Turbo Vixen – Drive Into The Night

Drive Into The Night è composto da dieci brani sguaiati ed irresistibili, un adrenalinico pezzo di hard & heavy ottantiano che travolge come un’onda causata dal crollo di una diga a colpi di hard/rock ‘n’ roll metallico e senza freni.

Una bomba hard & heavy dalla miccia rock ‘n’ roll esploderà sulle vostre teste appena vi avvicinerete, magari per caso o curiosità, a Drive Into The Night, primo full length del duo canadese Turbo Vixen, composto dal batterista Aaron Bell e dal chitarrista J.J. Rowlands, a cui si aggiunge in veste di ospite al microfono Dan Cleary.

Dieci brani sguaiati ed irresistibili, un adrenalinico pezzo di hard & heavy ottantiano che travolge come un’onda causata dal crollo di una diga, a colpi di hard/rock ‘n’ roll metallico e senza freni.
Non c’è un attimo di tregua, il duo sale sul bolide e a tavoletta si allontana nella notte nel deserto, mentre accordi southern fanno da ricamo al mid tempo All My Love e si ripresentano nella conclusiva title track.
Il resto è un susseguirsi di esaltanti brani tra hard rock ed heavy metal, un mix perfetto di Van Halen, Motley Crue, Ratt e Twisted Sister alla maniera dei Turbo Vixen ovvero dinamitardo, esagerato e tremendamente coinvolgente.
Salite a bordo della vostra auto, accendete motori e lettore cd e sparatevi a velocità illegale nella notte in compagnia delle varie Thunder And Lightening, Cat House, Straight Out Of Hell e Drive Into The Night: vi prenderanno prima che faccia mattina, strapperanno la vostra patente, ma vi ritroverete a canticchiare dietro le sbarre i cori di questa decina di trascinanti brani.

Tracklist
01. Thunder and Lightning
02. No Mercy
03. Hard Love ‘n’ You
04. Cat House
05. Hit Back (Refuse to Lose)
06. All My Love
07. She’s Got the Touch
08. Straight out of Hell
09. Down the Hatch
10. Drive into the Night

Line-up
J.J Rowlands – Guitars
Aaron Bell – Drums

TURBO VIXEN – Facebook

Arwen – The Soul’s Sentence

The Soul’s Sentence è un album che si lascia ascoltare con piacere, scritto da una band in ottima forma e forte di un lotto di buoni brani: un ritorno più convincente non si poteva auspicare.

Potenza e melodia, power metal “mediterraneo” tra le trame di The Soul’s Sentence, terzo lavoro degli spagnoli Arwen.

Attiva dal 1996, ma con soli tre album all’attivo la band madrilena licenzia questo ottimo album quattordici anni dopo il precedente Illusions, un lasso di tempo che al giorno d’oggi non aiuta certo a rimanere nelle attenzioni dei fans.
Peccato, perché a sentire questa nuovissima raccolta di brani, gli Arwen sanno il fatto loro, presentandosi ancora una volta al cospetto degli amanti dei suoni power con un sound deciso, a tratti progressivo e appunto mediterraneo, in quanto vicino a realtà come Vison Divine e Labyrinth, fiori all’occhiello del metal italiano.
L’album parte deciso, la band graffia con eleganza amalgamando potenza, melodie a tratti neoclassiche e hard & heavy con sagacia, la voce del cantante Jose Garrido risulta interpretativa il giusto per donare un’anima ai vari brani che hanno in Torn From Home, When the World Doesn’t Matter e la raffinata semi ballad Crying Blood i migliori esempi del credo musicale del gruppo.
The Soul’s Sentence è un album che si lascia ascoltare con piacere, scritto da una band in ottima forma e forte di un lotto di buoni brani: un ritorno più convincente non si poteva auspicare.

Tracklist
1.Hollow Days
2.Torn from Home
3.Us or Them
4.The Void
5.When the World Doesn’t Matter
6.Endless Burden
7.Endless Burden
8.Beyond Pain
9.My Worst Self
10.Crying Blood
11.Our Chance

Line-up
José Garrido – Vocals (lead), Guitars
Nacho Arriaga – Drums, Percussion
Javier Díez – Keyboards, Piano
Daniel Melián – Bass, Vocals (backing)
Gonzalo Alfageme López – Guitars

ARWEN – Facebook

Idle Hands – Don’t Waste Your Time

Tutto sommato una buona partenza per la band di Portland, con un album consigliato alle anime oscure amanti tanto del dark rock dei Sisters Of Mercy che del metal classico di scuola statunitense alla Metal Church.

Gli Idle Hands sono una metal band proveniente da Portland formata da ex membri degli Spellcaster, band della scena metallica dell’Oregon con tre full length all’attivo prima dello scioglimento avvenuto lo scorso anno.

Gabriel Franco (voce e chitarra), Sebastian Silva (chitarra) e Colin Vranizan (batteria), raggiunti da David Kimbro (basso), tornano dopo pochi mesi con l’ep di debutto per questa nuova realtà.
Gli Idle Hands suonano un metal dalle tinte gotiche, che alterna alle atmosfere dark un sound che prende ispirazione dal metal tradizionale di scuola statunitense.
Ne escono cinque brani racchiusi in questo ep intitolato Don’t Waste Your Time, che si apre con l’arpeggio melodico di Blade And The Will, seguita da By Way Of Kingdom e l’ottima Can You Hear The Rain, il brano sicuramente più riuscito nonchè orientato verso il dark rock ottantiano.
Ed infatti il meglio gli Idle Hands lo tirano fuori quando la musica lascia territori marcatamente metal per un rock robusto, ma figlio del dark/gothic classico, come appunto avviene in Can You Hear  The Rain e nella conclusiva I Feel Nothing.
Tutto sommato una buona partenza per la band di Portland, con un album consigliato alle anime oscure amanti tanto del dark rock dei Sisters Of Mercy che del metal classico di scuola statunitense alla Metal Church.

Tracklist
1. Blade And The Will
2. By Way Of Kingdom
3. Can You Hear The Rain
4. Time Crushes All
5. I Feel Nothing

Line-up
Gabriel Franco – Vocals/Guitar
Sebastian Silva – Guitar
David Kimbro – Bass
Colin Vranizan – Drums

IDLE HANDS – Facebook

Barbarossastraße – Waiting In The Wings

Waiting In The Wings è un album piacevole ed intenso, maturo e divertente quanto basta per risultare un ascolto obbligato per gli amanti dell’hard & heavy classico.

