura cyber-punk degli anni Ottanta.

Nel 1978 furono i Magma a chiamare a collaborare Giger in occasione del loro Attahk. Certo non si tratta del loro lavoro migliore, tuttavia valido ed importante, un ulteriore tassello, nella storia dello zeuhl francese ed europeo dei Seventies. Del resto, la band del grande Christian Vander non poteva, vista la propria proposta artistico-musicale, non avvalersi del talento visionario e proto-cibernetico di Giger, artista davvero alieno per un gruppo dichiaratamente altrettanto alieno.

Se negli anni Settanta la nuova frontiera del rock era stata soprattutto il progressive, nel corso della decade successiva lo fu indubbiamente il metal, con tutte le sue branche ed in particolare coi legami intrattenuti dall’heavy con l’universo dell’esoterismo, dell’horror e delle scienze occulte. Giger era in proposito l’artista perfetto al quale chiedere una controparte visiva del tutto complementare a quella sonoro-musicale: una rappresentazione e materializzazione iconica di incubi, paure, terrori. I primi a valorizzarne il genio, durante gli Eighties, furono i Celtic Frost, guarda caso svizzeri come lui. La copertina di To Mega Therion (1985), con il demone che usa il crocifisso come fionda, è ancor oggi non poco disturbante. Quanto alla musica, quasi superfluo ricordare che quel disco, partendo da una base speed-thrash venomiana, ha aperto – direttamente o indirettamente, a seconda dei punti di vista – le porte a black e death primordiali.

E visto che abbiamo parlato di death metal, impossibile non citare a questo punto gli Atrocity, band tedesca davvero storica, il cui esordio Hallucinations, prodotto nel 1990 dal grande Scott Burns, fu illustrato da Giger: stavolta l’ispirazione veniva dal surrealismo francese del primo Novecento, e da Dalì in particolare, come appare evidente dall’uso deformante del tratto e dai connotati obliqui della raffigurazione, astratta e distorta insieme, al centro di una geometria impossibile che ha cessato del tutto di rispondere alle regole euclidee.

Due anni dopo, nel 1990, Giger collaborò con Danzig per il terzo capitolo della sua carriera solista: How the Gods Kills vide l’ex leader dei Misfits alle prese con un thrash gotico per il quale il pittore elvetico pensò ad un’ennesima variazione sul tema di Alien, vera sorgente inesauribile della sua arte estrema.

Nel 1993, furono gli inglesi Carcass a ricorrere a Giger, per il loro Heartwork, un capitolo storico del grindcore nordeuropeo, con in copertina il classico simbolo della pace rivisto in chiave horror e biomeccanica. Provocazione? Umorismo nero? O superiore disprezzo e stravolgimento dei luoghi comuni e dei canoni codificati? Da Giger tutto davvero ci si poteva aspettare.

Più di recente, Giger è voluto ‘tornare a casa’ – artisticamente e musicalmente parlando – tornando a collaborare con il suo vero alter ego in ambito metal, Thomas Gabriel Warrior (Fischer all’anagrafe) per Eparistera Daimones (2010) e Melana Chasmata (2014) dei Triptykon: due stupendi lavori di black-thrash, che aggiornano e conducono a definitiva maturazione l’itinerario principiato dai Celtic Frost a metà circa degli anni ’80. Vera demonologia in musica e perfetta conclusione della migliore e più inquietante meditazione artistico-musicale su spazi altri ed incubi cosmici.

Roberto Grassi – Warhammer

Mourning By Morning – Mourning By Morning

L’album si muove a ritmi sempre controllati, senza che venga mai meno un sentire malinconico che trova il suo opportuno contraltare in uno screaming adeguato e in un lavoro chitarristico preciso ed incisivo in ogni frangente.

Mourning By Morning è il nome dell’ennesimo progetto solista preveniente dagli Stati Uniti e capace di offrire un’ottima interpretazione del black metal atmosferico.

