Arte a luce rock: Giger dal prog al metal

Lo svizzero Hans Rudolf Giger (1940-2014), artista conosciutissimo per avere creato l’iconografica figura del mostro di Alien (portato per la prima volta sugli schemi, da Ridley Scott, nel 1979), ha riservato molti dei suoi lavori alle copertine di numerosi musicisti e band dell’universo rock.

Le sue creature surreali – ai limiti del body horror, di cronenberghiana memoria – erano fatte di carne e di meccanica. Mostri partoriti da una mente visionaria, lovercraftiana, di infinito orrore e bellezza. Si può capire, dunque, perché questo artista estremo abbia trovato un così largo consenso, nel mondo musicale, tanto che oltre alla sua copertina capolavoro di ELP (Brain Salad Surgery, 1973) con quel volto femminile triste e regale presagio di un mondo futuro infernale e tecnologico, abbia avuto poi al suo attivo lavori con i Korn, con Debbie Harry (in Koo Koo), con gli svizzeri Shiver, i francesi Magma, band black metal (come gli elvetici Celtic Frost, Triptykon), gothic-death metal come gli Atrocity, dark-punk come i Danzig e Dead Kennedys. La freddezza metallica della sua arte, unita alla dimensione tecnologica e fantascientifica, ne hanno fatto un’icona imprescindibile, per tutti quei gruppi rock e metal che si sono avvicinati e si avvicinano all’estremo.
E’ un estremo visuale e sonoro, quello di Giger e delle band che si sono avvalse dei suoi favori. Nel 1973, Brain Salad Surgery di ELP fu un disco avveniristico e contro-corrente per l’epoca: infatti, se pensiamo che, in quell’anno, i Genesis pubblicavano il melodico e romantico Selling England by the Pound, un album come quello di Emerson e compagni rappresentava un qualcosa di antitetico: un disco futuristico ed oscuro, elettronico e fantascientifico, forse persino troppo in anticipo sui tempi, per venire compreso ed apprezzato allora sino in fondo. Naturale pertanto che a firmare la copertina sia stato appunto Giger, la cui inquietante pittura era perfettamente confacente a quel sound, nero ed atmosferico, cinematografico e magniloquente, zeppo di tessiture per sintetizzatore e freddissimo sul piano formale. In assoluto, uno dei più grandi dischi della storia del rock, con la Jerusalem del grande poeta William Blake (1757-1827) e la suite Karn Evil 9 sugli scudi.

Quattro anni dopo, nel 1977, Giger venne anche invitato a realizzare la cover per Pictures, debutto e unico album dei suoi connazionali Island, band di culto, molto influenzata dai Van der Graaf, assai dark oltre che progressive, quindi. In copertina, con due anni d’anticipo sul film, troviamo già Alien, all’interno di un scenario, e orrorifico e biomeccanico, che precorre la cultura cyber-punk degli anni Ottanta.

Nel 1978 furono i Magma a chiamare a collaborare Giger in occasione del loro Attahk. Certo non si tratta del loro lavoro migliore, tuttavia valido ed importante, un ulteriore tassello, nella storia dello zeuhl francese ed europeo dei Seventies. Del resto, la band del grande Christian Vander non poteva, vista la propria proposta artistico-musicale, non avvalersi del talento visionario e proto-cibernetico di Giger, artista davvero alieno per un gruppo dichiaratamente altrettanto alieno.

Se negli anni Settanta la nuova frontiera del rock era stata soprattutto il progressive, nel corso della decade successiva lo fu indubbiamente il metal, con tutte le sue branche ed in particolare coi legami intrattenuti dall’heavy con l’universo dell’esoterismo, dell’horror e delle scienze occulte. Giger era in proposito l’artista perfetto al quale chiedere una controparte visiva del tutto complementare a quella sonoro-musicale: una rappresentazione e materializzazione iconica di incubi, paure, terrori. I primi a valorizzarne il genio, durante gli Eighties, furono i Celtic Frost, guarda caso svizzeri come lui. La copertina di To Mega Therion (1985), con il demone che usa il crocifisso come fionda, è ancor oggi non poco disturbante. Quanto alla musica, quasi superfluo ricordare che quel disco, partendo da una base speed-thrash venomiana, ha aperto – direttamente o indirettamente, a seconda dei punti di vista – le porte a black e death primordiali.

E visto che abbiamo parlato di death metal, impossibile non citare a questo punto gli Atrocity, band tedesca davvero storica, il cui esordio Hallucinations, prodotto nel 1990 dal grande Scott Burns, fu illustrato da Giger: stavolta l’ispirazione veniva dal surrealismo francese del primo Novecento, e da Dalì in particolare, come appare evidente dall’uso deformante del tratto e dai connotati obliqui della raffigurazione, astratta e distorta insieme, al centro di una geometria impossibile che ha cessato del tutto di rispondere alle regole euclidee.

Due anni dopo, nel 1990, Giger collaborò con Danzig per il terzo capitolo della sua carriera solista: How the Gods Kills vide l’ex leader dei Misfits alle prese con un thrash gotico per il quale il pittore elvetico pensò ad un’ennesima variazione sul tema di Alien, vera sorgente inesauribile della sua arte estrema.

Nel 1993, furono gli inglesi Carcass a ricorrere a Giger, per il loro Heartwork, un capitolo storico del grindcore nordeuropeo, con in copertina il classico simbolo della pace rivisto in chiave horror e biomeccanica. Provocazione? Umorismo nero? O superiore disprezzo e stravolgimento dei luoghi comuni e dei canoni codificati? Da Giger tutto davvero ci si poteva aspettare.

Più di recente, Giger è voluto ‘tornare a casa’ – artisticamente e musicalmente parlando – tornando a collaborare con il suo vero alter ego in ambito metal, Thomas Gabriel Warrior (Fischer all’anagrafe) per Eparistera Daimones (2010) e Melana Chasmata (2014) dei Triptykon: due stupendi lavori di black-thrash, che aggiornano e conducono a definitiva maturazione l’itinerario principiato dai Celtic Frost a metà circa degli anni ’80. Vera demonologia in musica e perfetta conclusione della migliore e più inquietante meditazione artistico-musicale su spazi altri ed incubi cosmici.

Roberto Grassi – Warhammer