Sembra facile suonare hard & heavy nel nuovo millennio quando, per quanto riguarda il rock, si è già detto tutto o quasi e le nuove tendenze portano ad una spettacolarizzazione della musica a discapito di impatto, attitudine e molte volte talento.

Nel genere in cui si muovono questi quattro rockers senesi, al secolo Barbarossastraße, l’impressione è quella di un ritorno prepotente allo spirito che regnava negli anni ottanta, specialmente nell’underground nel quale si muovono realtà che devono vedersela con i problemi di tutti i giorni, muovendosi forti di una passione mai doma tra serate in piccoli locali di provincia, un lavoro che reclama una sveglia che suona senza pietà all’alba e tanti sacrifici.
Waitings In The Wings è il loro secondo lavoro, licenziato dalla Volcano Records, un ottimo esempio di quello che è stata per una manciata d’anni la massima espressione del life style rock’n’roll e che vedeva come ombelico del mondo Los Angeles ed il suo Sunset Boulevard.
La copertina che ricorda non poco quella di Theatre Of Pain dei Motley Crue ci mette subito in guardia su quello che ascolteremo sul nuovo lavoro targato Barbarossastraße, ed infatti il sound ricorda nei brani più tirati lo storico gruppo statunitense che con gli Skid Row rappresenta la fonte d’ispirazione primaria per questi dieci brani.
La band si fa preferire quando preme sull’acceleratore dello sleazy metal e se ne esce con piccoli ma letali candelotti di dinamite come Backdraft, Nowhere Train, la trascinante ed irriverente On The Loose e I’ll Do It Again, ma è palese che tutto Waiting In The Wings funziona, tra veloci trame rock ‘n’ roll, mid tempo dal piglio heavy e ballad che placano l’elettricità sprigionata nell’aria dai Barbarossastraße.
Un album piacevole ed intenso, maturo e divertente quanto basta per risultare un ascolto obbligato per gli amanti dell’hard & heavy classico.

Tracklist
1.Here to Stay
2.Backdraft
3.Waiting in the Wings
4.Nowhere Train
5.Hereafter
6.On the Loose
7.Praise the Storm
8.Mexican Standoff
9.I’ll Do It Again
10.It Will Take Some Time

Line-up
Dario “TanzarHell” Tanzarella – Vocals
Riccardo “Richie” Ciabatti – Guitars
Alessandro “Pozze” Pozzebon – Bass
Marco “Lookdown” Guardabasso – Drums

BARBAROSSASTRASSE . Facebook

Heir Apparent – The View from Below

Uno dei ritorni più riusciti degli ultimi anni con una band che, dopo tre decenni, regala un album magnifico.

Diciamolo francamente: le tante reunion, o ritorni più o meno importanti delle vecchie glorie del metal classico, molte volte lasciano l’amaro in bocca, essendo frutto di poca convinzione o di un’esaurita vena creativa che attanaglia i protagonisti, da anni fuori dalla scena e tornati nel posto sbagliato al momento sbagliato.

I rockers d’annata aspettano così queste operazioni con la speranza di un ritorno ai vecchi fasti che puntualmente delude, a meno che non si abbia a che fare con gli Heir Apparent ed il loro nuovo lavoro, The View from Below.
La band di Seattle si ripresenta con un nuovo album dopo ventinove anni, essendo nata nella prima metà degli anni ottanta e resasi protagonista della scena metal progressiva con due capolavori come Graceful Inheritance, debutto sulla lunga distanza uscito nel 1986, e One Small Voice, licenziato dal gruppo nel 1989 un attimo prima che Seattle diventasse famosa per la scena grunge.
Quasi trent’anni quindi, prima di tornare a parlare del gruppo di Terry Gorle e di una sua nuova opera, licenziata dalla No Remorse Records, che risulta la classica eccezione che conferma la regola vista l’altissima qualità di queste otto nuove composizioni di alta classe.
Partendo da due dei gruppi protagonisti per decenni della scena heavy metal progressiva statunitense, come i Queensryche ed i Fates Warning, ci si inoltra verso un viaggio nel metal progressivo di alta scuola, prodotto benissimo, zeppo di raffinate melodie e composto appunto da otto perle che offrono il meglio del metal classico e melodico d’oltreoceano.
Con The View from Below vi scorderete di essere al cospetto di una band datata, lasciandovi trasportare dalle sinuose note progressive che fin dall’opener man In The Sky vi rapiranno, presi per mano dal nuovo cantante Will Shaw, protagonista assoluto di questo lavoro al pari con un songwriting che ha nelle trame epico/progressive di The Road To Palestine il suo punto più alto.
Non sono da meno gli altri brani, tra i quali ricordo la splendida Synthetic Lies, la potente Savior e il mid tempo progressivo dal titolo Insomnia, che conclude uno dei ritorni più riusciti degli ultimi anni con una band che, dopo tre decenni regala un album magnifico, e chiedere di più è impossibile.

Tracklist
1. Man in the Sky
2. The Door
3. Here We Aren’t
4. Synthetic Lies
5. Savior
6. Further and Farther
7. The Road to Palestine
8. Insomnia

Line-up
Will Shaw – Vocals
Terry Gorle – Guitar
Derek Peace – Bass
Ray Schwartz – Drums
Op Sakiya – Keyboards

HEIR APPARENT – Facebook

Hammerfall – Legacy Of Kings – 20 Year Anniversary Edition

Esaltante, melodico, spettacolare nelle ritmiche che sanno di heavy metal, ma che, con la forza del power, sbaragliano la concorrenza, Legacy Of Kings è un album magnifico, ovvero il metal nella sua espressione più semplice, diretta, epica e dall’appeal irresistibile.

Il tempo vola e, ultimamente, a scandire gli anni che passano ci pensa la Nuclear Blast, almeno per chi di metal vive da un po’, con le sue preziose ristampe e versioni deluxe per festeggiare anniversari di uscite importanti.