Niente di nuovo, anche perché la stessa strada viene battuta da un’infinità di musicisti, gran parte dei quali si disimpegna sicuramente molto bene, ma un buon motivo per prestare la dovuta attenzione all’operato di Sörjande è la sua spiccata propensione a comporre melodie dolenti e di grande impatto.
Anche la produzione adeguata rende giustizia a questo ottimo lavoro autointitolato che si snoda per quaranta minuti in maniera convincente e senza particolari passaggi a vuoto.
Il ragazzo dell’Ohio, prima di arrivare al full length d’esordio, ha pubblicato nel corso degli ultimi due anni un numero considerevole di uscite dal minutaggio ridotto, il che sicuramente gli ha consentito di arrivare all’appuntamento del tutto pronto.
L’album si muove a ritmi sempre controllati, senza che venga mai meno un sentire malinconico che trova il suo opportuno contraltare in uno screaming adeguato e in un lavoro chitarristico preciso ed incisivo in ogni frangente.
Si rivela quindi un piacere ascoltare brani davvero intensi a livello emozionale e dallo sviluppo melodico non banale, che ben si inserisce all’interno della struttura portante black, come At Heart, The Bride Of Ice, I Wander e il magnifico e conclusivo Wintertide, ma va detto che non c’è una sola traccia in questo lavoro che non meriti d’essere ascoltata, e questo non è mai un risultato scontato.
Mourning By Morning ha il pregio di lasciarci con una sensazione di malinconia che, nonostante i contenuti lirici non inducano affatto all’ottimismo, è piacevolmente soffusa piuttosto che rivolta verso una disperazione priva di sbocchi: anche per questo l’operato del bravo Sörjande ha qualche chance in più di raggiungere un numero più vasto di ascoltatori.

Tracklist:
1. Azure Eyes
2. At Heart
3. The Bride of Ice
4. Bleakness
5. I Wander
6. Underneath the Pressure of the Sea
7. Wintertide

Line-up:
Sörjande – Everything

MOURNING BY MORNING – Facebook

Nookie – Exceptions

Tredici brani per cinquanta minuti di musica non sono pochi nel genere, ma i Nookie sanno bene come tenere alta l’attenzione dell’ ascoltatore non abbassando mai la guardia con brani che si alternano tra rock diretto e scariche di intricatissime ritmiche metalliche.

Nookie è lo pseudonimo con cui la cantante Daria Stavrovich degli alternative rockers russi Slot si cimenta con la band che prende il suo nome.

La Sliptrick Records licenzia il loro terzo album, una raccolta di brani alternative rock, con qualche sporadico salto nel new metal, senza però andare oltre ad una grinta controllata e radio friendly.
Exceptions è comunque un buon lavoro, nel quale il gruppo asseconda con bravura il talento vocale di Nookie, bravissima nel saper variare la sua voce a seconda dell’atmosfera di ogni canzone, proponendo sfumature vocali che vanno dalla rabbia, alla disperazione, dalla dolcezza alla mera esecuzione, davvero sorprendente quando gareggia tra intricate ritmiche con gli strumenti.
Exceptions è nel suo complesso un buon lavoro di genere, l’urgenza del metal moderno si alterna con trame rock di chiara matrice statunitense, le influenze si dipanano per i brani senza però dare quel senso fastidioso di deja vu, anche perché rapiti dall’interpretazione della singer a tratti rimembrante la pantera Skin.
Tredici brani per cinquanta minuti di musica non sono pochi nel genere, ma i Nookie sanno bene come tenere alta l’attenzione dell’ ascoltatore non abbassando mai la guardia con brani che si alternano tra rock diretto e scariche di intricatissime ritmiche metalliche.
Magari poco conosciuta nel mercato occidentale, la band russa ha invece le carte in regola per piacere ai fans dell’alternative metal/rock a cui va il consiglio di non perdersi questo lavoro.

Tracklist
01.Au
02.Before I Die
03.Isklyucheniya
04.Vverkh
05.Znaki
06.Myprostoest
07. In-Yan
08.Vremennaya
09.Samim soboy
10.Prodolzhaem dvizhenie
11.Tantsuy, kloun, tantsuy
12.Yadovitaya
13.Kosmos

Line-up
Nookie – Lead Vocals
Sergey Bogolyubskiy – Guitar
Andrey Ostrav – Bass
Alexander Karpukhin – Drums

https://www.facebook.com/nuki.space/

GENUS ORDINIS DEI

Il video di ‘Hail and Kill’ (Eclipse Recors).

Il video di ‘Hail and Kill’ (Eclipse Recors).