Tocca agli ormai storici Hammerfall ed al loro secondo splendido lavoro, Legacy Of Kings, ritornare in bella mostra nelle vetrine dei negozi specializzati, con questa nuova versione che celebra il ventesimo anno dall’uscita.
Era il 1998 e la band svedese capitanata dal vocalist Joacim Cans e dal chitarrista Oscar Dronjak doveva confermare la qualità espressa nel clamoroso Glory To The Brave, debutto con il botto e prima battaglia per il guerriero Hammerfall.
Legacy Of Kings forma, con il primo lavoro, una coppia stratosferica unita dalla stessa forza, potenza e melodia che contraddistinguerà il sound del gruppo anche se, a mio avviso, non più a questi livelli.
Ho sempre paragonato i primi due album degli Hammerfall alla stregua dei primi due Iron Maiden, tanto per ribadire il grande impatto con il quale il gruppo si affacciò sulla scena metal classica in anni in cui il nord Europa si riprendeva il trono del genere.
Esaltante, melodico, spettacolare nelle ritmiche che sanno di heavy metal, ma che, con la forza del power, sbaragliano la concorrenza, Legacy Of Kings è un album magnifico, ovvero il metal nella sua espressione più semplice, diretta, epica e dall’appeal irresistibile.
Non ci eravamo sbagliati vent’anni fa e il fatto che oggi siamo qui a parlare degli Hammerfall e di Legacy Of Kings lo dimostra, quindi per i collezionisti e per le nuove leve non rimane che consigliare questa ristampa sotto forma di due cd e di un dvd che comprendono la versione rimasterizzata dell’album, varie versioni demo e live …Let The Hammerfall!

Tracklist
1. Heeding The Call
2. Legacy Of Kings
3. Let The Hammer Fall
4. Dreamland
5. Remember Yesterday
6. At The End Of The Rainbow
7. Back To Back
8. Stronger Than All
9. Warriors Of Faith
10. The Fallen One
11. Eternal Dark
12. I Want Out
13. Man On The Silver Mountain
14. Legacy Of Kings (Live Medley 2018)
15. Heeding The Call (live)
16. Let The Hammer Fall (Live 2017)
17. Legacy Of Kings (live)
18. At The End Of The Rainbow (live)
19. Stronger Than All (live)
20. Heeding The Call (demo)
21. Let The Hammer Fall (demo)
22. Warriors Of Faith (demo)
23. Back To Back (demo)
24. At The End Of The Rainbow (demo)
25. Dreamland (demo)

Line-up
Patrik Räfling – Drums
Joacim Cans – Vocals
Oscar Dronjak – Guitars, Vocals (backing)
Stefan Elmgren – Guitars
Magnus Rosén – Bass

HAMMERFALL – Facebook

Ancient Bards – Origine – The Black Crystal Sword Saga Part 2

Il sound di questo nuova opera targata Ancient Bards è eccellente come ci hanno abituato questi guerrieri nostrani delle sette note, tra esplosioni di metal dal piglio cinematografico, cavalcate heavy power, sublimi canti e growl possenti in uno spettacolo di fuochi d’artificio metallico.

Il 2019 non poteva iniziare meglio, almeno per quanto riguarda il symphonic power metal, ed il merito di questa sfavillante partenza è degli Ancient Bards, probabilmente la migliore band nel genere battente bandiera tricolore ed una delle più convincenti in senso assoluto.

Siamo solo al quarto album ma non è un’eresia parlare del gruppo romagnolo come la punta di diamante di un stile musicale che nel nostro paese ha avuto grandi band ed artisti di spessore.
Sara Squadrani e soci hanno fatto passare cinque anni per dare un successore al bellissimo A New Dawn Ending e, grazie ad una campagna di crowdfunding, il nuovo lavoro, che prosegue nel concept iniziato nel 2010, vine licenziato tramite la Limb Music.
Origine – The Black Crystal Sword Saga Part 2, che presenta il nuovo membro ufficiale, il chitarrista Simone Bertozzi, è composto da dieci brani per quasi un’ora in un mondo magico persi tra le note che formano spettacolari scenari epic fantasy.
Il sound di questo nuova opera targata Ancient Bards è eccellente come ci hanno abituato questi guerrieri nostrani delle sette note, tra esplosioni di metal dal piglio cinematografico, cavalcate heavy power, sublimi canti e growl possenti in uno spettacolo di fuochi d’artificio metallico.
Il singolo Impious Dystophia, le meraviglie sinfoniche di Fantasy’s Wings, le fughe epico orchestrali di Titanism, la potenza sinfonica della seriosa ed oscura Hollow e la splendida chiusura con la suite The Great Divide, quattordici minuti di Ancient Bards al massimo del loro splendore, sono alcuni dei validi motivi per non perdere questo ennesimo bellissimo lavoro.

Tracklist
01. Origine
02. Impious Dystopia
03. Fantasy’s Wings
04. Aureum Legacy
05. Light
06. Oscurità
07. Titanism
08. The Hollow
09. Home Of The Rejects
10. The Great Divide Part 1 – Farewell Father Part 2 – Teardrop Part 3 – Il Grande E Forte Impero
11. Eredità Aurea (CD only Bonus Track)

Line-up
Daniele Mazza – keyboards & orchestrations
Claudio Pietronik – guitars
Sara Squadrani – vocals
Federico Gatti – drums
Martino Garattoni – bass
Simone Bertozzi – guitars & growls

ANCIENT BARDS – Facebook

Heidra – The Blackening Tide

Gli Heidra non si limitano alla spettacolarizzazione del genere ma offrono una cinquantina di minuti di metal che, alle non poche ispirazioni classiche, aggiunge tutti gli ingredienti necessari per coinvolgere, tra puntate estreme e splendide melodie che evocano guerrieri e dei, altopiani innevati e gelidi venti.

Ottimo lavoro questo The Blackening Tide, secondo capitolo dal taglio viking power metal dei danesi Heidra, che già avevano ben figurato con l’esordio Awaiting Dawn ma che superano le aspettative con questa raccolta di brani pregni di melodie epico guerresche, atmosfere viking ed irruenza power metal.

Al growl, sempre presente nelle parti più cattive del sound, si affianca una voce pulita evocativa e dalle sfumature epiche che, sommata alle caratteristiche principali del sound, completa una proposta assolutamente convincente.
La band danese accontenta e soddisfa gli amanti di questo tipo di sonorità con una serie di tracce molto suggestive e varie, alternando sfuriate power, mid tempo epici e guerreschi e quel tocco folk di matrice scandinava che non dispiace mai.
Gli Heidra non si limitano alla spettacolarizzazione del genere ma offrono una cinquantina di minuti di metal che, alle non poche ispirazioni classiche, aggiunge tutti gli ingredienti necessari per coinvolgere, tra puntate estreme e splendide melodie che evocano guerrieri e dei, altopiani innevati e gelidi venti, che da nord portano influenze melodic death nei momenti più estremi.
The Blackening Tide è un album che si ascolta tutto d’un fiato, uno splendido esempio di metal nordico nobile, glorioso, epico ed avvincente, mai al sotto una qualità che rimane ottima in tutti i brani presenti, trovando in The Price Is Blood, A Crown Of Five Fingers e la title track i propri picchi.

Tracklist
1.Dawn
2.The Price in Blood
3.Rain of Embers
4.Lady of the Shade
5.A Crown of Five Fingers
6.The Blackening Tide
7.Corrupted Shores
8.Hell’s Depths

Line-up
Martin W. Jensen – Guitars (lead), Vocals
Morten Bryld – Vocals
Carlos G.R. – Guitars
Dennis Stockmarr – Drums
James Atkin – Bass

HEIDRA – Facebook

Tytus – Rain After Drought

Vera macchina da guerra hard & heavy, i Tytus non fanno prigionieri e si confermano come una delle più convincenti realtà del genere.

I Tytus sono tornati e fanno male….. tanto male!

La band proveniente da Trieste, dopo aver distrutto mezzo pianeta con la micidiale detonazione provocata dal primo lavoro intitolato Rises (uscito tre anni fa), da il via ad un secondo bombardamento sonoro, questa volta licenziato dalla Fighter records ed intitolato Rain After Drought.
Rain After Drought è un concentrato di musica metallica che vede riff, solos, ritmiche potenti come un caccia torpediniere in primo piano: chitarra, basso e batteria al servizio del dio del rock, epico per certi versi, quasi eccessivo all’apparenza, ma in realtà perfetto nel suo glorificare un sound primitivo e dannatamente coinvolgente.
Se il primo album raccontava di una catastrofe legata all’avvicinamento della Terra al Sole, causato anche dalle dieci esplosioni contenute in Rises, Rain After Drought è uno tsunami biblico di metal/rock a non lasciare scampo.
Fin dall’opener Disobey veniamo travolti da queste nuove dieci tracce, tra riff mastodontici, solos taglienti e cavalcate strumentali di scuola Maiden (Rain After Drought Pt.1).
Vera macchina da guerra hard & heavy, i Tytus non fanno prigionieri e si confermano come una delle più convincenti realtà del genere.

Tracklist
1.Disobey
2.The Invisible
3.The Storm That Kill Us Hall
4.Our Time Is Now
5.The Dark Wave
6.Death Throes
7.Rain After Drought PT.1
8.Rain After Drought PT.2
9.Move On Over
10.A Desolate Shell Of A Man

Line-up
Ilija Riffmeister – Vocals & Guitars
Mark SimonHell – Guitars
Markey Moon – Bass
Frank Bardy – Drums

TYTUS – Facebook

Hollow – Between Eternities of Darkness

Echi di Nevermore, Queensryche, Morgana Lefay e Tad Morose sono presenti in questo splendido ritorno firmato Hollow, un lavoro che mette in primo piano sentimenti, emozioni, dubbi e paure e le trasforma in musica, tragicamente metallica, potente ma dall’impatto melodico straordinario.

Sono passati vent’anni da quando gli Hollow del polistrumentista Andreas Stoltz licenziarono Architect Of The Mind, bellissimo lavoro che vedeva la band svedese alle prese con un power progressive metal potente e melodico, sulla scia di Nevermore e Morgana Lefay.

La Rockshots Records non si è fatta scappare l’opportunità di mettere il suo marchio su questo inaspettato ritorno intitolato Between Eternities of Darkness, scritto, cantato e suonato da Stoltz con l’aiuto del batterista Stalder Zantos.
Mixato e masterizzato da Ronnie Björnström ai Enhanced Audio Productions in Svezia, l’album racconta il periodo difficile e drammatico di una famiglia normale, un periodo oscuro che non cancella il ricordo di tempi migliori, raccontato per mezzo di un emozionante viaggio nel metal progressivo che, come da tradizione del combo, si divide tra il concetto melodico ricco di tensione, oscuro e drammatico del metal statunitense e quello potente, roccioso e power suonato in Scandinavia a cavallo dei due secoli.
Echi di Nevermore, Queensryche, Morgana Lefay e Tad Morose sono presenti in questo splendido ritorno firmato Hollow, un lavoro che mette in primo piano sentimenti, emozioni, dubbi e paure e le trasforma in musica, tragicamente metallica, potente ma dall’impatto melodico straordinario.
La bravura tecnica del mastermind svedese non si discute, ma è la parte compositiva che lascia senza fiato, trasformando Between Eternities of Darkness, in una raccolta di brani drammatici, spettacolari nelle parti progressivamente ritmiche e da brividi nelle parti cantate.
Fate Of The Jester, Pull Of The Undertow, le splendide Hidden e Calling regalano insieme a tutta la tracklist grande musica metal, di livello superiore alla media per maturità artistica e songwriting: il ritorno degli Hollow è qualcosa più di una gradita sorpresa.

Tracklist
1.Travel Far
2.Fate of the Jester
3.Down
4.Pull of the Undertow
5.Shadow World
6.Hidden
7.Calling
8.The Road I’m on
9.Death of Her Dream
10.Say Farewell

Line-up
Andreas Stoltz – Vocals and Guitar
Stalder Zantos – Drums

HOLLOW – Facebook

Metal Church – Damned If You Do

In questo ultimo album le atmosfere dark sono presenti così come le accelerazioni di scuola thrash metal, e le melodie incastonate in assoli e chorus che hanno fatto scuola permettono ai Metal Church di ripresentarsi in buona forma.

I veterani Metal Church pubblicano il loro dodicesimo album e si torna così a parlare della storia del metal statunitense.