Watch the music video at here / Stream the single via Spotify & Apple Music
Symphonic death metal quartet Genus Ordinis Dei have revealed a brand-new music video for their latest single, Hail and Kill. The song, which was originally written and recorded by the legendary power-metal band Manowar is out now via iTunes, Amazon, Google Play, Spotify, Apple Music, Deezer, Pandora, iHeartRadio and more! The video was directed by Steve Saints. Watch the ‘Hail and Kill’ music video at this location.

“We’ve always been true fans of this legendary metal band and we know that Manowar inspired thousands of bands, including us” says vocalist Nick Key. Guitarist Tommy Mastermind adds, “Representing the universe of Manowar in just one is song is not only hard, it’s impossible. We’re excited and honored to pay homage to the Kings of Metal with our cover version of Hail and Kill. We did our best to arrange a song that we, as true Manowar fans, want to listen and recognize as a true classic… Hail!”

This is the latest music video and single from the band since releasing their full-length album Great Olden Dynasty in November of 2017. The album received critical acclaim from dozens of media outlets worldwide, and features Cristina Scabbia from Lacuna Coil on guest vocals for the song Salem.

Hail and Kill by Genus Ordinis Dei is now available on iTunes, Amazon, or Google Play, and stream it via Spotify, Apple Music, Deezer, Pandora, iHeartRadio and more!

Upcoming live dates
Oct 12 – Seregno, Italy @ HT Factory (Drink ‘em All Festival)
Nov 3 – Vercelli, Italy @ Officine Sonore
Nov 8 – Caserta, Italy @ People Meet Center
Nov 10 – Alatri, Italy @ Satyricon Live w/ Gigantomachina
Nov 10 – Mesagne, Italy @ Salento Funpark w/ Ghost of Mary
Dec 08 – Lodi, Italy @ KM298

Discography
Great Olden Dynasty (LP) – 2017
EP 2016 (EP) – 2016
The Middle (album) – 2015

ACOD – The Divine Triumph

La carriera degli ACOD fino a qui era già soddisfacente, ma questo disco è molto al di sopra della media e dovrebbe essere il definitivo trampolino per una formazione musicale che, in questo frangente, ha prodotto davvero una grande uscita, potentissima e molto coinvolgente.

Con un incondizionato assalto black death metal con forti accenni sinfonici, i francesi ACOD puntano tutto sulla notevole potenza di fuoco e su una composizione molto precisa e funzionale.

Il gruppo viene da Marsiglia e si inserisce nel solco della tradizione metal francese che stupisce sempre per la notevole varietà di soluzioni. Qui i generi si fondono e i codici musicali dei sottogeneri vengono usati per arrivare al risultato finale che è notevole. Lo stile potrebbe ricordare quello dei Behemoth di qualche anno fa, ma il loro tiro è maggiore di quello del gruppo polacco in alcuni frangenti. Le orchestrazioni sono composte benissimo dal gruppo e da Richard Fixhead, ex Tantrum. Spesso nel metal le parti orchestrali sono eseguite in maniera tale da risultare avulse dal contesto, o peggio, quasi sgradevoli all’orecchio, ma in questo caso invece sono un ulteriore valorizzazione del lavoro del gruppo e sono quindi molto piacevoli. L’incedere del quarto disco del trio marsigliese è incessante e lascia una scia di sangue dietro di sé, con l’ascoltatore che rimane pienamente soddisfatto da quanto sta ascoltando. La carriera degli ACOD fino a qui era già soddisfacente, ma questo disco è molto al di sopra della media e dovrebbe essere il definitivo trampolino per una formazione musicale che, in questo frangente, ha prodotto davvero una grande uscita, potentissima e molto coinvolgente. Non c’è un secondo di noia o di riempitivo, è tutto furia e devastazione, antiche storie e nuovi demoni, e il gruppo dimostra di possedere un marchio immediatamente riconoscibile, che è forse la cosa più difficile oggi, in ambito metal e non.

Tracklist
01. L’ascension des abysses
02. Omnes Tenebrae
03. Road To Nowhere
04. Broken Eyes
05. Between Worlds
06. Tristis Unda
07. Sanity Falls
08. The Divine Triumph
09. Fleshcell
10. Beyond Depths
11. Sleeping Shores

Line-up
Fred – Vocals
Jerome – Guitars/Bass
Raph – Drums

ACOD – Facebook