Infatti la band americana è forse la più indicata quale pioniera di un sound diventato marchio di fabbrica dell’heavy metal classico made un U.S.A., dalle tinte dark, drammatico e thrashy, ma sempre con un occhio attento alle melodie.
Diversi gruppi hanno costruito intere carriere con le regole che i Metal Church hanno definito fin dai primi anni ottanta passando alla storia metallica con lavori leggendari che, per quanto riguarda la band di Kurdt Vanderhoof, sono scritti sulle tavole della legge dell’heavy metal (The Dark, Blessing In Disguise e The Human Factor su tutti).
Dodici album non sono neppure così tanti, ma la qualità dei lavori licenziati è rimasta elevata per oltre trent’anni e i vecchietti terribili del metal classico a stelle e strisce non mancano all’appuntamento con i loro fans neppure questa volta.
Il ritorno del batterista Stet Howland dopo i gravi problemi di salute che gli impedirono di subentrare immediatamente a Jeff Plate, è la novità che si porta dietro questo nuovo lavoro, per il resto tutto funziona alla grande e Damned If You Do risulta l’ennesimo buon lavoro; potente e melodico.
In questo ultimo album le atmosfere dark sono presenti così come le accelerazioni di scuola thrash metal, e le melodie incastonate in assoli e chorus che hanno fatto scuola permettono ai Metal Church di ripresentarsi in buona forma.
L’album parte con la title track, brano che segna il percorso assolutamente ovvio e privo di sorprese di questo lavoro, alternando mid tempo, armonie pregne di oscure melodie e sfuriate metalliche sulle quali Mike Howe ruggisce e graffia da par suo.
Damned If You Do è un album che nei suoi perfetti automatismi regala canzoni di alto livello come The Black Things, Guillotine e Monkey Finger, quindi in grado di soddisfare gli amanti del gruppo e del metal classico d’oltreoceano; dal vivo i Metal Church continuano ad essere una macchina da guerra, mentre in studio si confermano come gruppo ancora lontano dalla quiescenza compositiva.

Tracklist
1. Damned If You Do
2. The Black Things
3. By The Numbers
4. Revolution Underway
5. Guillotine
6. Rot Away
7. Into The Fold
8. Monkey Finger
9. Out Of Balance
10. The War Electric

Line-up
Mike Howe – Vocals
Kurdt Vanderhoof – Guitars
Stet Howland – Drums
Steve Unger – Bass
Rick Van Zandt – Guitars

METAL CHURCH – Facebook

Death Waltz – Born To Burn

I Death Waltz guardano avanti e, pur non nascondendo ispirazioni ed influenze, licenziano un buon lavoro provando a farsi spazio nella scena underground nostrana.

I bresciani Death Waltz si definiscono semplicemente una band “metal” e fanno bene, sarebbe forse troppo lungo etichettare il sound del loro primo lavoro come melodic death, thrash, heavy metal.

Nata ormai quattro anni fa, la band lombarda arriva a licenziare il primo lavoro dopo alcuni cambi di line up e la solita gavetta in giro per i locali della provincia bresciana, prima che questo roccioso, metallico e melodico Born To Burn veda la luce e venga promosso dalla Ad Noctem Records.
Questi undici brani che formano quaranta minuti di musica, vedono la band impegnata nel proporre metal che prende ispirazione tanto dal melodic death metal, quanto dall’heavy, potenziando a tratti l’atmosfera con sferzate thrash che velocizzano le ritmiche ed estremizzano il sound.
Ne esce un lavoro piacevole, grezzo e melodico, attraversato da armonie che richiamano i Sentenced di Down, i Maiden ed in generale il thrash metal, ma che trovano una loro strada, sicuramente ancora più da personalizzare in futuro.
Born To Burn risulta quindi un buon ascolto, un tocco moderno in qualche arrangiamento non manca e dona a brani come Blood Moon, Dream e Samarra quel che basta per essere inserito nel metal del nuovo millennio.
I Death Waltz guardano avanti e, pur non nascondendo ispirazioni ed influenze, licenziano un buon lavoro provando a farsi spazio nella scena underground nostrana.

Tracklist
1.Intro
2.Juliet
3.Blood Moon
4.Beast
5.Death Waltz
6.Dream
7.This Is War
8.Samarra
9.Born to Burn
10.Riot
11.Asylum

Line-up
Jacopo “Jack” Polonioli – Drums
Mirko “J” Scarpellini – Guitars
Diego Dangolini – Bass
Stefano “Stef” Comensoli – Guitars
Alberto Scolari – Vocals

DEATH WALTZ – Facebook

Sabaton – Carolus Rex Platinum Edition

Un lavoro ispirato e bellissimo, heavy power metal orchestrale ed epico alla sua massima potenza, questo è Carolus Rex, sesto album dei Sabaton uscito nel 2012 e ristampato per l’occasione.

La storia della Svezia ha toccato il suo massimo splendore storico tra il XVII e il XVIII secolo, periodo che vide la nazione scandinava trasformarsi in una potenza imperante nelle coste del mar Baltico, dalla Finlandia fino all’Estonia e alla Livonia.

I Sabaton nel 2012 licenziarono questo bellissimo lavoro, che è stato quello di maggior successo del gruppo, alle prese con una fetta importante della storia del proprio paese.
Carolus Rex, infatti, è un lavoro incentrato sull’intervento della Svezia nella guerra dei trent’anni (1618-1648) e sul regno di re Carlo XII (1697-1718) del quale si commemorano i trecento anni dalla morte.
Un lavoro ispirato e bellissimo, heavy power metal orchestrale ed epico alla sua massima potenza, questo è Carolus Rex, di fatto il sesto album dei Sabaton ed apice di una discografia che ha regalato altri due full length dopo questo notevole lavoro, Heroes e The Last Stand, licenziati rispettivamente nel 2014 e nel 2016.
Senza entrare troppo dentro alle vicende storiche, c’è un grande album di power heavy metal da godersi con il pugno alzato e lo scudo a proteggere i colpi che i Sabaton senza pietà scaricano sull’ascoltatore, immerso in questa raccolta di racconti storici accompagnati da uno degli esempi più fulgidi di metallo glorioso, epico, orchestrale e potente.
Mid tempo e debordanti orchestrazioni ci avvolgono come in una colonna sonora di una pellicola che sulla parete fa scorrere immagini di battaglie, eroi, vincitori e vinti in un delirio epico davvero entusiasmante, con la chicca della versione svedese ad accentuare l’atmosfera di celebrazione di uno dei personaggi più importanti della storia della nazione.
Questa spettacolare versione Platinum Edition si arricchisce di quattro bonus track e viene licenziata dalla Nuclear Blast in ben cinque versioni: 2cd digi, 2LP, 3cd+2blu-ray-earbook, award edition e digital, a seconda dei gusti tutte imperdibili.

Tracklist
1. Dominium Maris Baltici
2. The Lion From the North
3. Gott Mit Uns
4. A Lifetime of War
5. 1 6 4 8
6. The Carolean’s Prayer
7. Carolus Rex
8. Killing Ground
9. Poltava
10. Long Live the King
11. Ruina Imperii
12. Twilight Of The Thundergod
13. In The Army Now
14. Feuer Frei
15. Harley From Hell

Line-up
Joakim Brodén – Vocals, Keyboard
Pär Sundström – Bass
Chris Rörland – Guitars
Tommy Johansson – Guitars
Hannes Van Dahl – Drums

SABATON – Facebook

Dungeon Wolf – Slavery Of Steel

Slavery Of Steel raggiunge la sufficienza solo per qualche spunto deciso e rabbioso, troppo poco comunque per farsi spazio nell’affollato mondo dell’underground metallico.

I tre Dungeon Wolf, capitanati dal cantante e chitarrista Deryck Heignum, provengono dalla Florida, terra tradizionalmente metallica, specialmente per quanto riguarda la parte estrema della nostra musica preferita, qui invece madre di un gruppo dedito ad un metal tradizionale tra velleità epic, qualche spunto tecnico lodevole, ma tanta approssimazione riguardo al songwriting ed alla voce del leader, che quando si affida al falsetto lascia alquanto a desiderare, un difetto non da poco in un genere nel quale l’interpretazione vocale fa la differenza.

Slavery Of Steel è composto da otto brani per una quarantina di minuti di epico metallo scolpito nella roccia, vario nelle ritmiche, tecnicamente buone, e nei solos che in alcuni casi rasentano lo shred, mettendo in risalto la bravura di Heignum con il proprio strumento, molte volte andando leggermente oltre a quello che richiede il brano.
L’album quindi non è sicuramente esente da difetti, migliorabili con il tempo, ma ad oggi purtroppo causa del poco appeal che brani comunque fortemente epici come l’opener Hidden Dreams o Worker Metal Night riescono ad avere sull’ascoltatore.
Il metal old school dei Dungeon Wolf è pervaso da una forte componente epico guerresca che ricorda Cirith Ungol e Manowar ma si presenta con un gap non indifferente già dalla buffa copertina, con un improbabile cavaliere medievale munito di spadone d’ordinanza e chitarra, ed una sbornia da far passare prima che inizi la battaglia.
Slavery Of Steel raggiunge la sufficienza solo per qualche spunto deciso e rabbioso, troppo poco comunque per farsi spazio nell’affollato mondo dell’underground metallico.

Tracklist
1. Hidden Dreams
2. Last Alive
3. Slavery or Steel
4. Borderlands
5. While the Gods Laugh
6. Dark Child
7. Worker Metal Might
8. Lord of Endless Night

Line-up
Deryck Heignum – Vocals/Guitar
Stan Martell – Bass
Austin Lane – Drums

DUNGEON WOLF – Facebook

Voices From Beyond – Black Cathedral

E’ un ottimo lavoro questo secondo album targato Voices From Beyond, band che elabora senza timori reverenziali le proprie influenze toccando le corde degli amanti di una serie di icone metal.

Partita come label rock ed alternative, la Volcano ha ampliato i suoi orizzonti entrando di prepotenza nel mondo del metal e supportando ottime realtà nazionali ed internazionali.

Tra hard rock, alternative e rock ‘n’ roll trovano spazio gruppi dalle sonorità più marcatamente metalliche, come per esempio i Voices From Beyond, al loro secondo album dopo The Gates of Madness uscito ormai otto anni fa.
Black Cathedral è il titolo di questo nuovo lavoro che sicuramente non deluderà gli amanti del metal classico anni ottanta, un concentrato potentissimo e senza compromessi di heavy, speed e thrash metal.
Il quintetto proveniente da Rimini, trascinato dall’ottimo cantante Roberto Ferri, ci presenta una raccolta di brani che alternano i tre generi citati, in un turbinio di tempeste metalliche.
Composta da una serie di brani elaborati, la track list non lascia spazio ad incertezze, il gruppo convince fin da subito lasciando alle veloci e dirette Dark Age e The Hideout Of Evil il compito di colpire l’ascoltatore con ritmiche veloci e potenti, solos taglienti e ottimi refrain.
La bellissima power ballad La Valle Della Coscienza (cantata in italiano), chiude la prima parte e l’album riparte con il thrash metal di The Edge Of Time, con i Voices Of Beyond che ci aprono le porte della nera cattedrale con il metal progressivo ed oscuro della title track.
Descending Into The Abyss è il brano più estremo del lotto, una forza della natura di matrice thrash che conduce verso la fine dell’opera rappresentata dalla ballad semiacustica The Family.
E’ un ottimo lavoro questo secondo album targato Voices From Beyond, band che elabora senza timori reverenziali le proprie influenze toccando le corde degli amanti di una serie di icone metal, che vanno dai Maiden agli Exodus, dai Metallica ai Testament e ai primi Helloween (quelli arrabbiati di Walls Of Jericho): per gli amanti del genere un ascolto vivamente consigliato.

Tracklist
1. Dark Age
2. The Hideout of evil
3. Guardian of the Laws
4. I am The Presence
5. La Valle della Coscienza
6. The Edge of Time
7. The Black Cathedral
8. Descending into The Abyss
9. Across The Mountains
10. The Family

Line-up
Roberto Ferri – Vocals
Claudio Tirincanti – Drums
Michele Vasi – Guitar
Andrea Ingenito – Guitar
Enrico Ricci – Bass

VOICES FROM BEYOND – Facebook

Manam – Rebirth Of Consciousness

Rebirth Of Consciousness è un album affascinante, nel quale death, power e progressive metal sono l’impalcatura di un sound personale e studiato nei minimi dettagli, nonché ennesimo gioiello di una scena che si dimostra sempre più uno scrigno colmo di opere di valore.

Un concept che segue un viaggio spirituale è quello che ci propongono i Manam, giovane band fondata dal chitarrista e cantante Marco Salvador, al debutto con Rebirth Of Consciousness.

Melodic death metal, power ed ispirazioni progressive compongono questa raccolta di brani, molto vari ma legati dal concept e dall’approccio al genere che rimane assolutamente estremo e melodico.
Suonato e composto dalla band con l’ambizione di ottenere un prodotto originale senza snaturarsi troppo, l’album alterna tracce estreme, alcune delle quali potenziate da classiche ritmiche power, ad altre più orientate verso un mood progressivo e melodico che nobilita in modo importante brani come Atman Denied, che arriva subito dopo quello che era un classico episodio melodic death metal come Supernova.
Le parti in clean sono ottime, non così scontate come in altre realtà, il growl è potente mentre ineccepibile è la parte tecnica, che permette al gruppo di regalare brani di spessore come l’evocativa Revelation.
Total War è una traccia heavy metal tradizionale potenziata dall’attitudine estrema dei Manam, A Raw Awakening parte come una power ballad e si sviluppa in un crescendo estremo notevole, mentre la parola fine a questo lavoro la mette la progressiva, melodica e splendida Sahara.
Rebirth Of Consciousness è un album affascinante, nel quale death, power e progressive metal sono l’impalcatura di un sound personale e studiato nei minimi dettagli, nonché ennesimo gioiello di una scena che si dimostra sempre più uno scrigno colmo di opere di valore.

Tracklist
1. Fallen Leaves
2. Supernova
3. Atman Denied
4. Innerdemon
5. Revelation
6. Total War
7. A Raw Awakening
8. Anam
9. Sahara

Line-up
Marco Savador – Lead Guitar, Vocals
Fabiola Sheena Bellomo – Rhythm Guitar
Marco Montipò – Bass, Backing Vocals
Nicola Nik De Cesero – Drums

MANAM – Facebook

Scarlet Aura – Hot’N’Heavy

Melodie che si incastrano tra ritmiche potenti, accenni thrash impastati di groove e solos di stampo classico compongono le dodici nuove tracce di Hot’n’Heavy, un macigno sonoro che perde qualcosa in eleganza ma acquista in potenza ed impatto.

Tornano sul mercato gli Scarlet Aura, band rumena capitanata dalla singer Aura Danciulescu, bellissima e grintosa vocalist che, lontano dalle sirene power gothic metal sfoggia una voce da vera pantera metallica.

Il debutto Falling Sky aveva ben impressionato presentando un gruppo con la propria personalità e pronto per accompagnare in tour la divina Tarja Turunen.
Il nuovo album conferma il valore del quartetto di Bucarest, rivelandosi più metallico rispetto al suo predecessore, licenziato dalla band in concomitanza con il primo libro scritto dalla Danciulescu, The Book of Scarlet- Ignition.
Questa volta la band picchia da par suo, l’hard rock è a metà strada tra quello tradizionale e quello moderno pendendo più verso il secondo aspetto, e i brani risultano pregni di groove, aggressivi e metallici così come più arrabbiata è la voce della singer.
Melodie che si incastrano tra ritmiche potenti, accenni thrash impastati di groove e solos di stampo classico compongono le dodici nuove tracce di Hot’n’Heavy, un macigno sonoro che perde qualcosa in eleganza ma acquista in potenza ed impatto.
La bella vocalist torna in parte alle melodie del primo album sulle note ottantiane di Glimpse In The Mirror, Silver City e nella ballad Light Be My Guide, mentre il resto dell’album, come già descritto, calca la mano sull’aggressività regalando momenti di hard & heavy duro come l’acciaio in Hail To You, o nel macigno che sono la title track e Let’s Go Fucking Wild.
Ritorno assolutamente degno dei complimenti ricevuti per il primo lavoro, Hot’n’Heavy non deluderà gli amanti del rock duro.

Tracklist
1.The future becomes our past
2.Hail to you
3.In the name of my pain
4.Hot’n’heavy
5.Fallin’ to pieces
6.Glimpse in the mirror
7.You bite me I bite you back
8.Hate is evanescent, violence is forever
9.Silver city
10.Light be my guide
11.Let’s go fuckin’ Wild

Line-up
Aura Danciulescu – Lead Vocals
Mihai Thor Danciulescu – Lead Guitars and Vocals
Rene Nistor – Bass Guitar
Sorin Ristea – Drums

SCARLET AURA – Facebook

Accept – Symphonic Terror

Anche gli inossidabili Accept hanno ceduto alle lusinghe del supporto orchestrale: l’esperimento è senz’altro riuscito, con gli strumenti classici a donare quel tocco di raffinata epicità al sound di una delle più importanti metal band nate nel vecchio continente.

Negli anni settanta le grandi band, dal successo dei Deep Purple con Made in Japan in poi, presero l’abitudine di immortalare il loro album di maggior successo o un’intera carriera con l’uscita di un live nella terra del Sol Levante, moda che fecero propria i anche gruppi metal degli anni ottanta.

Di questi tempi è il Wacken Open Air il festival in cui le band fotografano il loro momento magico o l’evento, se possibile con il supporto dell’orchestra.
Tanti ormai sono i gruppi che hanno sfruttato l’immensa distesa di appassionati che, ogni agosto, si danno appuntamento vicino al paesino più famoso della storia del metal, nel 2017 è stata la volta degli storici ed arcigni Accept, dieci anni dopo la reunion.
Symphonic Terror – Live At Wacken 2017 vede il gruppo di Wolf Hoffmann alle prese con i suoi maggiori successi con un concerto che suddiviso in tre parti.
Nella prima la band esegue una manciata di brani tratti da due classici intramontabili come Restless And Wild e Final Journey, accompagnati da altri presi dall’ultimo lavoro intitolato The Rise Of Chaos.
Nella seconda parte il palco è tutto per Wolf Hoffman che, accompagnato dalla sola chitarra e dall’orchestra filarmonica esegue dei brani presi dal suo lavoro solista (Headbangers Symphony), sicuramente affascinante nel contesto di Wacken, ma è con la terza parte che i cuori dei fans si incendiano.
La band torna al completo ed uno dopo l’altro dà in pasto al pubblico quegli inni che hanno fatto la storia della band e del metal, da Princess Of The Dawn a Fast As The Shark, passando per le leggendarie Metal Heart e Balls To The Walls.
E così anche gli inossidabili Accept hanno ceduto alle lusinghe del supporto orchestrale: l’esperimento è senz’altro riuscito, con gli strumenti classici a donare quel tocco di raffinata epicità al sound di una delle più importanti metal band nate nel vecchio continente.
Licenziato dalla Nuclear Blast in vari supporti, Symphonic Terror si rivela quindi la celebrazione di uno dei gruppi più amati nella sempre suggestiva atmosfera del Wacken Open Air.

Tracklist
Part 1: Accept
01. Die By The Sword
02. Restless And Wild
03. Koolaid
04. Pandemic
05. Final Journey

Part 2: Headbanger’s Symphony
06. Night On Bald Mountain
07. Scherzo
08. Romeo And Juliet
09. Pathétique
10. Double Cello Concerto in G Minor
11. Symphony No. 40 in G Minor

Part 3: Accept with Orchestra
12. Princess Of The Dawn
13. Stalingrad
14. Dark Side Of My Heart
15. Breaker
16. Shadow Soldiers
17. Dying Breed
18. Fast As A Shark
19. Metal Heart
20. Teutonic Terror
21. Balls To The Wall

Line-up
Mark Tornillo – Vocals
Wolf Hoffmann – Guitar
Peter Baltes – Bass
Uwe Lulis – Guitar
Christopher Williams – Drums

ACCEPT – Facebook

Homerik – Homerik

La musica prodotta in questo omonimo primo album è completamente fuori dagli schemi prefissati, unendo in tre quarti d’ora musica popolare nord africana e asiatica, death metal, folk, progressive, e thrash. in un spettacolo di fuochi d’artificio a tratti riuscito a tratti, leggermente caotico in altri frangenti.

Il primo album di questa band statunitense risulta uscito lo scorso anno, ma vale la pena fare un passo indietro per presentarla adeguatamente.

Gli Homerik sono un’entità di New York con a capo tre artisti come Ken Candelas (The Mad Composer), Andrew Petriske (The Daemon) e Obed Gonzalez (The Gatherer), ma di fatto a questa mastodontica opera hanno fornito il loro contributo una lunga serie di musicisti, amici ed ospiti del trio.
La musica prodotta in questo omonimo primo album è completamente fuori dagli schemi prefissati, unendo in tre quarti d’ora musica popolare nord africana e asiatica, death metal, folk, progressive, e thrash. in un spettacolo di fuochi d’artificio a tratti riuscito a tratti, leggermente caotico in altri frangenti; si tratta di un’opera ambiziosa e di una difficoltà estrema, questo va sicuramente detto, ma talmente varia nel suo concept musicale che si rischia facilmente di perdere il filo.
Gli Homerik non si fanno problemi di sorta, passano dal metal estremo violentissimo e di matrice death/thrash/hard core, a teatrali movimenti che ricordano il Grand Guignol, sinfonici, dalle atmosfere horror o semplicemente attraversati da una vena folk che, come già scritto, non si ferma ad una sola tradizione popolare ma passa con estrema disinvoltura tra la musica di paesi lontani tra loro come cultura e costume.
Il sound lascia nell’ascoltatore, oltre che la sorpresa, la sensazione che manchi qualcosa per legare il tutto, cercando nella parte visiva il Santo Graal della musica degli Homerik.
Musica da vedere quindi, magari in un teatro, con danzatori e artisti a dare vita a queste note variopinte e loro modo estreme, sicuramente coraggiose ed originali, ma di difficilissima collocazione.

Tracklist
1.Into the Pits of Oblivion
2.Unforgotten Kin
3.An Angel of Darkness
4.Curse of the Black Nile
5.The “Ire” of Green
6.Wendigo
7.The Balance of Power
8.Bread and Circuses
9.A Song of the Night: Part I
10.The Legion

Line-up
Ken Candelas – The Mad Composer
Andrew Petriske – The Daemon
Obed Gonzalez – The Gatherer

HOMERIK – Facebook

Infinita Symphonia – Liberation

Liberation è uno splendido esempio di musica metal a cavallo tra tradizione e modernità, quello che deve essere il genere nel nuovo millennio, un compendio di potenza e melodia, con arrangiamenti attuali ad arricchire un sound che guarda al passato con i piedi ben saldi nel presente.

La terza opera dei romani Infinita Symphonia, Liberation è l’ennesimo ottimo lavoro in arrivo dalla scena power metal tricolore, un’ora di metal dalle atmosfere classiche valorizzato da ritmiche di trascinante power, ed una vena epico progressiva dall’alto tasso melodico.

Licenziato dalla My Kingdom Music, l’album vede la partecipazione di una manciata di ospiti nazionali ed internazionali come le due “star” Ralph Scheepers e Blaze Bayley, Alessandro Conti, Julia Elenoir, Daniela Gualano, Gaetano Amodio e Alberto De Felice.
Ma il sound di Liberation non si ferma al solito power metal suonato a meraviglia, perché il gruppo raccoglie ispirazioni anche dalla frangia più moderna del metal e lascia che l’anima classica venga contaminata da queste pulsioni, rendendo l’ascolto altamente vario e particolarmente interessante proprio quando queste si fanno più sentire (splendida in questo senso la potentissima Coma).
E’ un susseguirsi di sorprese questo lavoro che passa dal metal classico al power valorizzato da spunti ritmici e refrain prog metal di scuola italiana (Labyrinth, Vision Divine), fino a soluzioni moderne che rasentano il thrash/groove (Be Wise Or Be Fool).
Tecnicamente ineccepibile e con il solito gran lavoro di Simone Mularoni che mette la sua firma su registrazione e masterizzazione (il mix è stato lasciato nelle mani di Claudio e Flavio Zampa), Liberation è uno splendido esempio di musica metal a cavallo tra tradizione e modernità, quello che deve essere il genere nel nuovo millennio, un compendio di potenza e melodia, con arrangiamenti attuali ad arricchire un sound che guarda al passato con i piedi ben saldi nel presente.
Lo spettacolare strumentale che conclude l’album (Q&A), un saliscendi tra le due anime del sound in un’atmosfera altamente progressiva, è la perfetta sintesi del credo musicale degli Infinita Symphonia, con i suoi undici minuti di metallo potente e nobile da non perdere.

Tracklist
1. Hope
2. The Time Has Come
3. Never Forget (feat. Ralf Sheepers)
4. How Do You Feel?
5. Coma
6. A Silent Hero (feat. Blaze Bayley)
7. Be Wise Or Be Fool (feat. Alessandro Conti)
8. A New One
9. Don’t Fall Asleep Again
10. Liberation
11. Q & A

Line-up
Luca Micioni – Lead and backing vocals
Gianmarco Ricasoli – Guitars, bass, backing vocals & orchestral arrangements
Ivan Daniele – Drums

Guests:
Blaze Bayley: vocals on song 6 *
Ralf Sheepers: vocals on song 3
Julia Elenoir and Daniela Gualano: vocals on song 8
Alessandro Conti: vocals on song 7
Gaetano Amodio: bass on song 3 *
Alberto De Felice: bass on song 7

INFINITA SYMPHONIA – Facebook